Una rassegna di recensioni sugli ultimi prodotti delle nostre sale cinematografiche
IL CINEMA: DENTRO ED OLTRE LA REALTA'
THE DREAMERS
di Luca Gianneramo
I Sognatori La prima sensazione che The dreamers provoca è quella di trovarsi di fronte ad una pellicola che, volente o nolente, non è né carne né pesce: forse perché è proprio Bertolucci a evitare di dare una connotazione esatta al suo film. Intendiamoci: con questo non vogliamo dire che sia un brutto film né tantomeno vuole questa essere una bocciatura; di certo però quest'opera sembra rimanere a lungo “tra color che son sospesi” e non sembra perciò possibile darne un giudizio completo. La storia è quella di tre ragazzi (due fratelli gemelli di sesso opposto e un loro amico americano) con la passione per il cinema, che si trovano a vivere alcuni giorni insieme nella Parigi del '68 e insieme combattono (o dicono di farlo) per gli ideali sessantottini; e sempre assieme scoprono il sesso. Ma dei tre filoni che percorrono la pellicola (il '68, il cinema e il sesso) nessuno di essi sembra prevalere o avere il sopravvento e, lungi da essere un merito, questo particolare finisce per far sì che il film non approfondisca nessuno dei temi. Se infatti le lotte e gli ideali sessantottini sono solo uno sfondo lontano e spesso sfocato, che emerge solo sporadicamente dalle parole del giovane Theo, pronto a parlare e a teorizzare, ma ben lontano dall'azione che caratterizzò quell'epoca, la passione per il cinema è solo il leit-motiv sopito e celato del film: la vena cinefila percorre la pellicola nella sua interezza, con interessanti effetti scenografici e attimi di vero lirismo e poesia, ma non prende mai il sopravvento come dovrebbe. In definitiva sembra quindi essere l'ossessione sessuale (perché di ciò si tratta) il tema dominante dall'opera, ma anche qui tanto è lasciato in bilico: l'origine di tanta morbosità, l'ambiguità delle relazioni, un'eventuale crescita di mentalità dei personaggi che è solo accennata nel finale. Sicuramente comunque l'elemento dominante è proprio questa già citata morbosità, che pervade tutti i temi del film e ogni sentimento, ogni manifestazione della personalità dei protagonisti. Nelle interviste Bertolucci sottolinea molto come obiettivo della regia fosse mettere in luce la passione per il cinema, la sua importanza, l'amore spontaneo per tutte le opere cinematografiche, che pervade chi è appassionato della Settima Arte: e sicuramente è questo il tema più poetico e meglio trattato del film, ma proprio per questo dispiace che sia lasciato così in disparte. Un accenno a parte merita il personaggio dell'amico americano: è quasi sempre lui il motore dell'azione, colui che risveglia passioni e propina idee, che cambia la mentalità dei due gemelli, troppo chiusi nel loro mondo. E' grazie ai suoi interventi che la ragazza prende più coscienza di se stessa e che Theo capisce l'importanza del mettere in pratica le sue teorie e i suoi ideali. Di certo, comunque siamo di fronte a un’opera complessa, che parla di tutto, ma che forse vuole solo parlare di se stessa e dello sconfinato amore del suo creatore per il cinema.
IL RITORNO
di Luca Gianneramo
Che cosa conterrà la misteriosa scatola che un padre, assente da anni dalla sua famiglia, torna a cercare, portando con sè in un travagliato viaggio i suoi due figli? Forse il suo altrettanto misterioso passato o forse il tempo che negli ultimi 12 anni non ha dedicato ai suoi due ragazzi, lasciandoli crescere senza una figura paterna. Zvyagintsev, il regista russo del film Il ritorno, fresco di palma d’oro al festival di Cannes non ce lo spiega, lo lascia intendere (inserendo così la sua opera in un filone di affascinanti storie del cinema). Il film ci mostra solo il viaggio, che sembra essere per il padre un mezzo per conoscere i suoi 2 figli e per insegnare loro regole di vita e modi per cavarsela da soli nel mondo. E proprio durante il viaggio egli scoprirà i diversi caratteri dei due bambini: se il più grande accetta gli ordini del genitore come dogmi, imposizioni, regole che “devono” essere seguite e subisce passivamente i rimproveri, il piccolo Ivan (di cui impressiona la splendida mimica facciale, considerando la giovanissima età dell'attore) non è mai d'accordo col padre, ne contesta le scelte e gli ordini, non lo riconosce come suo genitore, denigra l'atteggiamento del fratello maggiore. Solo nel finale il duro padre capisce che un animo del genere va compreso, accettato e perciò tenta un dialogo col giovane Ivan: come spesso succede agli uomini, è proprio la stima e l'affetto di chi meno ci asseconda e ci considera ad essere più caro ed importante per noi. In questo splendido “viaggio della vita” tra sterminati e deserti paesaggi della taiga russa, padre e figli impareranno a vicenda: così i due ragazzi partono accompagnati dal genitore, ma compiranno da soli la strada del ritorno, forse più maturi o semplicemente cresciuti. Un film intenso, ma senza gli eccessi del sentimentalismo: sorprendente per essere un'opera prima, grazie anche alle splendide prove dei due piccoli attori scovati dall'abile Zvyagintsev. Una pellicola per tanti padri che dovrebbero recuperare un rapporto con i loro figli.
KILL BILL
di Luca Gianneramo
Tarantino non si smentisce e torna con un film in pieno stile Pulp. Dal regista che con il suo Pulp Fiction ha meravigliato e magnificamente incarnato lo spettacolo stile anni novanta ecco Kill Bill, strana storia (ma anche questo è un leit-motiv delle opere tarantiniane) di una donna, chiamata per tutto il film col solo soprannome de “la sposa”, sopravvissuta miracolosamente ad un pestaggio e decisa a vendicarsi contro il mandante dell'aggressione (il misterioso e mai inquadrato Bill) e la sua lunga lista di scagnozzi. Dalla semplicità della trama è facile comprendere come i 110 minuti del film siano pieni semplicemente di atroci, cruenti e infiniti combattimenti all'arma bianca: su fondali giapponesi pugnali, spade e lame di ogni tipo macellano, amputano arti, provocando irreali fuoriuscite di fontane di sangue dai corpi esangui. Ma in tutta questa carneficina in stile Dal tramonto all'alba non c'è ovviamente spazio per sofferenza o sentimenti o umana pietà della morte: come Tarantino stesso ci ha insegnato con Pulp Fiction, il rosso non è il colore del sangue, ma solo il colore di uno spettacolo come un altro, da gustare o, volendo, da ridere. Sì, perché per tutta la prima parte del film le folli azioni della sposa sono presentate sotto un'ottica talmente irreale e assurda da apparire volutamente comiche: il regista ci vuole di nuovo far ridere del tragico, con una semi-parodia del genere dei film d'azione anni ‘90. Non mancano i geniali e originali elementi delle regie di Tarantino: montaggi arditi che smontano la visione cronologica degli eventi e suddivisione in capitoli narrativi (in stile Pulp Fiction); cambi di fuoco, passaggi dal colore al bianco e nero, musiche azzeccatissime; e persino un'intera scena a cartone animato, in un perfetto stile splatter, che sembra disegnata dal regista stesso, a voler ancora sottolineare la complementarietà tra arti visive che l'arte degli anni Novanta ci ha insegnato. Tuttavia la pellicola non ci presenta il miglior Tarantino: gli espedienti scenografici alla Jackie Brown lasciano più il posto ai comici spargimenti di pomodoro stile Dal tramonto all'alba. Non a caso la produzione ha deciso di tagliare in 2 parti la proiezione del film, per scopi commerciali. E se non fosse per l’inaspettato colpo di scena finale, che apre nuovi scenari nella scontata trama, sarebbero forse pochi i motivi di interesse per andare a vedere l'ultimo episodio.