|
L’urbanizzazione
degli anni cinquanta Nell’ obiettivo
1 si parla della promozione allo sviluppo e dell’adeguamento delle
regioni in ritardo di sviluppo tra cui il Mezzogiorno. Il periodo in
cui si accentuò in gran parte il divario tra Nord e Sud è
quello degli anni Cinquanta, rappresentato dal Boom economico, periodo
in cui si ebbe un accrescimento delle città e un miglioramento
della qualità della vita.
L’apice dello sviluppo di questo trend positivo fu raggiunto tra
il 1958 e il 1963. Questo fenomeno caratterizzò anche molti altri
Paesi europei, tra cui la Germania e la Francia, in cui si verificò
un miglioramento dello stile di vita. In questi anni l’Italia
riuscì a ridurre il divario economico con l’Inghilterra
e la Germania e a eguagliare sistemi economici come quello belga, olandese
e svedese.
Nonostante il fenomeno si riferisca a un evento principalmente economico,
esso ebbe una forte ripercussione sulla vita degli Italiani che in pochi
anni cambiò radicalmente, in positivo o in negativo e portò
nel nostro Paese un livello di progresso e benessere mai conosciuto
nei periodi precedenti.
I fattori che determinarono tale svolta sono molteplici e da ricercarsi
in ambiti differenti. Uno di questi è senza dubbio la fine del
protezionismo e l’adozione di un sistema di tipo liberista che
rivitalizzò il sistema produttivo italiano, favorito anche dalla
creazione del Mercato Comune Europeo a cui l’Italia aderì
nel 1957. Inoltre fu importante il ruolo svolto dallo Stato, caratterizzato
da un notevole interventismo nell’economia. Infatti finanziò
la costruzione di un gran numero di infrastrutture, essenziali per lo
sviluppo economico del Paese, tramite stanziamenti statali e prestiti
a tasso agevolato che ammontarono a più di 714 miliardi di lire;anche
la Banca d’Italia mantenne un tasso di sconto estremamente favorevole
per le nuove industrie italiane che permisero un più facile accumulo
di capitali, al fine di agevolare gli investimenti.
Altri fattori determinanti per il boom economico furono il basso costo
della manodopera che proveniva soprattutto dal meridione, l’adozione
del piano Marshall e la nascita dell’Eni, l’Ente Nazionale
Idrocarburi, creato da Mattei nel 1953, a cui venne affidato lo sfruttamento
del più grande giacimento di metano scoperto nel 1946 nella valle
del Po.
Alla base del nuovo sistema economico italiano vi furono quindi: la
crescita della domanda interna ed esterna, la capacità di adattare
la produzione alla domanda futura, i cospicui investimenti pubblici
e privati, l’ aumento della produttività e la stabilità
dei prezzi. |
|
|
La situazione
al Sud
Una delle conseguenze negative dello sviluppo economico italiano fu
senza dubbio l’incremento del divario tra il Nord e il
Sud.
Il Meridione aveva un’industria scarsamente sviluppata e una tecnologia
arretrata, la produttività del lavoro era molto bassa e un’alta
percentuale della popolazione era dedita all’agricoltura. Inoltre
vi era una scarsa capacità di accumulazione dei capitali, le
infrastrutture erano insufficienti e la classe dirigente, priva di capacità
imprenditoriale, non permetteva un rinnovamento politico e amministrativo.In
questi anni, per la volontà di incentivare la nascita di un tessuto
industriale anche al sud, nasce l’esigenza di dimostrare che il
Mezzogiorno non era un costo, ma un vero e proficuo investimento anche
per in Nord; questo è quanto si impegna a chiarire, ad esempio,
la SVIMEZ, cioè l’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno,
la quale pone il problema meridionale come una questione a carattere
nazionale da risolvere con una politica di pianificazione economica.Al
risanamento dell’economica del Sud contribuisce anche la Cassa
del Mezzogiorno, nata con la legge dell’ottobre 1950. Essa operava
in tre principali direzioni: politiche tese alla costruzione di infrastrutture,
agevolazioni all’impresa privata, l’interveto diretto dello
Stato. L’operato della Cassa del Mezzogiorno fu però un
parziale fallimento: oltre a realizzare immensi insediamenti industriali,
chiamati “cattedrali nel deserto”, in città come
Siracusa, Taranto o Brindisi, non fu in grado di utilizzare e formare
l’abbondante manodopera locale e creare una rete di piccole e
medie imprese di fornitura, in modo da evitare che le grandi “cattedrali”
si trovassero isolate quando avevano bisogno di servizi o prodotti esterni
alla loro impresa.
A pagarne le conseguenze, ovviamente, fu la popolazione del Sud, che
tra il 1951 1974 dovette abbandonare in massa le proprie case in cerca
di fortuna al Nord. Negli anni del miracolo economico aumenta notevolmente
l’emigrazione. L’apice di questo fenomeno, secondo Ginsborg
[2], si verifica negli anni ’55-’63; Crainz [3], invece,
lo individua negli anni ’55-‘70, in cui venticinque milioni
di Italiani decidono di emigrare.
Le mete erano le città del centro-nord Italia, soprattutto Milano,
Torino, Genova, oppure quelle del nord Europa; infatti, dopo la crescita
industriale che coinvolse anche il resto degli Stati europei, Svizzera,
Belgio e Germania divennero meta di molti nostri connazionali.
Già prima dell’avvento del boom, il “consueto”
divario tra nord e sud dell’Italia era enorme; con lo sviluppo
economico queste differenze aumentarono, costringendo molte persone
a trasferirsi nelle ricche città del Nord alla ricerca di una
speranza. Alla base di questo fenomeno vi sono diversi fattori tra cui
la necessità di maggiore denaro e di un lavoro stabile, il fascino
delle nuove metropoli del Nord.
Gli uomini trovarono lavoro come operai nelle numerose di fabbriche
che nascevano in gran numero in quegli anni, oppure nei cantieri edili;
le donne al contrario erano occupate in lavori a domicilio, nel campo
della maglieria, del filato e della sartoria, oppure anch’esse
nelle fabbriche.Molti di questi manovali e operai acquisirono in quegli
anni un’esperienza tale da permetter loro di diventare in seguito
imprenditori nei vari settori in cui avevano fatto esperienza lavorativa.
Le motivazioni principali che spingevano gli uomini del Sud ad emigrare
al Nord erano la grave sottoccupazione, un alto livello di povertà,
la scarsa fertilità delle terre e frammentazione della proprietà,
che caratterizzavano il Meridione italiano.
La grande mobilità di quegli anni non era solo a carattere definitivo,
ma anche giornaliero. Infatti ogni giorno un gran numero di pendolari
giungeva nelle metropoli dai paesi limitrofi.
Inoltre per loro era anche difficile adattarsi alla vita di città,
estremamente diversa da quella a cui erano abituati. Tutte queste difficoltà
spesso ebbero delle ripercussioni negative sul loro inasprimento nel
posto di lavoro e determinarono una certa insofferenza in questa gente
nei confronti della società, che veniva additata come la causa
dei loro problemi.
In questi anni contemporaneamente allo sviluppo dell’industria
si verifica una diminuzione dell’importanza del settore agricolo
infatti in meno di dieci anni quasi tre milioni di occupati nelle campagne
si trasferiscono nelle città, determinando così la fine
di quei mondi rurali che caratterizzavano il Paese.
Senza dubbio il miracolo economico colpì anche il settore agricolo
permettendo un suo rapido ampliamento. In quest’ottica va considerata
la legge del 1948 per la formazione della piccola proprietà contadina,
che a tale scopo proponeva agevolazioni fiscali, agevolazioni creditizie,
mutui bancari con il concorso dello Stato. In questo periodo venne presentato
e attuato anche il “piano decennale” del 1952, il quale
prevedeva prestiti per l’acquisto di macchine agricole, ponendo
le basi per il processo di meccanizzazione agricola che in rapido tempo
coinvolse tutte le fasi di lavorazione.
Tutto ciò fece diventare le campagne italiane come delle grande
aziende interamente meccanizzate che non avevano bisogno di manodopera.
Per questo i campi rimasero in rapido tempo abbandonati, rimanendo spettatori
di un vero e proprio esodo.
|
|
|
La speculazione edilizia
Una delle più gravi conseguenze dello sviluppo italiano
e della crescita incontrollata delle città fu la speculazione
edilizia. Il mancato rispetto delle norme sull’edilizia e dei
piani regolatori cittadini determinavano un profondo cambiamento: l’Italia
da Paese rurale e contadino divenne una distesa di grandi sobborghi
di cemento. Inevitabilmente parte di costa, piccoli villaggi, lagune,
boschi vennero trasformati in centri abitati o centri turistici per
soddisfare la crescente domanda di nuove case e servizi per la villeggiatura.
La massima libertà lasciata alle iniziative nel settore dell’edilizia
permise a imprenditori edili poco scrupolosi di costruire nuovi edifici
praticamente ovunque, senza considerare le norme antisismiche e le misure
di sicurezza.
Il periodo compreso tra il 1953 e il 1963 fu spesso caratterizzato da
conflitti di potere tra le autorità municipali e gli speculatori
edili, che spesse volte sfociavano in corruzione o clientelismo.
Mercato e industria
Tra il 1958 e il 1963, anni di massima crescita economica,
il PIL crebbe addirittura del 6,3%.
Inoltre l’Italia nonostante presentasse un vantaggio competitivo
sulla produzione interna, basata sui settori tradizionali ad altro coefficiente
di lavoro, la domanda estera dei paesi ricchi e industrializzati premeva
per prodotti sempre nuovi dove i fattori produttivi maggiormente usati
erano il capitale e la tecnologia. L’urgenza di soddisfare questa
domanda e quindi cercare di ottenere un vantaggio competitivo anche
in Europa, portò lo sviluppo di settori che divennero il fulcro
del boom e la base della nascente industria italiana. L’Italia
cercò di sfruttare questo dinamismo di idee e di capitali, riuscendo
ampiamente ad imporsi nel campo degli elettrodomestici, dell’automobilismo
e delle manifatture; infatti in questi anni nascono le grandi industrie
italiane la cui produttività aumentava progressivamente grazie
alle nuove tecnologie da loro utilizzate. Fiat, Zanussi, Candy, Olivetti.
L’alta tecnologia impiegata nei processi produttivi permise alle
imprese di autofinanziarsi più facilmente, perché non
era necessario assumere manodopera; inoltre la stabilità dei
prezzi portò a un relativo contenimento dei salari, a un sempre
maggior investimento produttivo e a una crescita dei consumi. Nonostante
questa situazione positiva, portasse il Paese verso un benessere sempre
maggiore, gli squilibri non mancarono. Inoltre la crescita della domanda
estera conferì un’importanza eccessiva alla produzione
di beni di consumo anche di lusso, a scapito invece degli investimenti
in infrastrutture.
Questa distorsione venne riscontrata anche a livello di consumi individuali,
proprio a causa del diverso dinamismo e ritmo di crescita dell’economia.
Infatti, i beni primari risultavano proporzionalmente più costosi
rispetto a quelli secondari, proprio perché la volontà
di emulare le ricche società europee aveva causato un salto troppo
brusco per un Paese ancora provinciale e contadino.
Gli esempi di industrie legate al boom sono stati limitati al Nord Italia;
questo perché il Sud, a causa del già noto divario industriale,
riuscì ad avvertire qualche impulso solo nel 1957. Infatti, durante
questo anno venne approvata la legge che obbligava le aziende a partecipazione
statale a indirizzare nelle regioni meridionali il 60 per cento dei
loro investimenti, al fine di creare nuove aree industriali.
Sicuramente il risultato più gratificante di quel periodo fu
la nascita del concetto di multinazionali e dei primi tentativi di relativa
applicazione fortunatamente ben riusciti. Essi furono la FIAT e l’Olivetti,
che effettuarono la riorganizzazione aziendale.
La FIAT, società già nata nel 1915, riuscì ad instaurare
un sistema di produzione a costi decrescenti che dipendeva da un massimo
sfruttamento degli impianti, dall’allargamento del mercato interno
e da una graduale liberalizzazione degli scambi. Essa fu in grado di
imporsi a livello internazionale, diventando competitiva alla pari di
altre imprese europee.
Lo sviluppo industriale che si verificò in Italia fu sorprendente
e contribuì a cambiare l’opinione pubblica mondiale, che
era abituata a considerare gli Italiani come europei di secondo livello;
questo soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale.
In seguito alla fase economica positiva di cui l’Italia fu protagonista,
la società cambiò radicalmente e le condizioni di vita
subirono un notevole miglioramento dovuto all’aumento del reddito
medio della popolazione, che permise a volte l’acquisto di beni
di lusso, prima assolutamente fuori portata. I consumi aumentano con
una rapidità mai vista e le possibilità finanziarie delle
famiglie erano tali da permettersi un’alimentazione sana e ricca,
vistiti, un’abitazione e perfino l’automobile. Quest’ultima
è sicuramente, assieme alla televisione, ciò che più
rappresenta la nuova società del tempo e il simbolo del boom.
In molte case italiane erano presenti gli elettrodomestici di ultima
generazione. phon, orologio, frigorifero, stufette elettriche, frullatori,
lavatrici, che cambiarono le abitudini degli Italiani.
Sicuramente la “novità” più significativa
di questi anni è la televisione, che in pochissimo tempo invase
gran parte delle case degli Italiani, diventando sempre più indispensabile.
Accanto però agli sguardi di meraviglia e stupore di fronte alla
nuova tecnologia, nacquero le critiche verso questa scatola di immagini
che avrebbe portato solo effetti negativi.
Un altro aspetto significativo è lo sviluppo dell’editoria,
la diffusione dei quotidiani, i settimanali e le riviste. Nascono le
prime collane di libri delle grandi case editrici italiane: Mondatori,
Feltrinelli, Einaudi. Per quanto concerne i ceti professionali, si verificò
un aumento dei laureati anche presso le grandi università straniere
che poi diventarono i dirigenti delle varie industrie italiane. Aumentarono
anche gli ingegneri, gli architetti, i designers, gli esperti nelle
pubbliche relazioni: tutti professionisti che cercavano di soddisfare
il nascente gusto artistico e culturale degli italiani.
Cambiati i lineamenti caratterizzanti della società non poteva
non modificarsi quello che era ritenuto il cuore, l’unità
elementare di questa: la famiglia.
Il numero dei componenti andava man mano diminuendo, soprattutto al
nord, determinando un alto numero di famiglie formate solo da un figlio
oppure, addirittura, da marito e moglie, cosa quasi inconcepibile allora.
I nuclei famigliari quindi diventano sempre meno numerosi e più
appartati. Tutto questo è sentito soprattutto dai meridionali
immigrati al nord, che, trasferiti nelle grandi città del Nord,
non riscontravano più i ritrovi nelle piazze e il grande affiatamento
tra i vicini di casa a cui erano abituati. La nuova famiglia è
quindi all’insegna della privacy.
Per quanto riguarda i giovani, essi hanno molta più libertà
e passatempi a disposizione: domenica allo stadio, bar, sale da ballo,
shopping in centro, juke box, Lambretta.
Le donne invece diventano quasi tutte casalinghe, dedicandosi interamente
al marito, ai figli e alla casa; per questo motivo l’occupazione
femminile diminuisce vertiginosamente.
|
|