Il nazismo  e i campi di concentramento

«Plus jamais ça»

mostra fotografica e documentale

Album Auschwitz - testi

da «Album Auschwitz» a cura di Israel Gutman, Bella Gutterman e Marcello Pezzetti - G. Einaudi Editore - 2008

     7 / 8    

La fotografia come documento storico

di Nina Springer-Aharoni

La macchina fotografica è un apparecchio potente. Quando fissa una frazione di secondo visivo, quel momento rimane per sempre. È per questo che gli storici le attribuiscono grande valore come strumento di indagine. La Seconda guerra mondiale e il periodo della Shoah ci hanno lasciato moltissime immagini. Alcune, come quella del bambino del ghetto di Varsavia con le braccia alzate, sono ormai diventate il simbolo di un'era buia della storia del continente europeo. Abbiamo quasi l'impressione di non poterne più fare a meno, tanto ci sono familiari. Il regime nazionalsocialista tedesco era consapevole della potenza della fotografia, ma anche delle opportunità sia negative sia positive che essa presentava. Per tutto il tempo della loro permanenza al potere, i nazisti sfruttarono appieno questa tecnica e fin dagli inizi delle campagne antiebraiche distribuirono centinaia di migliaia di fotografie con finalità antisemitiche, nel tentativo di plasmare l'opinione pubblica tedesca e di inculcare nella popolazione il germe di un antisemitismo ideologico. Nel periodo di applicazione delle Leggi di Norimberga, con l'arianizzazione delle proprietà ebraiche, l'istituzione dei ghetti, le deportazioni nei campi di concentramento, fino alla «soluzione finale» stessa, la macchina fotografica è sempre stata fedele compagna dei nazisti. Di questo mezzo si sono serviti anche i liberatori. I soldati alleati ne fecero grande uso per documentare ciò che videro al loro ingresso nei campi della morte. Dopo la guerra, le fotografie sono state usate come testimonianze oculari e prove a carico dei criminali nazisti perseguiti nei processi di Norimberga, nel processo contro Eichmann e in molti altri celebrati nel corso degli anni. Una fotografia crea un senso di contatto diretto con la realtà. Anche se questa realtà è trascorsa, la fotografia acquisisce un campione del tempo passato e lo documenta su carta. Il tempo, quando viene fissato in questo modo, lascia un'impressione indelebile nella memoria del singolo e rimane come contributo collettivo per il futuro. Nell'osservare un frammento di tempo visivo, ci soffermiamo sui dettagli, che riportano alla mente pensieri e ricordi. Le fotografie hanno una forza che nulla ­ neanche le immagini filmate - riesce a sminuire. Malgrado la loro forza, però, le fotografie sono anche vulnerabili. Pur essendo il prodotto di un'attività squisitamente tecnica, non sono per forza di cose obiettive e, come tutti i documenti storici, sono influenzate da una prospettiva personale. Il fotografo sceglie il momento e l'angolazione, e utilizza i mezzi tecnici in suo possesso per manipolare l'immagine attraverso luci e ombre, sfocare i particolari o evidenziarli, ingrandire o ridurre. Persino quando il lavoro del fotografo è finito, possono entrare in gioco fattori passibili di alterare la realtà. La disposizione per temi della fotografia, il contesto in cui viene stampata, il testo della didascalia sono tutti fattori che possono condurre a interpretazioni diverse e a una modificazione della verità storica. Per questo gli studiosi devono esaminare i dettagli di una fotografia con lo stesso senso critico che adottano nell'interpretazione di un documento storico. È essenziale appurare chi sono le persone ritratte, chi è il fotografo, la data in cui la foto è stata scattata, i nomi e il maggior numero possibile di particolari.

 

1. La macchina fotografica durante il periodo nazista.

 

Negli anni che precedettero l'ascesa al potere dei nazisti, si registrò un'accelerazione nello sviluppo del fotogiornalismo. I fotografi ottenevano riconoscimenti resi possibili dalla produzione industriale e dalla diffusione della macchina fotografica commerciale anche presso il grande pubblico. La disponibilità dell'apparecchio compatto Leica, che prendeva il posto di quelli statici da studio, apri nuovi orizzonti consentendo di scattare foto spontanee all'aperto da molteplici angolazioni. Le autorità naziste - che utilizzavano la macchina fotografica come mezzo per glorificare il Reich e i suoi capi, oltre che per persuadere la gente, plasmare l'opinione pubblica e diffondere la loro dottrina razziale - erano anche consapevoli che una documentazione fotografica poteva fornire elementi di prova a loro carico. Furono quindi varate leggi che impedivano di scattare foto all'interno dei ghetti, dei campi e di altre zone sensibili. I fotografi professionisti del nazismo lavoravano sotto la costante supervisione del regime. Le unità di propaganda che operavano al fronte, i fotoreporter e i fotografi indipendenti al servizio della stampa estera in Germania erano tutti soggetti a una censura severissima. Vi erano tuttavia altre persone, più difficilmente controllabili, che potevano fotografare liberamente. Molti civili e soldati tedeschi possedevano infatti macchine fotografiche con cui hanno scattato foto che documentano il periodo dalle pagine dei loro album privati. Centinaia di fotografie, alcune anche a colori, raccontano la vita degli ebrei nei ghetti, per esempio a Varsavia. Raccolte di foto e album personali di poliziotti e soldati tedeschi immortalano i «tipi giudaici» sullo sfondo di povertà, fame e sovraffollamento tipico dei ghetti, attestando gli abusi commessi contro gli ebrei, le Aktionen, le deportazioni. In alcuni casi, i soldati tedeschi scattarono addirittura foto degli omicidi commessi dalle ss appartenenti ai cosiddetti «gruppi operativi» (Einsatzgruppen). Il timore che queste prove potessero circolare indusse i comandanti dell'esercito a vietare la fotografia e a emettere ordini di confisca delle immagini relative alle attività di questi gruppi. Anche i fotografi ebrei in Germania documentarono il periodo con le loro apparecchiature. I più famosi, che lavoravano per la stampa tedesca all'epoca della Repubblica di Weimar, furono licenziati dopo l'entrata in vigore delle Leggi di Norimberga. Alcuni andarono a lavorare per la stampa ebraica, che rimase attiva fino alle deportazioni, e con l'aiuto dei loro apparecchi hanno lasciato importanti testimonianze fotografiche sulla comunità ebraica in Germania. Fotografi come Mendel Grossman nel ghetto di Łódź e Zvi Hirsch Kadu­shin (George Kadish) nel ghetto di Kovno utilizzarono la macchina fotografica per raccontare la vita delle comunità israelitiche. Le raccolte delle loro foto si trovano oggi negli archivi e costituiscono una testimonianza e una documentazione storica preziose per le generazioni future.

 

2. L’ «Album Auschwitz»: un documento storico visivo originale.

 

Nel 1980, Lili Jacob donò l'Album Auschwitz allo Yad Vashem. Secondo le ricerche e le prove di laboratorio condotte dal prof. Gerhard Jagschitz dell'Università di Vienna, si tratta dell'album originale composto ad Auschwitz. Al momento, l'album contiene centonovantotto fotografie, alcune delle quali in copia. All'interno della copertina si legge una dedica in un tedesco sgrammaticato, che nulla ha a che fare con l'argomento della raccolta. Il frontespizio mostra due foto di ebrei - ritratti di profilo e di fronte - nel tipico stile propagandistico antisemita. Sotto, si legge una didascalia scritta a mano: Umsiedlung der Juden aus Ungarn (reinsediamento degli ebrei ungheresi). Le immagini sono suddivise per argomento e corredate di didascalie. Si tratta di una raccolta di fotografie - direttamente collegate alla «soluzione finale» - che costituisce un documento unico, in grado di offrire una testimonianza visiva senza precedenti sullo sterminio avvenuto nei campi. La macchina fotografica accompagna gli ebrei ungheresi provenienti dalla Rutenia car­patica dal momento in cui scendono sulla banchina ferroviaria di Auschwitz-Birkenau fino al trasferimento alle camere a gas, passando attraverso la separazione degli uomini dalle donne e i bambini, il processo di selezione, la disinfestazione. La macchina fotografica coglie e trasmette il dramma dei nuovi arrivati, spinti dagli uomini delle ss e da altri prigionieri nella divisa a strisce del campo, insieme al disordine e al tumulto che ne accompagnano l'arrivo in massa sulla rampa. Per la prima volta, abbiamo un'illustrazione visiva del termine Selektion. Nelle ultime immagini, la macchina fotografica si concentra sulla raccolta e la cernita degli effetti personali delle vittime da parte dei prigionieri del distaccamento Kanada. L'atto dello sterminio di massa in quanto tale non è stato fotografato. Ad oggi, sono state ritrovate solo tre immagini originali utili a completare l'Album Auschwitz attraverso la documentazione dell'atto dell'assassinio che gli autori dell'album si sono invece astenuti dal fotografare. La prima mostra una donna nuda mentre viene condotta verso le camere a gas; le altre due ritraggono gli uomini del Sonderkommando, in piedi fra i cadaveri, intenti a spogliarli dei loro gioielli. Queste fotografie si ricollegano alle immagini dell'Album Auschwitz e furono scattate di nascosto, vicino ai crematori del campo, a quanto pare da un membro del Sonderkommando, e fatte poi uscire ad opera del movimento clandestino durante la guerra.

 

3. Chi ha scattato le foto dell' «Album Auschwitz»?

 

La questione fu sollevata durante i processi di Francoforte, celebrati nel 1964. Nell'Ufficio identificazioni del blocco 26 di Auschwitz I lavoravano due uomini: Bernhard Walter, caposervizio, e Ernst Hofmann, fotografo, assistiti da una dozzina di prigionieri. Il loro compito principale era scattare le foto per le schede personali degli internati, a cui andavano allegate le impronte digitali. Di tanto in tanto, i medici delle ss e il comandante del campo, Rudolf Höß, chiedevano loro di scattare altre foto. Si suppone che l'operatore sia stato soprattutto Ernst Hofmann, secondo le indicazioni e con l'aiuto del caposervizio Bernhard Walter. L'alta qualità tecnica delle immagini è innegabile: un lavoro da professionisti. È altresì evidente lo sforzo che sta dietro a ogni inquadratura. Il fotografo ha cercato di cogliere quello che succedeva sulla banchina, oltre a fornire una panoramica del luogo e dell'evento. Ha impiegato obiettivi grandangolari per scattare le foto da lontano e dall'alto, mentre nei primi piani traspare a volte la reazione del soggetto alla presenza del fotografo. Per scattare certe foto, è dovuto salire sulla torretta e sul tetto dei carri merci; è quindi ovvio che poteva muoversi liberamente sia nel campo che sulla banchina ferroviaria. Le foto non sono state scattate in fretta. I fotografi hanno senz'altro lavorato sulla rampa per parecchie ore, in pubblico, e chiaramente sotto gli occhi degli ufficiali del campo. L'album è stato composto in modo professionale, nel tipico stile della fotografia nazista. L'Album Auschwitz contiene alcuni elementi antisemiti, caratteristici delle immagini scattate dai fotografi professionisti del regime. Un giovane disabile, due malati psichici, un vecchio e un'anziana donna sono ritratti in primo piano, secondo il ben noto metodo dei nazisti di rappresentare gli ebrei come elementi degenerati e devianti, dannosi per la società. Ma non bisogna concludere che l'Album Auschwitz sia nato come strumento di propaganda antisemita. L'unica conclusione che si può trarre è quella di trovarci di fronte al lavoro di fotografi di altissima «professionalità nazista». Non a caso, sembra che il regime li istruisse con regolarità.

 

4. La visualità come dimensione aggiuntiva: uno strumento per   identificare e datare l'album.

 

L'Album Auschwitz è un ottimo esempio di come la visualità fotografica possa servire da fonte di riferimento e strumento di ricerca essenziale. In vista dei numerosi trasporti di ebrei ungheresi che sarebbero arrivati a Birkenau, i tedeschi decisero di costruire un nuovo binario, a pochi metri dal crematorio. I lavori terminarono appena qualche giorno prima dell'arrivo dei convogli fotografati nell'album. Viene così documentata l'entrata in funzione del nuovo binario. È chiaro, quindi, che le foto furono scattate dopo la sua costruzione, vale a dire nella seconda metà di maggio del 1944. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, il trasporto arrivò ad Auschwitz alla vigilia di Shavuoth (Sivan 6), fra il 27 e il 28 maggio 1944. La testimonianza oculare della macchina fotografica aiuta a identificare le persone ritratte nell'album. I sopravvissuti hanno riconosciuto parenti e amici provenienti da Bilke, Tacovo (Tecs), Uzhgorod (Ungvár) e altri villaggi. Questa informazione consente di accertare i luoghi d'origine dei trasporti e le date di arrivo. In un primo momento, Lili si vide in una foto e riconobbe i propri familiari. Altri ebrei di Bilke furono identificati da parenti sopravvissuti. Il Rabbi Bernhard Farkas, nativo di Ungvár, vide l'album negli anni Cinquanta. Riconobbe alcuni conoscenti e affermò con certezza che le persone ritratte in molte foto erano state deportate da Ungvár. Negli anni Ottanta, numerose persone furono identificate da sopravvissuti della città di Tacovo. La macchina fotografica ha contribuito anche all'identificazione del nazista Stefan Baretzki, ritratto in piedi sul binario. Bisogna dire grazie anche a quella foto se lo si è potuto processare a Francoforte. La scelta delle fotografie dell'Album Auschwitz e le didascalie a corredo sono tendenziose. Il testo e i termini utilizzati ci forniscono un racconto parziale dell'arrivo degli ebrei ad Auschwitz e di ciò che ne è seguito. In questo caso, l'obiettivo di chi compose l'album era presentare la versione nazista della storia del «reinsediamento degli ebrei ungheresi». Guardare l'album, quindi, è come leggere un capitolo di un libro di storia nazista, scritto secondo le loro regole. Le fotografie inserite nell'album e le relative didascalie ci offrono un ottimo esempio di come si possa manipolare una fotografia che è un documento storico. Qui, le immagini sono usate secondo i classici standard di camuffamento dei nazisti e non fanno alcun accenno alla «soluzione finale». Le fotografie dell'album sono l'unica prova dell'arrivo dei deportati al campo di sterminio di Auschwitz. La maggior parte delle persone che vi sono ritratte non figurano nei documenti scritti, nei numeri, né negli elenchi dei prigionieri identificati. Negli archivi del campo non resta alcuna traccia delle donne, dei bambini e degli anziani che furono giudicati «inabili al lavoro». In questo caso, l'album è l'unica dimostrazione del loro arrivo ad Auschwitz. Dal punto di vista dei nazisti, l’Album Auschwitz è un riassunto del capitolo che nel loro lessico aberrante è noto come «reinsediamento degli ebrei ungheresi». Per la storia ebraica, è una prova che documenta lo sterminio di quasi mezzo milione di ebrei ungheresi.

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