Il viaggio come metafora attraverso la prosa

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GLI AMANTI
di Daniela Colucci

"Domani andremo, te l'ho detto, te l'ho detto. Domani. Sono stufa di rimanere ancora, di rimanere sempre qui…"

Non gli pareva vero, mesi e mesi d'attesa per uno stupido sì, e tutti i discorsi spesi a convincerla che la sua vita era altrove. La loro vita. E ora, all'improvviso…

Avrebbero preso il primo volo per Madrid e poi noleggiato un'auto. Nient'altro. Il resto sarebbe venuto da sè.

L'uomo attraversò tutte le ore di quella notte breve camminando scalzo dal divano letto al tavolo di cucina, per accendersi un'altra sigaretta e lasciarla spenta a metà nel posacenere, mentre alla televisione avevano cominciato a trasmettere le lezioni di fisica.

"Ma chi se la guarda sta roba!" pensava osservando il pennarello nero del professore che ricostruiva grafici e disegnava frettoloso formule incomprensibili. Il professore sembrava annoiato e il tedio bucò lo schermo.

"Domani si va. Finalmente."

Ed il giorno seguente, quando si incontrarono all'aeroporto, alla fila per il check-in, lui portava un grosso paio di occhiali scuri sul naso.

"Che combini?" disse lei " Sembri una mosca così. Non hai dormito?"

"E' per via della termodinamica…"

La domanda era lecita. Sulla fila per il check-in non arriva quasi mai la luce del sole. Ma la sua risposta immediata tradiva come un passeggero senso di fastidio.

Poco più di un'ora di volo per l'altra vita. E tutto il resto alle loro spalle. Alle spalle sua madre che non l'aveva mai perdonata di non volere figli. Alle spalle suo marito, soprattutto lui: in tutti gli anni passati insieme aveva cercato solo il modo migliore per umiliarla. Quando trovava quelle poesie nascoste per bene in qualche cassetto, nell'elenco telefonico, nel cesto dei giornali in bagno, la raggiungeva dovunque e, qualunque cosa lei stesse facendo, le abbassava le mutandine e le si adagiava sopra per un quarto d'ora, mezz'ora, senza dire una parola. Strisciava coi fianchi tra le sue cosce, gli occhi chiusi e la bocca spalancata, le mani che le stringevano forte i polsi, fino a farla gridare. A volte aveva addirittura pensato che non fosse capace di dimostrarle il suo amore in altro modo. Che allora forse l'amava ancora…per questo faceva così.

Ma lui non sopportava tutti quei pensieri scritti senza capo né coda, e chissà a quale stupido frocetto che le aveva fatto montare la testa. In quel modo le ricordava chi era.

Le diceva ecco chi sei, e non lo dimenticare.

Tutto alle spalle. Ormai erano in volo, a molti e molti chili d'aria dalla terra, erano seduti vicini, e lei teneva sulle ginocchia il suo bagaglio a mano in cui aveva sistemato, una per una, tutte le cose che aveva scritto. Le aveva raccolte durante la notte andando a frugare negli angoli più impensabili della casa e le aveva riposte in un bauletto sotto uno straccio perché i panini non macchiassero i fogli. E quando l'assistente di volo le disse che doveva poggiare il suo bagaglio a terra di fronte a lei, per un attimo fu combattuta tra il desiderio di tenersi la sua roba stretta in braccio e quello di ubbidire al tono gentile dell'uomo in divisa.

Lui le prese un polso tra le dita e le posò un piccolo bacio sulla tempia. Aveva notato lo sguardo spalancato di lei tra la paura e l'emozione del naufragio, lontano da una terra desolata.

Poco più di mezz'ora di volo per l'altra vita.

Finalmente. Avevano vissuto interminabili settimane d'angoscia prima di qualche minuto passato ad accarezzarsi, baciarsi, parlarsi, piangere e scappare di nuovo. Avevano fatto l'amore nel parco del solito quartiere in periferia, non troppo lontano dall'appartamento in cui suo marito l'aspettava per la cena. Nel parco dove i vecchi giocano a bocce e l'erba cresce sul ciglio della strada nonostante i barattoli e le bottiglie vuote e la pipì dei cani randagi che segnano il territorio. Avevano fatto l'amore in piedi, appoggiati al tronco, sotto il rifugio di rami che quasi toccano terra e prima ancora che li soccorresse il buio della sera. Niente era certo. Solo che si amavano. Questa era l'unica cosa certa.

"Com'è Madrid?" chiese lei trafiggendo ripetutamente col coltello il tacchino anemico nella vaschetta di plastica.

"E' bella…"

"Sì, ma è grande? Si capisce quando parlano?"

"Ci faremo capire."

E non appena furono atterrati all'inizio dell'altra vita lui prese l'agendina dalla tasca della giacca e si avviò deciso ai telefoni, perché era quasi sicuro d'aver conosciuto qualcuno anche lì, o forse era a Salamanca…

Lei contò i passi che ci metteva ad andare, tutti i passi che ci metteva a tornare.

"Hai degli amici, non è vero? Abbiamo un posto dove andare?"

"Stanotte dormiamo a Madrid, voglio farti vedere la città. Te l'ho detto che qui si mangia bene? Domani prendiamo un'auto e ce ne andiamo in un posto…c'è una persona che ci può ospitare per un po’…"

E per la prima volta dormirono insieme, dopo aver camminato ore con le borse a tracolla per trovare una pensione.

Lei aveva indossato una camicia rosa pallido che portava tutti i segni del tempo in cui era rimasta piegata nell'ultimo cassetto, e che nel sonno le scivolava fin sopra l'anca, scoprendole le gambe piegate all'altezza del ventre. Lui fumava, seduto alla finestra socchiusa, e la guardava di tanto in tanto. Così ripiegata sembrava un bracciale di perline di fiume gettato tra le lenzuola, nella notte dell'altra vita. Un bracciale di perle di fiume…glielo avrebbe comprato prima o poi…doveva avere tutto, più di quello che una regina sogna…ma come poteva dormire con tutti quei capelli davanti alla bocca…come riusciva a respirare…aveva di nuovo voglia di fare l'amore con lei ma no, non l'avrebbe svegliata…

L'auto presa a noleggio aveva dei sedili di pelle marrone che erano arrivati miracolosamente intatti dagli anni ottanta fino a quel giorno, per portarli seduti comodi, dritti a Salamanca.

La strada provinciale sembrava deserta, poco meno di tre ore di viaggio, si potevano permettere una sosta, pensò lui. Accostò sulla destra e spense il motore.

"Che ci facciamo qua?" chiese lei "Non c'è nulla tutt'intorno per chilometri…"

"Appunto…io e te e nulla intorno per chilometri. L'ho sempre desiderato."

Si sbottonò la patta e l'attirò a sè passandole una mano tra i capelli dietro la nuca.

La mano di lei nei pantaloni era gelida.

La baciò con tenerezza e poi abbassò il sedile incrociandosi le mani dietro il capo.

"Stiamocene un po’ qui, non c'è fretta, stiamo qui…"

Lo guardò come se non avesse mai visto una tale stranezza in tutta la sua vita.

"Mi è venuta fame" gli disse, e l'uomo pensò a quanti chilometri mancavano ancora per Avila, ma non le disse nulla, e ripartì.

Anche ad Avila si mangiava bene. Alcuni uomini nel ristorante la guardarono quando lei, senza pensarci, si alzò dal tavolo per sparecchiare. Poi, ridendo di gusto, fecero degli apprezzamenti sul suo culo. Lei capì bene cosa intendessero dire e si rimise immediatamente a sedere. Lo guardò. Lui si versava del vino dalla brocca e continuava a fissare i quadri rossi e bianchi della tovaglia di carta.

"Non ti da fastidio? Dio,… non li hai sentiti? Non sei geloso?"

Niente.

"Perché te ne stai lì zitto…cosa ho fatto?"

"Tu? Non hai fatto nulla…"

"Sei arrabbiato…"

"Ti sbagli…solo pensavo…sei ancora in tempo se vuoi, con tuo marito voglio dire, ti puoi inventare una storia…"

"Perché dovrei…Non mi ami più? Dimmelo."

"Ti amo, ti amo più di quanto pensi, più di quanto penso io…ma, e se non fossi in grado di prendermi cura di te? Tu meriti tanto, io cosa ti posso dare?"

"Io non merito nulla più di quello che puoi darmi."

Non seppe inabbissare lo sguardo più in fondo e tacque.

A Salamanca c'era il sole, malgrado la stagione non fosse delle migliori.

Li accolse un uomo grasso, grasso solo sulla pancia e con le gambe magre. Li invitò subito ad entrare in casa con un riso rumoroso ed una forte stretta di mano sull'uscio.

C'era un lavoro se lo volevano, a Santiago, un suo amico cercava un commesso per un negozio di giocattoli.

Va bene, sarebbero ripartiti per Santiago il giorno seguente. Tutto, tutto poteva andar bene. Qualunque cosa. E poi lì c'era il mare, almeno, l'Atlantico non era lontano. E allora d'accordo, deciso, l'altra vita sarebbe cominciata proprio lì, a pochi passi dall'Oceano…

Un negozio di giocattoli, a quaranta minuti dal mare…

Acqua soldatini bambole acqua cubi colorati peluche acqua bambole soldatini cubi colorati…

L'oceano un negozio sua madre suo marito cubi colorati bambole soldatini l'oceano…

Lei sembrava stremata e, mentre l'auto viaggiava senza fretta apparente, continuava a tenere lo sguardo fisso sulla mano di lui che stringeva il volante, e stringeva quasi volesse accartocciarlo o lasciarci su un'impronta.

"Non riesco a togliermi dalla testa la prima immagine di te…"

"Che dici?"

"Quando ti ho visto la prima volta, dico, me lo ricordo bene."

"E allora?"

"Non sono mai stata soddisfatta del mio matrimonio, lo sai, ma non credo che questo potesse bastare a legarmi a te."

"Che vuoi dire?"

"Sta cambiando. A volte penso che è colpa mia. Sai l'arco che disegna il tuo sguardo quando pensi a qualcosa? Il mio sguardo può rimanere fisso su un punto anche per ore, e sai che c'è in quel punto? Niente. Sai quando dici che ho avuto il coraggio di rinunciare alla mia vita perché non era davvero mia? E' vero. Ma dopo mi è sembrato di essere rimasta senza, senza una vita! A volte penso che ho preso in prestito la tua…certi giorni mi sento così stanca, mi sembra di non avere più sangue, ecco che dico: che noia mortale! Non avevo mai pensato così…"

Non sapeva che risponderle, e per fortuna alla fine di quel discorso non gli sembrava di scorgere nessun punto di domanda, nessun tono d'attesa. Rimase in silenzio per molti minuti, guardando fisso la strada e canticchiando in mente la strofa di una canzone, solo una strofa e poi daccapo, sempre quella e poi di nuovo daccapo… Forse gliela cantava sua madre, sembrava una filastrocca per bambini e non ricordava più il ritornello…

Lei s'era assopita un attimo con la fronte appoggiata al finestrino dell'auto, con le sopracciglia aggrottate contro il sonno che l'aveva sorpresa in una posizione così scomoda…

La guardò, poi guardò la strada, la guardò, le guardò le gambe, poi di nuovo la strada… pensò che presto l'avrebbe riportata a casa.

Quando furono a Santiago le accarezzò il viso per svegliarla, per dirle che finalmente erano arrivati. C'era tutto lo spazio intorno per prendere una direzione, per scegliere una direzione qualunque verso l'altra vita.

Ma lei non si voleva svegliare.

Prese a baciarle il collo e le orecchie, ma lei non si svegliava.

Le baciò la bocca e le mani e gli occhi chiusi, ma lei non si svegliava.

Cominciò a chiamarla dolcemente per nome, a chiamarla, a chiamarla ancora, ma lei non si svegliava.

Si mise ad urlare, a chiamarla urlando, ad urlare il suo nome fino a farsi sanguinare la gola, ma lei non si svegliava…

Solo all'alba separò la bocca da quel seno bianco, fermo sotto la camicia strappata, mai stato così bello prima. Quanti chilometri mancavano ancora per l'Oceano? Pochi. Mai stati così pochi. Certo, ma aveva già deciso, aveva noleggiato l'auto solo per una settimana, ed era tempo di ritornare a casa.




 

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