Scheda bibliografica:

Argomenti filosofici sulla
GLOBALIZZAZIONE

Quello che segue è un elenco parziale di libri e testi che ritengo di segnalare alla lettura e che mi propongo di integrare via via con altri titoli, evidenziando per ciascuno i concetti secondo me piu' rilevanti. Altri riferimenti sono presenti nelle schede bibliografiche in questo stesso sito.


1.
Secondo Ethan B.Kapstein (Governare l'economia mondiale, cit.), il sistema internazionale e' caratterizzato da globalizzazione, innovazione, speculazione, deregolamentazione, e suggerisce l'immagine del casino', dove la fortuna incide sui risultati tanto quanto le capacita' professionali (pagg.37-40 e pag.217).
La globalizzazione dell'economia mondiale deriva dalla combinazione di progresso tecnologico, multinazionali, interdipendenza crescenti (pag.18) e viene definita dall'Autore come la "incapacita' dei governi di controllare il destino economico del proprio paese" (pag.11); il mondo appare privo di frontiere, gli stati sembrano incapaci di controllare i flussi transnazionali di beni, servizi e persone (pag.13), la nascita delle multinazionali dopo la 2'GM ha complicato ancora di piu' il quadro, facendo perdere identita' nazionale alle imprese (pag.18).
Il settore piu' globalizzato sembra essere quello finanziario, perche' fortemente condizionato dalla rivoluzione tecnologica che ha investito informazione e telecomunicazioni (pagg.16-17): di fronte alla globalizzazione finanziaria, che riduce le informazioni sulla sicurezza dei depositi bancari e aumenta il rischio di fallimenti bancari a catena (pag.35), gli stati hanno reagito sviluppando forme di cooperazione internazionale basate sul controllo nel paese di origine (pag.14), dove il ruolo degli stati (rispetto ad altre entita' sovranazionali o multilaterali) ne esce rafforzato (pag.23). I governi e le loro funzioni sono pero' sottoposti a costrizioni (interne ed esterne), mutevoli nel tempo (pag.26).
L'Autore evidenzia come la criminalita' occupi un ruolo rilevante nella finanza internazionale (pagg.60-62, 140, 203, 76 e seguenti), cui fin dal 1974 i governatori delle principali banche centrali risposero costituendo il 'Comitato di Basilea' (pagg.66-67, 137, 188, 212, 149 e seguenti).
Dove intervengono gli stati, osserva l'Autore, questi riescono sempre a prevalere sulle forze transnazionali: gli stati-nazione possono pertanto prevalere sulla globalizzazione (pagg.194 e 215; "rischio ponderato" come principio di adeguatezza patrimoniale, pag.141 e seguenti); i motivi di divisione riguardano la responsabilita' della vigilanza: controllo del paese di origine o controllo del paese ospitante (pag.206).
Il multilateralismo, almeno nel campo del controllo sulla finanza internazionale, sembra non essere un modello efficace di governo mondiale, a meno che non vi sia un paese-guida che faccia rispettare gli accordi (pagg.211 e 216; tale ruolo finora e' stato ricoperto dagli Stati Uniti, pag.225). I rapporti di potere e di sovranita' fra stati nazionali ed organizzazioni transnazionali non costituiscono un gioco a somma zero (pag.26); per evitare crisi finanziarie analoghe a quella degli anni Trenta (pagg.36-37), gli stati hanno costruito una struttura a due livelli, dove in alto sta la cooperazione internazionale e in basso il controllo nel paese di origine (pag.218): con questo modello si cerca di regolamentare anche settori diversi da quello finanziario, come quello delle telecomunicazioni e l'inquinamento delle coste causato dalle petroliere (pagg.219-220).
L'inquinamento e le crisi finanziarie costituiscono vere e proprie esternalita' transnazionali, effetti indesiderati che derivano da guasti del sistema; una vigilanza sovranazionale garantirebbe forse risultati piu' efficaci, ma "la cooperazione internazionale basata sul controllo nel paese di origine permette agli stati di godere dei vantaggi dell'interdipendenza conservando, al tempo stesso, la responsabilita' nazionale per il settore in questione" (pag.221; vedere anche le considerazioni dell'Autore a pag.31). Il punto debole del modello in questione, che armonizza "dal basso verso l'alto" e non viceversa (pag.31), riguarda l'applicazione interna dei criteri internazionali, con conseguenti polemiche e controversie ogni volta che si verificano incidenti (pag.220); le fonti di tensione, osserva in particolare l'Autore, sono tre (pag.222):
- le differenze normative fra gli stati;
- le discussioni fra stati su come dividersi le responsabilita' di vigilanza e di regolamentazione;
- le tensioni fra organizzazioni internazionali (es. Comitato di Basilea) e regionali (es. Unione Europea, Nafta, Apec, pag.165 e seguenti) su chi stabilisce le regole.
Il controllo nel paese di origine comporta, per il sistema finanziario, la clausola di prestatore di ultima istanza (pag.69), non sempre riconosciuta (Banco Ambrosiano, pag.76 e seguenti).
Problemi da risolvere, secondo l'Autore, sono (pag.224):
- il potenziamento delle capacita' di vigilanza degli stati di origine piu' deboli (pag.33);
- la lotta al protezionismo (che aumenta la competitivita' fra gli stati-nazione, pag.20);
- l'utilizzo dei mercati per regolamentare le aziende internazionali.
I mercati, precisa l'Autore, possono fornire servizi normativi: l'accordo di Basilea individua nelle agenzie di rating e nelle banche di investimento fonti importanti di informazione, che rendono non necessari grandi apparati burocratici internazionali (pag.225).
Al rischio valutario derivante dal crollo del regime dei cambi fissi di Bretton Woods (pag.57) si sommarono le crisi petrolifere degli anni Settanta (pagg.81, 85 e seg., 100 e seg.) che "portarono ai piu' grandi trasferimenti di reddito a breve termine della storia" (pag.50), rendendo necessari interventi finanziari immediati a favore dei paesi piu' poveri che furono allora realizzati dalle banche internazionali, opportunamente incentivate dai governi occidentali con "lettere di patronage" e modifiche normative (pagg.84, 94, 103, 107 e seguenti).
In taluni casi, crisi del debito verificatesi per shock esterni, eccesso di prestiti o fallimento delle politiche di adeguamento, resero necessaria la definizione di nuovi termini di rimborso (pag.111 e seguenti); la strategia consisteva allora nel gestire le crisi a breve termine per stabilizzarle a lungo termine con responsabilita' crescenti affidate ad istituzioni internazionali (FMI, pag.117 e seguenti).
Il controllo dell'allocazione del credito e' uno strumento importante delle politiche economiche degli stati-nazione (pag.32), ma altrettanto importante e' la prevenzione delle crisi finanziarie (piu' ancora della loro gestione, pag.41): qui esigenze di sicurezza e solidita' (regolamentazione) si scontrano con quelle di competitivita' (liberalizzazione, pag.42; protezionismo, pag.47).

2.
Le tre rivoluzioni industriali (carbone, petrolio, informatica) sono descritte da Jeremy Rifkin a pag.110 del libro La fine del lavoro. Nel lungo periodo i tassi di disoccupazione sono crescenti (pag.35): agricoltura, industria e servizi eliminano posti di lavoro in quantita' di gran lunga superiore rispetto ai posti creati dal settore emergente della conoscenza (pagg.17, 71, 272), che peraltro richiede competenze specialistiche che impediscono qualsiasi programma di riaddestramento dei disoccupati (pag.75); gia' nel 1963 J.Roberto Oppenheimer costitui' una "commissione sulla triplice rivoluzione": cibernetica, armamenti, diritti umani (pagg.142-143).
Il disagio sociale creato dalla disoccupazione diffusa favorisce partiti politici estremisti (pagg.38 e 323), vi e' correlazione fra disoccupazione e criminalita' (pag.336 e seguenti): l'Autore evidenzia come l'attuale momento storico si caratterizzi per conflitti a bassa intensita' dove la distinzione tradizionale fra guerra ed attivita' criminale va sempre piu' scomparendo (pagg.347-348). I microconflitti e l'estremismo politico e religioso aumentano con la disoccupazione tecnologica, col minore potere d'acquisto (specie della classe media) e con le minori disponibilita' finanziarie degli stati; criminalita' e disoccupazione sono strettamente correlate (pagg.454-455).
La perdita dell'occupazione formale di massa costituira' forse il maggior problema sociale del XXI secolo (pag.16, pag.289 e seguenti); il valore di mercato del lavoro e' stato finora la misura del valore degli individui: con processi di crescente automazione occorrera' trovare altri modi "per definire il valore degli individui e le relazioni sociali" (pag.19).
La fine del lavoro e' caratterizzata da processi di automazione laborsaving, di re-engineering (particolarmente accaniti verso il middle management, pag.29, pag.279 e seguenti, pag.454), di outplacement (pag.25), di downsizing (riduzione della dimensione delle imprese, pag.158).
Secondo Marx, l'aumento dei disoccupati contrae il potere d'acquisto e quindi la domanda dei beni prodotti (pag.44), contrariamente alla tesi dell'effetto a cascata sostenuta, ad esempio, da J.B.Say secondo cui l'offerta crea la propria domanda (pag.42).
Il XX secolo segna la metamorfosi del consumo, da vizio a virtu' (pag.47 e seguenti); il credito al consumo fu fondamentale per im porre una cultura edonistica negli Stati Uniti, il cui new deal si caratterizzo' come un insieme di programmi di opere ad alta intensita' di manodopera (pag.65 e seguenti); ma fu l'economia di guerra a dominare con un "complesso militare-industriale (...) che, se avesse costituito una nazione a se' stante, si sarebbe collocato al tredicesimo posto nella graduatoria dei paesi industrializzati" (pag.68). La guerra fredda, il Vietnam contribuirono all'espansione dell'economia nonostante nuove tecnologie (pag.69).
Gli scioperi intensi del dopoguerra americano avevano per oggetto aumenti salariali, ma ai sindacati sfuggi' il pericolo per l'occupazione della crescente automazione (pagg.120-121, 147 e seguenti), di cui le prime vittime furono gli afroamericani (pag.128 e seguenti). La riduzione della spesa pubblica per contenere il crescente debito pubblico porta a re-engineerizzare il pubblico con l'obiettivo di accrescere la produttivita' riducendo posti di lavoro (pag.79).
La "visione utopistico-tecnologica" e' analizzata dall'Autore a pag.84 e seguenti (dalla frontiera del West alla frontiera tecnologica, pag.99); il lato oscuro della visione tecno-utopistica emerge con l'utilizzo delle bombe atomiche in Giappone, la corsa allo spazio durante la guerra fredda ridara' nuovo valore all'utopia tecnologica, che poi verra' frenata ancora dai disastri del Challenger, di Chernobyl, dall'incidente al reattore di Three Mile Island, dall'inquinamento crescente (pagg.103-104).
Il termine efficienza emerge nel XIX secolo in termodinamica; la sua applicazione nel processo economico risale a F.W.Taylor (1895) per significare "il massimo rendimento ottenibile nell'unita' di tempo con il minimo dispendio di energia, lavoro e capitale" (pag.95). I ritmi dell'automazione pero' sono diversi da quelli della natura, e provocano "sovraccarico" (stress, pag.303 e seguenti).
I giapponesi realizzarono nel dopoguerra un modello di produzione post-fordista: l'impresa (inizialmente la Toyota) non assomigliava piu' ad una burocrazia militare (con una struttura gerarchica piramidale discendente), ma consisteva in una lean production, una produzione leggera caratterizzata da un approccio cooperativo di gruppo (pag.164 e seguenti, pag.299 e seguenti), just-in-time piuttosto che just-in-case come quello americano (pag.170). Le tecnologie informatiche aiutano ancor di piu' organizzazioni del lavoro a rete o a matrice piuttosto che piramidali (pag.173).
I maggiori cambiamenti tecnologici stanno investendo l'agricoltura (pag.183 e seguenti), con un passaggio epocale dalle pirotecnologie (utilizzo del fuoco per creare nuovi materiali) alle biotecnologie (biologia molecolare, protetta giuridicamente dai brevetti, che considera le specie come contenitori di programmi genetici; si veda l'analisi dell'Autore sulla vaniglia a pag.206).
Cambiamenti tecnologici investono l'industria automobilistica, che e' la maggiore attivita' industriale del mondo (pag.215), come pure il settore siderurgico (pag.219) e quello tessile (pag.231). Anche i servizi hanno subito profonde trasformazioni, dal centralino elettronico alla divisione elettronica della posta, dagli uffici automatici (bancomat, pos, ecc.) agli uffici virtuali del tele-lavoro (pagg.234-235, 238, 241 e seguenti); scanner e codici a barre elettronici hanno consentito la diminuzione dei cassieri, terzo gruppo di impiegati negli Stati Uniti dopo le segretarie (rese inutili dai computer, pag.245) e i contabili (pag.252).
L'automazione elettronica si sta espandendo anche alla ristorazione (pagg.254-255), fino alla spesa elettronica (pag.256 e seguenti; spiazzamento tecnologico, pag.453).
L'automazione ha consentito un maggiore controllo sui processi produttivi, ed una maggiore produttivita'; nella produzione pianificata il lavoratore agiva in una fase specifica del processo produttivo, nella produzione programmata funge soltanto da osservatore (pag.297). L'introduzione dei computer, osserva inoltre l'Autore, sembra aver aumentato piuttosto che ridotto il tempo di lavoro (pagg.355-356).
I processi di automazione stanno investendo anche il Terzo mondo (pag.330 e seguenti), il lavoro contingente (temporaneo, parziale e outsourcing) e' il nuovo esercito di riserva (pag.309 e seguenti); essere disoccupati significa "sentirsi improduttivi e privi di valore" con conseguenze spesso disastrose per la salute (pag.317 e seguenti).
Il controllo del capitale finanziario e dei mezzi di produzione non garantisce piu' oggi il controllo dell'attivita' economica, che e' nelle mani dei knowledge workers (pag.285 e seguenti). Il maggior capitale d'investimento americano sono i fondi pensione (pag.364).
Informazione e comunicazione non conoscono confini, ne' frontiere (pag.377), l'Autore evidenzia come il ruolo geopolitico e quello di "datore di lavoro di ultima istanza" (pag.378) dello stato nazionale si stiano affievolendo. La soluzione ai problemi della mancanza di lavoro sta nel terzo settore, nelle attivita' di volontariato (economia sociale, pag.381 e seguenti).
La partecipazione al terzo settore, secondo Rifkin, e' l'alternativa alla cultura criminale (pag.394); comunita' di interesse ridurranno la necessita' di intervento dello Stato in materia di assistenza sociale.
Il futuro, secondo l'Autore (pag.195), sara' caratterizzato da:
- riduzione del settore pubblico;
- globalizzazione di quello privato;
- comunita' locali forti ed autosostenentesi.
Concetti basilari sono quelli di network cooperativo (pag.396), settore indipendente o terzo settore (pag.433), volontariato (pagg.403, 431, 416 e seguenti), "salario ombra" (deducibilita' fiscale, pagg.405 e seguenti, 423 e seguenti), salario sociale, reddito minimo garantito, riduzione dell'orario di lavoro (pagg.421-422).
Le NGO sono soggetti importanti per creare occupazione, ma anche per le rivoluzioni democratiche e per la cooperazione internazionale (pagg.434, 439, 446 e seguenti).

Economia di mercato
Economia sociale
produttivita'
relazioni umane
disoccupazione tecnologica (lavoro umano inutilizzato)
centralita' del lavoro umano
settore privato
terzo settore
imprese economiche
ONG
conflitti
cooperazione


3.
Naomi Klein (No Logo) propone una lettura critica della globalizzazione, un "villaggio globale" caratterizzato dallo sfruttamento dei paesi poveri da parte delle imprese multinazionali (pag.18). La dottrina dell'era industriale era produrre beni; dalla meta' degli anni Ottanta, le grandi aziende hanno cambiato priorita', che e' diventata quella di produrre marchi e non prodotti (pag.349 e seguenti), cambiando l'attivita' dalla produzione al marketing, prima con fusioni e sinergie fra imprese riducendo le loro dimensioni (pagg.25 e seguenti, 147 e seguenti). Fu l'amministrazione Reagan negli anni Ottanta a smantellare negli Stati Uniti la legislazione anti-trust (pagg.168-169).
Col tempo, i marchi sono divenuti poi significati e non piu' semplici attributi dei prodotti (pag.147 e 155; "utopie pubbliche privatizzate", pag.162); in queste condizioni, il potere del consumatore e' nel suo punto di massima debolezza (pag.166). Il marchio diventa il fine della grande impresa moderna, e la pubblicita' il mezzo per la sua diffusione nel mondo (pag.30 e seguenti, branding, allucinazioni collettive, pag.41 e seguenti); l'abbigliamento, gli edifici, i mezzi pubblici di trasporto sono divenuti veicoli del marchio (pag.50 e 58), il quale finisce col sostituirsi alla cultura stessa nelle sue attivita' di sponsorizzazione, con la produzione di eventi in proprio (pag.52 e seguenti) e dando origine ad una terza cultura: "un universo autoreferente di persone-marchio, prodotti-marchio e mezzi di comunicazione-marchio" (pag.86).
La ricerca di cio' che fa tendenza (essere cool), osserva, e' sinonimo di insicurezza, ma e' economicamente e politicamente molto vantaggiosa: si arriva a rendere cool le aziende, all'interno ed all'esterno, e persino i paesi (Tony Blair come "stilista di una nazione", pag.98). I marchi, e tutto cio' che fa tendenza, crea valore (pag.30 e 99).
Il valore aggiunto passa dalla produzione materiale ai creatori di marchi, i fornitori divengono i produttori principali, al minor costo (pag.174 e seguenti); si sviluppano zone industriali di esportazione sulla falsa promessa dell'industrializzazione (pag.181 e seguenti, pag.190 e seguenti; miraggio dello sviluppo, pag.209 e seguenti e pag.317), creando invece solo "occupazione temporanea e a breve termine" (pag.200), precarieta' permanente (pag.218 e 226), lavoro non retribuito (pag.231), lavoro a prestito (interinale, pag.233 e seguenti), sfruttamento minorile (pagg.304-308), incidenti sul lavoro (pagg.310-315), ma anche superpagati amministratori delegati a tempo e testimonial (pagg.243-244 e 306).
Non vi e' piu' correlazione fra profitto ed aumento dei posti di lavoro (pag.246), ma vi e' una doppia connessione: produzione dei beni di consumo in condizioni repressive, preponderanza dei marchi nella nostra cultura (pag.313).
Le aziende multinazionali sono le piu' potenti forze politiche del nostro tempo (pagg.318-319), il loro strapotere e' riuscito a cancellare secoli di riforme democratiche (pagg.320-321), e tuttora non esiste una legislazione internazionale adeguata (pag.391): la multinazionale e' come uno stato-nazione che si autoregola , occorre invece che la regolamentazione delle aziende multinazionali torni di dominio pubblico (pagg.412-413).
Mentre scompare lo spazio culturale libero dai marchi(pag.67), cresce pero' il desiderio di spazio metaforico ("liberazione, evasione, liberta' senza confini", pag.90); l'Autrice rileva anche il progressivo "cambiamento di interesse" da parte degli studenti universitari, dalle discriminazioni (identita', razza, sesso) ai diritti del lavoro (anticorporatismo, pag.20). Ma come esistono parchi e riserve naturali, suggerisce l'Autrice, si potrebbero ipotizzare spazi liberi da marchi (pag.141).
La resistenza politica e' diventata oggi resistenza antimultinazionale (pag.112, culture jamming, cool hunter, "interferenza culturale", pag.248 e seguenti, pagg.270-273), commettendo pero' l'errore di considerare alternativo tutto cio' che e' anticommerciale, magari perche' brutto o difficile; ma la pubblicita', osserva l'Autrice, e' uno "sport estremo" (pag.116), che ora entra anche nelle scuole e condiziona l'educazione stessa, peraltro senza suscitare dibattito nella pubblica opinione (pagg.121-128-137 e seguenti), la "cultura della strada" viene mercificata oppure criminalizzata (pag.285), messaggi pubblicitari distorcono importanti ideali (ecologia, femminismo, recupero del degrado urbano, pag.344).
I movimenti "riprendiamoci le strade" sono analizzati da pag.286 e seguenti (rivendicazione, pag.299). Il movimento femminista e' stato il precursore degli attuali critici della pubblicita' (pag.259); l'Autrice descrive le campagne anti-marchio ed anti-aziendali a pag.331 e seg. e pag.385 e seg., campagne che pero' talvolta sono caratterizzate da un doppio metro di giudizio (pag.393; fenomeno del riflettore, pagg.408-409).
L'utopia razionalista di Schlink e Chase prevedeva ricerche scientifiche sui prodotti, per orientare le scelte dei consumatori (pag.281). Invece, ai consumatori vengono negate le informazioni sui processi produttivi, non vi e' piu' legame fra marchio e luogo di produzione, viene presupposta l'incomunicabilita' fra consumatori a Nord e produttori a Sud del pianeta (pagg.327-328 e 372).

4.
Samir Amin (Il capitalismo nell'era della globalizzazione, cit.) individua un ciclo postbellico (1945-1990, pag.77) ed osserva come dal 1990 il sistema mondiale sia caratterizzato da disordine globale, dove "l'egemonia e' l'eccezione alla regola" (pag.17).
Il controllo del centro sulla periferia (di Stati Uniti, Europa e Giappone su Asia, Africa, America Latina, Europa orientale) e la ricerca di soluzioni a breve termine per gestire le crisi (anziche' risolverle) aggravano ancor piu' la situazione globale di caos e di vulnerabilita', rendendo necessario l'uso della forza per contrastare le forze centrifughe (pagg.57-58, 81; la Nato e' uno degli strumenti di gestione politica del caos, pag.159). La dipendenza della periferia dal centro raramente si tarduce in un effetto di traino (pag.141); l'Europa, osserva Amin, piu' che un'economia integrata e' un "mercato preferenziale" e la sua unificazione politica non e' inevitabile (pagg.144-146 e 155).
L'Autore individua cinque monopoli (del centro rispetto alla periferia): tecnologico, finanziario, risorse naturali, media e comunicazione, armi di distruzione di massa (pagg.18-19); il capitale genera le crisi, le puo' gestire ma non risolverle, in quanto i flussi finanziari generati dai movimenti speculativi di capitali superano quelli derivanti dagli investimenti produttivi e dal commercio internazionale (pagg.119-121), e la volatilita' dei tassi di cambio produce disordini macroeconomici ed inefficienze microeconomiche (pag.55).
Nel libro, Amin discute il significato di alcuni concetti:
- Popolo, osserva Amin, e' un concetto generico, e neppure la lingua sviluppa necessariamente un senso di comunita', essendo la pluralita' la norma (in tal senso, non esistono minoranze a livello globale, pag.83); lo stato-nazione e' un prodotto storico, limitato geograficamente (Francia e Inghilterra) anche se poi imitato su scala planetaria (pag.86 e seguenti).
- Il concetto di nazione si fonda sulla contraddizione fra universalismo (della specie umana) e particolarismo (delle singole comunita', pag.102); la sua natura viene spesso descritta in termini biologici anziche' storici (germanita', arabicita', negritudine, pagg.112-113), creando cosi' le condizioni per l'instaurazione di regimi neofascisti (pagg.124-126).
- Il concetto di sviluppo e' ideologico: giudica i risultati secondo criteri a priori (pag.30); la democrazia, inoltre, secondo l'Autore e' parte del processo di sviluppo, e non deriva da esso (pag.173).
- Il concetto di mercato (caratterizzato da competitivita') va ben distinto da quello di capitalismo, che implica invece limiti alla competitivita' attraverso interventi dello stato (a garanzia del monopolio della proprieta' privata, pag.30); il capitalismo e' "una versione non ottimale del mercato" (pag.31), e da' priorita' ad interventi di breve termine: il lungo termine, se necessario, viene lasciato agli interventi dello Stato (pag.62). L'espansione del commercio, osserva ancora Amin, e' una conseguenza della crescita, e non viceversa; inoltre, i vantaggi di una maggiore produttivita' superano i vantaggi derivanti da un regime di concorrenza e di libero scambio (pagg.44-45).
La globalizzazione investe le sfere del commercio, della produzione (vi e' un Terzo Mondo industrializzato), della finanza, di tutta la vita sociale (pag.50). I servizi sociali privatizzati sono piu' inefficienti di quelli pubblici, e sono sottratti al controllo democratico (pag.51): la minaccia del comunismo fu la premessa per lo sviluppo dello stato sociale, che e' il prodotto del compromesso socialdemocratico fra capitale e lavoro (pag.53 e 117); l'ideologia sovietica, secondo Amin, fu "una variante dell'ideologia borghese" (pag.164), una forma di capitalismo senza capitalisti (pag.168).
Il deficit americano che finanzia le ingenti spoese belliche, osserva l'Autore, viene sostenuto dal dollaro come valuta internazionale (pagg.53, 56, 68), il quale a sua volta richiede l'esercizio di un ruolo egemone da parte degli Stati Uniti (pag.96). I trasferimenti finanziari verso gli Stati Uniti, osserva ancora Amin, sono facilitati dal mercato globale (pag.129).
L'Autore esprime un giudizio favorevole, positivo, sulla globalizzazione, la quale pero' e' compatibile con visioni alternative (neoliberismo, socialismo, pag.97).
La globalizzazione umanistica, secondo Amin, richiede: disarmo globale, equita' di accesso alle risorse naturali (attraverso un sistema fiscale globalizzato che riduca sprechi ed ineguaglianze), sostituzione degli attuali organismi di gestione economica mondiale (FMI, Banca mondiale, GATT-WTO, ecc., pag.41 e seguenti) con nuove istituzioni, un parlamento mondiale (pagg.20-21), una valuta universale (pag.39). Lo stato mondiale e' divenuto una necessita' storica (pag.101), le riforme devono realizzarsi a tre livelli:
- locale ("sganciamento" come priorita' dello sviluppo interno sulle relazioni esterne, pag.59, e come regolamentazione dei trasferimenti di capitale, in particolar modo quelli speculativi, pag.140);
- nazionale (confederazioni regionali in sostituzione degli attuali stati nazionali, pag.74);
- globale (mondo policentrico come alternativa alla sindrome di TINA: There Is No Alternative, pagg.63 e 179).
Un mondo policentrico richiede interdipendenza negoziata, ottenuta grazie ad organizzazioni politiche regionali piuttosto che con gli stati-nazione: l'Autore ipotizza sistemi monetari regionali caratterizzati da stabilita' dei tassi di cambio, un sistema fiscale mondiale ed un parlamento mondiale che possa coniugare universalismo e diversita' (pag.130).

5.
Nel Novecento, osserva Andrew Gamble (Fine della politica?), vi e' stata la tendenza degli stati a coincidere con le nazioni (pag.47); il mercato globale impone invece un ordine cosmopolita che confligge sia con l'ordine territoriale (sistema internazionale degli stati) che con quello del sistema di governo transnazionale, ma al contempo si fonda su istituzioni ad esso esterne che derivano dagli stati-nazione (pagg.49-50). Il mercato globale non e' recente ma esiste da secoli (pagg.49-52).
La modernita' si caratterizza anche per la celebrazione del nuovo, sia in senso ottimistico che pessimistico, fautori o contrari a tendenze che comunque appaiono esterne alla nostra volonta'; tutti gli scritti sulla "fine" presuppongono che i problemi non si possano risolvere (pagg.100-101).

politica

fato (figli della luce)

iniziativa contingenze
innovazione eredita' storica
possibilita' vincoli

Il fallimento del comunismo e' dovuto alla "sua spericolata fiducia nella capacita' della volonta' politica di rifare la societa' senza tener conto dei vincoli esistenti", in contraddizione con lo stesso Marx (pagg.108-113); sono vincoli ad esempio i diritti individuali.
Il "fato" moderno ha tre dimensioni (pag.106): la societa' unidimensionale, il mercato globale, lo stato tecnologico; ma le disparita' del mercato globale e le minacce ecologiche sono problemi politici (pag.116).
la politica, osserva ancora l'Autore, ha una funzione essenziale nel formulare i principi che ordinano i mercati economici (pagg.109 e 111): regionalismo aperto (pag.115), principio di sussidiarieta' (pag.97, nota), nuovi standard di responsabilita' (pag.119), governo transnazionale (pag.120).
Si vedano altre considerazioni dell'Autore negli argomenti filosofici sulla politica e sulla storia in questo sito.

6.
Anche secondo Pierre Carniti (La societa' dell'insicurezza) il processo di globalizzazione ha origini e sviluppi remoti: micenei, fenici, veneziani (pagg.10-11). La rivoluzione geopolitica da Colombo porta alla mondializzazione; la globalizzazione differisce per la liberta' di circolazione dei capitali e delle merci, e per la diminuzione delle distanze (accelerazione nelle velocita' di spostamento di uomini e cose, di calcolo e di trasmissione delle informazioni, pagg.36, 41 e seguenti). Colombo e Magellano ingrandirono il mondo; le tecnologie moderne e contemporanee lo hanno rimpicciolito (treni, aerei, automobili, telefono, televisione, computer, pag.32).
Grazie alle nuove tecnologie (rivoluzioni elettronica ed informatica), il potere finanziario e' riuscito a diventare extraterritoriale, il potere economico ha condizionato quello politico, che e' ancora vincolato territorialmente (governi e parlamenti nazionali, sindacati, pagg.14-17-25). Laddove pero' non sono disponibili luce elettrica e telefono, il processo di globalizzazione si ferma (pag.43); i flussi migratori e gli scambi commerciali del periodo 1890-1914, osserva Carniti, superavano quelli odierni (pag.107).

certezza

incertezza (figli della luce)

familiarita' estraneita'
dentro fuori
qui la'
vicino lontano
confini geografici extraterritorialita'
comunita' locale, dimensione nazionale globalizzazione
economia reale economia finanziaria

La globalizzazione e' accompagnata da tre disuguaglianze, tutte in crescita (pagg.20 e 105): interna ai paesi ricchi, interna ai paesi poveri, fra paesi ricchi e paesi poveri; la poverta' non e' piu' solo connessa alla disoccupazione, nei paesi ricchi sta emergendo la nuova figura dei "working poors" (pagg.23 e 66).
La riduzione del prelievo fiscale, osserva Carniti, comporta la compressione dei "diritti sociali", che puo' avvenire con tagli ma anche con le privatizzazioni che alla fine producono lo stesso risultato, e cioe' maggiori disuguaglianze (pag.27); per contro, non e' affatto dimostrato che la bassa tassazione produca una crescita elevata (pag.29).
Deregolamentazione, flessibilita', precarizzazione, regresso dell'economia pubblica, declino della politica caratterizzano la societa' dell'incertezza, che diventa imprevedibile sia nelle dinamiche individuali che in quelle sociali (pag.55); quando, si chiede Carniti, le scelte volontarie degli individui possono essere chiaramente distinte da circostanze involontarie ? (pag.79)
Carniti individua alcune asimmetrie:
- fra poteri politici territoriali e poteri economici svincolati dal territorio (pagg.51-59);
- fra lavoro locale e capitale globale (pag.58).
La fine del comunismo ha accelerato i processi di globalizzazione delle economie di mercato, ma ha anche creato nuove divisioni (separatismi, nazionalismi, fondamentalismi, pag.71); Carniti contesta la tesi del "pensiero unico", le versioni del liberalismo sono molte (pag.87), liberalismo e democrazia possono anche non coesistere (Kant e Rousseau, pagg.89-90); la democrazia necessita del libero mercato, non e' vero pero' l'inverso (pag.92).
Democrazia e liberta' politica richiedono "un'equa sicurezza materiale per tutti" (pag.56); in politica, infatti, non basta solo avere ragione, bisogna farla valere (pag.72), ed inoltre una funzione della politica e' quella di correggere il mondo, oltre che amministrarlo: le politiche variano col mutare dei contesti storici, sono i principi che vanno tenuti fermi (pag.93).
Alla globalizzazione dell'economia occorre far seguire la globalizzazione della democrazia (pag.94); la globalizzazione e' infatti una risorsa, che comporta rischi ma anche opportunita' (pag.31; "seconda modernita' ", pag.59).
La storia puo' insegnarci solo cio' che non si deve fare, il da farsi va inventato, e' il compito della politica (pag.95). Le due grandi minacce del nostro tempo sono quella ambientale e quella derivante dalla natura di gioco d'azzardo del sistema finanziario, caratterizzato da livelli crescenti di volatilita', incertezza, speculazione; entrambe le minacce sono senza nemici (pag.98).
I paesi, osserva ancora Carniti, non sono aziende: la competitivita', intesa come saldo della bilancia commerciale, e' meno importante della coesione sociale, la quale si fonda su "istruzione, salute, lavoro, sicurezza, ambiente" oltre che sulla produttivita' (pag.111); gli stati scompaiono per guerra o rivoluzione, mai per un'Opa (pag.110). Ed in conflitto non e' un problema per la democrazia, ma e' il suo stesso fondamento (pag.116).

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