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Il ritmo e la routine della vita
sono ormai scanditi da quelli della fabbrica; la società ormai
si è organizzata in base agli orari e alle esigenze degli operai.
Un esempio di come è cambiata la vita di normali cittadini ci è
descritta da Italo Calvino (1912-1985) nel racconto del 1958 intitolato
“L’avventura di due sposi”.
I protagonisti sono Arturo Massolari e la moglie Elide, una coppia di
giovani sposi, entrambi operai nelle fabbriche. Il disagio che devono
sopportare è il non potersi vedere se non di sfuggita, a causa
dell’incompatibilità dei loro orari di lavoro: mentre Arturo
fa il turno di notte, Elide lavora di giorno. I due sposi sono destinati
a vedersi solo durante due brevi momenti: al mattino quando Arturo, rientrando
dal lavoro, prepara il caffè alla moglie, la quale sta ormai per
svegliarsi e iniziare la sua giornata. La coppia, lontana tutto il giorno,
ha la possibilità di incontrarsi solo la sera: Elide rincasa sfinita,
mentre il marito cerca di aiutarla nelle faccende domestiche, ma in fretta,
perché la sirena del turno di notte sta per suonare.
La storia è quindi concentrata in due unici momenti della giornata,
in cui i protagonisti hanno la possibilità di scambiarsi pensieri,
impressioni, tenerezze e, nonostante siano destinati a restare separati,
trovano comunque la forza di sostenersi a vicenda, confidando in un futuro
migliore.
La vicenda raccontata da Calvino non è sicuramente un esempio isolato
in quegli anni in cui molte famiglie erano costrette ad adeguarsi a ritmi
di lavoro frenetici per guadagnarsi il denaro necessario a vivere dignitosamente.
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La vita di Italo Calvino
Italo Calvino nasce, il 15 ottobre 1923, a Santiago de Las Vegas,
un villaggio vicino all'Avana (Cuba), dove il padre dirige una stazione
sperimentale di agricoltura e una scuola d'agraria mentre la madre,
Eva Mameli, nativa della Sardegna, è biologa. Nel 1925 la famiglia
ritorna in Italia, stabilendosi a San Remo. Qui Calvino vive la sua
infanzia che egli ricorda spensierata nel clima amorevole di in una
famiglia dedita alle attività scientifiche ed alla ricerca.
Compiuti gli studi liceali, Italo Calvino viene avviato dai genitori
agli studi di Agraria, che non porta a compimento. Per quanto, infatti,
tenti di seguire la tradizione scientifica familiare, ha già
«la testa alla letteratura». Inoltre, a interrompere gli
studi si intromette la guerra.. Non esalta l’idea comunista
sotto il profilo culturale e filosofico. Matura, ciononostante, l’esigenza
di organizzare forme politiche e strutture sociali a difesa dei diritti,
della dignità umana e della libertà. Infatti dopo la
morte di un giovane combattente, chiede ad un amico di presentarlo
al PCI, in seguito insieme al fratello si arruola e combatte per venti
mesi uno dei più aspri scontri tra partigiani e nazifascisti;
è opinione della critica più accreditata che la sua
scelta di aderire al partito comunista non derivò da ideologie
personali, ma dal fatto che in quel periodo era la forza più
attiva ed organizzata. Nel frattempo i genitori sono sequestrati dai
tedeschi. Finita la guerra e liberati i genitori, nel 1946 comincia
a gravitare attorno alla casa editrice Einaudi, e intensifica sempre
più la sua attività culturale e il suo impegno nel dibattito
politico-intellettuale, collaborando a numerose riviste. Su esortazione
di Pavese e del critico Giansiro Ferrata si dedica alla stesura di
un romanzo che conclude negli ultimi giorni di dicembre, sarà
il suo primo libro, "Il Sentiero dei Nidi di Ragno" (una
ricognizione appunto del periodo bellico e del mondo partigiano. Inoltre
si impone nel panorama letterario italiano, come il più originale
tra i giovani scrittori, in seguito alla pubblicazione della raccolta
dei Racconti (1958), e soprattutto del volume I nostri antenati (1960),
che comprende la trilogia di romanzi fantastici e allegorici sull'uomo
contemporaneo: Il visconte dimezzato (1952), La cultura del Settecento,
il razionalismo e l´illuminismo cosmopolita, costituiscono un
altro ambito di grande interesse per Calvino. Da questo sottofondo
ideologico e culturale nasce uno dei suoi romanzi più impegnativi:
"Il barone rampante" (1957). In questi anni pubblica anche
l'importante saggio Il midollo del leone (1955), e raccoglie e traduce
Le fiabe Italiane che pubblica nel 1956, anno in cui i fatti di Ungheria
provocano il suo distacco dal PCI e lo conducono progressivamente
a rinunciare a un diretto impegno politico. La sua creatività
è invece sempre feconda ed inarrestabile, tanto che non si
contano le sue collaborazioni su riviste, i suoi scritti e racconti
(vince in quegli anni anche il Premio Bagutta), nonchè la stesura
di alcune canzoni o libretti per opere musicali d'avanguardia come
"Allez-hop" dell'amico e sodale Luciano Berio. Insomma,
un'attività culturale e artistica a tutto campo. Tra il 1959
e il 1967 dirige, insieme a Vittorini, l'importante rivista culturale
letteraria «Il Menabò», in cui pubblica interventi
caratterizzati da un impegno di tipo etico-conoscitivo, quali Il mare
dell'oggettività (1959) e La sfida del labirinto (1962). Nel
1963, anno della Neoavanguardia, pubblica, oltre a Marcovaldo ovvero
Le stagioni in città, il racconto costruito ancora su schemi
di tipo tradizionale La giornata di uno scrutatore, con cui si chiude
il ciclo apertosi all'incirca un decennio prima. Nasce in quegli anni
“il gruppo ‘63”, corrente letteraria “neoavanguardia”,
che Calvino segue con intereresse pur senza condividerne l’impostazione
di fondo. Pubblica i racconti “la giornata di uno scrutatore
“ e “Speculazione edilizia”. Negli anni successivi
sono sempre più frequenti i viaggi e i soggiorni all´estero.
A fine ‘64 vanno in stampa le prime cosmicomiche “La distanza
della Luna, Sul far del giorno, Un segno nello spazio, Tutto in punto”.
Poco dopo pubblica “Il barone rampante” ed il dittico
“la nuvola di smog , la Formica argentina”. Il 12 febbraio
del 1966 muore l’amico Elio Vittorini, al quale dedica il saggio
“Vittorini: progettazione e letteratura”. Calvino traccia
nel saggio il pensiero d’un intellettuale aperto e fiducioso,
in dissonanza col pessimismo letterario di quegli anni, della decadenza
e della crisi. All’indomani della morte di Vittorini, Calvino
inaugura un periodo di meditazione, necessario forse ad elaborare
il proprio vissuto, distante dal frastuono delle città e della
vita pubblica. Nel 1967 si trasferisce a Parigi assieme alla famiglia.
Segue il dibattito culturale francese ma conduce una vita pressoché
in disparte, pur frequentando alcuni intellettuali parigini come Gorges
Perec, François Le Lionnais, Jaques Roubaud, Paul Fournel,
Raymond Queneau. Di quest’ultimo traduce “i fiori blu”,
da cui la letteratura del maturo Calvino trarrà gli aspetti
più umoristici ed i riferimenti cosmologici. Approfondisce
la sua passione per le materie scientifiche e per il gioco combinatorio.
Tra il ’69 ed il ’73 lavora ad alcuni progetti letterari
e pubblica racconti e saggi su diverse riviste. Escono il racconto
“I tarocchi” ed i saggi “Osservare e descrivere”
e “problema da risolvere”, pubblicati nella nuova edizione
testo scolastico “La lettura”. Nel 1971 scrive “Gli
amori difficili” per la collana “Centopagine” della
Einaudi. Nel 1972 vince il Premio Feltrinelli conferito dalla Accademia
nazionale dei Lincei , pubblica “Le città invisibili”
che sarà finalista al XXIII Premio Pozzale 1974 per la letteratura.
In quell’anno inizia anche una collaborazione con il “Corriere
della sera” che durerà fino al 1979, dove inaugura la
serie di racconti del signor Palomar. Pubblica due lavori autobiografici,
il primo, “Ricordo di una battaglia”, rievoca la dura
ed umanamente ricca esperienza da partigiano. Chiude quasi completamente
il suoi interventi di carattere politico e sociale, con l’amaro
articolo “L’apologo sull’onestà nel paese
dei corrotti”, pubblicato l’anno successivo sul quotidiano
diretto da Eugenio Scalfari. Gli anni ’80 vedono Calvino, ritornato
a Roma con la famiglia, prevalentemente alla ricerca lungo quel territorio
che è il punto di confine tra letteratura e scienze, sempre
ispirato all’amico francese Queneau. A causa della seria crisi
in cui versa l’Einaudi, nel 1984 è costretto a pubblicare
presso Garzanti “Collezioni di sabbia” e “Cosmicomiche
vecchie e nuove”. L’anno successivo, proprio mentre lavora
ad una serie di conferenze (“Lezioni americane” pubblicate
postume) che dovrà tenere presso l’università
di Harvard, Italo Calvino è colto da un ictus. Muore il 19
novembre nell’ospedale Santa Maria alla Scala di Siena.
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Impegno sociale e documentazione
della realtà.
Calvino fa parte di quegli scrittori che vengono inquadrati nella sigla
del Neorealismo. Dopo la fine della guerra la consapevolezza di aver
preso parte ad eventi della grande storia e la speranza nelle sorti
di un mondo che si avviava alla ricostruzione materiale e morale si
traduce in letteratura in una ripresa del realismo (neo-realismo), che
consisteva soprattutto nel dare voce letteraria a tutte le storie che
la gente aveva da raccontare e documentare quello che era successo e
come ne erano usciti soprattutto quelli che appartenevano alle classi
più povere e più esposte.
Desiderio di impegno sociale e di denuncia e ricerca di una nuova arte
sono in questo che più che un movimento o una scuola fu una tendenza,
come testimonia lo stesso Calvino. Il Neorealismo si espresse soprattutto
nella narrativa, nel romanzo in particolare, e trovò espressione
anche nel cinema.
I caratteri del neorealismo
Il neorealismo non ebbe un manifesto programmatico, non fu
né una scuola né un movimento organizzato, ma piuttosto
un clima culturale, un orientamento basato, più che su una estetica,
su una istanza etico-civile, su un forte impegno a trasformare la società
e i suoi valori. La sua origine è strettamente connessa alle
vicende storiche: la crisi del fascismo, la guerra e le sue tragiche
conseguenze, la Resistenza, le Miserie del Dopoguerra, le lotte per
costruire una società più giusta. Il neorealismo inoltre
elabora e diffonde una nuova concezione del ruolo dell’intellettuale
nella società, “all’impegno” cioè all’elaborazione
di una cultura in grado di proporre soluzioni ai problemi dell’uomo,
della società, delle classi subalterne. L’attenzione degli
scrittori (molti dei quali aderiscono al Partito Comunista tra cui Italo
Calvino) si rivolse ai problemi più rilevanti dell’epoca:
la miseria delle plebi rurali, la guerra e le sue conseguenze, le persecuzioni
politiche e razziali, la Resistenza e la nuova conoscenza civile. Con
le figure di protagonisti operai, contadini, pastori, ricompare nella
letteratura italiana il proletariato, quasi del tutto dimenticato dopo
le esperienze veriste di fine Ottocento. Il neorealismo si distingue
nettamente dal naturalismo e dal verismo ottocenteschi. La produzione
letteraria del neorealismo si orienta innanzitutto verso il documento,
la cronaca, la testimonianza, ed è sostenuta da un forte bisogno
di comunicare, dall’esigenza di raccontare esperienze concrete,
fatti reali, in forme semplice e dirette, senza intellettualismi e artificiosità.
La
poetica
L'esperienza del neorealismo
In questa prima fase della sua produzione, collocabile all'interno del
movimento neorealista, Calvino scrive il suo romanzo breve Il sentiero
dei nidi di ragno e numerosi racconti raccolti nel volume Ultimo viene
il corvo. Con queste opere Calvino mostra una lucida capacità
rappresentativa della realtà che coniuga impegno politico e letteratura
in modo spontaneo e leggero. In queste storie lo scrittore ligure per
raccontare le storie della sua esperienza partigiana adotta un punto
di vista oggettivo, tramite il quale i suoi ricordi diventano la misura
della comprensione del mondo. In Il sentiero dei nidi di ragno l'intreccio
è narrato dal punto di vista di Pin, un ragazzo, il protagonista
del romanzo. Questa ricerca di oggettività, comunque, non scade
mai in pura cronaca: è sempre presente la dimiensione mitico-fiabesca
che permette a Calvino di far intravedere la realtà sotto le
spoglie del sogno.
Il periodo fantastico
Calvino da sempre era stato attirato dalla letteratura popolare, con
particolare attenzione al mondo delle fiabe. Con Il visconte dimezzato,
percorre sempre di più la strada dell'invenzione fantastica:
l'impianto è ormai totalmente abbandonato al fiabesco e la narrazione
procede secondo due livelli di lettura: quello di immediata fruizione
e quello allegorico- simbolica, in cui sono presenti numerosi spunti
di riflessione (contrasto tra realtà e illusione, tra ideologia
ed etica, etc.). In conclusione il romanzo invita i lettori all'equilibrio,
in quanto non è possibile possedere la verità assoluta.
Anche le altre due opere della trilogia I nostri antenati mostrano caratteristiche
simili. Il protagonista de Il barone rampante è un alter ego
di Calvino che ormai ha abbandonato la concezione della letteratura
come messaggio politico. Il Cavaliere inesistente invece è velato
da un cupo pessimismo, dietro al quale la realtà appare irrazionale
e minacciosa. Accanto alla produzione allegorico -simbolica, Calvino
continua comunque un tipo narrazione che descrive la realtà quotidiana.
Riprende ad esaminare il ruolo dell'intellettuale nella società,
constatando la sua assoluta impotenza di fronte alle cose del mondo.
Sempre a questa fase appartengono i racconti di Marcovaldo, in due serie:
più aderente a strutture fiabesche la prima (1958) mentre le
seconda (1963) tratta temi urbani con toni che a volte sfiorano l'assurdo.
Nel 1963 esce anche La giornata di uno scrutatore, in cui Calvino narra
le vicende di un militante comunista che, scrutatore in manicomio, entra
in contatto con l'irrazionale ed entra in crisi.
Il periodo combinatorio
Intorno agli anni Sessanta Calvino aderisce ad un nuovo modo di fare
letteratura, intesa ora come artificio e come gioco combinatorio. Per
lo scrittore ligure è necessario rendere visibile ai lettori
la struttura stessa della narrazione, per accrescere il loro grado di
consapevolezza. In questa nuova fase produttiva Calvino si avvicina
ad un tipo di scrittura che potrebbe essere definita combinatoria perché
il meccanismo stesso che permette di scrivere assume un ruolo centrale
all'interno della produzione; Calvino infatti è convinto che
ormai l'universo linguistico abbia soppiantato la realtà e concepisce
il romanzo come un meccanismo che gioca artificialmente con le possibili
combinazioni delle parole: anche se questo aspetto può essere
considerato il più vicino alla Neoavanguardia, egli se ne distanzia
per uno stile ed un linguaggio estremamente comprensibili.
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Le Città invisibili
Questo gioco combinatorio è centrale anche nel successivo romanzo
dello scrittore, Le città invisibili (1972), sorta di riscrittura
del Milione di Marco Polo in cui è lo stesso mercante veneziano
a descrivere a Kublai Khan le città del suo impero. Queste città
però non esistono tranne che nell'immaginazione di Marco Polo,
vivono solo all'interno delle sue parole. La narrazione quindi per Calvino
può creare dei mondi ma non può distruggere l'inferno
dei viventi che sta intorno a noi, per combattere il quale, come suggerito
nella conclusione del romanzo, non si può far altro se non valorizzare
quello che inferno non è.
Ne Le città invisibili l'esibizione dei meccanismi combinatori
del racconto diventa ancora più esplicita che nel Castello dei
destini incrociati grazie anche alla struttura stessa del romanzo, segmentata
in testi brevi che si susseguono dentro una cornice. Le città
invisibili infatti è composto da nove capitoli, ognuno all'interno
di una cornice in corsivo nella quale avviene il dialogo tra l'imperatore
dei Tartari, Kublai Khan, e Marco Polo. All'interno dei capitoli vengono
narrate le descrizioni di cinquantacinque città, secondo nuclei
tematici. Questa complessa costruzione architettonica è indubbiamente
finalizzata alla riflessione da parte del lettore sulle modalità
compositive dell'opera: in questo senso Le città invisibili è
un romanzo fortemente metatestuale, poiché induce a produrre
riflessioni su se stesso e sul funzionamento della narrativa in generale.
E’ lo stesso Calvino, ad una conferenza tenuta alla «Columbia
University di New York», nel marzo del 1983, a fornirci la genesi
de Le città invisibili, romanzo che oscilla fra il racconto filosofico
e quello fantastico-allegorico. In origine erano ricordi di viaggi,
in gran parte memorie di città visitate, annotazioni spesso poetiche
di impressioni ricevute in un dato momento e in un certo luogo, a seconda
degli stati d’animo dello scrittore. Ecco, dunque, materializzarsi
su carta evocazioni di città tristi e di città contente,
città dal cielo stellato e città piene di spazzatura,
insomma spazi, sensazioni, genti diverse e loro passioni, fissate solo
su cartelle, come un diario a fogli liberi. Per comprendere la complessa
natura di quest’opera occorre ricordare che essa è stata
scritta da Calvino durante la prima parte (1964 - 1970) del suo lungo
periodo parigino, e pubblicata nel 1972. In quegli anni egli risentì
delle turbolenze del clima culturale francese, in particolare di quegli
scrittori sperimentali che diedero poi vita allo “strutturalismo”,
corrente letteraria che tendeva a ridurre la complessità del
mondo e dei suoi eventi fisici in figure ed emblemi, con la conseguenza
che la scrittura si sganciava da ogni rapporto con la realtà.
Ne Le città invisibili non c’è infatti traccia di
realtà, tutto è mentale, perfino lo spazio ed il tempo
sono rarefatti, astratti. Ma il lettore non viene mai abbandonato: i
titoli dei percorsi tematici del libro (Le città e la memoria,
Le città e il desiderio, Le città e i segni, ecc.) e le
singole, brevi narrazioni lo guidano nel suo cammino di lettura come
un faro nella notte e lo portano per mano verso riflessioni ed interrogativi
sulla valenza simbolica di ogni singolo scritto che certo non è
prerogativa comune alla narrativa tradizionale. Come non sono comuni
quest’opera ed il suo autore, eccezionale romanzo atipico d’un
genio letterario contemporaneo.
Con "Le città invisibili" Calvino
ha scritto il suo libro più meditato e sfaccettato. Un libro
che propone più domande che risposte, che procede discutendo
se stesso e interrogandosi, che si lascia percorrere in più direzioni,
che si costruisce insomma come una forma compiuta che ogni lettore può
scomporre e ricomporre seguendo il filo delle sue ragioni e dei suoi
umori. "Le città invisibili" è un resoconto
di viaggi attraverso città che non trovano posto in nessun atlante.
E ogni città si chiama ognuna con un nome di donna. A leggere
il libro gli aromi che si distinguono sono quelli d'un oriente favoloso,
quasi da "Mille e una notte" che poi si mescolano con una
suggestione senza pari con le megalopoli d'oggi.Da un capitolo all'altro,
da un poemetto in prosa o apologo, è come se Calvino tracciasse
una rotta, o meglio rintracciasse il senso d'un percorso, d'un viaggio.
Forse dell'unico viaggio ancora possibile: quello che si svolge all'interno
del rapporto tra i luoghi e i loro abitanti, dentro i desideri e le
angosce che ci portano a vivere le città. L’opera
Le città invisibili di Calvino è tuttora attuale tanto
che il suo Titolo è stato dato ad una mostra svoltasi alla Triennale
di Milano nel Marzo 2003 in cui alcuni architetti hanno provato a visualizzare
alcune delle città “ invisibili” descritte da Marcopolo
a Kubla Khan mettendo in luce la straordinaria capacità di Calvino
di precorrere alcune trasformazioni urbanistiche avvenute durante la
Seconda metà del Novecento anticipando alcune caratteristiche
delle Metropoli contemporanee.
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