Esami di Stato 2006 - Istituto Tecnico Commerciale " Luigi Sturzo" di Bagheria

 

 

 

ITALIANO

ITALO CALVINO

Il ritmo e la routine della vita sono ormai scanditi da quelli della fabbrica; la società ormai si è organizzata in base agli orari e alle esigenze degli operai.
Un esempio di come è cambiata la vita di normali cittadini ci è descritta da Italo Calvino (1912-1985) nel racconto del 1958 intitolato “L’avventura di due sposi”.
I protagonisti sono Arturo Massolari e la moglie Elide, una coppia di giovani sposi, entrambi operai nelle fabbriche. Il disagio che devono sopportare è il non potersi vedere se non di sfuggita, a causa dell’incompatibilità dei loro orari di lavoro: mentre Arturo fa il turno di notte, Elide lavora di giorno. I due sposi sono destinati a vedersi solo durante due brevi momenti: al mattino quando Arturo, rientrando dal lavoro, prepara il caffè alla moglie, la quale sta ormai per svegliarsi e iniziare la sua giornata. La coppia, lontana tutto il giorno, ha la possibilità di incontrarsi solo la sera: Elide rincasa sfinita, mentre il marito cerca di aiutarla nelle faccende domestiche, ma in fretta, perché la sirena del turno di notte sta per suonare.
La storia è quindi concentrata in due unici momenti della giornata, in cui i protagonisti hanno la possibilità di scambiarsi pensieri, impressioni, tenerezze e, nonostante siano destinati a restare separati, trovano comunque la forza di sostenersi a vicenda, confidando in un futuro migliore.
La vicenda raccontata da Calvino non è sicuramente un esempio isolato in quegli anni in cui molte famiglie erano costrette ad adeguarsi a ritmi di lavoro frenetici per guadagnarsi il denaro necessario a vivere dignitosamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

La vita di Italo Calvino


Italo Calvino nasce, il 15 ottobre 1923, a Santiago de Las Vegas, un villaggio vicino all'Avana (Cuba), dove il padre dirige una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola d'agraria mentre la madre, Eva Mameli, nativa della Sardegna, è biologa. Nel 1925 la famiglia ritorna in Italia, stabilendosi a San Remo. Qui Calvino vive la sua infanzia che egli ricorda spensierata nel clima amorevole di in una famiglia dedita alle attività scientifiche ed alla ricerca. Compiuti gli studi liceali, Italo Calvino viene avviato dai genitori agli studi di Agraria, che non porta a compimento. Per quanto, infatti, tenti di seguire la tradizione scientifica familiare, ha già «la testa alla letteratura». Inoltre, a interrompere gli studi si intromette la guerra.. Non esalta l’idea comunista sotto il profilo culturale e filosofico. Matura, ciononostante, l’esigenza di organizzare forme politiche e strutture sociali a difesa dei diritti, della dignità umana e della libertà. Infatti dopo la morte di un giovane combattente, chiede ad un amico di presentarlo al PCI, in seguito insieme al fratello si arruola e combatte per venti mesi uno dei più aspri scontri tra partigiani e nazifascisti; è opinione della critica più accreditata che la sua scelta di aderire al partito comunista non derivò da ideologie personali, ma dal fatto che in quel periodo era la forza più attiva ed organizzata. Nel frattempo i genitori sono sequestrati dai tedeschi. Finita la guerra e liberati i genitori, nel 1946 comincia a gravitare attorno alla casa editrice Einaudi, e intensifica sempre più la sua attività culturale e il suo impegno nel dibattito politico-intellettuale, collaborando a numerose riviste. Su esortazione di Pavese e del critico Giansiro Ferrata si dedica alla stesura di un romanzo che conclude negli ultimi giorni di dicembre, sarà il suo primo libro, "Il Sentiero dei Nidi di Ragno" (una ricognizione appunto del periodo bellico e del mondo partigiano. Inoltre si impone nel panorama letterario italiano, come il più originale tra i giovani scrittori, in seguito alla pubblicazione della raccolta dei Racconti (1958), e soprattutto del volume I nostri antenati (1960), che comprende la trilogia di romanzi fantastici e allegorici sull'uomo contemporaneo: Il visconte dimezzato (1952), La cultura del Settecento, il razionalismo e l´illuminismo cosmopolita, costituiscono un altro ambito di grande interesse per Calvino. Da questo sottofondo ideologico e culturale nasce uno dei suoi romanzi più impegnativi: "Il barone rampante" (1957). In questi anni pubblica anche l'importante saggio Il midollo del leone (1955), e raccoglie e traduce Le fiabe Italiane che pubblica nel 1956, anno in cui i fatti di Ungheria provocano il suo distacco dal PCI e lo conducono progressivamente a rinunciare a un diretto impegno politico. La sua creatività è invece sempre feconda ed inarrestabile, tanto che non si contano le sue collaborazioni su riviste, i suoi scritti e racconti (vince in quegli anni anche il Premio Bagutta), nonchè la stesura di alcune canzoni o libretti per opere musicali d'avanguardia come "Allez-hop" dell'amico e sodale Luciano Berio. Insomma, un'attività culturale e artistica a tutto campo. Tra il 1959 e il 1967 dirige, insieme a Vittorini, l'importante rivista culturale letteraria «Il Menabò», in cui pubblica interventi caratterizzati da un impegno di tipo etico-conoscitivo, quali Il mare dell'oggettività (1959) e La sfida del labirinto (1962). Nel 1963, anno della Neoavanguardia, pubblica, oltre a Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, il racconto costruito ancora su schemi di tipo tradizionale La giornata di uno scrutatore, con cui si chiude il ciclo apertosi all'incirca un decennio prima. Nasce in quegli anni “il gruppo ‘63”, corrente letteraria “neoavanguardia”, che Calvino segue con intereresse pur senza condividerne l’impostazione di fondo. Pubblica i racconti “la giornata di uno scrutatore “ e “Speculazione edilizia”. Negli anni successivi sono sempre più frequenti i viaggi e i soggiorni all´estero. A fine ‘64 vanno in stampa le prime cosmicomiche “La distanza della Luna, Sul far del giorno, Un segno nello spazio, Tutto in punto”. Poco dopo pubblica “Il barone rampante” ed il dittico “la nuvola di smog , la Formica argentina”. Il 12 febbraio del 1966 muore l’amico Elio Vittorini, al quale dedica il saggio “Vittorini: progettazione e letteratura”. Calvino traccia nel saggio il pensiero d’un intellettuale aperto e fiducioso, in dissonanza col pessimismo letterario di quegli anni, della decadenza e della crisi. All’indomani della morte di Vittorini, Calvino inaugura un periodo di meditazione, necessario forse ad elaborare il proprio vissuto, distante dal frastuono delle città e della vita pubblica. Nel 1967 si trasferisce a Parigi assieme alla famiglia. Segue il dibattito culturale francese ma conduce una vita pressoché in disparte, pur frequentando alcuni intellettuali parigini come Gorges Perec, François Le Lionnais, Jaques Roubaud, Paul Fournel, Raymond Queneau. Di quest’ultimo traduce “i fiori blu”, da cui la letteratura del maturo Calvino trarrà gli aspetti più umoristici ed i riferimenti cosmologici. Approfondisce la sua passione per le materie scientifiche e per il gioco combinatorio. Tra il ’69 ed il ’73 lavora ad alcuni progetti letterari e pubblica racconti e saggi su diverse riviste. Escono il racconto “I tarocchi” ed i saggi “Osservare e descrivere” e “problema da risolvere”, pubblicati nella nuova edizione testo scolastico “La lettura”. Nel 1971 scrive “Gli amori difficili” per la collana “Centopagine” della Einaudi. Nel 1972 vince il Premio Feltrinelli conferito dalla Accademia nazionale dei Lincei , pubblica “Le città invisibili” che sarà finalista al XXIII Premio Pozzale 1974 per la letteratura. In quell’anno inizia anche una collaborazione con il “Corriere della sera” che durerà fino al 1979, dove inaugura la serie di racconti del signor Palomar. Pubblica due lavori autobiografici, il primo, “Ricordo di una battaglia”, rievoca la dura ed umanamente ricca esperienza da partigiano. Chiude quasi completamente il suoi interventi di carattere politico e sociale, con l’amaro articolo “L’apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”, pubblicato l’anno successivo sul quotidiano diretto da Eugenio Scalfari. Gli anni ’80 vedono Calvino, ritornato a Roma con la famiglia, prevalentemente alla ricerca lungo quel territorio che è il punto di confine tra letteratura e scienze, sempre ispirato all’amico francese Queneau. A causa della seria crisi in cui versa l’Einaudi, nel 1984 è costretto a pubblicare presso Garzanti “Collezioni di sabbia” e “Cosmicomiche vecchie e nuove”. L’anno successivo, proprio mentre lavora ad una serie di conferenze (“Lezioni americane” pubblicate postume) che dovrà tenere presso l’università di Harvard, Italo Calvino è colto da un ictus. Muore il 19 novembre nell’ospedale Santa Maria alla Scala di Siena.

 

Impegno sociale e documentazione della realtà.


Calvino fa parte di quegli scrittori che vengono inquadrati nella sigla del Neorealismo. Dopo la fine della guerra la consapevolezza di aver preso parte ad eventi della grande storia e la speranza nelle sorti di un mondo che si avviava alla ricostruzione materiale e morale si traduce in letteratura in una ripresa del realismo (neo-realismo), che consisteva soprattutto nel dare voce letteraria a tutte le storie che la gente aveva da raccontare e documentare quello che era successo e come ne erano usciti soprattutto quelli che appartenevano alle classi più povere e più esposte.
Desiderio di impegno sociale e di denuncia e ricerca di una nuova arte sono in questo che più che un movimento o una scuola fu una tendenza, come testimonia lo stesso Calvino. Il Neorealismo si espresse soprattutto nella narrativa, nel romanzo in particolare, e trovò espressione anche nel cinema.


I caratteri del neorealismo

Il neorealismo non ebbe un manifesto programmatico, non fu né una scuola né un movimento organizzato, ma piuttosto un clima culturale, un orientamento basato, più che su una estetica, su una istanza etico-civile, su un forte impegno a trasformare la società e i suoi valori. La sua origine è strettamente connessa alle vicende storiche: la crisi del fascismo, la guerra e le sue tragiche conseguenze, la Resistenza, le Miserie del Dopoguerra, le lotte per costruire una società più giusta. Il neorealismo inoltre elabora e diffonde una nuova concezione del ruolo dell’intellettuale nella società, “all’impegno” cioè all’elaborazione di una cultura in grado di proporre soluzioni ai problemi dell’uomo, della società, delle classi subalterne. L’attenzione degli scrittori (molti dei quali aderiscono al Partito Comunista tra cui Italo Calvino) si rivolse ai problemi più rilevanti dell’epoca: la miseria delle plebi rurali, la guerra e le sue conseguenze, le persecuzioni politiche e razziali, la Resistenza e la nuova conoscenza civile. Con le figure di protagonisti operai, contadini, pastori, ricompare nella letteratura italiana il proletariato, quasi del tutto dimenticato dopo le esperienze veriste di fine Ottocento. Il neorealismo si distingue nettamente dal naturalismo e dal verismo ottocenteschi. La produzione letteraria del neorealismo si orienta innanzitutto verso il documento, la cronaca, la testimonianza, ed è sostenuta da un forte bisogno di comunicare, dall’esigenza di raccontare esperienze concrete, fatti reali, in forme semplice e dirette, senza intellettualismi e artificiosità.


La poetica
L'esperienza del neorealismo


In questa prima fase della sua produzione, collocabile all'interno del movimento neorealista, Calvino scrive il suo romanzo breve Il sentiero dei nidi di ragno e numerosi racconti raccolti nel volume Ultimo viene il corvo. Con queste opere Calvino mostra una lucida capacità rappresentativa della realtà che coniuga impegno politico e letteratura in modo spontaneo e leggero. In queste storie lo scrittore ligure per raccontare le storie della sua esperienza partigiana adotta un punto di vista oggettivo, tramite il quale i suoi ricordi diventano la misura della comprensione del mondo. In Il sentiero dei nidi di ragno l'intreccio è narrato dal punto di vista di Pin, un ragazzo, il protagonista del romanzo. Questa ricerca di oggettività, comunque, non scade mai in pura cronaca: è sempre presente la dimiensione mitico-fiabesca che permette a Calvino di far intravedere la realtà sotto le spoglie del sogno.
Il periodo fantastico
Calvino da sempre era stato attirato dalla letteratura popolare, con particolare attenzione al mondo delle fiabe. Con Il visconte dimezzato, percorre sempre di più la strada dell'invenzione fantastica: l'impianto è ormai totalmente abbandonato al fiabesco e la narrazione procede secondo due livelli di lettura: quello di immediata fruizione e quello allegorico- simbolica, in cui sono presenti numerosi spunti di riflessione (contrasto tra realtà e illusione, tra ideologia ed etica, etc.). In conclusione il romanzo invita i lettori all'equilibrio, in quanto non è possibile possedere la verità assoluta. Anche le altre due opere della trilogia I nostri antenati mostrano caratteristiche simili. Il protagonista de Il barone rampante è un alter ego di Calvino che ormai ha abbandonato la concezione della letteratura come messaggio politico. Il Cavaliere inesistente invece è velato da un cupo pessimismo, dietro al quale la realtà appare irrazionale e minacciosa. Accanto alla produzione allegorico -simbolica, Calvino continua comunque un tipo narrazione che descrive la realtà quotidiana. Riprende ad esaminare il ruolo dell'intellettuale nella società, constatando la sua assoluta impotenza di fronte alle cose del mondo. Sempre a questa fase appartengono i racconti di Marcovaldo, in due serie: più aderente a strutture fiabesche la prima (1958) mentre le seconda (1963) tratta temi urbani con toni che a volte sfiorano l'assurdo. Nel 1963 esce anche La giornata di uno scrutatore, in cui Calvino narra le vicende di un militante comunista che, scrutatore in manicomio, entra in contatto con l'irrazionale ed entra in crisi.


Il periodo combinatorio


Intorno agli anni Sessanta Calvino aderisce ad un nuovo modo di fare letteratura, intesa ora come artificio e come gioco combinatorio. Per lo scrittore ligure è necessario rendere visibile ai lettori la struttura stessa della narrazione, per accrescere il loro grado di consapevolezza. In questa nuova fase produttiva Calvino si avvicina ad un tipo di scrittura che potrebbe essere definita combinatoria perché il meccanismo stesso che permette di scrivere assume un ruolo centrale all'interno della produzione; Calvino infatti è convinto che ormai l'universo linguistico abbia soppiantato la realtà e concepisce il romanzo come un meccanismo che gioca artificialmente con le possibili combinazioni delle parole: anche se questo aspetto può essere considerato il più vicino alla Neoavanguardia, egli se ne distanzia per uno stile ed un linguaggio estremamente comprensibili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le Città invisibili


Questo gioco combinatorio è centrale anche nel successivo romanzo dello scrittore, Le città invisibili (1972), sorta di riscrittura del Milione di Marco Polo in cui è lo stesso mercante veneziano a descrivere a Kublai Khan le città del suo impero. Queste città però non esistono tranne che nell'immaginazione di Marco Polo, vivono solo all'interno delle sue parole. La narrazione quindi per Calvino può creare dei mondi ma non può distruggere l'inferno dei viventi che sta intorno a noi, per combattere il quale, come suggerito nella conclusione del romanzo, non si può far altro se non valorizzare quello che inferno non è.
Ne Le città invisibili l'esibizione dei meccanismi combinatori del racconto diventa ancora più esplicita che nel Castello dei destini incrociati grazie anche alla struttura stessa del romanzo, segmentata in testi brevi che si susseguono dentro una cornice. Le città invisibili infatti è composto da nove capitoli, ognuno all'interno di una cornice in corsivo nella quale avviene il dialogo tra l'imperatore dei Tartari, Kublai Khan, e Marco Polo. All'interno dei capitoli vengono narrate le descrizioni di cinquantacinque città, secondo nuclei tematici. Questa complessa costruzione architettonica è indubbiamente finalizzata alla riflessione da parte del lettore sulle modalità compositive dell'opera: in questo senso Le città invisibili è un romanzo fortemente metatestuale, poiché induce a produrre riflessioni su se stesso e sul funzionamento della narrativa in generale.
E’ lo stesso Calvino, ad una conferenza tenuta alla «Columbia University di New York», nel marzo del 1983, a fornirci la genesi de Le città invisibili, romanzo che oscilla fra il racconto filosofico e quello fantastico-allegorico. In origine erano ricordi di viaggi, in gran parte memorie di città visitate, annotazioni spesso poetiche di impressioni ricevute in un dato momento e in un certo luogo, a seconda degli stati d’animo dello scrittore. Ecco, dunque, materializzarsi su carta evocazioni di città tristi e di città contente, città dal cielo stellato e città piene di spazzatura, insomma spazi, sensazioni, genti diverse e loro passioni, fissate solo su cartelle, come un diario a fogli liberi. Per comprendere la complessa natura di quest’opera occorre ricordare che essa è stata scritta da Calvino durante la prima parte (1964 - 1970) del suo lungo periodo parigino, e pubblicata nel 1972. In quegli anni egli risentì delle turbolenze del clima culturale francese, in particolare di quegli scrittori sperimentali che diedero poi vita allo “strutturalismo”, corrente letteraria che tendeva a ridurre la complessità del mondo e dei suoi eventi fisici in figure ed emblemi, con la conseguenza che la scrittura si sganciava da ogni rapporto con la realtà. Ne Le città invisibili non c’è infatti traccia di realtà, tutto è mentale, perfino lo spazio ed il tempo sono rarefatti, astratti. Ma il lettore non viene mai abbandonato: i titoli dei percorsi tematici del libro (Le città e la memoria, Le città e il desiderio, Le città e i segni, ecc.) e le singole, brevi narrazioni lo guidano nel suo cammino di lettura come un faro nella notte e lo portano per mano verso riflessioni ed interrogativi sulla valenza simbolica di ogni singolo scritto che certo non è prerogativa comune alla narrativa tradizionale. Come non sono comuni quest’opera ed il suo autore, eccezionale romanzo atipico d’un genio letterario contemporaneo.
Con "Le città invisibili" Calvino ha scritto il suo libro più meditato e sfaccettato. Un libro che propone più domande che risposte, che procede discutendo se stesso e interrogandosi, che si lascia percorrere in più direzioni, che si costruisce insomma come una forma compiuta che ogni lettore può scomporre e ricomporre seguendo il filo delle sue ragioni e dei suoi umori. "Le città invisibili" è un resoconto di viaggi attraverso città che non trovano posto in nessun atlante. E ogni città si chiama ognuna con un nome di donna. A leggere il libro gli aromi che si distinguono sono quelli d'un oriente favoloso, quasi da "Mille e una notte" che poi si mescolano con una suggestione senza pari con le megalopoli d'oggi.Da un capitolo all'altro, da un poemetto in prosa o apologo, è come se Calvino tracciasse una rotta, o meglio rintracciasse il senso d'un percorso, d'un viaggio. Forse dell'unico viaggio ancora possibile: quello che si svolge all'interno del rapporto tra i luoghi e i loro abitanti, dentro i desideri e le angosce che ci portano a vivere le città. L’opera Le città invisibili di Calvino è tuttora attuale tanto che il suo Titolo è stato dato ad una mostra svoltasi alla Triennale di Milano nel Marzo 2003 in cui alcuni architetti hanno provato a visualizzare alcune delle città “ invisibili” descritte da Marcopolo a Kubla Khan mettendo in luce la straordinaria capacità di Calvino di precorrere alcune trasformazioni urbanistiche avvenute durante la Seconda metà del Novecento anticipando alcune caratteristiche delle Metropoli contemporanee.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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