La storia è racconto attraverso i libri

I testi che accompagnano la presentazione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati

 

Cesare Pettorelli Lalatta noto come "Finzi" (nipote di Giuseppe Finzi) 2a ed. Mursia Milano 1967

 

L'OCCASIONE PERDUTA - Carzano 1917 -

Il sogno di Carzano 1a edizione Capelli Bologna, 1926 Sequestrato

Caddi affranto su una sedia e piansi. Tutto lo sforzo di quegli ultimi mesi, tutte le fatiche, tutte le notti perdute si abbatterono come di schianto sulla mia tenace volontà: la partita era perduta, il sogno svanito. Appena rimessomi raggiunsi la piazzetta: giungeva in quel momento, portato da altri due intercettatori, un mio guardiafili: il soldato Corso. Esangue, disteso sulla barella, con la morte già negli occhi, egli mi sorrise: "Peccato - mormorò - ero così felice di essere venuto." E gli occhi si richiusero per sempre. Trattenni a stento i singhiozzi: tutti i miei intercettatori, a capo scoperto, si raccolsero silenziosamente attorno. "Il nostro bel sogno è crollato - dissi facendomi forza - ma non è intaccata la certezza della vittoria finale. Torniamo alla diuturna fatica, sono i nostri fanti morti che ce lo comandano. Sia pace e gloria al valoroso caduto". E lo baciai in fronte.
Cesare Pettorelli Lalatta "Finzi (Finzi era il cognome della madre figlia di  Giuseppe Finzi ebreo) sarà decorato di medaglia d'argento. Cesare Finzi, combattè sotto questo nome e solo nel 1922 assunse il nome del padre Pettorelli Lalatta"

Questo testo prende spunto dalla conferenza del Col. Luciano Salerno tenuta il 9 dicembre 1997 presso Il Circolo Ufficiali di Presidio di Bologna a cura del Centro di Studi Storico-Militari "Gino Bernardini" sul tema: "Carzano: un oscuro successo del Servizio Informazioni Italiano (settembre 1917). Vedi il testo completo http://www.centrostudimilitari.it/images/carzano.doc   

     

Il Cap. Pettorelli Lalatta comandava una cp a nord di Recoaro allo scoppio della guerra. Prima era stato addetto militare all'ambasciata in Ungheria e conosceva il tedesco e l'ungherese oltre al Francese. Pochi giorni dopo lo scoppio del conflitto venne scelto per gli interrogatori dei prigionieri nell'Ufficio "I" locale dipendente da Brescia (Tullio Marchetti Ia Armata) e da agosto ne divenne dirigente.

http://digilander.libero.it/trombealvento/guerra2/varie/fortiaustriaci.htm linea del fronte

  Giuseppe Finzi, Ebreo, nacque a Rivarolo di Mantova. Aderì già da studente alla Giovane Italia di Mazzini e nel 1848, allo scoppio della guerra in marzo dopo le 5 giornate di Milano, entrò nelle fila dell’esercito piemontese coi volontari bersaglieri mantovani detti di Carlo Alberto. Dopo l’esito negativo della battaglia di Novara si accodò a Garibaldi, di cui divenne amico anche di massoneria, nella spedizione della Repubblica Romana. Crollato anche il sogno di Roma ritornò a Mantova dove le sue attività segrete vennero indagate dalla polizia. Fu coinvolto nei fatti della cospirazione del 52, ma non confessò mai ed ebbe una condanna a 18 anni, condonati nel 1856. Fu di nuovo con Garibaldi di cui sostenne la spedizione in Sicilia con raccolte di fondi e con fondi segreti prestati da Cavour (era il suo ministro del tesoro). Venne eletto in parlamento, dove sedette per diverse legislature, poi al Senato. Non riuscì a ricoprire quest'ultimo incarico per la improvvisa morte sopraggiunta il 7/6/86.
     

  Ma Cadorna gli rispose: "non posso fabbricare i generali per lei"

 

"In linea di massima siamo d'accordo", disse il gen. Cadorna.

 

Da sx in piedi: Mario Scottoni, Arturo Castelli, Antonio Piscel, Tullio Marchetti (Capo dell'ufficio informazioni (ITO) della 1a Armata a Verona), Silvio  Prato, Antonio di Soragna; seduti C. "Finzi" Pettorelli Lalatta, Livio Fiorio (foto Museo Guerra Rovereto)

Diceva Napoleone "non si può fare la guerra all'Austria sull'Isonzo, se non si è padroni del Trentino." ma avrebbe anche detto "non si batte l'Austria sui monti ma in pianura" come in effetti avvenne. 

Antonino Di Giorgio promosso maggior generale, assunse il comando della 51a Divisione (XVIII Cda) in Valsugana. Era un comando tranquillo, dislocato in una zona di guerra piuttosto calma. Lì, fu tenuto estraneo persino dall'azione di Carzano che egli avrebbe guidato assai volentieri, tanto più che ricadeva territorialmente sul suo stesso settore del fronte; dopo si disse che se il colpo di mano fosse stato affidato ad uno come Di Giorgio l'operazione, probabilmente, avrebbe preso un'altra piega. Di li a un mese Caporetto e Di Giorgio chiamato a salvare il salvabile. Facendo sponda alla  III armata, nel settore di sinistra (quello che avrebbe dovuto essere di competenza della II coprì con un C.d.A. improvvisato (vedi capitolo) la ritirata al Piave. Questo giudizio fu avanzato dall'ideatore dell'impresa di Carzano C. Pettorelli Lalatta, dal generale E. Faldella e L. Bissolati, Diario di guerra, Einaudi, 1935

 

"Unisco piano nostra difesa. Sono pronto aiutarvi. Se accettate tirate a mezzogiorno preciso di un giorno qualsiasi due colpi con granate da 152 contro campanile Carzano. Confermate appena annotta, con segnale luminoso da Monte Levre. Ciò vorrà dire che un mio sottufficiale dovrà venire stessa notte ore 24 prendere accordi vostri avamposti Strigno. Rimandate subito (il sergente). firmato Paolino." (12 luglio 1917)

Con questo messaggio, ancorché laconico e ambiguo, tornava a farsi vivo (Paulin) Paolino, l’informatore fantasma che i nostri servizi non erano mai riusciti a inquadrare e contattare. Gettava l’amo poi per una serie di circostanze lo scambio si interrompeva. Paura, incomprensione, rischio, controspionaggio nemico ?. tutte le ipotesi erano aperte. Questa volta Paolino era ricomparso in Valsugana al terzo anno di guerra, un anno di stanca in un settore del fronte dove l’ordine era tenere la posizione (la guerra non si decideva qui).
Lo scenario: Siamo alle spalle di Borgo Valsugana, oltre Castelnuovo, lungo il torrente Maso. La nostra base Strigno (Spera Scurelle Palua sono terra di nessuno anche se le abbiamo tenute per mesi). Qui le distanze dal nemico non sono quelle del Carso. Il comando è a Pieve Tesino. Gli austriaci oltre Carzano, Telve e Borgo che controllano la strada per Trento (38 km) e lungo il Maso per i contrafforti della Val Calamento e passo Manghen.
I personaggi: quelli immediati. Gli ufficiali del servizio informazioni Ten. Col. Tullio Marchetti, Maggiore Cesare Pettorelli Lalatta, Il Gen Cadorna comandante supremo Capo di Stato Maggiore, i suoi sottoposti in loco, XVIII Corpo d'Armata (Gen. Donato Etna interinale anche alla 6a Armata con il comando dislocato in Arsiè), su due divisioni: la 51a (Gen. Antonino Di Giorgio) dal Civaron a Strigno e la 15a (colonnello brigadiere Attilio Zincone) da Strigno a Cimon Rava. Ma Zincone era interinale, perché il suo comando era la Brigata Campania 135° e 136° ft). I colonnelli brigadieri erano gradi di circostanze per supplire ai vuoti dei gradi superiori, l'interinale gira la frittata è la stessa cosa.
Il nemico. Un velo di truppe di varia estrazione inquadrate in due divisioni con armamenti e dotazioni ridotte ed etnicamente e organicamente deboli. Gli uomini erano in massima parte Landsturmer, sotto gli obblighi di leva (minorenni) o oltre i 31 anni e già giudicati inabili, Jung e Standschutzen, volontari a reclutamento regionale (combattevano solo nelle loro terre). Gli altri erano (secondo la tradizionale miscela austroungarica che non prevedeva reparti mononazionali), sloveni, bosniaci, moravi, boemi e cechi uniti e contrapposti da diversi interessi nazionali. Questa vicenda riguarda in massima parte il V° battaglione del 1° Reggimento bosniaco (di nome), comandato interinalmente dal primo tenente Ljudevit Pivko, ufficiale di complemento sloveno dell'Imperiale e Regio Esercito (il nostro Paolino) di anni 37, sposato, padre di 4 figli, professore di diritto e di filosofia a Maribor, Slovenia a cui si affianca il tenente Irsa Ceco.
I SERVIZI. Servizio Informazioni Militari (S.I.M.)
I servizi di informazione non sono una scoperta recente, sono vecchi tanto quanto sono vecchi i conflitti a cui si adeguano. Un conflitto, come quello che andava in scena ora, però non s’era mai avuto. Il campo strategico prendeva l’intero continente e gli interessi coprivano l’intero globo. I primi ad accorgersi della utilità locale di un servizio informativo diverso furono gli irredenti trentini di "Comitato di Emigrazione Trentina.", che gravitavano in genere verso la Lombardia o Padova per le università. Quando il nostro alleato si mise a costruire o rafforzare forti e postazioni non ci restò che prenderne atto e cercare di scoprire quali punti da deboli erano diventati sicuri e quelli che deboli erano e deboli restavano. Nel settore della 1° armata (poi anche 6°), che andava dallo Stelvio in Valtellina alla Valsugana e agli altopiani, gli uffici principali del Sim erano quelli di Brescia, Verona e Vicenza. Brescia si occupava tramite la rete già istituita dagli irredenti (vedi Volontari ciclisti nei bersaglieri del 12° di Brescia) delle informazioni acquisite negli imperi centrali e ai confini (Svizzera). La cosa che facilitava il nostro lavoro, qui più che altrove, era la presenza di queste nazionalità diverse , il cui amore per l’Austria era simile al nostro. Quando cadevano prigionieri nulla li tratteneva dallo svelare tutto fino nei minimi particolari. Il primo aprile 1916, con ben 45 giorni di anticipo, l'Ufficio Informazioni aveva segnalato che gli austriaci stavano maturando una poderosa offensiva che si sarebbe sviluppata dalla Val Lagarina agli Altipiani, acquistando la forma di attacco a fondo sull'altipiano di Lavarone e, forse, in Valsugana. La segnalazione non aveva suscitato un gran interesse “…….. MA E' PERMESSO RIMANERE TUTTORA SCETTICI DINANZI ALLA IPOTESI DELLA IMMINENTE GRANDIOSA OFFENSIVA ANNUNZIATA CON TROPPA OSTENTAZIONE". Le cose con la Strafexpedition andarono diversamente e questo più che Caporetto poteva essere il colpo mortale. Per controbattere l’anno dopo questa offensiva si era creata una VI Armata provvisoria, dopo la V allestita per la Strafexpedition,  per una offensiva sull’Ortigara che andò contrariamente a quanto previsto dal C.S. e conforme a quanto ipotizzato dai servizi. Condotta con ingenti forze (circa 300.000 uomini) dal 10 al 29 giugno 1917, si concluse con un insuccesso e 28.000 uomini all'incirca, tra morti, feriti e dispersi.  E veniamo a quella notte del 12 luglio 1917 quando, un sottufficiale austriaco, identificato poi per il sergente dell'esercito austroungarico Mleinek, ceco di nascita e di sentimenti, si presentò ai nostri avamposti di Strigno e chiese di essere accolto come parlamentare e latore di un plico da consegnare ad un nostro importante comando.

"Unisco piano nostra difesa. Sono pronto aiutarvi. Se accettate tirate a mezzogiorno preciso di un giorno qualsiasi due colpi con granate da 152 contro campanile Carzano. Confermate appena annotta, con segnale luminoso da Monte Levre. Ciò vorrà dire che un mio sottufficiale dovrà venire stessa notte ore 24 prendere accordi vostri avamposti Strigno. Rimandate subito (il sergente). firmato Paolino."

Senza neppure essere perquisito venne condotto al Comando Divisione a Pieve Tesino dove consegnò il plico con gli schizzi al C.S.M. della 51a Divisione, Ten.Col. Cerreti. Il maggiore Cesare Pettorelli Lalatta informato e convintosi che non fosse un tranello, fece dare il segnale convenuto, per incontrarsi con "Paolino" la notte del 15 luglio, nella "terra di nessuno”. In vari colloqui il maggiore Pettorelli venne a conoscenza che la rete di Pivko (50 e più uomini e anche un ufficiale pilota di aerei da ricognizione) arrivava fino al comando Trentino mettendolo in grado di ricevere ordini prima dei minimi reparti. Pivko assicurò anche che avrebbe potuto mettere fuori combattimento l’intero battaglione (vedremo come dopo). Una operazione quindi di infiltrazione mirata alle spalle, lungo percorsi stabiliti avrebbe messo in crisi il fronte austriaco e generato un fuggi fuggi generale verso la sguarnita Trento. Non solo; si balenava l’idea che attraverso la val Calamento passo Manghen e val Cadino si arrivasse a Ora di Bolzano via Sella di S. Lugano. Basta fare il Manghen adesso, come ho fatto io per capire che questa era una ipotesi molto magra. Comunque andasse, se non nel peggiore dei modi, la guerra non sarebbe stata vinta, ma certamente il morale sarebbe salito un po’, e anche l’esperienza, quel tanto da evitarci ulteriori disastri. Anche gli asini imparano dai propri errori. Nello stesso periodo, ma non ne approfondiremo l’importanza si stava attuando lo svuotamento di truppe dal trentino per il fronte di Caporetto, ed ecco il perché del velo di truppe di seconda mano e le notizie che dovevano servire per la II e III armata che subiranno lo scorno un mese dopo.

 

Pivko proponeva ed era in grado di Pivko(segue sotto)

(Ljudevit Pivko (1880-1937), sloveno, nato a Nova Vas, vicino l’attuale Markovci (sulla strada fra Maribor e Varazdin), era un insegnante che aveva studiato in Croazia, a Praga, Cracovia, Vienna e Francoforte. Dopo aver conseguito il dottorato in filosofia a Vienna e aver assolto al servizio militare Pivko andò a insegnare al ginnasio di Maribor. Allo scoppio della guerra fu richiamato, proprio nel momento in cui il suo spirito nazionalistico toccava il diapason con l’appoggio alle attività del movimento patriottico sloveno “Sokol”. Come scrive Janez J. Švajncer nella postfazione al volume della Leg, «l’Austra-Ungheria è stata la prigione dei popoli nel vero senso della parola, e proprio noi sloveni siamo stati uno dei popoli maggiormente esposti ai due sciovinismi imperanti nel paese, quello austriaco e quello ungherese». Perciò, non appena mise piede al fronte, sull’esempio di molti altri commilitoni connazionali Pivko ebbe un solo pensiero: tradire la sua divisa, disertare e magari danneggiare nel modo più proficuo l’esercito imperiale. Nelle sue memorie ("Abbiamo vinto l’Austria-Ungheria, la Grande guerra dei legionari slavi sul fronte italiano" (pagg. 849, Leg Ed. Gorizia traduzione di Irena Lampe) il racconto di ciò che fece è dettagliato, preciso, persino troppo pedissequo. Una volta spedito al fronte con i gradi di ufficiale, all’inizio Pivko tenta semplicemente di passare dall’altra parte. Ma rischia di essere impallinato dagli italiani, e quando torna tra i suoi ferito a un braccio e con il berretto sforacchiato dalle pallottole inventa la storia del tentativo individuale di un eroico assalto al nemico. Gli credono, così Pivko diventa un eroe, viene decorato, lodato dall’imperatore in persona e ottiene un tale credito che più tardi, quando passerà costantemente le linee italiane per portare al maggiore “Finzi” documenti e informazioni, e per mettere a punto con gli altri ufficiali cospiratori il piano di drogare l’intero battaglione, togliere l’elettricità ai reticolati e spalancare le porte ai bersaglieri, nessuno crederà ai sospetti che a più riprese soldati leali riferiscono ai comandi dell’esercito austroungarico. Come spiega Marco Cimmino nell’introduzione al libro, al di là della storia in sé - la cospirazione prima, le azioni militari del “Reparto Verde” poi - e del valore documentale del racconto, «la vicenda di questo manipolo di soldati, accomunati dall’odio verso l’Austria e dall’amore per la slavitas, è un capitolo paradigmatico della storia d’Europa: e ha, per questo, una sua dignità esclusiva e particolare».

    (segue)

Diceva Clausewitz (1780-1831)"Con la parola informazioni designiamo tutte le cognizioni che possiamo avere del nemico e del suo paese, e cioè la base per tutte le nostre idee ed azioni. Si consideri quanto per sua natura questa base sia fragile ed oscillante, e si comprenderà ben presto quanto pericolosa sia l'impalcatura della guerra, con quanta facilità possa crollare e schiacciarci sotto le sue macerie..... Le informazioni che si ottengono in guerra sono in gran parte contraddittorie, in maggior parte ancora menzognere, e quasi tutte incerte. Quello che si può esigere da un ufficiale in questa materia è un certo discernimento, il quale non può risultare che dalla conoscenza degli uomini e delle cose, e dal raziocinio.".

Nell'ordine di operazioni del 16 settembre era detto:

"Domani notte un nucleo di truppe ...... eseguirà un colpo di mano di sorpresa nella conca di Borgo con lo scopo di occupare il Salubio, il Ceolino e il Civaron, facendo anche una puntata su Roncegno.

Monumento al LXXII a Carzano

Fra i soldati “esperti “ comparve anche il LXXII battaglione del 20° reggimento bersaglieri e la 6a compagnia arditi del corpo d'armata due reparti che, per la prima volta, affrontavano la prova del fuoco. Altri proprio per la necessità di essere informati di quello che sarebbe successo erano arrivati il giorno prima e non avevano avuto neanche il tempo di riposare. Ma questo era un classico in campo italiano. Il breefing era ancora di là da venire.

   - togliere la corrente elettrica dai reticolati;
- addormentare la truppa con dosi di sonnifero, fornite dal nostro Servizio, somministrato nel rancio della truppa, dato che alla congiura partecipavano soltanto ufficiali e sottufficiali; (vennero poi impiegati acquavite e rum con oppio e cloroformio e sonnifero)
- accantonare, sulla sponda sinistra del Torrente Maso, materiale da ponte necessario ai nostri per la costruzione di passerelle idonee a superare il corso d'acqua;
- interrompere le comunicazioni telefoniche e telegrafiche coi suoi comandi;
- rendere note le parole d'ordine;
- dislocare, nei punti convenuti, uomini di sua fiducia (guide) per indicare i percorsi alle colonne penetrate di sorpresa nello schieramento del V° bosniaco;
- organizzare finte pattuglie con i reparti collaterali.


Quando Marchetti e Pettorelli cercarono di prendere contatto con Cadorna, si accorsero di quanta considerazione Cadorna aveva per i servizi. .. ma noi l’avevamo capito Clausewitz e Napoleone ?. Solo in Agosto Marchetti riuscì a parlare con Cadorna, al quale espose il suo parere favorevole in ordine alla consistenza del progetto del Pettorelli. Si spinse anche ad indicare una terna di generali fra i quali scegliere: in testa il Bersagliere Gen Andrea Graziani, il mastino, Antonino Di Giorgio della 51a Divisione (l’uomo che controllerà la rotta di Caporetto salvando la III armata), avente qualità similari, Ambrogio Clerici, Sottocapo di S.M. della 1a Armata ma non della 6a ora competente per settore. Il 4 settembre, alle ore 09,00, il maggiore Pettorelli fu finalmente ricevuto da Cadorna. Il maggiore Pettorelli parlò per quasi due ore sottolineando fra le varie cose che bisognava sfruttare il successo lanciando nostre truppe celeri con batterie autoportate e autoblindomitragliatrici sulle retrovie, prendendo da tergo le truppe austriache per puntare arditamente con una colonna su Trento e con l'altra per Val Calamento e Val Candino, sulla sella di San Lugano, su Ora, Bressanone, Brennero, spingendo altre truppe in Val Pusteria !!! (non era ancora inverno e si poteva forse!! fare. Cadorna concordò per lui un nuovo incontro allargato per il 7 settembre con il gen. Etna comandante del XVIII Corpo d'Armata e interinalmente della 6a Armata. Il magg. Pettorelli, prima di concludere il suo intervento, precisò che sarebbe stato opportuno impiegare, per la prima azione quella di infiltrazione, truppe scelte, già esperte della zona e bene orientate sui compiti ad esse assegnati. Per ben orientate, 5 mesi dopo, si intende che hanno fatto, almeno i quadri una prova in bianco. Cadorna invitò quindi il gen. Etna a leggere l'ordine di operazioni che aveva preparato. Le truppe destinate alla prima fase, 21 battaglioni e oltre cento pezzi di artiglieria suddivisi in 12 colonne, al comando del gen Attilio Zincone, sarebbero dovute intervenire con zaino affardellato, coperta da campo, due giornate di viveri di riserva esattamente il contrario di quanto aveva raccomandato Pettorelli. Ora zero: dieci giorni dopo !(il 17). L’approccio non poteva essere peggiore, ancor più quando Pettorelli si accorse che per i comandanti l’operazione era solo un diversivo colpo di mano.  Di Trento non si parlava proprio. Pettorelli quando si convinse che non erano gli uomini adatti, tornò da Cadorna e gli disse quello che pensava. "non posso fabbricare i generali per lei" Gli rispose questi.

  LE CAUSE DELL'INSUCCESSO E LE RIPERCUSSIONI

Cadorna in una lettera al figlio Raffaele : "Fiasco completo: hanno trovato qualche varco aperto, sono passati con comodo al di là, hanno catturato 200 prigionieri, ma non hanno potuto andare avanti, dicono, allegando il terreno difficile e l'oscurità mentre Etna, tre giorni prima, mi aveva detto che se pioveva e c'era nebbia, era meglio. Nota bene che l'allarme è stato dato cinque ore dopo l'inizio. Secondo me non c'è stato nè l'animo in chi doveva dirigere, nè la risoluzione in chi doveva eseguire. Che cosa vuoi concludere con gente simile? Decisamente non abbiamo ciò che ci vuole per le grandi imprese." I capaci c’erano, il problema era che lui non sapeva riconoscerli. Pivko e quello che restava dei suoi fedeli collaboratori, passati al nostro campo, furono ancora utili al nostro Servizio Informazioni della 1a Armata (coi cechi andarono a costituire i reparti esploratori). L'indomani dell'insuccesso di Carzano, il Gen. Cadorna convocò il magg. Pettorelli e si fece riferire i fatti così come essi si erano svolti (vedi sotto per le scuse !!?). Dispose poi che il gen Di Robilant, Comandante la 4a Armata, conducesse una rapida inchiesta, a conclusione della quale i generali Etna e Zincone vennero esonerati dai loro comandi e, con loro, vittime innocenti, due o tre comandanti di reggimento, responsabili soltanto di aver eseguito l'ordine di sostare così come l'avevano ricevuto. La doppia faccia di Cadorna non gli impediva poi di inviare a Pettorelli Lalatta  il seguente messaggio -  ..... L'accerto che il fiasco di Carzano provocò la maggior furia che io ho preso durante la guerra -  Cordialmente la saluto .. Cadorna  (se non poteva fabbricare generali due righe per dimettersi le poteva scrivere, avrebbe evitato la vergogna di Caporetto)

  A seconda dell'andamento dell'operazione mi riservo di impartire gli ordini necessari per sfruttare i risultati o per fare rientrare le truppe nelle nostre linee." L’AZIONE
 

La prima parte dell'azione ebbe pieno successo. Il maggiore Pettorelli, dopo aver raggiunto la località di Castellare e il ponte sul Torrente Maso, alle ore 02,00 entrava in Carzano, senza colpo ferire, con la 6° compagnia arditi ed il LXXII battaglione bersaglieri comandato dal dubbioso magg. Giovanni Ramorino. Due guide dei congiurati avevano con un piccolo nucleo resa intanto inoffensiva una batteria a Telve!!!. Più di duecento prigionieri austriaci erano stati riuniti, dai bersaglieri, nella chiesa di Carzano, in attesa di essere trasferiti nelle nostre retrovie. A questo punto scoppia il caos che si imputa a vari fattori non ultimo il cambio dell’ora legale, che gli austriaci fanno due notti prima, e che noi interpretiamo in modo sbagliato. Che cosa era successo?. Il grosso delle colonne italiane, cioè 21 battaglioni e oltre cento pezzi di artiglieria, anzichè percorrere la strada Strigno-Spera, larga 4 metri, erano state avviate, per un un vecchio e stretto camminamento, di 80 cm, parallelo alla strada. La scaletta dei tempi che scandiva l’azione era sistematicamente saltata (e questo era un punto importante perchè l’azione era come una bomba a orologeria). Alcuni tedeschi che fuggono danno l’allarme, ma questo per nostra fortuna ingenera panico negli avversari (gli ci vorranno 7 ore per dare corpo ad un vero straccio di reazione). A Strigno il gen. Zincone riuscì a mettere in movimento le colonne alle 3,30 e a farsi assegnare due compagnie di bersaglieri ciclisti, da far convergere rapidamente nella zona in cui era stata aperta la breccia. Il movimento si riavviò, senonchè il tiro delle artiglierie nemiche, che nel frattempo si erano poste in stato di allarme, si concentrò su Carzano ed il timoroso gen. Zincone ordinò alle truppe di sospendere l'azione e di ritirarsi ai punti di partenza. Il Col. Pirzio Biroli, che comandava i bersaglieri  ciclisti parlando con il Col. di S.M. Angelo Gatti (storico del Comando Supremo), affermò in seguito che l'impresa era fallita per la cattiva preparazione e che, nonostante il notevole ritardo di tempo che si era accumulato, aveva invano domandato, al gen. Zincone, di andare avanti, ma questi non seppe prendere alcun provvedimento. "Nel combattimento le perdite furono di 13 ufficiali e 896 uomini. La relazione austriaca asserisce che furono sepolte 4 salme di ufficiali e 350 bersaglieri; furono inoltre catturati 5 ufficiali e 132 bersaglieri ciclisti. Gli austriaci perdettero 10 ufficiali e 306 uomini."  Cadorna si riprometteva per rabbia di fare il Bis, ma gli austriaci non erano poi così stupidi come credeva Lui.
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Il LXXII battaglione bersaglieri col LXX e LXXI del 20° reggimento si era costituito in Vicenza 4 mesi prima. Il reggimento incorporato nella IV Brigata prestò soldati ai vari fronti tanto che suoi uomini sono presenti un mese dopo nel fronte di Caporetto, all'atto dello sfondamento. Non si conoscono altri episodi bellici se non combattimenti nel gennaio 1918 all'altopiano di Asiago.

Dall'opuscolo del settembre 2011 del comitato "18    

 settembre 1917" Presidente Piera Degan
... Gravissimi errori di comando fecero fallire un'operazione che avrebbe potuto procurare una clamorosa vittoria e molto probabilmente avrebbe reso impossibile, almeno per quell'autunno, l'offensiva austro-tedesca sull'lsonzo, perché il Comando nemico avrebbe dovuto impiegare truppe per ristabilire la situazione nel Trentino. Mancò, nei comandanti responsabili ad alto livello, quella fiducia nel successo che è tanto più indispensabile quanto più l'operazione richiede ardimento e forza di carattere.
Tuttavia è doveroso ricordare che i reparti impegnati, soprattutto i bersaglieri, si batterono con coraggio degno dei loro avversari, i quali, non appena riavutisi dalla sorpresa, furono prontissimi nella reazione e tenaci nella difesa.
Va infine rilevato che il "Sogno di Carzano" è un episodio in cui rifulge l'opera assidua e intelligente del Servizio Informazioni che, in quella occasione perduta, scrisse, al pari degli eroici bersaglieri caduti, una pagina degna di essere ricordata e tramandata alle giovani generazioni.
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Luciano Salerno Colonello (r.) del Genio Alpini Studioso di Storia militare, esperto della Prima Guerra Mondiale e del Tirolo

 

I decorati: Argento a Magg. Ramorino Giovanni  1885 - Acqui comandante LXXII  /  Cap. Buffagni Manfredo 1896 - Carpi  20° Rgt. / Serg. Benvenuti Francesco 1892 - Camerata Cornello / Serg. Puglielli Mario 1894 - Chieti / Bers. Apisa Crescenzo 1893 - Castel di Sasso /

C.le Cambarieri Francesco 1897 - Pizzoni 136° fanteria / Soldato Piras Francesco 1881 - Lei  136° fanteria

    LXXII battaglione bersaglieri

Ma la tragedia di Carzano ha una coda.

Nel 1939 Hitler conquista la Cecoslovacchia. Chi è il C.S. Maggiore dell'Esercito cecoslovacco? E' quel tenente Irsa, principale aiutante dello sloveno Pivko nella congiura di Carzano. Hitler che è austriaco di Braunau  ricorda certamente l'episodio di Carzano come un tradimento alla sua patria di origine per cui fa immediatamente fucilare Irsa. Non solo, ma siccome nel museo di Praga erano ricordati come eroi tutti gli appartenenti alla divisione cecoslovacca organizzata dall' Esercito italiano, Hitler li fa ricercare e fucilare. Pivko, lo sloveno si salva perché è morto nel '37. La storia di Pivko meriterebbe da solo un altro capitolo. 

 

Già dalle ore 23 del 17 i congiurati che faranno da guide sono sui punti loro assegnati. Passa il tempo e non si vede nessuno. La paura serpeggia fra di loro e alcuni lasciano pregiudicando il cammino dei soldati in arrivo (molti si perderanno, la notte era oltremodo buia, negli intricati filari volti a mezzogiorno). Gli altri cechi che rimangono hanno difficoltà a capirsi coi soldati italiani (dalmati che conoscono il tedesco dello straniero). Fra gli stessi italiani avvengono sparatorie quando una delle 12 colonne di infiltrazione scambia i fez dei bersaglieri per quelli bosniaci (rigidi ma dello stesso colore). Il panico che si è diffuso rischia di compromettere anche la posizione di Pivko che sfugge per miracolo (ma due dei suoi non ce la faranno) ad una esecuzione sommaria. Messi in campo cucinieri, palafrenieri, piantoni, infermieri etc gli austriaci contrattaccarono mettendo in difficoltà i bersaglieri del LXXII. Il grosso degli italiani si era intanto ritirato, anzi non era mai arrivato e i bersaglieri si ritrovarono isolati senza saperlo. Sul battaglione sparò anche l'artiglieria italiana facendo il vuoto. Ramorino, ferito, cadde nel Torrente Maso, affogando. La relazione ufficiale spiegò inoltre che la 7a colonna perse la guida e si fermo a Spera anziché al torrente, l'8a che doveva andare a Carzano andò a nord verso Caverna, la 9a partì con un'ora di ritardo e si ritrovò coinvolta in una sparatoria e dopo, verso mattina, arrivò l'ordine di ritiro quando la 10a si muoveva. Gli italiani evitarono di dare troppa pubblicità allo smacco e i tedeschi ne smorzarono i toni per evidenti motivi nazionalistici.

L'inchiesta militare austriaca condotta sui fatti, ancorché non fosse stata accertata tutta la verità della congiura, così concluse:"....Doversi cioè il Paese rallegrare per aver potuto superare, senza letali conseguenze per l'Impero, il grosso pericolo che lo aveva minacciato, la cui gravità, basata sul più abietto tradimento, era tale da sgomentare.". Inoltre, il noto critico militare Fabius ebbe a scrivere: "La paralisi della nostra difesa nel settore di Carzano offrì agli italiani una rara chance di grande successo. Questo fu proprio offerto agli italiani sul vassoio e ciò nonostante l'impresa fallì non in piccola parte per la dappocaggine del comando italiano giacché gli italiani, stipandosi su un unico passaggio persero un tempo prezioso. Profittando della sorpresa e della oscurità della notte essi avrebbero potuto colpirci, avanzando anche solo nella valle, in modo particolarmente sensibile. Sono evidentemente mancati l'accordo e i contatti fra il gruppo avanzato di assalto, che ha adempiuto bene ai suoi compiti, e la brigata di riserva. Apprendiamo però con orrore che la cospirazione ha durato settimane, che sui prigionieri furono ritrovate riproduzioni fotografiche e topografiche di tutte le nostre posizioni e che esse erano esatte in tutti i dettagli, che le nostre truppe vennero perfidamente frodate dei loro più efficaci mezzi di difesa, che lavori di difesa nostri furono appositamente ritardati, frustrati. Una grande sciagura ci ha sfiorati; da essa dobbiamo imparare." Un mese dopo a Caporetto le colonne di Rommel faranno quello che avremmo dovuto fare noi qui.

Nella piazza di Carzano c’è il monumento ai bersaglieri del 72° caduti il 18 SETTEMBRE 1917

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LUIGI CAPELLO E CESARE PETTORELLI LALATTA

IL

 RETROSCENA CAPELLO E DEL SEQUESTRO DE "IL SOGNO DI CARZANO"
Nel 1922 Capello mi ha scritto da Berlino, questa lettera molto cordiale.
Carissimo Colonnello, Berlino, 19 ottobre 1922.
Le giunga gradito un cordiale saluto da questa capitale di un popolo vinto, ma grande e che sopporta con dignità i suoi guai ed il tracollo del marco preparandosi a tempi migliori!. Sono qui fra le altre cose per raccogliere elementi per un nuovo libro che sto preparando. Il soggetto traspare dal titolo " Lo occasioni perdute ". Si riferirà essenzialmente alla fronte italiana, ma vi sarà un accenno anche alle maggiori occasioni perdute sulle altre fronti della guerra nei due campi avversi. Sul fronte nostro una delle più caratteristiche occasioni perdute è quella della operazione di sorpresa su Trento da lei con tanta abilità, con tanto amore e tanta fede preparata.
Contribuirono a far mancare l’occasione certamente la titubanza del comando supremo, l'inettitudine dei Generali Etna (Donato-in foto a dx) e Zincone (Attilio) e la poca audacia delle truppe. Ma questo è troppo poco. Mi occorrono altre notizie che soltanto lei può darmi. E mia intenzione valorizzare quell'episodio e il suo ideatore. È opera di giustizia tanto più che è poco noto. Sia così cortese da fornirmi, sia pure brevemente, tutto quanto si riferisce all'azione, dalla preparazione alla esecuzione. Non è necessario dilungarsi, ma opportuno citare qualche particolare che abbia particolare interesse pel pubblico. Ella naturalmente può contare in modo assoluto sulla mia discrezione. lo sarò a Roma certamente il 31 corrente e conto trovare una sua cortese risposta che voglio sperare affermativa. Saluti cordiali
Aff.mo Capello Luigi

segue Risposi che avevo in preparazione "Il sogno di Carzano"  e che appena pronte le bozze gliele avrei portate. Non potei farlo subito per varie vicende. Ma non potei farlo neppure in seguito perchè le bozze, stampate agli inizi del 1924 in una tipografia di Trieste e inviate in fogli all'editore Cappelli di Bologna per l'impaginazione e diffusione, vennero sequestrate con provvedimento contemporaneo a Trieste e a Bologna. Le casse vennero portate nei sotterranei della Prefettura di Bologna e andarono poi disperse pei bombardamenti dell'ultima guerra.
L'incomprensibile ordine di sequestro mai voluto revocare era stato ordinato dal Ministero dell'Interno su richiesta di quello della Guerra, con la scusante che il libro rivelava un episodio di guerra che era meglio non divulgare (e tutta la stampa austriaca e tedesca, nonché quella italiana ne aveva parlato e riparlato e vi era stata anche una discussione alla Camera dei Deputati austriaca!); in realtà il provvedimento era stato preso perchè sollecitato dal segretario federale di Trieste, che per alcuni miei interventi mi considerava poco simpatizzante con il fascismo.

 

Roma, 27 marzo 1964.
Proprio ieri, guardando mie note di guerra, mi domandavo chi o quale archivio avrà le note di Capello e proprio poco fa mi è giunto il numero della rivista dove ho letto con grande interesse l'articolo sulle carte Capello, perchè io sono legato al Generale per varie vicende, e proprio per difenderlo, nel 1925, mi sono visto collocato a riposo d'autorità.
Riassumo.
1) Come tenente mitragliere, mobilitato col 26° fanteria, ho fatto la campagna di Libia, sbarcando nel novembre 1911 a Derna. Capello era il nostro comandante della Brigata di formazione. Non ho mai dimenticato che lui, quando io comandavo una ridotta La Calabria , sita nell'Altipiano, venne per ben tre volte, di notte, a ispezionarla, spingendosi, era già piuttosto forte di fisico, sino alle vedette. Da lui, per un piccolo combattimento, ebbi un elogio solenne da iscriversi sulle mie Note caratteristiche.
2) Il 3 marzo 1912 il Capello ingaggiò combattimento, un paio di chilometri avanti alla mia Ridotta, con molte truppe. Senza che egli mi chiamasse, ritenni mio dovere accorrere per portare il valido aiuto delle mie mitragliatrici proprio sull'ala destra del suo schieramento, che verso le 10 del mattino pareva cedere di fronte a contrattacchi dei Turchi e beduini. Lo raggiunsi al suo posto di comando mentre le palle e i colpi di cannone vi giungevano con discreta intensità: mi accolse serenamente, mi dette gli ordini opportuni e quando, dopo qualche ora, respingemmo l'attacco volle lodarmi personalmente per essere accorso spontaneamente al combattimento e aver impiegato con intelligenza e valore i miei mitraglieri. Dopo qualche giorno venni decorato sul campo, con motivazione lusinghiera, di medaglia d'argento al valore: me la appuntò sul petto lo stesso Capello, abbracciandomi.
3) Morti, naturalmente, e in quello e in altri combattimenti, ne avemmo: Capello, oratore possente, ma conciso, volle venissero onorati sempre, accompagnando le salme con musiche patriottiche.
4) Ritrovai Capello, in Patria, in varie occasioni; sempre mi accolse con grande benevolenza mostrando di ricordare ogni particolare della mia azione di Derna.

5) Nel 1917, dopo l'azione della Bainsizza, in una mia ricognizione sul fronte della la armata (in Trentino) me lo ritrovai improvvisamente vicino, quando io credevo che egli, comandante d'armata, fosse sulla fronte isontina. Mi disse d'essere da pochi giorni al comando del V corpo d'armata per punizione, aggiunse sorridendo e d'aver saputo con vero piacere che il mitragliere del 1912 era ora capo del servizio informazioni d'armata e d'essersi ripromesso di chiamarmi, appena completato il suo orientamento nella zona. Alla mia spontanea osservazione: come mai per punizione dopo tanti brillanti risultati anche se costosissimi (uomini), ricordo perfettamente che ribattè il mio costosissimi, dicendo: la guerra ha necessità che non tutti possono valutare, e aggiunse che non era il fatto di averlo trasferito ad un comando inferiore quello che lo addolorava, perché questo è avvenimento sempre possibile, ma il fatto d'averlo voluto mettere agli ordini di altro generale che sino a poco tempo prima era alle sue dipendenze il Mambretti.
6) Qualche settimana dopo, volendo far svolgere una azione offensiva contro il monte Maio, mi mandò a chiamare per sentire cosa ne pensassi. Letto il. suo ordine d'operazione, gli dissi spontaneamente che, secondo me, non valeva la pena di far svolgere tale azione, sia pure per mantenere lo spirito aggressivo nelle truppe, perchè il terreno, anche se con successo, l'avrebbe resa troppo costosa. Seppi poi che aveva desistito.
7) In uno dei miei interventi al Comando Supremo nel quale, durante la faccenda di Cazzano, ero sempre ricevuto da Cadorna, presi la palla al balzo, nel riferire sulla situazione morale delle truppe, per far presente al Capo quale fosse la situazione morale del Capello, passato alle dipendenze di altro generale, poco prima suo inferiore. Cadorna si mostrò meravigliato per tale situazione che egli, mi disse, non aveva voluto e soggiunse lo ricordo come fosse oggi. Malgrado i suoi difetti Capello è un magnifico generale, di larghissime vedute, ed io vedo in lui un degno successore .
Seppi poi che Cadorna aveva ridato o dato al Capello il comando della II armata.
8) Io non rividi più Capello per molti anni.

... Nel 1922 Capello mi ha scritto da Berlino, questa lettera molto cordiale. ... segue a fianco

9) Non seppi più nulla di Capello sino al 1925, anche perchè dovetti soggiornare a lungo all'estero per cose personali. Solo nel novembre 1925, quando comandavo interinalmente a Trieste, il 152 reggimento fanteria, brigata Sassari , seppi ancora di Capello. Era giunto l'ordine di comunicare a gran rapporto un commento da Roma riguardante l'attentato a Mussolini. Io lessi il commento, ma sentii il dovere morale di completarlo con parole press'a poco di questo tenore: Io ho conosciuto personalmente, sino dal 1910, il generale Capello. Ufficiale valoroso, colto, medio intelligente. Non posso e non voglio credere che un simile ufficiale, già degno comandante di una armata in guerra, possa essere immischiato in cosi losca faccenda . Otto giorni dopo ero collocato a riposo. D'autorità. Sdegnai di presentare qualsiasi ricorso.                                             Cesare Pettorelli Lalatta

 

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