Scheda bibliografica:

Argomenti filosofici sulle
RIFORME

Quello che segue è un elenco parziale di libri e testi che ritengo di segnalare alla lettura e che mi propongo di integrare via via con altri titoli, evidenziando per ciascuno i concetti secondo me piu' rilevanti. Altri riferimenti sono presenti nelle schede bibliografiche in questo stesso sito.


1.
Albert O. Hirschman (Come far passare le riforme, cit.) distingue processi e tecniche di policy-making (formazione delle decisioni) e di problem-solving (soluzione di problemi, pag.127). Vi sono problemi privilegiati ed altri trascurati (pag.133): le ideologie piuttosto che le manifestazioni di malcontento (violenza) attirano l'attenzione su certi problemi ma non altri (es. aumenti tariffari piuttosto che mortalita' infantile, pag.130; ad eventi climatici ad esempio rispondiamo con la disperazione piuttosto che col malcontento, pag.140).
Emergono molto prima gli errori nella soluzione di problemi pressanti piuttosto che di problemi scelti, anche perche' la motivazione a risolvere i primi spesso eccede la loro stessa comprensione (pagg.139 e 142).
La comprensione (fattori oggettivi di cambiamento) dovrebbe precedere la motivazione (fattori soggettivi di cambiamento), i fini dovrebbero essere scelti solo dopo avere mezzi disponibili per conseguirli (pag.141); la risposta creativa non e' pero' sempre possibile in quanto vi sono problemi pressanti, ed e' inevitabile la ricerca di una risposta adattiva (che talvolta e' difettosa, pag.144).
Ci devono essere canali di comunicazione efficace fra chi sperimenta gli errori e chi li commette, l'Autore auspica anche fasi utopiche di policy-making, che tengano agli atti in anticipo provvedimenti che saranno utili solo in tempi successivi (pag.148; i tentativi falliti dei predecessori hanno talvolta "costi sommersi" che possono fruttare benefici se recuperati, pag.152).
Talvolta passi avanti nella soluzione di un problema vengono interpretati come se il problema non esistesse piu' (auto-immagine del policy-maker come demiurgo, pag.154).
I processi di problem-solving consistono in "passi avanti convergenti o sequenziali nella comprensione e nella motivazione" (pag.158) e richiedono capacita' di delibera e di attuazione dei provvedimenti anche in condizioni di resistenza da parte di gruppi (pag.158).
Riforme e rivoluzioni sono soluzioni antagonistiche dei problemi, producono entrambe cambiamenti negli assetti (potere e ricchezza) dei gruppi sociali (pag.159).
La rivoluzione viene spesso concepita come un interludio, brevissimo e cataclismatico, fra societa' statiche, reso necessario dalla limitata capacita' dell'uomo di "visualizzare il cambiamento" (pag.163); sequenze di decisioni politiche possono contenere sia elementi riformatori che rivoluzionari (pag.165). La violenza e' condizione necessaria ma non sufficiente per una rivoluzione, deve essere centralizzata (pag.167), unilaterale, "temporaneamente non restituita" (pag.169); secondo Hirschman, vi e' anche una violenza compatibile con la riforma: oltre che pressione e protesta (segnale), la violenza decentralizzata puo' essere essa stessa risolutrice o riduttrice di problemi (occupazione, sciopero), che diventano in tal modo piu' docili ad iniziative riformatrici (pagg.170-171). La segnalazione del malcontento alle autorita' centrali puo' avvenire perche' il problema si e' intensificato, oppure perche' e' aumentata la protesta (e' migliorato il meccanismo di segnalazione, pag.168).
La crisi stimola l'azione, rende possibile la soluzione di problemi cui prima non era dedicata particolare attenzione (pag.172); spesso i gruppi sono in disaccordo sulla gravita' di una crisi (pag.177), quando un vecchio problema si aggrava, di solito nascono problemi nuovi (pag.173).
L'emozione e l'ansia producono stereotipi che riducono le capacita' di risovere i problemi (pag.173); nel problem-solving sociale l'ansia di solito e' accompagnata dall'aggravarsi del problema (nel problem-solving individuale questo non avviene, il parallelo fra i due e' fuorviante, pag.174).
Un problema estraneo e differente talvolta puo' aiutare i processi decisionali su altri problemi; un problema dominante invece riduce l'attenzione sui restanti problemi, rendendoli marginali (pag.178 e nota).
Politiche riformatrici possono avere contenuti antagonistici, il loro impatto sui diversi gruppi interessati puo' essere volta per volta benefico, indifferente, dannoso (pag.182). A differenza del rivoluzionario, il riformatore puo' imparare dai suoi errori e dalle resistenze che incontra (pag.187).
La rivoluzione dall'alto consiste nel dare qualcosa per non perdere tutto (pag.194).
L'emergenza derivante da situazioni di crisi aiuta l'attivita' di problem-solving, e puo' verificarsi sia per un aggravamento dei problemi sia, al contrario, per un loro riflusso accompagnato pero' da pressioni rivoluzionarie (pag.229).
Hirschman distingue le politiche pressanti (far fronte ai problemi) dalle politiche scelte autonomamente da chi governa (pagg.302-303): "il piu' delle volte lo Stato non agisce, ma reagisce" (pag.304).
Talvolta problemi privilegiati e problemi trascurati possono essere connessi, legati fra loro (pag.307); il fatto che un problema sia di un tipo piuttosto che dell'altro dipende da quante persone coinvolge, da quanto importante sia per loro e da quanta influenza dispongono (pag.309).
Hirschman invita a distinguere cio' che e' facile o difficile da cio' che sembra facile o difficile: attacchi a forze sociali o interessi che sembravano tigri di carta e poi si dimostravano tigri vere (o viceversa, pag.319).
Le principali linee di attacco, gli argomenti contro le riforme sono (pagg.321-322):
a) l'anello di retroazione innescato dalla riforma aggrava i problemi;
b) i beneficiari finali di un provvedimento sono diversi da quelli individuati originariamente;
c) si producono esternalita' (emergono nuovi problemi).
Ogni progetto nel suo sviluppo, osserva ancora Albert O. Hirschman (Come complicare l’economia) comporta minacce, anche imprevedibili, e conseguenti azioni di rimedio (pag.207); il principio della “mano che nasconde” (pag.209) implica che nuove iniziative vengano spesso intraprese con la convinzione che la loro realizzazione sia facile e che le sfide non esistano. Riformulando una nota frase di Marx: "l’umanità affronta sempre soltanto quei problemi che crede di poter risolvere" (pag.209).
L’insufficiente percezione dei costi e delle difficoltà può essere un incentivo ad intraprendere un progetto, in particolare progetti industriali e di infrastrutture (mentre per quelli agricoli o di commercializzazione le difficoltà emergono quasi subito, pagg.211-214).
Hirschman distingue progetti a breve e a lunga gestazione: quelli a lungo termine possono richiedere grossi investimenti conseguenti alle perdite subite, all’opposto quelli a breve termine rischiano di essere abbandonati prematuramente (pag.215).
Spesso progetti interni vengono presentati come imitazioni di modelli stranieri riusciti ("pseudo-imitazione", pag.216): il progetto "passo a passo" viene in questo modo sostituito da un "programma globale" che funge da alibi in caso di difficoltà (non sono state seguite le istruzioni, pag.218).
Il principio della mano che nasconde si alimenta così di due tecniche complementari: la pseudoimitazione che riduce la percezione delle difficoltà, ed il programma pseudo globale che fa ritenere più ampia la comprensione delle difficoltà di quanto non sia realmente (pag.220); questo principio aiuta le persone avverse al rischio ad assumersi rischi. Il principio della mano che nasconde aiuta lo sviluppo perché rafforza lo spirito d’iniziativa in particolare in coloro che hanno dovuto superare difficoltà inattese e che ci sono riusciti; Hirschman ricorda la massima di Nietzsche: "ciò che non mi distrugge, mi rende più forte" (pag.221).
L’azione può essere incentivata tanto dalla sottovalutazione dei costi quanto dalla esagerazione dei benefici (pagg.223-224); entrambi i meccanismi di autoinganno possono essere utili nelle fasi di transizione, purchè siano brevi: appena è possibile, per evitare fallimenti, è importante saper distinguere tra rischi accettabili e rischi inaccettabili.
Vi sono errori che sono casuali e rimediabili (pag.301). La produzione di surplus permette alla società di passare oltre fenomeni di deterioramento solo con disagio ma senza risultati disastrosi (pag.306); il surplus sociale si contrappone peraltro alla situazione singola, dell’individuo o dell’azienda che può essere completamente diversa.
In economia prevale l’uscita (dal mercato); in politica (ma anche in famiglia) prevale la voce (l’uscita in politica è defezione, un crimine, pag.315).
La partecipazione politica è un beneficio: far parte di un movimento che persegue un obiettivo desiderabile può essere gratificante quasi quanto ottenere quell’obiettivo (pag.324); gli sforzi per ottenere felicità pubblica non possono essere separati dal suo raggiungimento, e non rappresentano un costo: perseguimento e raggiungimento dell’obiettivo si confondono e conta la somma delle due grandezze (pagg.413-414; fenomeno del pellegrinaggio, pag.416).
Una serie di azioni possono essere intraprese come se si potesse promuovere il cambiamento, e tale esperienza comunque fa crescere (non posso cambiare la società, ma col mio impegno pubblico cresco io, pag.417): la partecipazione agli affari pubblici non è solo uno strumento per conseguire un fine, ma è un bene in sé (Mill, pag.418).

2.
Il periodo storico compreso tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, osserva Massimo L.Salvadori (Riforme e rivoluzione nella storia contemporanea), e' caratterizzato in Germania dalla forte crescita elettorale del partito socialdemocratico e dallo sviluppo dei sindacati; furono questi ultimi le roccaforti del riformismo e del revisionismo (pagg.65-67). Al centro del progetto politico socialdemocratico vi era il modo di produzione capitalistico, le cui contraddizioni lo portavano verso una trasformazione che all'epoca appariva come inevitabile (pag.74).
Il primo revisionismo nacque nella Germania meridionale per volonta' del socialdemocratico Georg von Vollmar, che sosteneva l'appoggio parlamentare al liberalismo (pag.81); nel 1898 comparve il libro di Bernstein, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, in cui il fine era "nulla" ed il movimento "tutto", in cui la democrazia era il contenuto di un socialismo da conseguire attraverso "un processo evolutivo coscientemente diretto" (pag.83); per fare cio', il partito riformistico democratico-socialista doveva in primo luogo emanciparsi dalla fraseologia superata del socialismo scientifico (pag.85).
Kautsky e Rosa Luxemburg replicheranno a Bernstein polemizzando sull'efficacia del revisionismo: per la Luxemburg cio' che divide riformisti e rivoluzionari non e' cosa fare ma come farlo (pag.92), Per Kautsky la democrazia, pur necessaria, non e' sufficiente ed individua due strategie politiche alternative per la classe operaia, ovvero l'annientamento dell'avversario (scontro frontale) ed il suo logoramento (pag.102); la dialettica tra riforme e rivoluzione nella sinistra anticapitalistica, osserva Riccardo Lombardi (pag.311 del vol.cit.), riguarda il modo di passare al socialismo, per via pacifica oppure violenta, mentre nella sinistra riformista, socialdemocratica, le riforme sono concepite come riforme del capitalismo, quindi non riforme per sopprimere il sistema ma favorevoli ad esso.
Le riforme graduali inoltre richiedono tempi adeguati, e sono concepibili solo in un quadro democratico (pag.315).
La Costituzione italiana, osserva ancora Lombardi, e' di contenuto socialista nella parte indicativa, liberale in quella normativa (pag.316).
Di fronte all'impossibilita' di attuare un movimento rivoluzionario nei loro paesi, gli intellettuali di sinistra in Francia ed in Italia divennero rivoluzionari verso il Terzo Mondo, "con una specie di transfert della loro tensione rivoluzionaria" (Lombardi, pag.318 op.cit.). L'attenzione era rivolta talvolta al momento istituzionale, talaltra a quello strutturale (pag.321); Giller Martinet propose l'approccio del riformismo rivoluzionario, caratterizzato da riforme politiche in stretto legame con l'azione di massa nelle fabbriche e nella societa': in realta', in Italia non vi furono ne' riforme ne' rivoluzioni (pagg.323-324).
Riformismo, secondo Lombardi, diventa pertanto quella politica di riforme che il sistema riesce non solo a tollerare, ma anche ad integrare; mentre il riformismo rivoluzionario si differenzia perche' punta alla conquista non del potere ma dei poteri (in primo luogo quello governativo) che sono indispensabili come primo passo per avviare una societa' di transizione (pag.325).
Leon Blum, in Francia, sposto' il problema, da quello della transizione al socialismo a quello della'amministrazione progressiva e riformatrice (pag.330); una politica di riforme, osserva ancora Lombardi, e' piu' importante sotto il profilo educativo e per i consensi che riesce a strappare agli avversari politici, che per la sua efficacia nell'ottenere riforme concrete (pag.327).
L'uomo, osserva Antonio Polito (Non basta dire no), e' un animale abitudinario che si adatta solo progressivamente ai cambiamenti; il compito del riformismo e' allora quello di aiutarlo a muoversi nel cambiamento con efficacia e giustizia; ma i no di chi gode di rendite di posizione spesso bloccano le riforme (pagg.4-6).
Due, secondo Franco Debenedetti, sono gli ostacoli principali che si presentano al riformista (pag.35):
- ottenere il consenso per le proprie proposte;
- tener conto dei vincoli di compatibilita' con le risorse esistenti (in cio' si distingue dal massimalista).
Il riformista deve proporre nuovi progetti ma anche nuovi punti di vista, e pensare in termini di governo, anche quando e' all'opposizione; combatte le spinte alla radicalizzazione, ma nel far cio' deve saper anche proporre un progetto ampio di cambiamento che possa essere accettato dalla maggioranza degli elettori (pagg.36-38). Quella riformista e' un'impostazione culturale, offre speranze rivolte al futuro anziche' coltivare utopie rivolte al passato (pag.58). Grandi forze positive muovono le nostre economie: tecnologia, innovazione, conoscenza, globalizzazione, democrazia, individualismo, new economy (pagg.58-59).
Talune discussioni sulle riforme hanno piu' un fine simbolico che realem come e' accaduto in Italia sulla questione dell'art.18 (Giancarlo Lombardi, pag.94); vi e' il fatto del declino del sindacalismo in Occidente, mentre servirebbe la sua espansione a livello mondiale (Bruno Manghi, pagg.103-105). La concertazione e' tipica dei periodi critici, e come tale e' eccezionale; la prassi ordinaria e' quella di accordi fra sindacati e governo (pag.108).
In talune circostanze, col cambio delle maggioranze di governo, la continuita' del processo di riforme gia' avviato e' piu' importante di una riforma ulteriore, fatta solo per dimostrare iperattivita' (Paolo Onofri, pag.115). I temi di discussione politica possono essere imposti tanto dalla maggioranza che governa quanto dalla minoranza che fa opposizione (pag.117).
Oggi tutti sono riformisti; anzi, sono "i veri riformisti" (pag.141). Il riformismo, osserva Nicola Rossi, non e' un metodo e non va confuso col gradualismo; sul terreno del metodo, tutti possono essere riformisti ma nel contempo "su quel terreno si stemperano le identita' e si confondono i ruoli" (pag.142).
Il riformismo non e' un metodo universale ed e' geneticamente estraneo alla destra in quanto, attraverso l'analisi distaccata della realta', si pone il problema di trasformarla per costruire un mondo diverso e piu' giusto: e' una strategia politica ed una cultura (non l'unica) che appartiene ai non conservatori (pagg.142-148).
La globalizzazione spaventa la parte piu' debole (come ricchezza ma anche come sapere) della societa' (pag.140): occorre ricercare un "compromesso socialdemocratico" in una prospettiva che sia europea, perche' ci sono problemi che hanno natura sopranazionale (agricoltura, ricerca, immigrazione, sicurezza sociale, pag.147).
Risolvere i problemi del conto economico delle finanze pubbliche attraverso interventi di stato patrimoniale, secondo Debenedetti e' illusorio e non lungimirante (pag.149).
Le riforme rispondono a sfide (diseguaglianze) e richiedono strategie (visioni d'insieme) di lungo periodo: le materie del welfare (assistenza, previdenza, fisco, lavoro, istruzione, sanita', sviluppo) sono strettamenteconnesse, esiste una forte continuita' nelle istituzioni e nelle culture che impedisce cambiamenti bruschi, occorre un consenso vasto che spesso sfocia in compromessi (Michele Salvati, op.cit., pagg.155-156, pag.171 e seguenti); talvolta e' necessario innovare il sistema delle tutele, ad esempio in tema di lavoro passando dal modello mediterraneo (tutela del posto) a quello europeo (tutela del mercato, pag.167 e seguenti; cfr. anche Ferdinando Targetti pag.181 e Tiziano Treu pag.206).
Le conseguenze delle mancate riforme, osserva ancora Franco Debenedetti, diventano la ragione per non farle (pag.220).
Nelle campagne elettorali, conclude Salvati (pag.176), conta il messaggio (costituito da poche idee-forza) e non il programma.
I problemi della trappola della poverta', del fiscal drag e del welfare to work (tutele di reddito piuttosto che tutele d'azienda) sono discussi da Ferdinando Targetti a pagg.185-191 del volume; obiettivi di una riforma del mercato del lavoro sono maggiore occupazione, pari opportunita', minore precarizzazione (pag.180). Le riforme hanno un costo e non si puo' prescindere da considerazioni di finanza pubblica (pag.199).
Le maggiori novita' degli ultimi anni, osserva Tiziano Treu (pagg.216-217), sono la moltiplicazione di nuovi lavori e la crescita della popolazione anziana.

3.
Lester C.Thurow (La societa' a somma zero) sostiene la necessità dell'intervento dello stato per garantire il pieno impiego, perchè l'iniziativa privata da sola non è in grado di raggiungere questo obiettivo (pag.281); ma per lo stato è più facile costruire programmi di assistenza piuttosto che programmi di occupazione (pag.284).
Il ruolo attivo dello stato nell'economia è fondamentale anche per il benessere della classe media: essa infatti beneficia della spesa pubblica, sia quella diretta che quella indiretta (pag.232).
Per quanto riguarda il dibattito sulle regolamentazioni, Thurow osserva che:
- spesso le regolamentazioni hanno per oggetto sovvenzioni per colmare perdite in certi settori utilizzando profitti da altri settori (pag.192): le spese di trasporto nei centri meno popolati vengono finanziate da quelli più popolati, le telefonate aziendali e interurbane finanziano quelle private e urbane, ecc;
- il dibattito sulla regolamentazione non discrimina la destra dalla sinistra, perchè entrambe cambiano posizione a seconda della materia in discussione (pag.196);
- leggi e regolamenti possono essere utilizzati sia per favorire che per bloccare lo sviluppo economico (pag.198);
- ogni nuova regolamentazione produce altre regolamentazioni: una legislazione che protegge un gruppo può danneggiarne altri e richiedere nuova legislazione, "se si protegge l'acciaio, molto probabilmente si dovrà proteggere l'industria automobilistica" (pag.198).
I principali strumenti a disposizione di coloro che sono preposti alla regolamentazione sono due: norme che influenzano le produzioni e le quantita' (norme q), oppure norme che cercano di influenzare i prezzi con tasse o sussidi (norme p); scrive Thurow: "in generale si è fatto troppo affidamento sulle norme di tipo q, e non abbastanza su quelle di tipo p. Con le norme di tipo p il legislatore cerca di trarre vantaggio dagli incentivi di mercato, invece di controbatterli come nel caso di norme di tipo q" (pagg.212-213).

4.
Secondo Yves Meny e Jean-Claude Thoenig (Le politiche pubbliche, cit.) l'attivita' di governo consiste in atti simbolici, dichiarazioni di intenti, non-decisioni, gestione amministrativa degli apparati pubblici, politiche pubbliche: solo queste ultime sono programmi d'azione finalizzati a produrre cambiamenti nei comportamenti collettivi. Ma alla domanda "chi decide cosa?" e' spesso difficile dare una risposta precisa, perche' i soggetti delle politiche pubbliche sono mutevoli: alla storica relazione orizzontale (gruppi sociali ed economici in competizione-conflitto) e' subentrata una relazione verticale in cui i decisori effettivi diventano gli stessi soggetti che formalmente dovrebbero essere soltanto esecutori delle politiche pubbliche; la visione tradizionale top-down che consiste nella sequenza gerarchica centro-periferia (decisione-esecuzione) e' sostituita dalla prospettiva bottom up, in cui sono gli esecutori della politica pubblica ad avere un ruolo politico.
Gli esecutori delle politiche pubbliche sono infatti in grado di stravolgere sia gli obiettivi che le realizzazioni di una politica pubblica, attraverso comportamenti di rigore applicativo (attenersi scrupologo alle norme), discrezionalita' (adattamento alle circostanze), accomodamento negoziato (deroga a propri clienti esterni). L'autorita' pubblica, che ufficialmente decide, si caratterizza per una limitata razionalita': ha poco tempo per decidere, dispone di poche e costose informazioni, pochi criteri di scelta ed ha necessita' di porre fine all'incertezza; la sua limitata razionalita', sommata ai vincoli imposti dalle situazioni esterne, obbliga il decisore "ufficiale" a ricorrere a negoziati, compromessi, precedenti, criteri pseudo-scientifici per trovare una soluzione soddisfacente tralasciando quella ottima e delegando l'esecuzione della politica pubblica ad un apparato pubblico che se ne appropria. Capita cosi' che a decisioni importanti prese non corrispondano date ne' responsabili chiaramente identificati, come nel caso della bomba atomica francese che, scrivono gli Autori, "non e' stata oggetto di una scelta: essa ha preso corpo poco a poco, passo per passo, fino a che un giorno la Francia si e' svegliata con un embrione di arsenale bellico nucleare a propria disposizione" (pag.161).
Il potere politico appropriato dagli esecutori fa si' che l'azione pubblica non sia di tipo lineare (causa-effetto) ma si evolva in un contesto sistemico: causa-sistema-effetti molteplici.
In una politica pubblica coesistono due funzioni di produzione: la funzione della gestione interna dell'organizzazione pubblica (che e' responsabile della propria efficienza), e la funzione dell'organizzazione con l'esterno, che consiste nel trasformare prodotti e realizzazioni in effetti e impatti.
Gli effetti molteplici possono essere di:
- overload (effetti perversi quali la moltiplicazione di spese, organici, politiche, ecc.);
- spill over (effetti di ricaduta quali congestione, inquinamento a distanza, ecc.);
- implementation gap (risultati minori a fronte di maggiori interventi).
Effetti perversi, effetti indotti, effetti connessi producono conseguenze non volute; inoltre, le poliche pubbliche possono fallire sul nascere (rimangono semplici dichiarazioni di intenti), esaurirsi per erosione progressiva, diventare variabili indipendenti che sfuggono al controllo di chi e' legittimato a decidere.
Una griglia di domande ben poste sugli obiettivi dell'autorita' pubblica (annunciati e reali), sui soggetti inteerssati, sugli esecutori mobilitati allo scopo, sull'orizzonte di tempo coperto ci permette, secondo gli Autori, di capire innanzitutto se di politica pubblica vera si tratta (programmi d'azione piuttosto che attivita' simboliche, dichiarazioni di intenti, declamazioni di principio) e di effettuare valutazioni: ex-ante, nella fase di formulazione della politica pubblica; ex-post, nell'analizzarne effetti e conseguenze.

5.
Arthur M. Okun (Eguaglianza ed efficienza, cit.) evidenzia come le ragioni etiche a favore del mercato siano poco convincenti, mentre quelle fondate sull'efficienza sono del tutto persuasive: l'efficienza di un sistema di mercato e' superiore a quella di un sistema pianificato, nel quale valgono i comandamenti dei funzionari pubblici (non perimentare, non rischiare, non essere flessibile, cio' che viene dato non sara' piu' tolto, ecc.).
Nel contesto di un'economia di mercato, pero', Okun ritiene fondamentale la definizione di linee di compromesso fra eguaglianza ed efficienza: la redistribuzione dei redditi, egli osserva, puo' avvenire efficacemente soltanto con una politica fiscale fortemente progressiva accompagnata da un corretto indirizzo delle spese statali (privilegiare le spese sociali su quelle militari, ecc.); la pianificazione economica, la confisca delle ricchezze sono invece inapplicabili perche' del tutto inefficienti.
I redditi prelevati con la tassazione progressiva devono andare a vantaggio dei meno avvantaggiati: anziani, poveri, madri con figli a carico, ecc; strumenti differenziati di redistribuzione possono essere gli aiuti diretti in denaro, l'assistenza medica gratuita, i buoni pasto, le detrazioni per la casa, i finanziamenti all'istruzione, la previdenza sociale, le opportunita' di occupazione.
Nel trasferire risorse dai piu' avvantaggiati ai meno avvantaggiati una parte di queste va perduta: e' la metafora del secchio bucato, che illustra le inefficienze del percorso di redistribuzione dei redditi, inefficienze dovute a costi amministrativi, minor impegno dei piu' ricchi, perdite socioeconomiche, distorsioni nelr isparmio e nell'investimento.
Chi da' priorita' all'efficienza sull'eguaglianza, osserva Okun, e' disposto ad affrontare solo perdite lievi; chi da' priorita' all'eguaglianza sull'efficienza e' disposto a sostenere anche forti perdite. Per Okun e' fondamentale la ricerca di un compromesso: il secchio e' bucato, cioe' parzialmente inefficiente nell'equalizzare i redditi, ma alla fine riesce ad ottenere risultati insieme piu' equi e piu' efficienti, perche' maggiore eguaglianza alla fine produce maggiore efficienza, anche se inizialmente il perseguimento di politiche egualitarie avviene a spese dell'efficienza. La strategia che propone e' dunque indiretta (nel senso di Simon ed Elster, vedere gli argomenti filosofici sulla razionalita' in questo sito): un passo indietro oggi nell'efficienza a favore di maggiore egualgianza consentira' domani di fare due passi in avanti in termini sia di efficienza che di eguaglianza.
Secondo Ernst F. Schumacher (Piccolo e' bello), il metodo delle prove e degli errori consiste nel realizzare e verificare mutamenti su piccola scala prima di applicarli su larga scala; ogni soluzione genera un problema, se quelli successivi sono maggiori vuol dire che la soluzione e' errata.
Il principio dell'assioma di mezzo punta a far convergere ordine e liberta' (governare dando istruzioni e governare esortando, metodo duro e metodo morbido). La vita reale puo' dar luogo a tutte le combinazioni possibili: liberta'o totalitarismo con economia di mercato o pianificazione con proprieta' privata o proprieta' collettivizzata; in questo caso, otto combinazioni sono possibili, come otto nel caso di atto o evento con passato o futuro con certo o incerto: la pianificazione riguarda atti futuri certi, il calcolo esplorativo (per studi di fattibilita', tendenze) riguarda eventi futuri certi, la previsione riguarda eventi futuri incerti, la valutazione riguarda invece quattro combinazioni possibili: atti passati incerti, atti futuri incerti, eventi passati incerti, eventi futuri incerti.
Gli eventi sono in qualche modo prevedibili, avendo una natura subumana; gli atti, invece, originano da una scelta, da liberta' creativa e sono quindi imprevedibili. La regolarita' dei fenomeno sociali dipende dalla mancata utilizzazione della liberta' creativa, cioe' dalla routine. La prevedibilita' dipende dalla comprensione della situazione corrente, piu' che dalla tecnica previsionale; tecniche elaborate possono produrre previsioni viziate (verosimiglianza spuria, dettagli non validi); la prevedibilita' e' completa per gli eventi, quasi completa per attivita' pianificate, relativa per attivita' di routine, nulla per le singole decisioni individuali. Le ipotesi della prevedibilita' alla fine possono essere solo tre: crescita (uguale, maggiore, minore), stabilita', declino (uguale, maggiore, minore).

6.
Secondo Antonella Besussi (La societa' migliore, vedere anche la relativa scheda bibliografica in questo sito), il riformismo:
- puo' ispirarsi al desiderio di ripristinare un ordine decaduto o di far progredire un ordine bloccato: in tal senso e' continuista (riformare per preservare, pag.13);
- puo' essere peggiorista (restituire il mal tolto, pag.13);
- e' un progetto a spizzico (Popper, pag.14 nota).
Ragioni filosofiche a favore del migliorismo (William James, pag.14 nota) sono:
- l'anti-determinismo (il possibile come categoria della realta');
- il volontarismo morale (la speranza di mutamento non basta, servono anche le azioni);
- la medieta' (le rettifiche allo status quo non sono impossibili ma neppure inevitabili, il riformismo e' a meta' fra il pessimismo e l'ottimismo);
- la provvisorieta' (prospettiva anti-escatologica): i problemi non si possono risolvere una volta per tutte (pag.14);
- la visione empiristica della politica (pag.21): contano gli uomini e le donne come sono, qui ed ora.
Il riformismo puo' essere una soluzione:
- non antagonistica se migliora la posizione di alcuni lasciando invariata quella di altri (garanzie formali, pag.16);
- antagonistica, quando il suo intento e' di produrre simmetria fra esclusi ed inclusi distribuendo dotazioni: "non si tratta soltanto di far vedere qualcuno, ma di farlo giocare" (pag.17); la ridiscussione delle regole in questo caso e' la questione centrale.
Il rapporto fra il migliorismo e i suoi potenziali antagonisti puo' essere trattato con tre strategie:
- realistica (cercare il consenso degli antagonisti con la persuasione, distinguere fra loro la minoranza pregiudizialmente ostile da una maggioranza recuperabile, pag.52);
- utopistica (gli antagonisti sono nemici da sconfiggere, colpevoli, ecc.);
- centrata sulla riforma (decisioni non accettate trovano giustificazione se producono esiti accettabili per piu' persone, pag.50).
Il riformismo migliorista si caratterizza per:
- una interpretazione degli eventi sociali in termini di suffering situations (pag.27);
- la sovrapposizione di posizioni antagonistiche, parzialmente trattabili (pag.34);
- una prospettiva liberal, il new deal non e' socialismo ma un esperimento di riforma del capitalismo (pag.195)
- consequenzialismo (contano i risultati sociali in termini di riduzione della sofferenza e di inclusione, pag.26);
- pragmatismo: i mezzi sono piu' importanti dei fini, la politica e' responsabile anche delle procedure (e dei relativi costi) per ottenere un risultato;
- minimalismo (selezione di una classe di problemi, pag.34);
- sperimentalismo: il migliorismo e' caratterizzato da un atteggiamento non astensionistico, "i principi sono ragioni per vedere fatti: quando diventano ragioni per evitarli perdono il loro valore" (pag.29); l'astensionismo tratta invece le regole sociali come leggi naturali e premia chi e' "naturalmente" vincente, un'aristocrazia naturale (pagg.60 e 105);
- perfettibilita' dello status quo: il migliorismo ha fiducia nell'attivismo e nel gradualismo, rifiuta il catastrofismo, e' estraneo al monismo (pag.301) ed e' indifferente alle ideologie (il rifiuto del comunismo accomuna e divide conservatori e miglioristi: il conservatore vede la risposta ma non cio' che la produce, pag.191);
- possibilismo: il possibilismo si colloca oltre il realismo ed il probabilismo (cambiamenti innocui), ma prima dell'utopismo (cambiamenti impraticabili, pag.29 nota); il riformismo migliorista "si concentra sulla ricerca di soluzioni possibili (praticabili, anche se ancora intentate e/o controverse) quando le soluzioni probabili non garantiscono una efficace soluzione dei problemi" (pag.29);
- pluralismo come criterio metodologico sottostante (pag.311).
L'orientamento al migliorismo di principi e politiche puo' essere piu' o meno efficace, piu' o meno esplicito (pag.37).
Il migliorismo puo' essere quantitativo, la logica e' incrementale e vi e' un problema di soglia per fissare un minimo di risorse necessarie (pag.38).
Il riformismo migliorista e' umanitario: contano gli effetti sulle persone; e' un'etica della decenza sociale (pag.25) alla cui base e' il principio di non esclusione ("la giustizia e' il fine, la decenza il mezzo", pag.26): una societa' decente prevede solo inclusi e visibili, non prevede l'offerta disperata ("desperation bidding", pag.25) che e' invece caratteristica delle situazioni di sopravvivenza.
L'utilitarismo negativo e' implicito nel migliorismo: non si tratta di eliminare la sofferenza ma di minimizzarla; le sofferenze possono essere accidentali, inflitte deliberatamente, auto-imposte, conseguenza indiretta di eventi.
Il criterio e' sempre la sofferenza, che e' una condizione facilmente universalizzabile, comprensibile da chiunque non si ritenga invulnerabile (pag.200): la domanda di aiuto che deriva dalla sofferenza e' urgente, invece la felicita' e' un concetto manipolabile: "sofferenza e felicita' non sono moralmente simmetriche" (pag.24, nota).

7.
Sono politiche pubbliche, secondo Bruno Dente (Le politiche pubbliche in Italia), azioni di soggetti (attori) orientate alla soluzione di problemi collettivi, le decisioni riguardano il se (es. se fare o meno una legge), che cosa (i principi), entro quando (la tempistica, pag.173); i nessi sono temporali (sequenziali) e causali (di conseguenze, pag.265). La situazione reale è caratterizzata da un reticolo decisionale in cui ogni attore recita più ruoli (pag.271) e dalla dicotomia decisione/attuazione (pagg.15-16).
La democrazia ha un significato procedurale (partecipazione, autogoverno) ed uno sostanziale (soddisfare i bisogni dei cittadini, pag.12).
Il costituzionalismo metodologico confonde la descrizione della realta’ con la prescrizione (pag.11), ma l'efficacia di una decisone è data dalla sua capacità attuativa e non solo declaratoria (pag.61).
Le politiche possono essere (pag.18):
- regolative (di comportamenti);
- distributive (erogatorie);
- redistributive (di trasferimento da alcuni soggetti ad altri soggetti);
- costitutive (organizzative e procedurali);
- simboliche (credenze: la politica estera e molta legislazione penale hanno un carattere simbolico, pag.21).
Gli attori delle politiche pubbliche possono essere istituzioni preposte (anche subnazionali e sopranazionali), partiti (soprattutto “piazzando” loro uomini, pagg.29-30), magistrature, burocrazie, gruppi di interesse (istituzionali, economici, ecc.), esperti (pagg.26-27, 34, 107, 358).
Gli attori possono agire con razionalità (pag.396): economica (risorse), burocratica (ruoli e funzioni), scientifico-professionale, etica (solidarietà, volontariato), politica (consenso).
L’accumularsi di problemi porta alle decisioni di emergenza, che sono decisioni reattive anziché anticipatorie (pagg.41-43); inoltre alcune politiche determinano gli esiti di altre (es. le riforme istituzionali e la politica monetaria, pag.42).
Una decisione efficace raggiunge gli obiettivi voluti, una decisione efficiente riduce al minimo le risorse necessarie (pag.379, nota).
Politiche regolative-redistributive con una pluralità di attori e su questioni segmentabili, rischiano di diventare distributive e gli interessi privati dei diversi attori, nessuno dei quali è in posizione dominante, rischiano di prendere il sopravvento sugli interessi diffusi della collettività (interazioni logrolling, pag.380).
Bruno Dente individua quattro gruppi di politiche pubbliche (pag.14):
1) POLITICHE ISTITUZIONALI
- Politica estera: è "la più antica politica pubblica dello Stato" (pag.51) ed è interattiva (action/reaction ed esterno/interno, pag.51); gli attori sono politico-istituzionali ma anche gruppi, media, figure individuali, associazioni, organizzazioni internazionali (pagg.55-57).
- Politica militare, come politica di difesa, politica di sicurezza, ordine pubblico, (pag.66 e seguenti).
- Politica della giustizia ed influenza dei magistrati sulla politica (pagg.95-97).
- Politica della riforma istituzionale che è una superpolitica pubblica che spazia dalle riforme costituzionali alle autonomie locali all’autoriforma degli attori stessi del sistema politico.
- Politica di riforma amministrativa che riguarda l’economicità, l’efficienza, lo sviluppo per ministeri, enti pubblici, enti locali (pagg.141-142).
- Politica di riforma del governo locale.
Tali riforme possono essere sistemiche ma anche (e/o) partigiane (pagg.103-115), i contenuti possono essere regolativi e/o amministrativo-procedurali (pag.105), i partiti godono spesso di un “potere negativo” (chi vieta? Pag.110). La tesi del “paradosso della riforma” induce a soluzioni conservatrici (pagg.116-117).
2) POLITICHE ECONOMICHE
- Politica di bilancio
- Politica monetaria
- Politica fiscale (fortemente influenzata da esperti e lobbisti, pagg.214-215)
- Politica dell’agricoltura
- Politica industriale, che può essere strutturale, di reindustrializzazione, di riallocazione, di sviluppo di nuove industrie (pag.221). La politica industriale può avere logiche strutturali (di competitività generale) o di problem-solving (gestione di singole crisi, pag.224); fra gli strumenti utilizzati vi sono il credito all’esportazione, il protezionismo, la politica fiscale e la fiscalizzazione degli oneri sociali, con interventi che possono essere “di piano” o “a pioggia” (pag.233).
- Politica per il Mezzogiorno (pag.231).
- Politiche del lavoro, che comprendono (pag.237): politiche per la tutela della salute e dei diritti civili; politica del mercato del lavoro; garanzie del reddito in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vecchiaia; politica delle relazioni industriali e sindacali; politica dei redditi; politiche della flessibilita' (occupazione giovanile, donne). Talvolta assistiamo a scambi di provvedimenti e di risorse in materia fiscale, investimenti nel Mezzogiorno, equo canone, ecc. (pag.239); le politiche per l’occupazione possono essere erogatorie (incentivi), regolative (vincoli o loro abolizione), organizzative (orientamento e riqualificazione, pag.240).
Nelle politiche del lavoro giocano un ruolo sia i sindacati che gli esperti (pag.249) e la cultura giuridico-formalista spesso prevale su quella sociologica, con conseguente produzione di una legislazione torrentizia (pagg.240 e 251).
3) POLITICHE TERRITORIALI
- Politiche delle reti (energia, trasporti, telecomunicazioni).
- Politica urbanistica (trasformazioni fisiche del territorio, pianificazione, esternalità, pagg.260-261) ma anche politica urbana, che concerne invece più gli insediamenti ed il loro uso (pag.262).
- Politica ambientale che riguarda principalmente le esternalita' negative: inquinamento atmosferico, idrico, acustico, rifiuti (pagg.281 e 285); qui è rilevante il ruolo degli esperti, che peraltro sono spesso in conflitto fra loro (pagg.300-306), ma anche dei movimenti ecologisti e della magistratura (pagg.302-303). La politica ambientale si svolge a più livelli (comunitario, nazionale, regionale, locale) e spesso è vincolata alla soluzione pragmatica di problemi esistenti piuttosto che a determinare nuove possibilità (pagg.309 e 312).
- Politica della casa
- Politica dei beni culturali (archeologici, artistici e storici, ambientali, archivistici, librari, pag.328); i beni culturali come beni immateriali sono sia valori da proteggere (conservazione, politica regolativi) che risorse da sfruttare (uso, fruizione di massa, sponsorizzazioni, pagg.329-339).
4) POLITICHE SOCIALI
- Scuola e cultura
- Politica pensionistica e dei servizi (per gli anziani, gli invalidi, ecc., pag.349) che deve tenere conto di dinamiche demografiche, economiche e culturali (pag.356).
- Politica assistenziale, che storicamente va dalla beneficienza delle opere pie al sistema pubblico di sicurezza sociale (pag.384 e seguenti).
- Politica sanitaria che comprende molteplici temi: informazione, prevenzione, educazione, qualificazione, sanità veterinaria (pag.369 e pag.376), igiene alimentare, emergenze, salute nel lavoro e nello sport, tutela materno-infantile, anziani, disabili, tossicodipendenti.

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