La storia è racconto attraverso i libri

I testi che accompagnano la presentazione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati

31

Piume a Nord Est

 

i Bersaglieri sul fronte dell'Isonzo: 1915-1917

di Antonio Sema

      Libreria editrice goriziana Collana: "i leggeri", n° 4

Così descrive questi attacchi la Relazione Ufficiale austriaca: “gli italiani attaccarono con il coraggio della disperazione… ed invero essi non lasciarono intentata alcun mezzo per ottenere il loro scopo…”.

. ......... E così Cadorna in un suo libro: "Se innumerevoli furono gli episodi di valore, per verità storica dobbiamo rilevare che presso alcuni reparti accaddero per la prima volta episodi non belli. Questi e i 27 mila prigionieri perduti in un'azione nel complesso vittoriosa, misero in avvertenza il Comando Supremo che qualche cosa si andava maturando nello spirito delle truppe".

 

LA TESTA DI PONTE - 47a divisone bersaglieri

Oltre l'Isonzo !!

Pag 137 e seg. In quei giorni di maggio (1917) nel solo tratto Monte Kuk- Santo il 6/12/21° Rgt. bersaglieri e i Btg. Ciclisti II,VIII,X persero 112 ufficiali e 3.135 bersaglieri. I bollettini austriaci “bontà loro, riconobbero i favolosi eroismi degli italiani.

HERMADA - FLONDAR

Al termine della decima offensiva (maggio), la V armata austroungarica stringeva dappresso l’Hermada, l’ultimo baluardo  prima di Trieste, e per migliorare la situazione Boroevic decise un’azione (controffensiva) contro l’ala meridionale dello schieramento italiano prima che questa avesse avuto tempo di rafforzarsi sulle nuove posizioni. L’attacco principale, alle 04:45 del 4giugno, investì il VII Corpo d’Armata (C.d.A), le cui unità erano state pesantemente impegnate nell’offensiva di maggio e lo schieramento italiano crollò come un castello di carte. Trascorse le prime ore “di incertezza e di grave crisi”, la situazione tattica andò lentamente chiarendosi, e già alle 05:45 il comando del C.d.A era in grado di ordinare i primi movimenti delle brigata. I bersaglieri erano andati in seconda linea solo il 2 giugno ma fu necessario richiamarli in linea dopo nemmeno 48 ore di riposo, per la necessità di tamponare la pericolosa falla. I superstiti dei reggimenti 7° e 11° riuscirono a mettere assieme tre battaglioni (su 6 - ebbero la medaglia d'argento) con cui comporre un reggimento di formazione, subito assegnato a disposizione della 16a divisione, prima di essere riportati rapidamente a q. 144, per chiudere la falla assieme a un battaglione di fanti. Verso sera, gli italiani organizzarono per il giorno successivo un contrattacco che prevedeva l’impiego simultaneo delle tre divisioni del VII C.d.A. L’azione doveva iniziare alle 05:30 del 5 giugno, preceduta da “breve ma intensa” preparazione d’artiglieria. Il reggimento di formazione respinse un contrattacco; poi, guidato dal Col. Andrea Graziani, avanzò verso q. 146 di Flondar, assieme ai due reggimenti della l6a divisione, L’operazione venne eseguita entro i tempi prefissati ma non ebbe successo, e solo alcune unità del 245° reggimento di fanteria riuscirono a irrompere nelle trincee nemiche, mentre l’avanzata delle altre forze venne fermata dalla reazione “vivissima” del nemico. Episodi analoghi si verificarono un po’ lungo tutto il fronte d’attacco, con l’inevitabile risultato che il contrattacco perse il carattere di sforzo unitario e si frantumò in una serie di episodi slegati fra di loro. Le operazioni vennero quindi sospese in previsione di una ripresa nel pomeriggio. Ancora una volta, però, il “violentissimo” fuoco di sbarramento fermò l’azione italiana e impedì ai rincalzi di avanzare verso le prime linee. Nei giorni successivi, gli schieramenti si stabilizzarono e rimase viva solo l’azione delle pattuglie, “facilmente” rintuzzate dagli italiani. Gli strascichi di quell’azione durarono a lungo, con velenose polemiche sull’alto numero di prigionieri italiani. ......... In realtà, Flondar poteva essere interpretata come la prefigurazione di Caporetto, sia per le tecniche di attacco, sia per lo sbandamento iniziale delle unità sorprese da un nuovo modo di combattere, sia infine per la reazione dei vertici militari, ormai diffidenti nei confronti dei propri soldati. Vi era un’altra analogia con Caporetto: come l’offensiva austro-germanica rispondeva in primo luogo alla necessità di alleggerire la pressione sulle stremate forze I.R.e, così Flondar serviva a recuperare gli effetti più negativi della decima offensiva che aveva oltremodo logorato le unità di Boroevic.

In una lettera inviata il 6 giugno al Presidente del Consiglio in carica, On. Boselli, Cadorna accusava: ".. Dalle informazioni che finora ho avuto dal comando della 3a Armata, risulterebbe che la massima parte dei catturati appartiene a tre reggimenti di fanteria, composti in prevalenza di siciliani…". Ancora la Sicilia, che nelle sue idee assieme a Toscana, Emilia, Romagna e Lombardia, erano un unico grande covo di socialisti sobillatori e propagatori di idee contro la guerra. Occorreva dunque che il Governo si facesse carico di "..Stroncare l'opera dei più pericolosi agitatori con misure energiche ed immediate alle sorgenti stesse da cui emana ". La terapia praticata dal Comando Supremo fu di inasprire le fucilazioni sommarie che, fra maggio e settembre del 1917, arrivarono a quasi un centinaio.

... L’establishment militare italiano, e soprattutto Cadorna, si trovò in difficoltà nell’interpretare correttamente i fatti di Flondar, dovuti principalmente all’utilizzo da parte austriaca delle Sturmtruppen in un attacco basato sull’infiltrazione, e preferì lamentare l’azione dei partiti "sovversivi", accusando implicitamente la debolezza morale dei soldati italiani anziché studiare le innovative tattiche del nemico....

Note di copertina: La Grande Guerra iniziò per l’Italia dieci mesi più tardi rispetto al resto dell’Europa e si concluse, dopo oltre quaranta mesi di trincea, con una vittoria tormentata ma indiscutibile. A quel successo contribuirono non poco i 210.000 uomini del Corpo dei Bersaglieri, soldati particolari, e già famosi a sufficienza per meritare di divenire il simbolo di tutto il R. Esercito. Al di là dell’aspetto esteriore e della simpatia popolare diffusa  che li accompagnava, però, i fanti piumati erano prima di tatto i membri di unità operative di prima qualità e combattenti che superarono brillantemente anche le eccezionali difficoltà tecnico-militari e d’altro genere esistenti lungo il fronte dell’Isonzo. Pochi, allora, si erano resi conto della sostanziale ambiguità di quel contesto operativo multietnico italo-slavo. In particolare, la quasi totalità dei soldati italiani era inconsapevole di  combattere contro il lealismo asburgico e il nazionalismo, soprattutto sloveno e croato, che potentemente motivava la componente slava dell’Imperial Regio esercito, ossia il 42% dei suoi soldati. Furono i bersaglieri, assieme alla cavalleria i primi  a doversi confrontare con questa realtà, ma purtroppo perdettero troppo presto comandanti esperti come Eugenio De Rossi o Pericle Negrotto, che conoscevano bene l’area di confine e le problematiche etniche. Eppure, anche se l’assenza di quegli uomini esperti si fece sentire, il tradizionale spirito di corpo dei fanti piumati non si incrinò Al contrario, grazie all’addestramento e alla buona forma fisica, i bersaglieri ottennero risultati di massima positivi, specie sotto la guida di comandanti che conoscevano il mestiere. Per il resto, nei 30 mesi della guerra italiana lungo l’Isonzo, fornirono a Cadorna una truppa solida e di sicuro affidamento, che conobbe pochi momenti di crisi, come emerge dalla ricostruzione delle loro operazioni lungo il fronte di Nord Est dal maggio-giugno del 1915 all’ottobre-novembre del 1917, e dall’analisi di alcuni casi concreti di impiego operativo assieme ad altre unità del R. Esercito.

  Non casualmente, Cadorna aveva iniziato a lavorare per l’undicesima offensiva quando la decima non era ancora conclusa, e già il 28 maggio il CS. era in grado di emanare/le prime direttive per la ripresa delle ostilità. Egli assegnò la conquista dell’altipiano di Comeno alla 3a armata mentre la Zona di Gorizia (armata speciale), comandata da Capello e la cui competenza si estendeva da Tolmino al Monte San Gabriele, avrebbe dovuto conquistare l’altipiano di Tarnova. Era questo, in effetti, l’obiettivo principale assegnato a Capello, mentre era definito solo compito “sussidiario” la conquista dell’altipiano della Bainsizza. Fra l’area di competenza della Zona di Gorizia e quella del Duca d’Aosta, che andava da Vipacco al mare, restava un settore scoperto che venne assegnato a un gruppo / tattico autonomo. Era previsto un periodo di sosta per consolidare i vantaggi conseguiti, consentire il riordino di forze e mezzi e completare la preparazione della nuova offensiva. L’undicesima battaglia continuava, in definitiva, la decima spallata: “la stessa fronte, lo stesso miraggio”. A Nord, si trattava in teoria di conquistare l’altipiano di Tarnova, ma in pratica gli sforzi vennero concentrati sulla conquista dell’ altipiano della Bainsizza in maniera da minacciare l’arteria di Chiapovano. In questo settore venne impegnata la 47’ divisione, composta da due brigate bersaglieri, la 1a con i reggimenti 6° e 12°, e la 5’ con i reggimenti 4° e 21°. A Sud, nell’attacco contro la linea Castagnevizza -Flondar, operarono le brigate bersaglieri 28, formata dai reggimenti 7° e 110 (due unità rinsanguate da “agguerriti anziani”), e 3a (quest’ultima composta dai reggimenti 17° e 18° formati per lo più dalle nuove reclute del 1897). L’ordine di operazioni alle brigate 1a e 5a giunse nella notte del 16 agosto: la 1’ doveva conquistare q. 600, ed estendere la propria ala sinistra sino al Fratta, mentre la 5a avrebbe dovuto sfondare le linee nemiche fra il Fratta e l’altura Sud della q. 675, per poi avanzare verso l’Ossoinca e l’Oscedrih. Il 17 il bombardamento italiano raggiunse effetti spaventevoli. Poi iniziò l’afflusso delle colonne d’attacco, che andarono a occupare le posizioni di partenza. Il 19 agosto le truppe uscirono dalle trincee. Il IV C.d.A disponeva di tre divisioni, una delle quali era la 468, che aveva in forza il 2° reggimento bersaglieri, non utilizzato però nelle fasi iniziali. Invece, c’erano almeno dodici battaglioni bersaglieri nella 47a divisione del XXIV C.d.A, che schierava la V brigata bersaglieri (reggimenti 4° e 21°) e la I brigata bersaglieri, con il 12° reggimento. La 47’ divisione aveva avuto l’incarico delicato e particolarmente importante di forzare l’Isonzo in corrispondenza dei salienti di Loga e Bodrez, nonché a monte di Canale. Da lì bisognava puntare sulla linea alta e occupare il contrafforte nord occidentale del Fratta, a sbarramento della valle dell’Avscek, inviando poi la massa delle truppe sull’Ossoinca e sulle pendici nordorientali di q. 856. L’ attacco venne organizzato in maniera articolata, schierando a sinistra un gruppo d’attacco (Semmer-q. 856) con i reggimenti bersaglieri 4° e 21° e tre batterie da montagna, e sulla destra il gruppo di q. 600 costituito dal 12° reggimento bersaglieri e da due batterie da montagna, con quattro sezioni bombarde da 56 B. Il gruppo di sinistra doveva puntare sul fronte tra il Semmer e il Fratta, spingendo poi un battaglione a protezione del fianco destro della 22’ divisione da attacchi provenienti dalla Valle dell’Avscek. Una volta occupato l’obiettivo e preso contatto con il gruppo di destra (cui spettava la conquista di q. 600), si trattava di puntare con decisione su Ossoinca e q. 856. La premessa dell’intera operazione era costituita dal sicuro passaggio dell’Isonzo. Il forzamento del fiume venne affidato alle unità bersaglieri. In particolare, la 5’ brigata bersaglieri ebbe l’incarico di creare e mantenere le teste di ponte in corrispondenza delle località dove sarebbero stati gettati i ponti A e B, mentre la l’brigata bersaglieri avrebbe fatto lo stesso in corrispondenza dei ponti C e D. Nell’operazione furono coinvolti anche reparti di arditi. La 5’ brigata inviò i suoi reparti d’assalto (una compagnia) oltre l’Isonzo, a S. Peter, a occupare il ciglione sopra la ferrovia, nelle vicinanze del ponte A. In prossimità del ponte B, invece, avrebbero dovuto operare gli arditi e una compagnia bersaglieri del 21°; dopodichè era previsto che i due nuclei sulla riva sinistra provvedessero a collegarsi tra loro assicurando una cintura protettiva dietro cui effettuare in sicurezza la costruzione dei due ponti. Così doveva avvenire pure per i ponti Ce D, il cui gittamento avrebbe dovuto essere protetto da due plotoni del 12° bersaglieri e dagli arditi del reggimento. L’impiego di quelle unità non era casuale: di fatto, le fasi iniziali, quelle cruciali, del forzamento dell’Isonzo dipendevano in larga misura dalle capacità combattive di unità scelte, ossia di bersaglieri e di arditi che avrebbero dovuto impiantare le teste di ponte, proteggere la delicata fase della costruzione notturna dei ponti, e procedere intanto allo sviluppo delle operazioni sulla sponda sinistra del fiume. L’ esecuzione del piano ebbe qualche intoppo, ma nel complesso l’intera operazione ebbe pieno successo. All’imbrunire del 18 i reparti si attestarono silenziosamente in corrispondenza dei ponti, e alle 22:00 iniziò il traghettamento per la costruzione delle teste di ponte. Le unità in avanscoperta presero possesso della riva sinistra sfruttando la sorpresa e l’oscurità, mentre la costruzione dei ponti avvenne nel pieno della luce dei riflettori, il cui impiego era stato accuratamente pianificato per accecare i difensori austriaci, assicurando nel contempo piena visibilità ai genieri italiani. L’allestimento dei ponti proseguì instancabile anche sotto il fuoco dell’artiglieria I.R., vigorosamente controbattuta da quella italiana. Alle 21:30 del 18 agosto i due plotoni del XXIII/12° bersaglieri vennero traghettati in corrispondenza del vallone di Prihot, si impadronirono rapidamente della trincea bassa e proseguirono verso la rotabile Bodrez-Canale, stabilendo la prima testa di ponte, dietro a cui si procedette al gittamento del ponte C. Alle 23:00, il XXIII/I2° iniziò a passare l’Isonzo sotto il fuoco di “qualche” mitragliatrice nemica. Il resoconto di un ufficiale che aveva partecipato al forzamento dell’Isonzo col battaglione bersaglieri lasciava intuire l’impianto generale dell’operazione. Il battaglione varcò il fiume e dopo aver “fugate” le pattuglie nemiche con lancio di bombe a mano “formò una parvenza di testa di ponte”, dopodichè passarono gli altri battaglioni. Tuttavia, si faceva notare, le compagnie avevano “un forte effettivo sulla carta, ma deficiente in servizio”. 

Antonio Sema, nato a Pirano (Piran ora Jugoslavia) nel 1949, vive a Trieste, dove ha conseguito la laurea in lettere, indirizzo storico. Specializzato in storia militare, collabora con il Centro Militare di Studi Strategici di Roma ed è membro del comitato di redazione di "Li Mes" e di "Tempi & Cultura". I suoi lavori sono stati pubblicati dalle riviste "Passato e Presente", "Rivista di storia contemporanea", "Quale storia" e "Quaderni Giuliani di storia". Ha scritto Caporetto, Il mondo capovolto, La grande guerra sul fronte dell'Isonzo, Piume a Nord Est, I Bersaglieri sul fronte dell'Isonzo 1915-19] 7, Soldati e prostitute, Il caso della Terza Armata, Marte in orbace, Guerra, esercito e milizia nella concezione fascista della nazione, assieme a Virgilio Ilari e Jugoslavia dentro la guerra, con Fulvio Molinari. Antonio Sema forte di una ricerca bibliografica di primo piano descrive la preparazione e l'utilizzo tattico dei reparti dei Bersaglieri. Il libro è diviso in sei capitoli principali: Gli inizi - Il primo inverno di guerra - Le operazioni del 1916 - Il secondo inverno di guerra - Le operazioni del 1917 -in cui l'autore da ampi spazi anche agli aspetti strategici non tralasciando alcune polemiche sorte durante il conflitto sull'imbecillità di alcuni ordini.

 

 

Capitano dei Bersaglieri Martinez Giuseppe da Acireale - Argento a M. Semmer (Alt. della Bainsizza) 18-25 agosto 1917

 

Tale inconveniente era stato segnalato anche prima dell’inizio dell’offensiva, ma non era stato adeguatamente risolto. In linea di massima, risultava che le unità dovessero avere circa 365 effettivi ma, di media, ne contavano in realtà “solo circa 165”, da cui andavano detratti i servizi. A contrastare tale quadro deludente c’erano altri indicatori: le condizioni materiali dei bersaglieri “non erano meritevoli di rilievo alcuno”, l’addestramento “in genere era buono”, i servizi logistici “più che buoni”. Soprattutto erano “ottime le condizioni mora1i”. A volte, come accadde nel caso del ponte D, la sua costruzione fu resa impossibile dalla “forte” reazione nemica che danneggiò numerose barche e causò perdite tra il personale. Incuranti della reazione nemica, gli arditi del 12° reggimento bersaglieri varcarono comunque il fiume. Qualche intoppo incontrò pure la 5a brigata bersaglieri: la sua compagnia d’arditi varcò il fiume alle 23:00 e si attestò sul ciglione della ferrovia mentre le truppe del genio procedettero a gettare il ponte A. Invece, almeno in una prima fase, gli arditi del 21° reggimento non poterono essere traghettati. Nel corso della notte le operazioni procedettero con piglio spedito. Tra le 01:00 e le 02:00 del 19 entrarono in funzione i ponti A e B, consentendo il passaggio delle truppe al di là del fiume, nonostante il tiro di interdizione a.u. fosse riuscito a colpire e distruggere alcune barche del ponte A, interrompendo il passaggio per un paio d’ore. I bersaglieri della ? brigata, a ogni modo, varcarono l’Isonzo non appena i guasti furono riparati, mentre la P brigata, con il 12° reggimento, stava già ultimando il passaggio. Alle 06:00, la 5a brigata bersaglieri era riuscita a far passare sulla riva sinistra dell’Isonzo l’intero 4° bersaglieri, e la 1a aveva fatto lo stesso con il 12°. Ciascun reggimento bersaglieri aveva schierato due battaglioni in linea e uno in riserva. Più complesso si rivelò il passaggio delle altre divisioni del Corpo. In particolare, la 60a non era riuscita a costruire il ponte e dovette quindi ricorrere al traghetto per spostare il suo II/258°. Mentre continuavano le operazioni di forzamento dell’Isonzo a opera del VII C.d.A, la 5a brigata bersaglieri aveva già raggiunto la riva sinistra, e dopo aver superato le difese a.u. della parte bassa, catturandone in parte i prigionieri, aveva subito iniziato l’avanzata in profondità all’interno dello schieramento nemico. Poco dopo le 07:00, i reggimenti bersaglieri 4° e 21° erano già arrivati all’altezza della curva di livello 300. Successivamente la loro avanzata venne “vivacemente” contrastata da mitragliatrici e fucili, ma alle 11:00 il 4° era ormai prossimo alla curva di livello 400, mentre alcune unità del 21° erano già arrivate al livello 500. Più a Sud, la 1a brigata aveva inviato in avanti il 12° bersaglieri lungo il vallone di Prihot: l’operazione ebbe successo e vennero catturati prigionieri e notevoli quantità di materiali e armamenti. La difesa austriaca, però, non era stata ancora neutralizzata. La situazione era indubbiamente positiva, ma per non correre rischi bisognava risolvere prima possibile la minaccia costituita da alcuni capisaldi I.R. In particolare, il nemico era asserragliato nell’abitato di Canale e nei casolari vicini, in posizione strategica per impedire il gittamento dei ponti D ed E. Gli austriaci erano perfettamente consapevoli della “grande” importanza difensiva di Canale, e avevano avuto il tempo necessario per trasformarlo in un “vero e proprio fortilizio quasi inespugnabile”. Le difese del paesino erano assicurate da un buon numero di cannoncini da trincea e mitragliatrici. Le armi di squadra erano generalmente sistemate in appostamenti in roccia o tra solide mura, poco al di sopra del livello del fiume. Non mancavano nemmeno ricoveri sotterranei scavati a 7-8 metri di profondità e perfettamente in grado di resistere anche ai tiri dell’artiglieria pesante. In quelle condizioni un attacco frontale era destinato al fallimento in partenza, per cui il comando del Corpo ordinò alla 4a divisione di aggirare da Nord l’abitato di Canale con un battaglione del 12°, facendo intanto avanzare verso la cresta gli altri due battaglioni in maniera da schierarli a fianco del 21° bersaglieri. Dopo un violento bombardamento, l’azione ebbe un esito positivo: la caduta di Canale a opera dei bersaglieri spianò la strada al gittamento dei ponti D ed E, e alle 22:15 venne completato il primo. Intanto i tre battaglioni del 12° erano riusciti a travolgere la linea di difesa a mezza costa e avevano iniziato l’avanzata verso la cima. Alle 22:30 erano giunti all’altezza della curva di livello 550 e avevano catturato oltre 350 prigionieri. Nel frattempo era proseguita anche l’azione della ? brigata bersaglieri.

Motivazione dell'Argento al V.M al Cap.Giuseppe Martinez.

"Primo fra i primi, conduceva la compagnia all'assalto di ben munite posizioni e dopo lunga lotta metteva in completa fuga l'avversario. Instancabile e ardito, con l'esempio, otteneva dai dipendenti la calma e la tenacia che valsero al mantenimento delle posizioni conquistate, nonostante l'intenso fuoco avversario. Ferito mortalmente, spirava sul campo, dopo avere incitati ancora alla lotta i bersaglieri che lo avevano soccorso".

I BOLLETTINI DI  GUERRA DELLA BAINSIZZA

   Dopo aver ricevuto in rinforzo il battaglione alpini Monte Pasubio, l’unità aveva ripreso l’avanzata alle 12:00, spingendo un battaglione per il vallone di Loga verso il Fratta, e un altro verso il Semmer, dove si stava intanto dirigendo anche un terzo battaglione proveniente dal costone di Bodrez. La resistenza nemica fu subito molto vivace e contrastò l’avanzata italiana, bloccando gli attacchi al caposaldo del Fratta “alle 15, alle 15,40 ed alle 18”. Dietro a quei numeri v’era tutta la determinazione dei bersaglieri che non erano riusciti a sfondare la resistenza nemica, e ogni volta, imperterriti, avevano rinnovato gli sforzi per passare a ogni costo. Le cose andarono diversamente attorno a q. 675 del Semmer, e la stessa R.U. austriaca riconobbe che in quel settore del fronte i bersaglieri erano riusciti a passare travolgendo la 4 brigata Schùtzen raggiungendo verso le 18:00 la zona in prossimità della cresta del Semmer. Al termine del 19 agosto, la 5a brigata bersaglieri risultava schierata a ridosso della linea Fratta-Semmer, con cinque battaglioni bersaglieri in linea e una riserva formata da un battaglione bersaglieri e due di alpini. C’era poi una brigata sul rovescio di q. 600, con due battaglioni in linea, e uno pronto in rincalzo. Il 6° reggimento bersaglieri, assegnato alla divisione alle 15:00 del 19 agosto, era posizionato in riserva. Il Comando del Corpo d’Armata mise a disposizione della divisione il 262° reggimento fanteria e per il giorno 20 ordinò la prosecuzione dell’ avanzata Quel giorno, la 47 divisione aveva fatto un ottimo lavoro e l’Isonzo era stato varcato lungo tutta la linea, nonostante l’intervento dell’artiglieria nemica avesse interrotto il flusso dei passaggi. La divisione aveva guadagnato spazio ed era in procinto di impadronirsi dell’orlo occidentale della conca di Vrh, mentre la conquista di Canale e la costruzione dei ponti consentiva ora il passaggio delle prime batterie da montagna destinate ad appoggiare le colonne d’attacco. Infine l’unità aveva catturato almeno 1.500 prigionieri e ben 53 ufficiali, e molti, a quel punto, si attendevano “nuovi e più cospicui vantaggi” per il giorno successivo.

 

   

Altri articoli sul 15° sono in Fiamme cremisi ai diari di Francesco Lorenzo Pullè

 

IL 15° REGGIMENTO BERSAGLIERI

cap. CAMILLO LIBERANOME

IV BERSAGLIERI CICLISTI

Era la seconda volta che l’unità operava con tanta tempestività ed efficacia. Era già successo che all’inizio dell’offensiva De Ambrosis giungesse in bicicletta fino ai ruderi in località Bonetti: l’associazione fra il mezzo meccanico, la vigoria dei bersaglieri e la decisione del comandante, aveva consentito un intervento tempestivo che permise di risolvere una situazione critica con una carica alla baionetta. L’intervento dei ciclisti dimostrò la possibilità di raggiungere le trincee di prima linea pedalando in pieno giorno e senza subire perdite apprezzabili. L’episodio venne attentamente studiato anche nel dopoguerra, perché forniva la prova delle potenzialità tattica dei ciclisti e della possibilità di uno spostamento celere anche a ridosso del fronte. In precedenza i bersaglieri lasciavano il mezzo alla linea di partenza che poteva essere anche a 1 chilometro con la luce del sole.

 

Camillo Liberanome

autore dell'inno dei bersaglieri ciclisti

Coll. Privata

 

 

Torna all'indice libri

  pag. 90e segg. La sospensione dell’ottava offensiva costituiva il preludio alla nona ……. Nel frattempo, il XIII Corpo d’Armata doveva superare la linea Hudi Log q. 235 per poi attaccare il tratto Castagnevizza-Se1o. Il 15° bersaglieri ritornò in linea e, nella notte sul primo novembre (1916), inviò il L bersaglieri a q. 208 Sud e il LI a Bonetti, a disposizione della Macerata. La brigata di fanteria aveva ricevuto dalla 33a divisione l’incarico di sorpassare q. 208 Sud, e di sistemarsi a difesa dell’orlo dell’altipiano rivolto a Sud, per evitare infiltrazioni nemiche da quella direzione. All’azione partecipò anche la Padova, ma la decisione dei suoi uomini non bastò a superare reticolati nemici ancora “intatti”. Alle 12:30  quando gli austriaci contrattaccarono, la Padova proiettò in linea i suoi rincalzi assieme al XLI bersaglieri della riserva divisionale. Quando si precisò il ripiegamento della Catanzaro, dovette arretrare anche la Padova. La Macerata trovò i reticolati “pressoché intatti” e poté avanzare solo di poco: i progressi furono minimi, e non fu nemmeno possibile mantenerli di fronte alla decisa reazione avversaria. Successivamente la brigata ricevette dal comando divisione il XLIX bersaglieri del 15°, con l’incarico di riconquistare q. 208 Sud, che intanto veniva sottoposta a un pesante bombardamento. Alle 16:00, il I/122° e il LI bersaglieri del 15° attaccarono le trincee a Sud di q. 208, ma senza risu1tati’. Questa volta, la 2a armata a Nord aveva un compito essenzialmente dimostrativo. Nel caso dell’VIII Corpo d’Armata, questo voleva dire conquistare la linea da q. 123 Nord a Biglia. La riserva divisionale era costituita dal XII bersaglieri ciclisti, assieme a un battaglione di fanteria, al 2° Gruppo cavalleggeri Padova e a sei autoblindomitragliatrici, ma le speranze di impiegare questo nucleo celere finirono rapidamente quando gli attaccanti dovettero avanzare “penosamente nel pantano con l’acqua sino alla cintola” dando tempo agli austriaci di rioccupare le trincee al termine della preparazione italiana.
Valutando i risultati conseguiti nel primo giorno di offensiva, emergeva come la 3a armata avesse conseguito un notevole risultato sul fronte dell’XI Corpo d’Armata, con la conquista del Veliki e del Pecinka. Inoltre erano state intaccate le posizioni nemiche sul Nad Bregom: q. 144 era definitivamente in mani italiane ed era stata occupata anche la sella di raccordo di q. 208 Sud, con la cattura di almeno 4.000 prigionieri. La battaglia, però, non era ancora vinta: gli austriaci, rimasti saldamente attestati sulle loro posizioni, apparivano decisi a reagire sfruttando ogni
opportunità. In particolare, questi ultimi sapevano assai bene come gli italiani fossero posizionati in una zona priva di ripari, dove i rifornimenti potevano affluire solo con estrema difficoltà, mentre vi erano ottime prospettive di successo per i contrattacchi nei quali eccellevano gli uomini di Boroevich. In effetti, le posizioni della 3a armata affidate ai soldati dell’XI Corpo erano precisamente quelle più avanzate e destinate, ovviamente, a essere maggiormente soggette a bombardamenti e contrattacchi. Verso le 02:00 sulle posizioni tenute dai bersaglieri iniziò un pesante bombardamento a.u.. Grazie al loro addestramento, i bersaglieri mantennero la massima immobilità, evitando luci e rumori, attenti a non farsi scoprire dai razzi illuminanti nemici, e in silenzio attesero le azioni avversarie. Mancavano però viveri e soprattutto acqua, e il fuoco era tanto intenso da non lasciar sperare in alcun rifornimento. Se dal canto suo il bombardamento non riusciva a eliminare i bersaglieri, tentava almeno di stroncarne i nervi. I contrattacchi a.u. investirono con particolare intensità il fronte dell’XI Corpo d’Armata. Il primo urto colpì le unità della Spezia, il secondo spezzò la linea italiana fra le q. 278 e 308 del Pecinka e costrinse i fanti del 125° reggimento a ripiegare su q. 308, mentre la linea italiana a q. 3O8 e Cave di Pietra resse grazie all’impegno dei reggimenti 126° e 138°. Il gen. Cigliana inviò allora il 144° reggimento in aiuto ai bersaglieri che si trovavano sul Pecinka, provvedendo nel frattempo a radunare tutta l’artiglieria necessaria a sostenere il contrattacco. Quando si diffusero le prime luci dell’alba, i bersaglieri si spostarono nella caverna naturale della zona, ritenuta un eccellente riparo. Il grosso dell’unità venne incavernata e solo le prime linee mantennero le posizioni. La permanenza in caverna, tuttavia, non era delle più agevoli perché gli a.u. in ritirata ne avevano sabotato il macchinario per l’illuminazione e il ricambio forzato dell’aria. In quelle condizioni si profilava il rischio di un attacco con i gas all’imboccatura della caverna. D’altra parte le prime linee non riuscivano a reggere oltre la violenza del bombardamento, mentre le altre unità risentivano pesantemente gli effetti dell’isolamento, Il gen. Montanari decise comunque di rimanere sulla posizione raggiunta. La cima era difesa dai mitraglieri del III ciclisti, ormai ridotti a una sola arma, presto eliminata da un colpo ben centrato.
Mentre proseguiva il bombardamento a.u., gli osservatori italiani, convinti che i bersaglieri avessero ceduto le posizioni, dettero il via al tiro di repressione previsto in questi casi. il gen. Montanari, ferito e trasportato in una dolina vicina, raggiunse al telefono i comandi superiori per far cessare il tiro, chiedendo cibo, acqua, e munizioni. Ma essenziale era l’acqua, perché i feriti e i febbricitanti stavano già bevendo quella delle pozzanghere. I bersaglieri erano malridotti, ma non avevano perso l’abituale capacità reattiva propria del Corpo: cosicché il 12° battaglione, avendo avvistato dei movimenti sospetti, si lanciò da q. 308 contro le pendici di q. 258 Sud, respingendo un nucleo nemico pronto al contrattacco.
La dura reazione austriaca non interruppe l’offensiva italiana, né modificò i piani previsti dai vari comandi. il 2 novembre, la 45’ divisione inviò le brigate Lombardia e bersaglieri a Nord e a Sud di q. 378. L’operazione ebbe successo nonostante decisi contrattacchi a.u., e alla fine la brigata bersaglieri si attestò sulla linea da q. 319 a q. 278. in collegamento con la 4’ divisione. Intanto, era previsto che nel settore del XIII Corpo d’Armata, le unità dovessero avanzare lungo tutto il fronte. Quasi subito venne conquistata la prima linea avversaria, poi gli austriaci reagirono violentemente
e i “micidialissimi” tiri d’infilata resero impossibile la permanenza sulle posizioni conquistate. per cui le unità italiane dovettero ripiegare su quelle di partenza. In un simile contesto, assai delicato sotto il profilo emotivo, emersero ancora una volta le caratteristiche migliori dei reparti bersaglieri. Alle 11:00 del 2 novembre. il IV bersaglieri ciclisti ricevette l’ordine di spostarsi da Selz all’abitato di Bonetti in bicicletta, senza mescolarsi a truppe “sbandate” eventualmente incontrate sul percorso. Il cap. De Ambrosi precedeva i suoi ciclisti in motocicletta e giunse a Casa Bonetti nonostante il fuoco d’interdizione nemico. Le biciclette furono lasciate là e l’unità accorse a rinforzare la Padova, premuta pericolosamente dal nemico. Il IV ciclisti e il XLIX bersaglieri del 15° reggimento bersaglieri attaccarono e conquistarono un trinceramento nemico a Est delle q. 238 e 235’.

ISONZO - SOČA
Nasce a 940 metri s.l.m. in Val Trenta (SLO). Da Izvor Soce il fiume, a carattere torrentizio, scorre tortuoso e incassato fra le rocce. Si dirige verso ovest fino a Plezzo (BOVEC), verso est fino a Tolmino e verso sud fino a Gorizia, da dove, scorrendo in pianura, si getta nell'Adriatico. Nelle Prealpi Giulie attraversa tre conche, le quali prendono il nome dai paesi di Plezzo, Kobarid (CAPORETTO), Tolmin. A valle di KANAL (CANALE D'ISONZO) il fiume separa il Collio dall'Altopiano della Bainsizza, poco a nord di Gorizia. Qui, in un ambiente caratteristico che conserva condizioni di forte naturalità, la sua sponda destra sfiora il versante a picco del Sabotino, che aggira, entrando in territorio italiano. Passata Gorizia l'alveo diventa alluvionale e bagna Gradisca e Sagrado, delimitando a nord-ovest il Carso. Dopo 136 chilometri, 41 in provincia di Gorizia, sfocia nel Golfo di Panzano con un delta a W . I suoi affluenti sono a destra: Coritenza, Uccea, Torre ; a sinistra: Idria e Vipacco