LA
MALGA DI ALFREDO
Alfredo adorava quelle
montagne. Il nonno, del quale portava fieramente il nome, aveva vissuto nella
malga in compagnia delle mucche per tutte le estati della sua vita. Il padre
Giacomo non aveva accettato quella vita ed era fuggito in città, a lavorare in
fabbrica, a respirare fumo e polvere, a costruire il futuro dei suoi
figli.
Giacomo non lesinava però le
visite a suo padre, ed ogni estate portava il figlio in quel piccolo paesino
arrampicato sulla montagna: le case in pietra con i tetti d’ardesia, i
balconcini piccoli per non far entrare troppo il freddo durante l’inverno,
l’orto dietro casa per il fabbisogno della famiglia, le fontanelle lungo la via
principale dalle quali per tutto l’anno sgorga acqua ghiacciata da far cadere i
denti ma che i passerotti non disdegnano per i loro giochi di
gruppo.
Non appena il clima si
addolciva, il nonno di Alfredo raccoglieva le sue mucche e andava all’alpeggio
nella malga, lassù dove il naso delle vacche tocca le nuvole e dove si può
sentire il profumo del Paradiso. Questo diceva il nonno, mentre Alfredino
replicava:
“Nonno, ma io sento solo
odore di busa di mucca!”
Il nonno sorrideva e,
accarezzandogli la testolina, gli diceva:
“Non hai ancora l’età per
sentire il profumo del Paradiso! Vedrai, quando sarai vecchio come
me…”
Quelle visite alla malga
erano durate per parecchi anni, fino alla morte del nonno quando Alfredino aveva
vent’anni. Poi la vita di città lo aveva un po’ troppo assorbito. Ogni
primavera, però, si riprometteva che avrebbe fatto una scarpinata fino alla
malga….. l’anno prossimo!
Il nonno aveva voluto morire
nel suo letto, senza dottori e senza ospedali. Diceva che non servivano a nulla
e che intanto lui sapeva benissimo dove sarebbe andato a
finire:
“Sento il profumo, anche da
qui, da dentro casa…. Il profumo del Paradiso……”
Se n’era andato così, con un
respiro più profondo quasi per riempirsi i polmoni di quel profumo che solo lui
sentiva. Aveva chiesto di essere sepolto con il suo cappello ed il bastone da
montagna. Forse pensava di dover affrontare ancora qualche impervio
sentiero….
Il minuscolo cimitero di
montagna lo stava aspettando. La sua sposa vi si trovava già da molti anni:
finalmente avrebbero continuato il viaggio insieme, ricoperti dalla stessa neve
e scaldati dagli stessi raggi di sole.
Dopo l’Università, la laurea
e il corso di specializzazione, Alfredo aveva deciso di fare una pausa. Voleva
andare a raccontare tutto al nonno, come faceva quando era
piccolo.
Riempita la valigia con
qualcosa di pesante rispolverata un po’ di attrezzatura da montagna, aveva
lasciato la città di pomeriggio, per arrivare alla casa del nonno in prima
serata. La primavera avanzata aveva allungato le giornate ed era sicuro di
arrivare a tempo per sistemarsi, fare una bella dormita e poi, all’alba, partire
alla volta della malga.
Non appena parcheggiata la
macchina nel cortile, la signora Piera si affaccia alla finestra per vedere chi
arriva a quell’ora.
Gli abbracci si sprecano.
Piera aveva curato il nonno negli ultimi tempi, come se fosse stato un suo
parente. Così si faceva una volta, e così si fa ancora, nei paesini dove tutti
sono cresciuti insieme e si conoscono e si aiutano da
sempre.
“Fatti guardare! Come sei
cresciuto: sei un uomo, ormai! Se ti vedesse tuo nonno….” Logicamente tutto in
un dialetto stretto che Alfredo capiva solo perché il nonno gli parlava così,
quando gli raccontava la storia delle montagne, delle sue mucche, di quando
aveva fatto la guerra sul confine, di quando aveva conosciuto la nonna “La più
bella ragazza del paese: aveva gli occhi trasparenti e un sorriso che ti piegava
le ginocchia e ti attraversava il cuore!”
Neanche da discutere
l’invito a cena della Piera: polenta e salsiccia “Di quella di una
volta…”.
Finita la cena, Alfredo
racconta a Piera che domani vorrebbe andare alla malga del nonno e forse
potrebbe fermarsi qualche giorno lassù.
“Non aspettarmi, Piera:
quando mi stuferò, tornerò a casa.”
Al mattino presto, come
promesso, s’incammina sul sentiero che dal paese porta verso la montagna. Tutti
dormono ancora, solo qualche gallo sta lanciando la sveglia e il fornaio sta
completando il suo lavoro. Dal forno sta uscendo il primo pane caldo e croccante
e Alfredo non se lo lascia scappare: ritrovare i sapori e i profumi
dell’infanzia, è come ritornare bambini.
Lo zaino è un po’ più
pesante per gli acquisti fatti, ma se vuole fermarsi qualche giorno deve pur
mangiare.
Il sentiero percorso mille
volte con il nonno lo accoglie alla fine del paese: si arrampica dolcemente sul
versante della collina, per poi attraversare il bosco fino alla fine degli
alberi ed aprirsi sulla vallata con i pendii verdissimi e cosparsi di fiori. Più
avanti si comincia a salire, dolcemente, verso l’alpeggio. Oramai non si trovano
quasi più le mucche al pascolo, sono pochi i campanacci che si sentono
echeggiare da un pendio all’altro, ci si sente un po’ più soli. Ma Alfredo non
ha paura. Conosce il sentiero come le sue tasche ed è sicuro di arrivare lassù,
ad infilare il naso nelle nuvole.
Il sole sta scaldando
l’aria, la sete comincia a farsi sentire. Da qualche parte dovrebbe esserci un
ruscello. Se lo ricorda bene, Alfredo: quando aveva cinque anni c’era finito
dentro scivolando da un sasso per rincorrere una farfalla coloratissima. Si era
gelato il sederino, le gambe e i piedi. Il nonno rideva come un matto, ma poi lo
aveva consolato e scaldato bene, dicendogli:
“Non devi fare del male alla
natura e alle sue creature. Se si ribella, diventa cattiva, più dell’uomo. Può
far male, molto male. Ricordatelo, anche quando sarai
grande.”
“Ma io non volevo far del
male alla natura: volevo solo prendere la farfalla!”
“Ma la farfalla è nata per
volare, per farsi osservare con meraviglia, non per essere catturata. Tutti
abbiamo il diritto di poterla ammirare. Se vuoi prenderla per guardarla solo tu,
sei un egoista e la natura si deve difendere dai curiosi come te. Hai capito,
Alfredino?”
“Ho capito, nonno. La natura
è di tutti e dobbiamo proteggerla, non ucciderla. Vero?”
“Verissimo. Guarda le nostre
montagne, come sono belle. Le cime con la neve che non si scioglie mai e le
guglie che bucano le nuvole. Sono di tutti, bisogna rispettarle. Non sempre gli
uomini accettano queste regole e la montagna è tanto crudele quanto
meravigliosa. Accetta gli sciatori, accoglie gli alpinisti in cordata, concede
loro spettacoli impareggiabili. Se qualcuno però l’aggredisce o cerca di
distruggerla, si scatena, si difende ed elimina i violentatori come farebbe una
madre per proteggere i propri figli.” Alfredo aveva fatto tesoro delle parole
del nonno e aveva così imparato ad apprezzare le bellezze della natura
lasciandole al loro posto, dove erano nate.
Ecco che, come previsto, le
prime farfalle danzano curiose intorno ad Alfredo, quasi a
sfidarlo:
“Prova a prenderci, se sei
capace!” sembrano dire intrecciando le ali dagli splendidi colori, quasi come se
sapessero di essere al sicuro, anche se un uomo è nel loro
territorio.
Alfredo sorride, ripensando
alle camminate con il nonno a rincorrere tutto ciò che volava, a scoprire sotto
i sassi il mondo meraviglioso e laborioso delle grosse formiche di prato, a
scacciare le mosche che sembravano prediligere il suo naso come zona da
esplorare….
Com’è volato quel tempo!
Come sembrano così freschi eppure così lontani quei
ricordi….
Il ruscello si manifesta
all’improvviso dietro un costone, nascosto tra i sassi e l’erba ormai alta. È il
rumore inconfondibile dell’acqua che attira Alfredo: finalmente si può bere!
Guardando l’orologio si accorge di aver camminato per ben due ore e mezza. Non
dovrebbe mancare molto alla meta. Almeno, non gli sembrava tanto lontana quando
percorreva il sentiero da bambino, accompagnato dal padre, per raggiungere il
nonno e le sue mucche. Infatti, superato un ripido pendio ricoperto d’erba
ancora umida di rugiada, da lontano scorge la sagoma inconfondibile della
vecchia malga. Un senso di vuoto lo assale: quanti ricordi, quante avventure,
quante cose imparate lassù. Forse non sarebbe dovuto andare solo. Ma ormai è
tardi per cambiare le cose. Ancora uno sforzo ed eccolo davanti alla porta.
Tutto attorno il pascolo dove il nonno portava le sue “bambine” come le chiamava
lui. La Rossa, che di rosso aveva solo un’orecchia ma il nonno aveva deciso
così; la Fiorina, la Bella, e tutte le altre che negli anni lo avevano
accompagnato per tutta l’estate.
All’interno della malga
tutto era rimasto come aveva lasciato il nonno: nessuno vi si era più
avventurato.
Stanco e affamato, dopo aver
fatto onore al pane non più caldo ma ottimo e alle provviste acquistate in
paese, nulla di meglio che sdraiarsi sul giaciglio dove dormiva da bambino
abbracciato al nonno: stavolta però con il sacco a pelo perché non sopporta più
la paglia che gli pizzica la schiena e le gambe.
Il silenzio assordante della
montagna quasi gli da fastidio.
Lo sguardo si insinua tra le
pietre a vista delle pareti: ecco i mille nascondigli dove da bambino riponeva i
suoi segreti. È tutto un riaffiorare alla mente di sensazioni, suoni, profumi,
sapori antichi. Il latte appena munto, caldo, con il pane intiepidito accanto al
fuoco per la colazione. I muggiti delle mucche infastidite dalle mosche.
L’abbaiare dei cani che, infaticabili compagni dei pastori, tenevano a bada le
mandrie e avvisavano dell’arrivo degli escursionisti. Le fiabe raccontate dal
nonno nelle lunghe serate estive, ammirando un cielo stellato che in città è
impossibile vedere a causa della troppa luce dei lampioni e delle insegne. La
caccia alle stelle cadenti come preavviso di fine estate. Gli improvvisi
temporali d’agosto. Il ritorno in città e l’interminabile attesa di una nuova
estate.
Circondato da questi
ricordi, assalito da un leggero torpore, Alfredo si abbandona al sonno
ristoratore e sogna.
Sogna il nonno che,
appoggiato al suo bastone e con in testa l’inseparabile cappello, gli racconta
una nuova storia.
“C’era una volta una
montagna abitata da fate e folletti. C’era una volta un bambino che ora è
cresciuto e che, forse, da oggi, potrà cominciare a sentire il profumo del
Paradiso!”
Maria
Gloria Caviglia