La possibilità di scegliere tra chi vince al botteghino e chi riesce a creare un'opera d'arte

 

VON TRIER: LA CAPACITA' DI INNOVARE E STUPIRE

 

 

DOGVILLE

di Luca Gianneramo

 

Shockante, innovativo e spietato, Dogville, primo film di una trilogia sul filone dell'antiamericanismo, è un atroce atto d'accusa nei confronti della società del Paese democratico per eccellenza (o almeno ritenuto tale). E' la storia di una donna di nome Grace (una straordinaria Nicole Kidman, al momento la migliore in tutta Hollywood) che si trova a rifugiarsi nel piccolissimo paesino di Dogville, in fuga da alcuni gangster: qui troverà dapprima l'aiuto della diffidente ma apparentemente gentile comunità locale; poi gli stessi benefattori diventeranno suoi carnefici, fino al finale a sorpresa con relativa violenta rivalsa da parte di Grace. L'aspetto che per primo colpisce lo spettatore è la scelta (davvero geniale) di non presentare l'azione in una sceneggiatura tradizionale, bensì di “costringerla” all'interno di una sorta di palco teatrale: tutta la scena si svolge tra case senza muri, di modo che l'occhio della telecamera domini sempre le mosse di tutti i personaggi, ma dia inevitabilmente un senso di claustrofobia, di limitatezza di spazi. L'espediente scenico è metafora dello spirito altrettanto chiuso e isolazionista della piccola e diffidente comunità di provincia, che vede la nuova visitatrice come una minaccia, ma poi ne sa sfruttare a suo vantaggio i servigi e la presenza, abusandone fino ai ricatti e alla violenza. E a sua volta ciò non è che la metafora della storia dell'America: apparentemente aperta e democratica, in realtà ha sempre visto gli immigrati (o gli intrusi?) come merci per l'economia; ha dato loro lavoro (o li ha sfruttati?) salvo farne oggetto di razzismo e additarli come colpevoli dei suoi stessi delitti (come accade nel film). La pellicola è però anche indicativa di come tali sfruttamenti si stiano oggi rivolgendo contro gli stessi sfruttatori: Grace perde nel finale tutta la sua passività e bontà d'animo e si mette alla stregua dei suoi carnefici (un riferimento all'ondata di terrorismo degli ultimi anni?). Il cane che dà nome alla cittadina, fedele avvisatore di intrusi, è il simbolo stesso dell'allerta verso ciò che è diverso e viene da fuori: la cultura multietnica per eccellenza, il meltin-pot americano ha in realtà estrema paura e sa adattarsi con lentezza.

Il film è inoltre diviso in “9 capitoli e un prologo” (come recita la scritta iniziale - di questi tempi sembra andare di moda, Tarantino docet) ed è attraversato da una voce narrante che sembra voler indicare la corretta linea di lettura dei fatti, salvo poi astenersi nel finale dal giudicare eventuali ragioni e torti (forse che anche Lars von Trier, anti-americano nato, stenti a dare ragioni a chi risponde alla violenza con la violenza?); la bella sequenza di foto sui titoli di coda, accompagnata da una musica che è tutta un programma, presenta una carrellata di immagini di sfruttati del mondo. Un film da vedere e da interpretare secondo le proprie corde (di possibilità e tematiche il regista ne offre a bizzeffe), originale quanto non mai, ben interpretato: insomma, da non perdere.

 

 

TUCK EVERLASTING

di Giulia Cesaroni, Ilaria Nicoletti e Camilla Peroni

 

“I Tuck sono una famiglia un po’ speciale, una famiglia - infinita - per colpa di un’acqua miracolosa bevuta per caso. Un amore infinito tra Jessie e Zinnie, una ragazza normale, purtroppo non durerà per sempre. E’ un film stupendo, pieno di mistero, sentimenti e scelte. Fa capire che vivere per sempre può significare “non vivere e nascondersi dal resto del mondo”. Secondo me, dopo aver visto questo film, nessuno vorrebbe essere immortale, bensì vorrebbe vivere la propria vita”.

CAMILLA        

 

“Questo film parla di una ragazzina, Winnie Foster, che vive con la sua famiglia alle porte di una foresta di cui per lei l’accesso è misteriosamente proibito. Un giorno lei decide di fare un giro nella foresta, ma sfortunatamente si perse, incontrando un ragazzo che la accoglie nella sua casa. Ma di lì a poco scopre che il ragazzo di cui si era innamorata, Jessie Tuck, senza volere era, prima di incontrarla, diventato insieme a tutta la sua famiglia immortale; quindi si trova a dover decidere tra il diventare immortale e vivere per sempre con Jessie oppure tornare alla vita di prima e però, prima o poi, morire. Winnie decide di abbandonare Jessie e di tornare a casa, anche se con molto dispiacere. A me questo film è piaciuto molto, per questo mi dispiace che sia rimasto così poco nelle sale dei cinema. Mette in evidenza come la madre e il padre di Winnie siano duri e severi con lei, non facendola sentire una ragazza che si deve divertire ma come una che deve pensare solo a studiare e non a divertirsi. Nonostante questo, lei vuole bene alla sua famiglia tanto da rinunciare al ragazzo di cui era innamorata. Le ambientazioni e i costumi sono davvero molto belli.” 

ILARIA        

 

“Tuck Everlasting è una storia molto bella e commovente, ma naturalmente anche un po’ irreale. Parla di due famiglie totalmente diverse l’una dall’altra, unite da un uomo che sembra cercare qualcosa… I protagonisti del film sono una ragazza di nome Winnie e un ragazzo, di cui lei si innamora, di nome Jessie, divenuto immortale come tutta la sua famiglia, cavallo compreso, per aver bevuto l’acqua che scorreva da una quercia nel bosco proibito. La famiglia della ragazza era molto benestante e Winnie aveva tutto, ma era insoddisfatta; c’era qualcosa che le mancava: la libertà. Fuggita nel bosco proibito, incontra appunto Jessie, lo conosce e se ne innamora. I Tuck la tennero a casa con loro per due settimane. Jessie la portava in dei posti bellissimi, trascorrevano le giornate nel miglior modo. Sembrava andare tutto bene, fin quando non arrivò il misterioso uomo (Ben Kingsley) a sconvolgere tutto. Costui, ricattandoli di dire a tutti il loro segreto, si voleva impossessare dell’acqua della quercia, ma fu ucciso dalla mamma di Jessie. Quindi per la famiglia Tuck era arrivato il momento di andare via e, prima di partire, Jessie disse a Winnie di andare a bere l’acqua, di aspettarlo perché un giorno sarebbe tornato. La ragazza tornò a casa. Passarono ben cento anni e Jessie tornò: vide subito, girando lo sguardo verso la fontana, la tomba di Winnie, che non aveva bevuto l’acqua, aveva scelto di proseguire la sua strada, magari di sposarsi, di avere dei figli. Beh, anche io avrei fatto la stessa cosa. Questo film ti fa capire che basta vivere una sola volta, ma sfruttare la vita al massimo e vivere bene”.

GIULIA        

 

 

MATRIX REVOLUTION

di Diego Rossi

 

Matrix Revolution è la conclusione di una saga molto spettacolare e colma di effetti speciali. Il finale di questo film (che chiude quindi anche tutta la trilogia) tanto atteso ed esaltato, è risultato, a mio avviso, invece noioso e ripetitivo. Questo film non provoca forte emozioni, ma sembra di vedere un videogioco con forti effetti speciali. Alla fine si resta perplessi, quasi in cerca di risposte che forse sembrano rimandate ad un ennesimo altro episodio, ricominciando così nuove avventure, rituffandosi nella spettacolarità delle scenografie e degli effetti speciali.

 

 

 

 

 

 

 

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