Terza parte: Roma.

 

Tornado prese a guidare come il primo giorno e prima di Bolsena ci fermammo per permettermi di regalare all’omonimo lago la mia colazione mattutina. Poco dopo rischiammo di finire tutti nel lago, ma Tornado rimise il mezzo in carreggiata con uno sghignazzo da invasato e proseguimmo il viaggio.

Dopo Viterbo incappammo in un posto di blocco dell’esercito.

Una colonna di camion stracarichi di camicie nere sostava lungo il ciglio della strada. La sorpassammo sino ad arrivare alla testa del convoglio dove una Alfa Torpedo nera era attorniata da alcuni Camerati che parlottavano tra loro.

Accostammo a nostra volta e scendemmo dall’auto per sentire che cosa stesse succedendo. Tornado si avvicinò ad un Camerata che pareva essere il capo della colonna e si salutarono romanamente.

“Ragazzi!” fece rivolto a noi “Vi presento Fascioscatenato, Camerata della primissima ora e combattente irriducibile”

L’amico di Tornado ci strinse la mano dopo che ci fummo scambiati il saluto romano.

“Allora?”Chiese il colonnello a Fascioscatenato “Che succede?”

“Tornà..non ci sto capendo più un cazzo! So che Bianchi, Grandi e De Vecchi sono partiti ieri per Perugia. Il Generale Pugliese ha inviato un telegramma ai suoi sottoposti Comandanti di Brigata e dei Nuclei Speciali esortandoli ha mantenere la calma ed ha ricordare il loro giuramento di fedeltà al Re ed alle istituzioni.Se qualcuno sperava in un’ aperta presa di posizione nei nostri confronti se l’è beccata nel culo.Sua Maestà è arrivato a Roma e subito quel buffone di Facta lo è andato a sleccazzare a Villa Ada. Unici fatti positivi sono che i nostri Camerati si sono impadroniti della Prefettura di Cremona ed anche a Firenze hanno occupato un bel po’ di edifici pubblici. Stanotte, a mezzanotte e mezza, ci siamo presi anche la Prefettura di Perugia, proprio mentre il Governo affidava ai militari tutte le funzioni di ordine pubblico.Stamattina alle otto le linee ferroviarie presso Orte e Civitavecchia sono state interrotte dal Comando di Divisione e quel cornuto di Facta ha fatto affiggere dei manifesti in cui proclama la città di Roma in stato d’assedio. Sicché i Camerati che sono andati a formare le famose tre colonne a Santa Marinella, a Monterotondo ed a Tivoli sono guardati a vista dai Reparti Speciali. Ho sentito dire che abbiamo una forza di 50-70 mila camicie nere pronte a convergere su Roma ad un solo cenno di Mussolini. Sicuramente Perrone, dalle parti di Civitavecchia ha il contingente più numeroso, mentre Igliori e Bottai hanno un po’ meno Camerati. Tieni conto che la situazione si sta facendo rovente, infatti i toscani si son portati pure delle mitraglie. 

“Sti cazzi !”

“Esatto, tuttavia pare che il Re abbia rifiutato di sottoscrivere il decreto. Così Facta se lo piglia in culo e sarà costretto a dare le dimissioni. Ora però ci vorrebbe che Mussolini lasciasse Milano e andasse a Roma.Dovrebbe essere lì per stimolare Sua Maestà ad affidargli l’incarico di formare il nuovo Governo…”

“E allora cosa aspetta?”

“Ma che ti devo dire? Prima voleva parlare con Federzoni e adesso attende che il Generale Cittadini gli comunichi personalmente che il Re ha “ufficiosamente”  deciso di affidargli l’incarico.”

“Vabbhè, sai che figura che se arriva apposta da Milano per ottenere l’incarico ed invece niente.”

“Senti Tornado, tutta sta roba è pura politica. Io non faccio questo se tu non fai quello…ed intanto, come vedi tu stesso, la davanti ci sono i bersaglieri con le mitraglie.In più non sanno nemmeno loro che cazzo fare.Prima gli avevano ordinato di fermare ed arrestare tutti i fascisti che avessero cercato di raggiungere Roma, in quanto questa si trova in stato d’assedio, poi contrordine…il Re non firma il decreto del coglionazzo maledetto ed i bersaglieri, alla fine, fanno parte del Regio Esercito. Regio…capisci Tornado?”

Tornado strinse nuovamente la mano a Fascioscatenato e lo salutò frettolosamente.

“Va bene, ho capito. Caro Camerata ti saluto caramente e me ne vado a Roma!”

Tornammo alla spider e ci dirigemmo verso il posto di blocco.

Un ufficiale venne verso di noi mentre, dal lato della strada, un mitragliere ci teneva sotto tiro.Alcuni soldati stavano al di la di un cavalletto avvolto nel filo spinato imbracciando i loro fucili.

“Capitano Toschi!!” sbottò Tornado saltando giù dalla macchina “Terza assaltatori,Cividale del Friuli, 1916.”

Il colonnello che ci stava raggiungendo si bloccò all’istante, e dopo un attimo di stupore si gettò a braccia aperte su Tornado.

“Capitano Tornado!!Quanto tempo è passato!”

I due si strinsero in un caloroso abbraccio e presero a contarsela su mentre il mitragliere spostava l’arma puntandola a terra e perdendo interesse nei nostri confronti.

“E dove stai andando di bello adesso?” Chiese infine Toschi al nostro colonnello. “Vai a Roma con i fascisti?”

“Si Francesco, dobbiamo farlo per l’onore dell’Italia e soprattutto per gli eroi della guerra che sono stati vituperati e derisi dalla marmaglia rossa.Che ordini hai in proposito? Mi lascerai passare o mi farai sparare addosso dai mitraglieri quando, e lo sai che lo farò, forzerò il tuo posto di blocco?”

Per tutta risposta l’ufficiale in grigioverde scattò sull’attenti, ci salutò militarmente ed ordinò ai suoi di lasciarci passare.

“Per Daca Veneto!” gridò mentre gli passavamo davanti rombando “Per la Bainsizza!”

Tornado gli fece il saluto romano ed accelerò velocemente sulla Cassia, verso la capitale.

Il viaggio non poté più proseguire spedito come prima dell’incontro con Fascioscatenato. Lungo la strada per Roma incrociammo parecchi convogli militari che andavano a formare nuovi posti di blocco o che li abbandonavano per rientrare nelle caserme. Era evidente che il discorso del Generale Pugliese non aveva fugato l’evidente simpatia che i militari avevano per noi.Incontrammo anche delle camicie nere isolate che, non sapendo dove andare, si dirigevano direttamente verso la capitale.

Raggiungemmo Roma verso le due del pomeriggio di quel fausto 28 ottobre 1922 e, sotto una pioggerella fredda ed insistente, raggiungemmo la sezione del Partito Nazionale Fascista.

C’era un fermento incredibile e, seguendo Tornado, ci addentrammo fra una folla di camicie nere sino ad individuare l’ufficio di un altro dei suoi numerosi amici. Il colonnello bussò due volte e poi, senza attendere risposta, spalancò la porta ed entrò. L’uomo che si trovava al di là della scrivania alzò la testa per vedere chi lo veniva ad interrompere mentre stava esaminando dei documenti che un suo aiutante gli stava porgendo.

“Tornado!” esclamò il tizio alzandosi in piedi e scattando nel saluto romano.

Contraccambiammo tutti il saluto e Tornado gli andò incontro per stringergli la mano. Ci avvicinammo pure Fulmine ed io e l’uomo ci venne presentato come Antonio Romanagens, uno dei massimi dirigenti romani del partito.

“Tornado.” Fece Antonio tornando serio e porgendogli alcuni foglietti “Devo emanare un comunicato ufficiale per i Camerati romani….quale ti sembra il più adatto?”

Il colonnello si sedette da questa parte della scrivania, si accese un sigaro e distese le gambe poggiando i piedi sul bordo del tavolo. Osservò attentamente la mezza dozzina di fogli e, dopo averli letti e riletti, ne stracciò cinque facendone coriandoli e porse quello rimasto ad Antonio che lo osservava stupefatto.

“Questo è quello giusto, Antonio. Fallo subito diramare ai Camerati.”

Il comunicato diceva testualmente:

< Il movimento fascista, iniziatosi nella notte, continua Dacaso. Firenze, Siena, Perugia e Orte sono in mano dei fascisti. Tutti i fascisti romani dal mezzogiorno di oggi sono mobilitati e debbono indossare la camicia nera.

Il Comando Militare > (Come da testo originale, nda)

Mentre Antonio firmava il comunicato squillò il telefono. Egli rispose e dopo aver riappeso ci comunicò le novità.

“Il Re ha ricevuto Salandra per conferirgli l’incarico di formare il nuovo governo.”

“Come Salandra?” esclamò Tornado saltando in piedi come una molla “E Facta che fine ha fatto? E Mussolini?”

“Come, non lo sai? Facta si è dimesso oggi alle undici.Non ha retto alla figuraccia fatta con la storia dello stato d’assedio. A quel punto era chiaro che il Re desiderava una svolta destrorsa ai vertici del potere.”

“ E Salandra?”

“Ah, caro mio, ne so quanto te.Comunque se ti vuoi dare una rinfrescata queste sono le chiavi di casa mia.Andate lì, datevi una bella ripulita e fatevi rifocillare. Tanto fino a che l’onorevole Mussolini non viene a Roma state certi che non si farà alcuna marcia.Se parte stasera, lo spettacolo andrà in scena domani.Io vi raggiungo per cena, sempre che non ci siano novità.In questo caso ti telefonerò.”

Ringraziammo ed uscimmo dalla sezione.

Raggiungemmo la casa di Antonio bagnati fino al midollo.La pioggerellina autunnale si era trasformata in pioggia battente e la spider non aveva la capote. Entrammo nel lussuoso palazzo rinascimentale di proprietà della famiglia di Antonio da innumerevoli generazioni, come ci spiegò Tornado che lo aveva conosciuto all’accademia militare.

Parcheggiammo  sotto un porticato e salimmo la sontuosa scalinata di marmo che portava agli alloggi del nostro Camerata. La servitù , sicuramente preavvertita del nostro arrivo, ci accolse con tutti gli onori facendoci trovare già bell’e pronti tre bagni caldi in altrettante camere degli ospiti.

Feci uno dei bagni più rilassanti e gratificanti della mia vita. Mi cambiai indossando una calda vestaglia di cachemire che trovai poggiata sul letto. Con una sigaretta in bocca e con le ciabatte ai piedi tornai in salotto, dove trovai Fulmine e Tornado nel mio medesimo abbigliamento. Fulmine guardava la pioggia cadere fuori dalla finestra sorseggiando del cognac.Tornado era al telefono. Ascoltava divertito ciò che il suo interlocutore stava dicendo ed ogni tanto lanciava dei risolini curiosi. Raggiunsi Fulmine dopo essermi versato un bicchiere di cognac a mia volta.

“Stai pensando a Kath?” gli domandai. Lui arrossi violentemente.

“Ma va la! Sto pensando ai nostri Camerati delle Colonne accampati in aperta campagna. Probabilmente non avranno ripari ne viveri a sufficienza.”

“Resisteranno. Ricordati che sono quasi tutti reduci di guerra. Non ti ricordi più come eravamo alloggiati al grand hotel Bellapalta sulla Bainsizza?”

Fulmine sorrise e bevve un sorso di cognac. Fuori un lampo accecante percorse le nubi, subito seguito dal rombo del tuono.Ebbi la fugace visione di una granata austriaca che scuoteva il mondo accanto a me nella trincea invasa dal fango, poi ritornai nella stanza.

Tornado salutò e riappese il ricevitore.

“Camerati! Fascisti e nazionalisti stanno facendo un casino pazzesco davanti al Quirinale per contestare l’incarico a Salandra. Vedrete che domani mattina andrà a deporre il mandato. Sicché Sua Maestà dovrà assegnarlo a Mussolini”

Fulmine ed io sbatacchiammo i bicchieri l’uno contro l’altro e brindammo.

Il padrone di casa non fece rientro quella sera e noi ce ne andammo a letto a sognare le glorie del giorno successivo, tranne Fulmine che sicuramente sognò le glorie di Kath.

Alle nove e mezza venni svegliato dalle urla di giubilo di Tornado.

“Svegliatevi Camerati implumi! Svegliatevi vi dico! Salandra ha rimesso il mandato nelle mani del Re!”

Assonnati ma felici raggiungemmo il salotto ed il colonnello ci abbracciò raggiante.

“Mi ha telefonato Antonio dal P.N.F. Alle nove di questa mattina Salandra ha mollato il mandato a Sua Maestà.

Il Generale Cittadini ha telegrafato a Mussolini l’intenzione del Re di affidargli il mandato.”

“Allora il capo viene a Roma?” chiesi io mentre mi versavo una tazza di caffè.

“Bhe, credo di si. Non può mica pretendere che trasferiscano il parlamento a Milano.Oltretutto lo stato d’assedio è stato revocato, o meglio, era stato revocato già da ieri ma il Comandante del Corpo d’Armata  era in licenza ed ha diramato l’ordine solo ieri sera alle dieci e mezza.”

“Gran balle!” sbottò Fulmine “Hanno tolto lo stato d’assedio perché si sono accorti che la maggior parte dell’esercito simpatizza per noi ed hanno avuto paura che lo facessero apertamente. E poi Sua Maestà non lo aveva nemmeno contro firmato”

“Sarà, comunque vestiamoci che dobbiamo andare da Antonio a portargli un cambio di biancheria ed ad aiutarlo a coordinare i fascisti romani.”

Detto fatto raggiungemmo la sede romana del P.N.F. dove incontrammo Antonio intento a diramare nuovi comunicati.

Aveva un’aria veramente stanca ma il suo sguardo era reso brillante dalle incontrollate emozioni che gli pervadevano l’animo. Ci salutò con un cenno del capo mentre continuava ad illustrare il da farsi a due camicie nere ce lo stavano ascoltando attentamente. Quando queste se ne furono andate venne verso di noi e prese il pacco coi vestiti che Tornado gli porgeva.

“Andiamo nel mio ufficio”disse allontanandosi in tutta fretta fino a raggiungere lo studiolo dove lo avevamo incontrato il giorno prima. Mentre si cambiava ci illustrò la situazione.

“Innanzitutto è deciso: questa sera Mussolini verrà qui in treno e domani prenderemo Roma.”

Ci guardammo l’un l’altro soddisfatti per la certezza del successo.Fulmine ingoiò il rospo e, ne sono certo, il suo pensiero andò a Kath che non avrebbe rivisto nemmeno quella sera.

“La polizia mi ha fatto sapere che, visto che i militari non hanno più funzioni di ordine pubblico, alcune nostre squadre hanno assalito negozi di armi impadronendosi del contenuto.”

Per tutta la giornata di quell’incasinatissima Domenica 29 ottobre 1922 restammo nella sede del P.N.F. a tentare di calmare i Camerati più esagitati che volevano a tutti i costi vendicarsi della teppaglia comunista.

Nel pomeriggio iniziarono i problemi seri.

Un camion di fascisti veniva aggredito dai rossi a Borgo Pio. I Camerati venivano fatti oggetto di colpi di pistola e di lancio di tegole dai tetti.Lo scambio di colpi d’arma da fuoco proseguì a lungo e fu interrotto solo con l’intervento di un’autoblinda dei Regi Carabinieri.

Altro fattaccio brutto fu lo scontro fra fascisti e comunisti all’imbocco di via Candia. Il Camerata Gino Calza Bini assalì con i suoi la marmaglia rossa che venne salvata solo dall’intervento massiccio dei Carabinieri.

Ma Gino non intendeva desistere e riunì nuove milizie in via Barletta. Messa insieme una discreta forza caricò i rossi ed i Carabinieri incitando i suoi con urla e squilli di tromba. Solo grazie all’intervento di un emissario di Antonio e del Tenente Colonnello Sagna dei Carabinieri la situazione non degenerò in un bagno di sangue.Sagna riuscì a convincere Gino che quell’azione non avrebbe giovato alla causa fascista , avrebbe solo dato modo ai comunisti di atteggiarsi a povere vittime della violenza nera. Gino Calza Bini non era ancora convinto del tutto, ma capitolò sotto le insistenze del Camerata Meticcio inviato da Antonio per porre fine al casino. Richiamò le sue squadre e fece ritorno al suo quartiere.Ma Cesare Rossi da Ancona non la pensava affatto così e guidò nuove squadre fasciste all’assalto di via Candia. Solo verso le nove di sera la situazione si quietò definitivamente.

Il bilancio della giornata era il seguente: un comunista era rimasto ucciso e pochi altri feriti, sia da parte dei comunisti che da parte dei fascisti romani.

Alle ore 20.30 di quel fantastico 29 ottobre 1922 Mussolini partì in treno da Milano verso Roma e , per me, da quel momento iniziò veramente la Marcia su Roma.

Non tornammo a dormire a casa di Antonio, restammo a bivaccare nella sede del P.N.F.

La mattina del 30 ci informarono che le colonne Fara, Igliori e Bottai stavano convergendo su Roma ed erano giunte alla periferia della capitale. Alle 10.50 Mussolini arrivò a Roma e venticinque minuti dopo era al Quirinale da Sua Maestà. Roma era invasa dai fascisti e moltissimi di loro erano nei pressi della reggia. Fu in quel frangente che si dice che il Duce abbia pronunciato la storica frase “Maestà, Vi porto l’Italia di Daca Veneto”.

Visto la piega festosa che aveva preso la giornata, io e Fulmine decidemmo di andare a farci un giro per la città in cerca dei nostri Camerati che avevamo lasciato incolonnati con Luca Pilli. Lasciammo Tornado nell’ufficio di Antonio e ci dirigemmo a piedi per le strade della città. Dopo nemmeno cento metri incontrammo Titano, Daca e Vittorio che venivano nella nostra direzione.

Ci salutammo a braccia tese e ci rintanammo in una trattoria per pranzare.

Noi raccontammo loro le nostre avventure e, soprattutto, dell’imminente matrimonio di Fulmine con la sua Kath, mentre loro ci enumerarono le disavventure meccaniche del viaggio e dei brutti giorni passati a Monterotondo.

Erano lì in quasi tremila uomini e non avevano modo di ripararsi dalla pioggia, e non avevano modo di procurarsi d mangiare.Fortunatamente Pilli piantò una grana tremenda a Ulisse Igliori che dispose il sequestro di alcuni capi di bestiame, rilasciando regolare ricevuta, e che li fece macellare da alcuni Camerati improvvisatisi macellai.

Alcuni dei nostri vennero persino ricoverati per polmonite. Ci raccontarono di essere stati trattati sempre col massimo rispetto dai militari ogni volta che si recavano da questi per parlamentare.

Andammo tutti al P.N.F. ma con nostro stupore Tornado ed Antonio erano spariti.Li cercammo invano per tutta la sede, chiedendo informazioni ai vari Camerati che incontravamo ma i nostri amici parevano scomparsi nel nulla.

Tornammo quindi ai camion con i quali avevamo lasciato Milano. Alle sette e trenta si sparse la voce che Mussolini aveva presentato al Re la lista dei suoi ministri e che il giorno dopo avremmo sfilato per Roma in una imponente manifestazione. Quella notte ci bevemmo di tutto. Eravamo felici come mai nella nostra vita. Roma era nostra, l’Italia era nostra, e potevamo finalmente mettere in pratica quei sacri ideali che ci avevano portati sin lì.

Il giorno dopo , un bellissimo e soleggiato martedì 31 di ottobre dell’anno zero dell’ Era Fascista, nelle prime ore del pomeriggio la sfilata ebbe inizio.

Mussolini in persona passò in rivista i reparti schierati. Io non riuscii a vederlo in quanto ero stato disposto, insieme ad i miei, in ventiduesima fila. Sfilammo poi davanti all’altare del Milite Ignoto ed al Quirinale alla presenza del Re, di Mussolini e dei nuovi ministri. Alla fine arrivammo alla stazione Termini dove cinquanta treni speciali ci attendevano per riportarci ai rispettivi luoghi di provenienza.

Noialtri ci dirigemmo verso il luogo dove avevamo lasciato i nostri camion e con essi ritornammo a casa.

“E questa, caro Tommaso, è la storia della mia Marcia. Ovviamente ho omesso un po’ di particolari altrimenti facevamo notte…”

“Ma , nonno….e Tornado che fine ha fatto? E gli altri cosa hanno fatto poi? E Fulmine se l’è poi sposata Kath?”

Il vecchio sorrise e si versò un altro bicchiere di gassosa mentre teneva d’occhio la portafinestra presidiata da Giovanna.

La sera stava calando repentinamente e dalle montagne scendeva un venticello fresco e pungente. Il nonno sembrava pensoso, incerto se continuare a raccontare o se piantarmi lì così, in quell’ esagerato stato di suspance. Poi decise di rispondermi.

“Non rividi più Tornado fino al 1944 a Salò, dove lo rincontrai travestito da ufficiale della wehrmacht. Mi disse che lui ed Antonio avevano fatto e facevano ancora parte dell’ O.V.R.A. (Opera di Vigilanza e Repressione Antifascista). Lui stava preparando qualcosa per eliminare parte della sorveglianza che i nazisti avevano attivato nei confronti di Mussolini, mentre Antonio, sotto le mentite spoglie del maresciallo Caputo della Xa MAS, dava la caccia alle spie infiltrate dagli Alleati.Da quel giorno non lo rividi più.

Fulmine non sposò Kath perché, al suo ritorno a casa, il padre, facoltoso industriale del lecchese, lo costrinse ad ammogliarsi con la contessina Annarita Boldai Ritti Masotti. Le cose a quei tempi andavano così.Credo anche per vendetta, lui si arruolò nei paracadutisti della “Folgore”e cadde valorosamente ad El-Alamein il primo di novembre del 1942. Gli altri…bhe che dire, ognuno ebbe la sua parte di gloria ma l’unico che sopravvisse al ’45, oltre a me, fu Daca.”

“Ma scusa…la nonna,tua moglie, non si chiamava mica Kath?”

Il vecchio si alzò frettolosamente e si diresse verso la casa.

“Nonno!” gli gridai dietro “E’ solo una coincidenza vero?!”

Egli si fermò e raddrizzò il più possibile la schiena incurvata dal passare degli anni. Si girò verso di me ed in quel momento vidi brillare nei suoi occhi la fierezza di una vecchia camicia nera.

“Questa è un’altra storia Tommaso.Mi hai chiesto della Marcia ed io te ne ho parlato.Tua nonna si chiamava Kath, è vero, ma il solo nominarla squassa di dolore il mio vecchio cuore e rinnova in me l’angoscia per la sua scomparsa. Ora vai a scrivere l’articolo per il tuo giornale telefonico.”

Detto questo rientrò in casa, subito sorretto da Giovanna che venne, come al solito, respinta con uno scrollone e minacciata silentemente con la canna del bastone da passeggio.

Spensi il registratore ed uscii dal cancelletto del giardino che immette in una viuzza laterale.

Mentre camminavo in salita lungo l’acciottolato per raggiungere la mia automobile cominciai a marciare al passo canticchiando quella canzone che fa così <<Ce ne freghiamo della galera…>>

Arrivato nel piazzale antistante la villa guardai in alto verso il balcone dove scorsi il nonno, che mi guardava passare aggrappato alla balaustra. Senza smettere di marciare ed aumentando il tono della voce lo salutai col saluto romano e nello stesso modo lui mi rispose.

 

Tomàs de Torquemada.

 

 

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