Carlo
Pisacane nasce a Napoli il 22 agosto 1818, dal duca Gennaro e da
Nicoletta Basile de Luna. La morte del padre quando è ancora in tenera età
(1826),
spingono
la madre a risposarsi col
generale Michele Tarallo
(1830) per risolvere le precarie
condizioni economiche. A 14 anni Carlo entra allora alla Nunziatella, Collegio
Militare della Nobiltà Borbonica. Materie fondamentali di studio sono la storia e
la dottrina Militare, assieme alle dottrine sportive e alla
educazione religiosa.
Carlo sostiene nel 1838 gli esami di licenza ed è settimo su 15
candidati aspiranti ufficiali. La materia in cui eccelle è la
matematica. Viene perciò mandato a Gaeta come aiuto tecnico incaricato
della costruzione della nuova ferrovia Napoli-Caserta. Nel 1843 viene
promosso tenente e richiamato a Napoli. Il suo antico amore giovanile per Enrichetta Di Lorenzo
(12enne all'epoca http://www.url.it/donnestoria/testi/trame/enrichetta.htm
) si è ripresentato tardi perché lei
ora è
già sposata e madre di tre bambini. A Napoli ed in tutt'Italia s'esaltano in quegli anni le azioni di Garibaldi in Sud America (1846) per
l’indipendenza di quei popoli. Carlo Pisacane firma, insieme ad altri
ufficiali, la sottoscrizione per "una sciabola d'onore" da
regalare all'eroe. Il 12 ottobre Carlo subisce
un'aggressione, il cui movente non viene mai compiutamente chiarito. Si
disse anche intimidatoria da parte del marito di lei per il
legame che egli ha di nuovo stretto con Enrichetta. Ai
primi di febbraio (1847) Carlo ed Enrichetta lasciano Napoli, imbarcandosi sul
postale francese Leonidas diretto a Marsiglia. Alla fermata di Livorno riescono a depistare la polizia del
Granducato, ma da quella napoletana saranno a lungo seguiti e perseguitati. Il 4 marzo 1847 giungono a
Londra, sotto falso nome: sono Enrico e Carlotta Lumont.
Enrichetta era sposata con un uomo molto più
anziano di lei e dispotico, Dionisio Lazzari, dal quale aveva avuto tre
figli. A questi si fa ascendere il tentato omicidio di Pisacane per
mezzo di sicari il 12 ottobre 1946. Quando l’anno dopo fuggono
Enrichetta aspetta un figlio da Pisacane. A Londra prendono alloggio nel
povero quartiere di Blackfriars Bridge (il ponte dei frati neri*) a metà
strada fra The Tower e il Mall.
*Blackfriars Bridge built in 1764, demolished
in 1863. The Black Friars were Dominican monks who set up a priory in
the area in 1221. The name distinguished them from the adjacent priory
of Carmelite monks, the White Friars, at Bridewell. Charles Dickens
(1812/1870) passava spesso da li mentre lavorava alla fabbrica Warren’s
Boot Blacking per andare a visitare suo padre alla prigione Marshalsea,
a Southwark (oltre il Tamigi).
Lasciato il “tranquillo ma povero” esilio
Inglese si trasferiscono in Francia dove il governo di Luigi Filippo li
chiuse in carcere (28 aprile 1847) "per essere entrati con falsi
passaporti, ma in realtà nell’attesa della querela di parte da Napoli"
(Romano 1933b). Non essendo giunta entro i termini la querela e andati a
vuoto i tentativi di riportare lei sulla “retta via” i due, in precaria
continuazione di mezzi vennero scarcerati.
"Cara Madre,
Sono rimasta meravigliata ed inorridita di ciò che si pretende da me; mi
condannate per avere io lasciato i miei figli che hanno un nome, una
fortuna, delle persone che possono prenderne cura come la loro madre
istessa, e poi mi si propone, anzi si esige, che io abbandoni il caro
figlio dell’amore a cui sono per dare la luce, e che non avrà né nome,
né fortuna, per cui ha più dritto all’amore mio ed alle mie
cure!"(Romano 1933a).. Da poco scarcerato, il 31 maggio 1847 Carlo
scriveva da Parigi all’amico Giovanni Ricciardi : "l’amore di madre è in
lei fortissimo (..) i disagi a cui con me va soggetta le fanno temere la
perdita di un pegno che porta nel suo seno, e che ci lega, queste due
ragioni, l’indurrebbero a ritornare a Napoli ed a lasciarmi, ed io
vedrei in questo il suo bene (..)".
Per sbarcare il lunario Carlo Pisacane con le
sue competenze tecniche viene arruolato nella legione straniera che
lascia subito perché mandato a reprimere proprio quei moti di libertà e
di indipendenza nazionale che gli stanno tanto a cuore. La piccola
Carolina nata dal loro matrimonio muore in breve tempo.
Il
28 marzo 1848 ritorna a Marsiglia con l'intenzione di partecipare alla
mobilitazione antiaustriaca del Milanese. Carlo
divenne amico di Carlo Cattaneo e combatté come capitano
nella Legione Lombarda.
Ferito, venne raggiunto e assistito da lei a Salò.
Dopo
l'armistizio di Salasco (9 agosto) si rifugia temporaneamente a Lugano
in Svizzera per riprendere il suo posto alle avvisaglie della ripresa
del conflitto.
A metà dicembre 1848 raggiunge a Vercelli il suo Reggimento che fa ormai
parte dell'esercito sabaudo.
1849.
Il 26 febbraio si congeda dalle file piemontesi e corre a Roma, dove il
9 dello stesso mese era stata proclamata la repubblica. Si mette
immediatamente in contatto con Giuseppe Mazzini ed entra a far parte
della Commissione incaricata della difesa militare della città. Il 27
aprile succede a Luciano Manara come capo sezione dello Stato Maggiore e
quando i francesi iniziano le ostilità, Carlo è in
prima linea con i difensori , mentre Enrichetta si prodiga come
infermiera con
Cristina di Belgioioso. Quando ai primi di luglio le truppe Francesi
entrano in città, Pisacane viene arrestato poi liberato grazie
all'intervento della moglie. Quindi la coppia si rifugiò in
Svizzera, dove Carlo sbarcava il lunario scrivendo articoli sulla guerra
recente: articoli aspramente critici, che gli procurarono accanite
ostilità negli ambienti patriottici. Enrichetta, ancora lacerata dalla
nostalgia per i figli, si ritirò, da sola, in un modesto albergo di
Genova, per poter mantenere più facilmente i contatti con la propria
famiglia, forse anche incontrare i suoi figli (come si desume da alcune
lettere ad Achillle). Dopo una breve crisi sentimentale di Enrichetta,
che conosciamo da alcune lettere scritte a Carlo, lui la raggiunse
nell’autunno 1850, per viverle costantemente accanto nei sette anni
successivi, in una casetta sul colle Albaro (presso Genova). Esce intanto a Genova, il saggio “Guerra combattuta in
Italia negli anni 1848-49” che sarà l'unica sua opera pubblicata in
vita. Il
28 novembre 1852 nasce la seconda figlia, Silvia. Verso il 1855 si
riaccosta al Mazzini con il quale però aveva ormai in comune solo
l'idea della strategia rivoluzionaria in senso repubblicano, e con lui
prepara quella spedizione nel Meridione d'Italia che doveva tragicamente
concludersi nell'impresa di Sapri. Gli sembrano indicativi di una volontà
di riscossa alcuni episodi antiborbonici in Sicilia e Calabria, e la
costituzione di un comitato segreto insurrezionale a Napoli. "Quando la
spedizione nel Napoletano fu decisa, la maggiore avversaria fu la De
Lorenzo. (..) ella supplicò, scongiurò perché questi giovani non
corressero incontro alla morte, ch’ella col suo speciale intuito
muliebre vedeva sicura: in ultimo, al Pisacane irremovibile, oppose il
supremo argomento, che lui era padrone di farsi ammazzare, ma non aveva
il diritto di condurre tanti giovani al macello"(Romano 1931). Costretto
ad interrompere una prima volta l'impresa, Pisacane partì di nuovo il
25 giugno '57 con ventiquattro compagni.
Molti
dicono che la rivoluzione
deve
farla il paese: ciò è incontestabile.
Ma il paese è composto di individui, e poniamo il caso che tutti
aspettassero questo giorno senza congiurare, la rivoluzione non
scoppierebbe mai. Si potrà dissentire dal modo, dal luogo, dal tempo di
una congiura, ma dissentire dal principio è assurdo, è ipocrisia, è
nascondere un basso egoismo. Stimo colui che approva il congiurare e non
congiura egli stesso, ma non sento che disprezzo per coloro i quali non
solo non vogliono far nulla, ma si compiacciono nel biasimare e maledire
coloro che fanno. Con tali principi avrei creduto di mancare a un sacro
dovere, se vedendo la possibilità di tentare un colpo in un punto, in un
luogo, in un tempo opportunissimo, non avessi impiegato tutta l’opera
mia per mandano ad effetto. Io non ispero, come alcuni oziosi mi dicono
per schermirsi, d’essere il salvatore della patria. No: io sono convinto
che nel Sud la rivoluzione morale esista,
che un impulso
energico può spingere le popolazioni a tentare un movimento decisivo [
... [. lo sono persuaso, se l'impresa riesce, otterrò gli applausi
generali: se soccombo, il pubblico mi biasimerà. Sarò detto pazzo,
ambizioso. turbolento. e quelli, che nulla mai facendo passano la loro
vita nel criticare gli altri, esamineranno minuziosamente il tentativo,
metteranno a scoperto i miei errori [ ... [. Se non riesco disprezzo
profondamente l'uomo ignobile e volgare che mi condannerà; se riesco,
apprezzerò assai poco i suoi applausi»...epperò il mio scopo, i miei sforzi si
sono rivolti a mandare a compimento una congiura, la quale dia un tale
impulso; giunto sul luogo dello sbarco, che sarà Sapri, per me è la
vittoria, anche se dovessi morire sul patibolo.
(da
C. Pisacane:Testamento
politico consegnato a Jesse White Mario)
La
spedizione
Nel
Regno delle Due Sicilie si costituisce nel 1853 un ristretto comitato repubblicano
segreto che esordisce con l'insurrezione del barone Bentivegna e
l'attentato a Re Ferdinando da parte di Agesilao Milano. L'ipotesi di
una spedizione nel mezzogiorno era stata ventilata già anni prima,
quando nel '55 l'esule Antonio Panizzi aveva organizzato un blitz, poi
fallito, all'isola di Santo Stefano per liberare i prigionieri politici.
L'idea fu ripresa da Pisacane e da Mazzini, sebbene quest'ultimo sembrò
metterla in discussione negli ultimi mesi. Pisacane, durante il
soggiorno torinese del '56, diede forma a quell'impresa che avrebbe
dovuto rappresentare la prova concreta della sua teoria della via
nazionale al Risorgimento. Pisacane prese contatto con i repubblicani
napoletani, invitandoli ad affrettare i tempi. Dopo il tentativo fallito
del 10 giugno (1857) il 25 dello stesso mese Pisacane e i suoi uomini
s'imbarcarono sul piroscafo Cagliari, (compagnia Rubbattino) che
collegava ogni 15 giorni Genova a Tunisi (via Cagliari). Il piano
originale prevedeva che una piccola goletta con le armi a bordo, guidata
da Rosolino Pilo, avrebbe intercettato il Cagliari in navigazione. Ma
Pilo perse l'orientamento, causa maltempo, e mancò l'appuntamento col
piroscafo. I venticinque patrioti, tra i quali Giovanni Nicotera,
ufficiale calabrese di chiara fama rivoluzionaria e il giovane studente
cosentino Giovan Battista Falcone furono costretti ad improvvisare,
impossessandosi dei soli fucili rinvenuti sul brigantino. Il 27
pomeriggio, dirottata l'imbarcazione, si sbarcò sull'isola di Ponza,
che cadde senza molte resistenze. Furono liberati 323 uomini, dei quali
solo undici erano realmente prigionieri politici. Domenica 28, vi fu
finalmente lo sbarco a Sapri sulla terraferma. Pisacane rimase subito
sorpreso dall'assenza dei rivoluzionari napoletani, che avevano promesso
il loro appoggio. L'eroe decise di proseguire verso l'interno, nella
vana attesa che Napoli, Genova e Livorno si sollevassero come stabilito.
Il 1° luglio a Padula gli uomini di Pisacane si scontrarono con i soldati
e le guardie urbane dei Borboni: vi furono 63 morti, dei quali 59
ribelli, una guardia urbana, un soldato e due civili. Pisacane,
sopraffatto, si convinse a ripiegare verso il mare. Senza munizioni e
privi di vettovaglie, il 2 luglio a Sanza furono attaccati da una
cinquantina di persone, in gran parte contadini, convinti dai Borboni
che si trattassero di ladri. Si aprirono dei vuoti nelle file dei
ribelli: Pisacane, Falcone e altri 7 dei 25 imbarcatisi a
Genova furono barbaramente trucidati. Ferito ad una mano, Nicotera si
arrese con altri 29 compagni, mentre altri 7 in fuga
vennero orrendamente ammazzati da una folla di "cafoni", incalzati da un
prete. Depredati dei loro averi, i cadaveri di Padula furono sepolti in
una fossa comune nella chiesa della Santissima Annunziata, quelli di
Sanza vennero invece cremati.
Tre
anni dopo, passando di lì la spedizione dei Mille, un gruppo di
garibaldini calabresi catturò, seviziò e ammazzò quanti, più
direttamente, erano stati coinvolti nella triste vicenda: in
particolare, il capo della guardia urbana Sabino Laveglia, che si era
vantato di aver personalmente fatto fuori Pisacane, il fratello
Domenico, lo speziale Filippo Greco Quintana e la guardia carceraria
Giuseppe Citera.
Enrichetta vive ora fra Genova e Torino aiutata da Agostino Bertani,
Medici, Pallavicino Trivulzio, Pasquale Stanislao Mancini, Acerbi,
Cosenz, Camillo Boldoni i quali insieme ad altri patrioti lanciarono,
immediatamente dopo la morte di Carlo, una sottoscrizione a favore di
Silvia, in testa alla quale veniva espresso l’impegno della nazione a
fare "suoi i figli di coloro che le avranno fatto sacrificio della vita"
(White Mario). Nel 1859, per interessamento del musicista Mercantini,
Silvia venne collocata nel collegio delle Peschiere. A sua volta
Enrichetta cercava di aiutare Giovanni Nicotera fatto prigioniero a
Sapri.
"Gentilissimo Bertani, ieri
io era dispiacente perché la mia Silvia aveva la febbre, e dimenticava
di fare la ricevuta al vostro domestico dei quattrocentoquindici franchi
e ottantotto centesimi. La fo quest’oggi perché la Silvia sta meglio e
si alzerà dal letto. Potete immaginare quanto io vi sia grata per ciò
che avete fatto per i nostri prigionieri. Fu una felice ispirazione la
mia di dirigermi a voi. Io invierò a Nicotera quel denaro in due rate"
(White Mario).
Quando Garibaldi libera il sud dal dominio Borbonico Enrichetta può far ritorno nella sua città.
Con decreto dittatoriale,
Garibaldi fa assegnare una pensione di 60 ducati alla piccola Silvia.
Uscito dal carcere, Giovanni Nicotera, adotterà la bambina, come aveva
promesso a Pisacane poche ore prima del suo suicidio. Enrichetta morirà
nel 1871 e la figlia Silvia nel 1888.
Roma, 1. Maggio
1849
Invito all'organizzazione alle donne ascritte per l'assistenza dei
feriti
Il nemico ci lascia tempo di perfettamente organizzarci. siete dunque
invitate per questa mattina alle dodici d'intervenire a quello fra gli
Ospitali che crederete di vostra maggior convenienza per concertare le
ore del vostro turno, e la qualità dei servigi che dovrete prestare ai
Fratelli. La direttrice proposta ad ogni Ambulanza prenderà nota di
tutto, onde in nulla abbia a difettare l'assistenza ai Feriti. Essa si
associerà nella direzione quelle delle sue Compagne che se ne
mostreranno più capaci per darsi con loro il cambio nelle ore di sua
assenza. La nota dei Locali di Ambulanza, e delle loro direttrici è la
seguente:
Trinità dei Pellegrini - Ambulanza centrale
Regolatrici componenti il Comitato Centrale - Cristina Trivulzio di
Belgioioso, Giulia Bovio Paulucci
Direttrice - Galletti
Santo Spirito - Giulia Calame (moglie di Gustavo Modena volontario con
Mazzini a Roma)
S. Giacomo - Costabili Malvina
S. Gallicano - Baroffio Adele
S. Giovanni - Lupi Paolina
S. Pietro in Montorio - Pisacane Enrichetta
Fatebene Fratelli - Margherita Fuller
S. Teresa di Porta Pia - Filopanti Enrichetta
S. Urbano - Razzani Olimpia
Tutte le ascritte che hanno in pronto biancherie e filaccie rechino in
dono all'Ospitale dove intervengono questa mattina, Le altre cittadine,
ed in genere tutti i pietosi che hanno pensato a regolare di tai robbe i
Fratelli feriti mandino questi oggetti alla Trinità dei Pellegrini
presso i Fattori del Comitato. Le materassa soggette a restituzione
sieno marcate in modo vbisibile, ciò che si dichiarerà nella ricevuta.
Romane, coraggio! Si avvicinano i momenti nei quali faremo conoscere al
mondo come da noi si onori l'amor della Patria.
IL COMITATO CENTRALE
Enrichetta Pisacane (Di Lorenzo), Cristina Trivulzio di Belgioioso, Giulia
Bovio Paulucci
Giudizio di
Mazzini sulla carboneria
"Tale
mi appariva la carboneria : vasto e potente corpo, ma senza capo:
associazione alla quale non erano mancate generose intenzioni, ma idee,
e priva, non del sentimento nazionale, ma di scienza e logica per
ridurlo in atto. Il cosmopolitismo che una osservazione superficiale
d’alcune contrade straniere le aveva suggerito, ne aveva ampliato la
sfera, ma sottraendole il punto d’appoggio. L’eroica, educatrice
costanza degli affratellati e il martirio intrepidamente affrontato,
avevano grandemente promosso quel senso d’eguaglianza che è ingenito in
noi, preparato le vie all’unione, iniziato a forti imprese con un solo
battesimo uomini di tutte le classi sociali, sacerdoti, scrittori,
patrizi, soldati e figli del popolo.
Ma la mancanza d’un programma
determinato le aveva tolto sempre la vittoria di pugno. E i fatti appena
allora conchiusi nell’Italia Centrale mi confermavano in esse,
additandomi a un tempo altri pericoli da combattersi: primi fra i quali
erano quelli di collocare le speranze della vittoria nell’appoggio di
governi stranieri, e quello di fidare lo sviluppo, il maneggio delle
insurrezioni a uomini che non avevano saputo iniziarle".
Per ovviare a questo fondò nel 1831 a Marsiglia la "Giovane Italia" poi
la "Giovane Europa". La nuova società segreta aveva però un manifesto.
Liberta,Fraternità e Uguaglianza, L'Italia doveva essere repubblicana e
non affidata a pochi eletti dell'aristocrazia e della nobiltà, non è
federale perché ridando vita alle rivalità locali, sospingerebbe
l'Italia a retrocedere verso il Medioevo o ci condannerebbe
all'impotenza come la Svizzera, sarà unitaria perché tutte le obiezioni
contro un sistema di concentrazione e dispotismo amministrativo non
hanno senso e non hanno ragion d'essere. Senza unità di credenza e di
patto sociale, senza unità di legislazione politica, civile e penale,
senza unità di educazione e di rappresentanza non v'è Nazione.
(ndr: le sue idee ebbero scarsa presa sul popolo, come diceva lui forse era ignorante. La Svizzera continuò a
progredire fra alti e bassi (in quel momento era nei bassi) e se gli italiani vollero mangiare vi
emigrarono. Se arrivammo alla unità lo fu per l'appoggio di governi
stranieri e per le armi francesi. Il dispotismo amministrativo centrale unitario e partitico, l'unico che non
doveva esserci, venne applicato scientificamente con la prima formula
repubblicana !!!).
|