Seconda parte:Toscana!

 

Il viaggio verso Bologna fu un incubo orrendo.Il nostro autista, che guidava come un invasato, travolse ed uccise una quantità industriale di pollame ed una mucca venne schivata solo per via della sua imponente stazza che avrebbe avuto ragione della spider rossa. Dopo una breve sosta nella periferia del capoluogo romagnolo per rifornirci di benzina, puntammo decisi verso gli Appennini ed il mio stomaco cominciò a sospingere a ritroso la colazione mattutina.

Fortunatamente a mezzogiorno non avevo pranzato.

Alle sette e mezza di sera, con una plateale e secondo me un po’ cafona frenata, ci fermammo davanti ad una locanda in località Porretta Terme.

“A mangiare, soldati!” esclamò Tornado saltando fuori  dall’auto ed entrando nell’alberghetto.

Fulmine ed io lo seguimmo sfregandoci le braccia per il freddo.Lo ritrovammo al bancone della reception che colpiva con insistenza un campanello a pressione.

“Allora!” urlava “ Ma non ce nessuno in questa locanda dei miei stivali?”

“Arrivo..arrivo..” rispose infine una voce da dietro una porta a doppio battente.

Dopo pochi istanti, durante i quali Tornado ci fissò con un’aria soddisfatta che sottintendeva che con il suo comportamento si era fatto obbedire anche lì, arrivò un ragazzone rubizzo in volto che si sfregava le mani in un grembiule da cucina.

“Buonasera signori.” fece con un sorriso gioviale “Desiderate?”

Tornado gli chiese tre stanze per passare la notte e tre coperti nel ristorante.Il ragazzo ci consegnò tre chiavi e ci indicò le scale. Disse che la cena sarebbe stata pronta alle otto e scomparve oltre la porta da cui era uscito.

La stanza era molto confortevole. Tutte le pareti erano ricoperte di perline di legno scuro, forse quercia, ed il letto era soffice ed accogliente. Mancavano più di venti minuti alle otto, sicché decisi di sdraiarmi per riposare un po’.

Al di là della parete sentivo Fulmine aggirarsi per la sua stanza facendo cigolare le assi del pavimento.

Già, Fulmine.Con le mani intrecciate dietro la nuca e lo sguardo fisso al soffitto ripensai al nostro primo incontro all’ospedale militare di Gorizia. Era proprio Fulmine, infatti, quell’ufficiale della prima compagnia che aveva lanciato le due granate contro le postazioni austriache.Contrariamente a quanto avevo pensato allora, il fuoco di risposta della mitraglia non lo aveva ucciso ma solo ferito ad una spalla.Il caso volle che ci rincontrassimo nella stessa stanza d’ospedale due giorni più tardi.Lo portarono nella mia camera tre o quattro ore dopo di me e lo si sentiva inveire contro il mondo già dal corridoio.Impassibili infermieri lo trasbordarono dalla barella al letto mentre lui proseguiva con la sua interminabile lista di proteste.

“Ah, maledetti suini, voi non sapete chi sono io!Brutti maiali zozzi, vi insegno io a lasciarmi in cortile sotto l’acqua…bavosi che non siete altro. Ma ve ne accorgerete…ah se ve ne accorgerete!!”

Gli infermieri non fecero neanche una piega.Lo sistemarono sul letto e se ne andarono portandosi dietro la barella.

Il mio nuovo compagno di stanza borbottò fra i denti qualcosa di incomprensibile, poi si voltò verso di me e mi spiegò l’oggetto delle sue lamentele.

“Ma porca Eva..mi hanno lasciato fuori sotto la pioggia, medicato alla carlona, mentre loro si aggiravano come due coglioni alla ricerca di un chirurgo.Un quarto d’ora con la pioggia che mi sbatteva in faccia ed io che non mi potevo nemmeno muovere. A me? Ma gli insegno io come ci si comporta! Scriverò a Cadorna, al Ministero della Guerra se occorre! Prima ti conferiscono un encomio e poi ti fanno morire di polmonite.”

“ Un encomio?” chiesi io “Che hai fatto?”

“Devi sapere che due giorni fa, sulla Bainsizza, mi trovavo in una foppa con la mia compagnia e non c’era verso di uscirne.Eravamo sotto il fuoco delle mitraglie dei crucchi e i loro artiglieri ci stavano per beccare in pieno.Poi il maggiore Tornado, non so se lo conosci…è quello del ponte sull’Isonzo, ha inviato un’altra compagnia in soccorso.

Mentre i crucchi spostavano il tiro sui nuovi arrivati son balzato fuori d’impeto e gridando <Savoia!> ho centrato una postazione con due granate. Poi un proiettile mi ha beccato in piena spalla e son caduto.”

“Una granata.”

“Come dici scusa?”

“Una sola granata ha centrato la postazione. L’altra stava rotolando indietro quando è esplosa.”

“Ah..c’eri anche tu?”

“Comandavo la seconda compagnia che ha aggirato il reticolato.”

Il fatto di essere stato beccato in castagna fece zittire fulmine per qualche minuto.

Mentre eravamo ancora in un meditativo silenzio un’infermiera entrò nella stanza sospingendo il carrello con la nostra cena.Era una giovane veramente graziosa e Fulmine la fissava con occhi da tonno, cosa che scoprii in seguito essere una sua peculiarità.

“Buonasera signori” cinguettò lei “Mi chiamo Kath e sono la vostra infermiera. Per qualsiasi cosa chiedete pure a me.”

Per un istante dimenticai il mio amore per Paola, la mia fidanzata al paese, e mi scoprii a fare pensieri estremamente peccaminosi sul fondoschiena di Kath che si era ora chinata per aiutare Fulmine a mettersi seduto sul letto.

La ragazza si era infatti infilata nello spazio fra un letto e l’altro e piegandosi verso il mio compagno di stanza mi porgeva uno dei panorami più invitanti a cui possa anelare un soldato dopo un mese di trincea. Una scarica ormonale incontenibile mi invase e dovetti fare appello a tutta la mia volontà per non ritrovarmi con le cinque dita di Kath stampate sul viso.

La ragazza si volto verso di me, che mi ero già tirato su da solo, e guardandomi con i suoi splendidi occhioni mi porse il vassoio con la cena.

“G..grazie!” balbettai deglutendo rumorosamente.

“Non c’è di che.” Rispose lei e si portò alla sinistra di Fulmine per aiutarlo a mangiare.Egli non era in grado di farlo da solo a causa della spalla destra bloccata.Lei gli tagliuzzò la fettina di carne in tanti piccoli pezzi, in modo che non avesse bisogno di usare il coltello.La zuppa sarebbe riuscito a mangiarla senza alcun aiuto.

“Crede di farcela, signor tenente?” gli domandò avvicinando il suo viso a quello del mio terreo commilitone.

“S..si, c..credo di si”rispose lui farfugliando

Lei sorrise e si diresse verso la porta.

“Tornerò fra mezz’ora per riprendere i piatti” disse senza voltarsi ed uscì dalla stanza.

Fulmine si girò verso di me e con aria sognante disse:

“Caro collega, credo di essermi innamorato.”

Amore o no divorò la cena come se non mangiasse da anni, e così feci io.

Al posto di Kath venne un nerboruto infermiere a prendere i piatti sporchi e Fulmine, dopo numerose insistenze, riuscì a sapere che la bella infermiera era stata trattenuta dalla morte di un militare che le stava molto a cuore.

“Magari adesso si prenderà a cuore il tuo caso” lo canzonai lasciando ad intendere che far parte degli affetti di Kath portava jella.

“Correrò il rischio!” controbatté lui virilmente, anche se non mi sfuggì quel movimento palpeggiatorio sotto le coperte a titolo scaramantico.

Nei giorni a seguire fui comunque felice di potere assistere all’evolversi dell’inaspettata avventura amorosa del mio collega ufficiale.Non che mi potessi esimere dal farlo, visto che ero immobilizzato a letto per la maggior parte del tempo a causa della ferita alla gamba.Era comunque un valido diversivo che distraeva Fulmine dalle fanfaronate guerresche che mi propinava di continuo. A sentir lui aveva partecipato a tutte le azioni degne di nota del Regio Esercito, arrivando ad asserire che lui era già pronto dal’14 e che in quell’estate era andato in vacanza lungo i confini orientali del paese per studiare le difese del futuro nemico. Gli chiesi come poteva essere ciò, visto che nel ’14 eravamo ancora in dubbio sulle nostre alleanze, ma cercò di farmi credere che lui era già a conoscenza di fatti che noi del popolino ignoravamo.Meno male che di tanto in tanto Kath passava a trovarlo, altrimenti avrebbe cercato di darmi ad intendere di aver contribuito, ancora in fasce, a sedare la rivolta cinese dei Boxers nel ’95.

Inizialmente aveva supplicato l’infermiera di chiamarlo Fulmine al posto di “signor tenente” e lei gli aveva concesso di chiamarla Kath. Poi erano arrivati a tenersi la mano mentre sospiravano all’unisono.

Durante questi incontri “amorosi” io cercavo di distrarmi scrivendo lettere farneticanti a Paola,la quale, nelle sue risposte, si diceva sempre più preoccupata riguardo alla mia salute mentale.

Dopo una settimana di degenza in quella stanzetta da “guerra e amore” Fulmine prese ad incontrarsi con Kath sull’uscio della camera. Io potevo solo immaginare di cosa discutessero così soavemente, cercando di interpretare il linguaggio delle loro ombre che si muovevano furtive sul pavimento.Appena vidi lo scuro profilo delle loro teste diventare una cosa sola capii che Fulmine aveva coronato il suo sogno di baciare la sua amata. Quando il mio compagno di stanza rientrò aveva stampato sul viso il sorriso più ebete che io avessi mai visto.

Continuarono ad amoreggiare così per giorni anche se la ragazza non concedeva a Fulmine di andare più in là del baciarle le labbra. Trasformatomi in una sorta di attento guardone delle loro ombre, vedevo chiaramente quando le mani di Fulmine partivano impazzite lungo i fianchi di lei ed altrettanto chiaramente vedevo la ragazza retrocedere di un passo afferrandogli dolcemente i polsi, scotendo la testa.Fulmine si rassegnava e si accontentava di baciarla per qualche minuto, ma poi la scena si ripeteva.

Un martedì , dieci giorni dopo il nostro arrivo all’ospedale, Kath non si presentò al solito appuntamento.

Fulmine era agitatissimo; continuava ad alzarsi dal letto per gettare sguardi preoccupati lungo il corridoio, per poi tornare a sdraiarsi. Io cercavo di confortarlo come potevo, dicendogli che Kath doveva essere per forza stata trattenuta, ma lui si lamentava protestando un brutto presentimento.

Quando all’ora di cena si presentò un inaspettato infermiere dalla faccia di topo, il mio commilitone balzò dal letto. Fulmine pareva essere stato morso da una tarantola. Lo tempestò di domande, arrivando quasi ad afferrarlo per il bavero del camice, finché questi non dovette ammettere di essere a conoscenza del fatto che Kath era dovuta partire per Siena, sua città d’origine, a causa della morte del padre.Il ratto-mannaro riuscì a sfuggire alle ire di Fulmine squittendo che non sapeva assolutamente quando la giovane sarebbe tornata.

Di lì a tre giorni ci rimandarono al fronte senza che Fulmine potesse rivedere la sua bella.

Lui tornò alla Bainsizza ormai espugnata dal Regio Esercito, mentre io venni inviato al Comando Generale della VI Armata come attendente del Comandante. Ci rincontrammo solo nel ’19 a Milano nella sede dei Fasci Italiani di Combattimento. Gli chiesi di Kath ma si intristì subito dicendo che non l’aveva più ritrovata nonostante, a guerra finita, si fosse recato fino a Siena nella speranza di incontrarla.

Da quel momento fummo sempre in ottima sintonia, ottimi Camerati, anche se non toccai più l’argomento.

Mi alzai dal letto richiamato dal bussare violento alla porta e dalla voce di Tornado che urlava: giù dalle brande , Camerati, la zuppa l’è cotta!

Scendemmo in sala da pranzo dove Abe, il ragazzotto che ci aveva accolti e che ora scoprimmo essere il figlio del proprietario della locanda, ci servì dei tortellini al sugo di lepre semplicemente divini e dello stufato incredibilmente

saporito. Tracannammo anche tre fiaschetti di San Giovese e giunti al caffè eravamo satolli come tre porcelli.

Non vi erano altri avventori anche se qualche paesano venne a farsi un bicchiere di vino restando però al bancone del bar. Tornado, alla richiesta di informazioni sul suo bolide fatta da un cliente, si avvicinò al banco e si lanciò in una filippica sui motori e sulle sue esperienze di guida. Tenne una lezione sulle valvole, un simposio sulle testate ed un seminario sulle carrozzerie.Più il padre di Abe serviva grappa a lui ed agli altri avventori, più le sue avventure somigliavano a quelle del Barone di Münchhausen, famigerato ballista di fine ‘700.

Abe e la sua giovane moglie Abelarda si sedettero invece al nostro tavolo portando una moka di caffè e quattro tazzine.

“Non vi disturbiamo se prendiamo il caffè con voi?” chiese il ragazzo.

“Niente affatto” risposi dando di gomito a Fulmine che stava per addormentarsi.

Abe pareva estremamente interessato al motivo del nostro viaggio, si diceva d’accordo con i nostri ideali e affermò più volte che sarebbe venuto anche lui se la moglie non fosse stata contraria.Per evitare che i due litigassero Fulmine ed io lo rassicurammo sul fatto che si era già in moltissimi per la Marcia, e che la sua assenza non si sarebbe certo notata. La moglie parve rincuorata dal nostro discorso che assolveva in parte il marito per la sua assenza da Roma, ma Abe non pareva affatto convinto.

Scusandoci con i due coniugi ce ne andammo di sopra a dormire.Sarebbe stato perfettamente inutile cercare di dare la buonanotte a Tornado, visto che quando gli passammo accanto stava praticamente urlando di quella volta sui tornanti del Tonale.

Una volta in stanza feci giusto in tempo a togliermi la divisa che crollai a dormire sul letto.

Alle sette di mattina fui svegliato dalle urla di Tornado che ci chiamava a far colazione.

Nella sala da pranzo non c’era nessuno anche se il nostro tavolo era stato apparecchiato ed imbandito con pane, burro, miele e marmellata di more.Ci sedemmo e Tornado cominciò subito ad imburrarsi una fetta di pane canticchiando “la leggenda del Piave”. Dopo un paio di minuti comparve il babbo di Abe che, abbastanza freddamente, i portò una cuccuma di caffè ed una brocca di latte caldo. Lì per lì non diedi peso agli umori del vecchio ma una volta pagato il conto di poche lire ed usciti dalla locanda tornai a considerare ciò che prima avevo ignorato. Abelarda stava seduta sui gradini che davano accesso all’alberghetto, si abbracciava le ginocchia e teneva la testa sprofondata fra le cosce.

Fulmine e Tornado non le badarono, ma io mi avvicinai e le chiesi cosa le fosse capitato. Per tutta risposta lei si alzò e fuggì piangendo all’interno della locanda.

Chiesi lumi al colonnello che si stava infilando la cuffia di pelle, ma liquidò la questione dicendo che secondo lui aveva litigato col marito per futili motivi da sposini.

Ripartimmo per Roma lungo la Limentra e dopo il Passo della Porretta la strada prese a scendere verso Pistoia.

Nonostante non ne mostrasse alcun sintomo, Tornado doveva essere ancora un po’ rintronato dalle gozzoviglie della sera precedente, infatti, guidava quasi come una persona normale. Ciò fu un bene perché i tornanti prima della città toscana avrebbero altrimenti massacrato il mio stomaco.

Poco prima di Pistoia ci trovammo davanti un calesse e, altra stranezza rivelatrice, Tornado non lo sorpassò attendendo uno slargo della strada. L’uomo che lo guidava si voltò a guardarci, probabilmente incuriosito dal rombo possente dell’auto del colonnello, rivelandosi così essere Abe.

Ci fermammo sul ciglio della strada e lui ci spiegò che aveva lasciato la locanda alle cinque del mattino per andare anche lui a Roma. Aveva deciso di andare alla stazione di Firenze col calesse e da lì di prendere un treno che lo portasse alla capitale. Fulmine gli domandò come l’avesse messa con la giovane moglie, ma lui fece spallucce limitandosi a rispondere che ci sono momenti in cui un uomo deve fare quello che un uomo deve fare.

Lo salutammo e ripartimmo meditando su quella strana affermazione.

Il viaggio procedeva spedito, ma nemmeno lontanamente simile alle acrobazie spericolate del giorno precedente.

Tuttavia, più passava il tempo e più Tornado pigiava sull’acceleratore, riprendendo probabilmente fiducia nei suoi riflessi.Arrivati alle porte di Poggibonsi ci fermammo in una trattoria lungo la strada. Eravamo affamati come lupi e prendemmo posto ad un tavolinetto in fondo alla sala da pranzo. L’oste ci portò subito del vino e degli affettati nostrani con un contorno di formaggini e sottaceti. Lo stile della locanda era impostato sul mangiare quello che c’era, senza possibilità di scelta. Mentre gustavamo uno squisito bollito misto notai che al bancone del bar un capannello di persone ci guardava con aria ostile.Lo feci notare anche a Fulmine ed a Tornado che con noncuranza infilò una mano dietro la schiena ed armò il cane della rivoltella. Nel gruppetto di avventori uno in particolare fremeva e veniva trattenuto dai suoi compari. I bisbigli che serpeggiavano fra costoro divennero gradatamente un brusio e poi una discussione animata, fino a che l’agitato non estrasse un falcetto avventandosi contro di noi gridando “Fascisti maledetti!”

Tornado estrasse e sparò ad una velocità incredibile, nemmeno fosse Tom Mix in uno dei suoi western.

Il falcetto volò via dalla mano dell’aggressore che ora se la teneva stretta mentre un copioso fiotto di sangue colava a terra. Ci alzammo tutti e tre molto lentamente e, mentre Tornado teneva sotto tiro il gruppo da cui era saltato fuori l’esagitato, ci dirigemmo verso la porta. Un altro malconsigliato saltò addosso al colonnello che lo sbilanciò facendolo cadere a terra. Gli puntò la pistola alla fronte mentre costui lo guardava con aria di sfida.

“Adesso basta!” urlò l’oste estraendo una doppietta da dietro il bancone “Il primo che si muove gli faccio saltare la testa. E tu metti subito via quella pistola che se no ce n’è anche per te!”

Tornado si rimise la pistola nella fondina dietro alla schiena e mostrò le mani prive di un qualsiasi tipo d’arma.

Gettò un po’ di soldi sul bancone ed indietreggiammo verso l’uscita. Saltammo sulla spider rossa e partimmo a tutta velocità. Adesso la velocità e lo stile di guida erano tornati ad essere quelli della Milano-Bologna ma eravamo troppo felici di averla scampata  per preoccuparci della guida di Tornado.

Avevamo percorso una decina di chilometri quando, dietro ad una curva cieca, piombammo come un missile su un gregge di pecore. Tornado frenò e si buttò di lato ma travolgemmo comunque una mezza dozzina di animali prima di arrestarci violentemente in un fosso. Come fossimo saltimbanchi volammo letteralmente fuori dalla vettura con un salto mortale perfettamente sincronizzato e ci trovammo seduti nel prato. La Alfa Romeo sbuffava come un vulcano spruzzando acqua bollente tutt’intorno.

I pastori, minacciosamente armati di lunghi e nodosi bastoni, accorsero subito a soccorrere i loro animali feriti.

Tornado si alzò e mugolando tutta la sua disperazione si accostò in lacrime al suo gioiello morente.

Fulmine ed io ci limitammo a massaggiarci i deretani pesti come mele marce.

Poi Tornado iniziò ad inveire contro i pastori ed i pastori ad insultare Tornado.Fulmine ed io ci spazzavamo di dosso, l’un con l’altro, le formiche alle quali avevamo pestato i possedimenti atterrandovi sopra.

Tornado ed un pastore si presero per i rispettivi baveri facendo un po’ di spingi-spingi.

“Tieni giù le mani” urlava il pastore.

“Perché sennò??” rispondeva Tornado.

Come è noto questo genere di situazione si può protrarre all’infinito ed infatti, mentre gli altri due pastori avevano già bell’e che finito di caricare gli animali feriti su di un carretto, i due litiganti erano ancora aggrappati l’uno al bavero dell’altro.

“Tieni giù le mani” urlava Tornado.

“Perché sennò??” rispondeva il pastore.

Fulmine ed io, liberatici della colonia di imenotteri aculeati estremamente incazzati, raggiungemmo i due “maschi dominanti” che non la smettevano di scornarsi.

“Tieni giù le mani perché sennò?” gridavano ormai all’unisono.

Ci avvicinammo agli altri due pastori che guardavano divertiti la scena appoggiati ai loro lunghi bastoni.

Dopo una breve consultazione accertammo che le pecore non si erano fatte granché, solo un paio di esse avevano le zampe rotte mentre le altre erano solo state sbatacchiate per bene.

“Tieni giù sennò perché le mani!” tuonavano i due contendenti.

Decidemmo di intervenire e, mentre i due villici trascinavano via il loro amico, noi facemmo lo stesso con Tornado.

“Vai vai, che ti è andata bene!” gli urlò il colonnello mentre lo sospingevamo verso i resti della sua vettura.

“Cornuto!” lo apostrofò l’altro mentre veniva issato a forza sul carretto “Chi ti ha insegnato a guidare? Quella maiala della tu mamma?”

A quelle parole Tornado diventò bordeaux e gli occhi parvero volergli uscire dalle orbite.

“Ueh! Lasa stà la mia mamèta eh!” urlava come un ossesso. Prese la pistola dalla fondina e, mentre Fulmine ed io gli stavamo appesi al braccio dando tempo ai pastori di fuggire con il carretto, sparò due colpi all’indirizzo dei villani.

Fortunatamente non li colpì e questi scomparvero dietro ad una curva continuando a mettere in dubbio la rispettabilità della mamma di Tornado.

Tornammo sconsolati a vegliare sul cadavere dell’Alfa Romeo.Tornado le parlava mentre le accarezzava il cofano.

Una scena a dir poco straziante.

Dopo circa mezz’ora di contrite omelie sopraggiunse un vecchio contadino alla guida di un carro trainato da due buoi possenti.

Morale della favola: ci toccò raggiungere Siena a bordo del carro che rimorchiava la salma della spider rossa.

Ogni volta che un’ automobile ci sorpassava Tornado scuoteva il capo e mormorava incomprensibili insulti alla sfortuna.

Il vecchio contadino ci disse che, appena fuori città, in località Costalpino, c’era un meccanico che riparava trattori e che magari avrebbe potuto aiutarci a riparare la nostra vettura. Sulle prime Tornado ululò che mai e poi mai avrebbe affidato il suo gioiello nelle mani di un riparatore di macchine agricole, ma alla fine cedette alla cruda realtà dei fatti:

l’unico meccanico specializzato in Alfa Romeo di Siena era partito per una gara e sarebbe tornato solo da lì  a due settimane.

Molto gentilmente il conducente del carro ci portò fino alla cascina del meccanico, che raggiungemmo in vista del tramonto.

L’officina era stata ricavata all’interno di un fienile e nell’aia antistante erano disseminati copertoni, aratri e pezzi meccanici di trattori. Le porte del fienile erano spalancate e, alla luce fioca di una nuda lampadina, si poteva scorgere all’interno un mezzo agricolo, forse una trebbiatrice. Un uomo era chino a lavorare all’interno di uno sportello laterale.

Alla destra del fienile c’era una casa a due piani di mattoni rossi le cui finestre del pianterreno erano tutte illuminate.

Un gatto bianco ci fissava seduto fuori dall’uscio.

“Principe!!” urlò il vecchio contadino alzandosi in piedi sul carro e portandosi le mani alla bocca a formare un imbuto. “Principe, vieni fuori un momento!”

L’uomo nel fienile si alzò e venne verso di noi pulendosi le mani in uno straccio bisunto.Aveva un fisico da fabbro ferraio e portava un paio di calzoni di tela blu ed una canottiera. Non appena si accorse di che cosa il carro stesse trainando i suoi occhi si accesero di interesse e di cupidigia, come quelli di un bimbo il giorno di Natale. Accelerò il passo e, senza degnare di uno sguardo ne noi ne il vecchio, raggiunse la fuoriserie rossa.

“Ma che cosa sei?” chiese Principe alla vettura. Le passò delicatamente il palmo della mano sul cofano continuando a guardarla con aria sognante “Chi ti ha fatta così bella? Fammi vedere il tuo cuore, fammi vedere dove hai male ed io ti curerò.” Così dicendo sollevò la ribaltina del cofano ed alla vista del motore un sorriso sognante gli si disegnò sul volto.

“Però…otto cilindri in linea ed un turbocompressore…mmm…e guarda che valvole!”

“A Tornà” sbottò Fulmine sogghignando “Occhio che questo te la ingravida.”

Come risvegliatosi da un incanto il colonnello balzò giù dal carro e si avvicinò all’uomo.

“Dica un po’…ma oltre a sbavarle addosso crede di poterla anche riparare?Mi serve assolutamente per domani mattina.”

Principe si girò a guardarlo imbambolato.

“Certo che posso ripararla questa ragazzina rossa.Però ci dovrò lavorare tutta la notte e tu mi devi dare una mano.”

“Affare fatto!” esclamò Tornado sollevato dal timore di lasciar sola col maniaco la sua vettura.

In men che non si dica sganciarono l’auto dal carro e la spinsero nel fienile a fianco della trebbiatrice.

I due si chiusero le porte alle spalle e ci lasciarono fuori.

“Bhe..”fece il carrettiere “io ora me ne devo andare.Buona fortuna ragazzi.”

“E noi che facciamo?” chiesi a Fulmine che già saltellava in su e in giù per il freddo incalzante.

“Bussate alla porta della casa” ci rispose il vecchi mentre girava il carro “Vi aprirà la sorella di Principe.E’ una brava ragazza usa a sopportare le manie motoristiche del fratello. Raccontatele che cosa è successo e vi darà cibo ed ospitalità.”

Salutammo il vecchio contadino e, non appena fu scomparso oltre la mura di confine, ci dirigemmo verso la casa.

Fulmine bussò all’uscio e fece un passo indietro.Ora toccava a me saltellare per il gran freddo.

“Arrivo..arrivo” fece una voce dall’interno.

All’udir di quella voce io smisi di saltellare e Fulmine diventò bianco come un cencio mentre le labbra presero a tremargli.

La porta si aprì e Kath comparve nello specchio di luce che ne fuoriusciva.

“Kath…” dissi io con un filo di voce. Fulmine non poteva parlare.La mascella gli tremava convulsamente e due lacrime scintillanti nel buio presero a corrergli lungo le gote.

“Signor tenente….” fece la ragazza lasciandosi cadere le braccia inerti lungo i fianchi. “Fulmine….”

Fulmine fece un balzo in avanti e la baciò tenendola stretta a se.

Io restai lì senza fiatare. L’inaspettata comparsa della ragazza mi aveva lasciato senza parole. Ero talmente commosso e felice per il mio Camerata che presi a piangere anche io come uno scemo.

I due giovani continuavano a baciarsi, si staccavano per fissarsi negli occhi, si sorridevano, si abbracciavano e tornavano a baciarsi.

“Kath…oh,Kath…” diceva Fulmine.

“Fulmine …oh,Fulmine…”diceva Kath.

Io sorridevo beato come un pirla pervaso dalla folle smania di applaudire.

Solo dopo cinque minuti i due si voltarono a guardarmi e ci abbracciammo tutti e tre saltellando e barcollando per il cortile. Kath ci fece poi entrare in casa e, nella cucina riscaldata da un grande camino, ci servì due piatti di minestrone caldo. Io lo sbafai a quattro palmenti, mentre Fulmine e Kath restarono seduti a tenersi le mani ed a sospirare.

Quando Kath prese a raccontare del suo ritorno a Siena per la morte del babbo io ero già a metà del minestrone di Fulmine. Comunque lei insisteva col dire che aveva tentato di ritrovare Fulmine, poi c’era stata la dodicesima battaglia dell’Isonzo, nota come Caporetto, e lei si era spersa nel ripiegamento disordinato +del Regio Esercito.In pratica era finita a far servizio a Milano mentre noi, in separati reparti, ci attestavamo sulla sponda occidentale del Piave.

Devo dire che i cinque anni passati avevano reso Kath ancora più bella e, lontana dalle privazioni e dai dolori della guerra, molto più procace. A riprova di ciò che dico porto a testimone lo sguardo da tonno che Fulmine assunse in quel frangente.Finito il secondo piatto di minestrone mi stiracchiai ed annunciai la mia intenzione di andare a passare la notte alla rimessa ad aiutare Principe e Tornado a sistemare la vettura per il giorno dopo.

Se Fulmine avesse potuto baciarmi lo avrebbe fatto.

Entrai nel fienile e salutai i due uomini abbarbicati al radiatore della fuoriserie.Non mi risposero nemmeno.

Ciondolai un po’in giro ascoltando le loro teorie meccaniche e, di tanto in tanto, fornendo un parere che veniva regolarmente ignorato.Si comportavano come se io non esistessi. Dopo pochi minuti mi sedetti su un sedile posteriore di una auto, abbandonato dietro la trebbiatrice, e mi addormentai.

Mi svegliò il rombo degli otto cilindri della spider che ruggiva sotto repentini colpi di acceleratore. Girai intorno alla trebbiatrice e vidi che Principe stava alla guida dell’auto mentre Tornado lo fissava felice.

Aprii le porte della rimessa per far uscire il denso fumo grigio e scorsi Fulmine e Kath fermi in mezzo all’aia.

Guardavano verso il fienile e si tenevano la mano.

Principe inserì la retromarcia e portò velocemente l’auto fuori della rimessa.

“Siamo d’accordo eh?” gridava a Tornado che usciva anch’egli dal fabbricato annuendo col capo “Te tu non mi paghi, ma te tu mi lascia andare a Siena con la “bambina” a prendere il caffè in piazza!”

“Vai vai…” rispose il colonnello soddisfatto.

“Signor Principe Carazzoli!” lo chiamò Fulmine assumendo l’aria più seria che riuscì a trovare nel suo repertorio di facce serie “In mancanza del babbo di Kath è a lei che chiedo la mano di sua sorella Kath e….”

Principe diede gas e la spider rossa si allontanò sculettando a tutta velocità.

Erano le sette del mattino e fra poche ore dovevamo essere a Roma.

Entrammo tutti e quattro in casa e, dopo aver presentato Kath a Tornado, Fulmine ci annunciò che avevano deciso di sposarsi.

“Adesso?” domandò Tornado stupefatto a Kath “Sarà meglio che aspettiate almeno domani.Oggi Fulmine è ancora cosa mia e deve marciare su Roma….domani te lo riporterò e ne potrai fare tutto ciò che vorrai.”

Risatine di intesa salutarono un bricco di caffè nero, latte i biscotti caserecci.

Dopo un’ora abbondante udimmo il rombo dell’Alfa Romeo che irrompeva nell’aia e che si fermava con stridor di gomme.Vista la stazza di Principe avevamo deciso che fosse Tornado a dargli la buona, per noi, notizia dell’imminente matrimonio di sua sorella con Fulmine. Ormai i due avevano diviso olio e gasolio e c’era fra loro un innegabile sentimento di stima reciproca. Il colonnello uscì quindi a parlare con Principe mentre noi tre li spiavamo dalle finestre della cucina. Come d’accordo Tornado la avrebbe messa sul melodrammatico, iniziando il racconto dalle origini della relazione fra i due giovani. Egli descrisse infatti l’innegabile valore di fulmine in battaglia , esagerò spudoratamente il periglio a cui si era esposto arrivando a raccontare di venti postazioni nemiche ed infine gli narrò di come il ragazzo, mentre si trovava fra la vita e la morte, avesse conosciuto Kath e come fra i due giovani fosse nato un amore sincero, puro e , almeno fino a quel momento, casto. Concluse dicendo che, ora che si erano finalmente ritrovati, sarebbe stato un peccato agli occhi di Dio se qualcuno si fosse interposto ad ostacolare il loro matrimonio.

Principe ascoltò in silenzio ed alla fine del discorso teneva lo sguardo fisso al suolo e le labbra serrate in un’invisibile fessura. Senza preavviso prese a correre verso la casa, cogliendo Tornado completamente di sorpresa.

“Ehi, Principe…non fare cazzate!” urlò il colonnello gettandosi al suo inseguimento.

Noi restammo sbigottiti e Kath si aggrappò al suo fulmine con un singhiozzo.Dalla cucina udimmo lo schianto della porta che veniva violentemente sbattuta contro il muro e, dopo una frazione di secondo, Principe entrò nella stanza.

Nessuno fiatò e il tempo rallentò fino a fermarsi.Principe si lanciò sulla coppia e, mentre io già afferravo un lungo coltello dal tavolo, li abbracciò singhiozzando.Anche Tornado irruppe in cucina con la rivoltella in mano.

Principe prese a baciare sulle guance prima una e poi l’altro. Kath piangeva dalla felicità e Fulmine era rosso come un pomodoro maturo. Tornado ripose la pistola ed io rimisi il coltello al suo posto.

Dopo ulteriori felicitazioni e complimenti riuscimmo a strappare Fulmine ai suoi nuovi pseudo-parenti ed a partire alla volta di Roma.

 

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