SI GRAZIE
(MA ERA IL 1861, 150 ANNI FA)
Una
delle ovvie conseguenze dell’unità d’Italia fu la necessità di
unificare la moneta allora circolante nei vari stati italiani. Nel giro
di pochi mesi, tra il 1859 e il 1860, la svanzica, il tallero e il fiorino
austriaci, la doppia di Parma, il ruspone e lo zecchino (toscani), il
ducato, il carlino etc etc...erano divenute monete straniere di cui era
necessaria la sostituzione. Come per la lingua anche per la moneta
serviva un’unità comune. Con il decreto del 17/7/1861 tutte le monete
venivano sostituite dalla lira nuova piemontese che entro la fine dell’anno diverrà lira italiana.
Passi per l'Unità politica imposta con forza, ma per la monetaria c’era da fidarsi?.
Già allora il cambio
fra le varie monete era noto a chi commerciava tra stato e stato ed alle
classi maggiorenti. La
moneta che veniva accettata più facilmente, era la metallica perché
corrispondeva per i tagli grossi ad un titolo aureo o argenteo
intrinseco (conio). Quando il
17/3/1861 Vittorio Emanuele II assunse il titolo di Re d’Italia, le
banche più grosse erano sei, corrispondenti agli stati unificati, ma
quelle che fungevano da istituto d’emissione autorizzato erano solo la
Piemontese e la Toscana.
Nel sud era radicata l’abitudine che, banche grosse come il Banco di Napoli e quello di Sicilia,
ponessero in circolazione titoli di carta al portatore detti fiduciari,
il cui uso, benché limitato, corrispondeva però a quello della carta
moneta in aggiunta alla circolazione aurea. Per il nuovo regno viene scelto il bimetallismo Oro/Argento.
Circolano monete d’oro da 100/50/20/10/5 lire e argento da 5/2/1/0,5,
di bronzo per la restante monetazione decimale o centesimale. La carta moneta messa in
circolazione con pezzi da 1.000,500 e 250 lire era convertibile in oro
secondo il trattato Gold Standard dell’Unione Monetaria Latina
(Francia, Belgio, Svizzera, Italia) ad un prezzo prefissato. Le finanze
italiane però non navigavano nell'oro (del sud) e i debiti con l'estero
erano già altissimi. Stralci da un articolo dell'epoca (trasferimento
della Capitale) filo francese.
Napoli 19 dicembre 1864
Il Senato italiano ha testè adottato il traslocamento della Capitale a
Firenze, soggetto di si lunghe discussioni nella Camera e nella stampa.
Questo traslocamento, sebbene non fosse uno dei quattro punti della
Convenzione, ne costituiva la clausola più essenziale. Dopo che il voto
d’adesione è stato pronunziato, l’adesione del trattato del 15 settembre
è un fatto compiuto. Tutto quello che si poteva dire in favore della
convenzione o contro, è stato lungamente detto, troppo lungamente forse…
La
Convenzione venne stipulata il 15 settembre 1864 tra l'Italia del
governo Minghetti e la Francia di Napoleone III. Il trattato, firmato
per l'Italia dal ministro degli esteri Emilio Visconti Venosta,
prevedeva il ritiro in due anni delle truppe francesi che presidiavano
Roma per tutelare il Papa in cambio di un impegno da parte dell'Italia a
non invadere lo Stato Pontificio. A garanzia dell'impegno da parte
italiana, la Francia chiese (in una clausola segreta sconosciuta al Re)
il trasferimento della capitale da Torino a Firenze. Il trasferimento
incontrò il malcontento da parte di alti esponenti della corte sabauda,
tra cui il re Vittorio Emanuele II (Quella clausola segreta nella
convenzione gli era stata nascosta fino all'ultimo momento da PEPOLI che
l'aveva concordata con Napoleone; poi il Re a cose fatte l'aveva
accettata con tristezza, sperando in un aiuto francese in caso di un
attacco da parte dell'Austria o di un appello di aiuto del Papa ad altre
Potenze. Ma non si capacitava che tale promessa (aiuto dei francesi) non
compariva nella Convenzione). A Torino ci furono anche delle sommosse
popolari, duramente represse nel sangue da Silvio Spaventa, e si parlò
di un rischio separatista. Il 21 settembre inizia una dimostrazione
popolare contro la "Gazzetta di Torino", sciolta con violenza dalla
polizia; la sera dello stesso giorno fu aperto il fuoco sulla folla che
gremiva Piazza Castello; all'indomani le dimostrazioni diventarono più
feroci e incontrollabili, con saccheggi di negozi, sedi di giornali,
assalti a negozi d'armi. Le ribellioni furono domate - questa volta
feroce- da un altro intervento dell'esercito, che non si fece scrupolo
di sparare ancora sulla folla. Si registrarono oltre 52 morti e 172
feriti. il 23 si dimette Minghetti in carica dal 24 marzo 1863). Il 19
novembre 1864, furono approvati la convenzione e il protocollo con 317
voti contro 70 e 2 astenuti. Il 1° giugno del 1865 si compì il trasloco
della capitale a Firenze (che venne a costare 7 milioni) iniziato nel
dicembre del 1864). …
Quali sono ora le
risorse, quali le alleanze, sulle quali il Governo di V. Emanuele può
contare, o appoggiarsi per soddisfare questo suo obbligo?. L’esercito,
prima di ogni altra cosa: ma, per quanto ben organizzato e considerabile
esso sia, o , per dir meglio, appunto perché è molto considerabile
l’esercito gravita con un gran peso sulla situazione finanziaria della
penisola. Questa situazione, non si può negare, è grave. Il nuovo
ministro delle Finanze, come aveva già fato il suo predecessore, ha
osato rivelarla nella sua scoraggiante verità: e così conveniva dirla ad
una grande nazione, degna di sentirla. Essa si riassume in 900 milioni
di spese, di fronte a 530 milioni d’introito (entrate), di cui 250 sono
applicabili agli interessi del debito consolidato (pubblico), o
galleggiante. E’ un debito enorme da saldarsi ogni anno, sia con nuove
tasse e con economie, sia col contrarre un nuovo imprestito. Questa
situazione non fa mica nascere in noi alcuna inquietudine per l’avvenire
d’Italia, ormai rigenerata, pacificata, unita, ed il cui territorio
cresce ogni giorno di valore, grazie alle nuove vie di comunicazione,
siccome si raddoppiano e si triplicano le risorse collo svilupparsi
dell’industria e del commercio, che n’è la conseguenza. Bisogna,
nondimeno, tenerne conto fino al giorno in cui questo sviluppa mento
darà risultati pratici, in cui queste speranze, per quanto siano fondate
si attenueranno; in una parola, bisogna attraversare quest’intervallo
critico, che separa, per dir così, la seminagione dalla raccolta. Ma i
beni demaniali e le strade ferrate potevano essere venduti una volta
sola, e sia che il 1865 ci rechi la pace o la guerra**
l’Italia sarà costretta a contrarre un nuovo imprestito. A quel mercato
straniero, simpatico alla sua causa, fiducioso ne’ destini di lei, si
rivolgerà per far fronte alle spese che sono necessarie per l’Esercito
che non può diminuire finché la bandiera austriaca sventolerà sopra una
fortezza del Veneto, e per l’esecuzione de’ lavori necessari a
congiungere l’una all’altra le diverse parti del suo territorio,
separate già dalla politica sospettosa ed egoistica di tanti piccoli
sovrani ?. I banchieri che hanno sofferto un rifiuto della banca di
Londra in tempo di guerra e che conoscono le sue condizioni leonine in
tempo di pace, non potrebbero ingannarvisi, e diranno all’Italia che
bisogna rivolgersi alla Francia la quale le ha già prestato, in due
volte, una somma di 750 milioni. Ecco quanto alle risorse finanziarie.
Rimangono ora le alleanze ……Per
l’alleanza dunque, come per l’imprestito l’Italia si trova nuovamente di
fronte alla Francia, sua vera, sua naturale, sua sola alleata: della
Francia che nel 1859 è venuta ad aiutarla colle armi, più tardi co’suoi
capitali e recentemente, il 15 settembre, colla diplomazia. ….. e quando
la sua nemica naturale l’Austria si curva innanzi alla Prussia e stanca
i suoi diplomatici nel brigare il concorso delle baionette prussiane per
conservare l’integrità de’ suoi possedimenti non tedeschi, l’Italia
esagerando il sentimento nazionale, esiterebbe a stringersi intimamente
colla Francia per compiere l’opera della sua unificazione ?. Nò: né il
Governo, ne la savia maggioranza degl’Italiani commetterebbero questo
errore, che vorrebbero forse alcuni uomini, di cui non sapremmo mettere
in dubbio la buona fede, ma che sono fuorviati dal patriottismo o
dall’impazienza. Poco importa che la sede del Governo sia a Torino, a
Firenze o a Roma, non istà qui la questione. Il più importante si è che
le popolazioni romane e venete rientrino nella grande famiglia, di cui
fanno parte. Questo scopo, ripetiamolo, l’Italia non può raggiungerlo,
se non d’accordo colla Francia. A. de Lauzières
(**Il
Re (forse per calcolo, conoscendo l'imprevedibile personaggio) scrisse a
Garibaldi proponendogli di guidare un moto in Transilvania (Ungheresi,
Rumeni, Serbi) contro l'Austria in modo da far sguarnire le Province
occidentali, onde permettere all'esercito regio un attacco nel Veneto
(facendo così a meno di Mazzini, trattato in precedenza). E Garibaldi
ancora sofferente moralmente per l'Aspromonte gli rispose "Io sono
disposto ad andare dove Egli mi manda, ma credo che io potrei essere più
utile qui" e riferendosi al Meridione "Il Suo governo è più odiato di
quello dei Borboni, gli amici suoi sono gente interessata che prima o
poi lo tradiranno, come gli amici dell'altro. Il giorno che il suo
esercito sarà impegnato sul Mincio, nel Mezzogiorno ci sarà un
cataclisma come mai si vide.... Mi lasci nel Mezzogiorno, mi dia i
poteri che vuole e mi lasci fare..e non temi che io mi faccia Re né che
io voglia proclamare la repubblica. Organizzerò qui duecentomila uomini
che saranno suoi come l'esercito regolare". Ma il RE decise per la
Transilvania. MORDINI e CAIROLI trattarono con emigrati polacchi ed
ungheresi - il Michievicz, il Klapka ed Armand Levy - per coordinare
un'azione contemporanea nelle varie province soggette all'Asburgo:
inoltre fu costituito, sotto la presidenza di Benedetto Cairoli a
Milano, un Comitato centrale unitario per "raccogliere mezzi pecuniari",
"preparare gli animi alla concordia del sacrificio e del dovere" e, con
l'occhio fisso "la meta del Riscatto Nazionale", porgere "fraterno aiuto
alle province schiave nel giorno invocato della battaglia". Garibaldi
alla fine finì per aderire iniziando a radunare i suoi fidi per la
spedizione in Gallizia. E il 10 luglio 1864 arrivò il siluro di Mazzini
"I migliori del partito d'azione sono chiamati a partecipare ad imprese
fuori d'Italia...in imprese incerte e remote ordite da principi, che
servono più ai loro interessi che a quelli dei popoli...inoltre
l'allontanamento dei patrioti italiani in questi momenti possono solo
riuscire funesti agli interessi della patria"),
Alla fine
del 1865 alle prime avvisaglie degli attriti Prussiano/Austriaci (in caso di
guerra era prevista la
partecipazione dell’Italia alleata ai tedeschi), la fiducia dei
risparmiatori andò scemando. Per diverse volte la carta moneta rientrò
per essere convertita in oro e nello stesso tempo fini sotto le assi dei
pavimenti la restante monetazione metallica. Provvisoriamente si dovette sopperire con marche da
bollo da 5/10/15 lire, nell’attesa dell’evolversi della situazione.
La richiesta del governo di un finanziamento straordinario per la
preparazione della campagna di guerra creò il panico e quel poco che
era rimasto in circolazione sparì, compresa la monetazione bronzea !!
(Fiducia). Il
1° maggio 1866 arrivava il decreto del corso forzoso, e la linea di
finanziamento di 250 milioni chiesta dal governo. Le monete metalliche
sparirono definitivamente (nei prelievi di banca ti davano la carta
moneta e nessun commerciante poteva rifiutarsi di accettarla). Con il paese già in guerra si creò un mercato nero di cambio
(es:150 lire di
carta per 100 d’oro). Le nuove carte monete di piccolo taglio
faticavano ad arrivare sul mercato (il cavourino), e le istituzioni, i grandi commercianti,
gli enti locali tramite le casse di
risparmio, ecc. provvidero con biglietti fiduciari
che 100 anni dopo noi chiameremo mini assegni (vedi più sotto) in un’analoga crisi di
piccola moneta.
Con
legge del 1874 venne istituito un Consorzio comprendente le sei banche
espressamente autorizzate all’emissione: Banca Nazionale nel Regno
d’Italia, Banca Nazionale Toscana, Banca Toscana di Credito, Banca
Romana, Banco di Sicilia e Banco di Napoli. Questi sei istituti furono
chiamati ad anticipare allo Stato le somme necessarie al fabbisogno di
bilancio emettendo biglietti “Consorziali” in regime di corso forzoso. I
sei istituti furono resi solidalmente responsabili nei confronti dei
portatori dei biglietti consorziali emessi per conto dello Stato. Nel
1881, la migliorata situazione del bilancio dello Stato (pareggio dei
conti grazie anche a provvedimenti di inasprimento fiscale quali la
tassa sul macinato) indusse il Governo ad abolire il corso forzoso
assumendo in forma diretta la gestione dei biglietti Consorziali (Nel
1882 furono stampati dei biglietti con caratteristiche simili ai
biglietti consorziali, ma questa volta furono emessi dal neonato
Ministero del Tesoro ed ebbero corso legale fino al 1888), la cui
intestazione fu modificata in “Già Consorziali“. Nel 1887 il corso
forzoso fu di fatto reintrodotto. Con l'istituzione della Banca d'Italia
i biglietti consorziali e già consorziali vennero rimborsati (scambiati,
sostituiti) da tutte le tesorerie di stato e uffici Postali (fino al
30/6/1894). Fonte Banca d'Italia
Società di Mutuo Soccorso Operaie, Opere Pie, si
ritrovarono ad emettere buoni di cassa che circolavano con i crismi della
moneta, ma sulla cui garanzia nessuna giurava. Il negoziante in formaggi
di Bologna, Pietro Peli, aveva stampato la sua carta moneta (pronto a
sostituirla con merce) e così tanti altri. Altri meno onesti
l’avevano stampata senza mettere l’indirizzo del debitore facilitati
dall’analfabetismo diffuso. Da scritti risulterebbe anche una Soc. Banca Filobaccantica, Presidente Acefalote,
segretario Scappani, di cui però non si ha conferma e quindi non
è verificata. Il caos
dovette durare diversi anni se solo con una legge del 1874 sarà vietata
questa circolazione. La Banca Nazionale nel Regno sarà l’unica
autorizzata ad emettere carta moneta su tutto il territorio. Le altre
cinque banche, compreso la Banca Romana dopo il 1870, emetteranno biglietti a corso
legale ad uso locale. Nel lasso di tempo descritto, l’economia
italiana è lacerata da una delle crisi più dure del secolo. La difficile
situazione spinge
il governo ad applicare anche la famigerata tassa sul macinato. Pur di
raccogliere soldi si
vendono beni demaniali e beni confiscati alla chiesa. Dalla fine del
1880 la situazione economica migliora e l’Italia chiede un grosso
prestito all’Inghilterra per far riprendere la convertibilità. La
Moneta unica sotto un unico gestore, dovrà aspettare ancora 50 anni e
passare attraverso lo scandalo della Banca Romana rea di aver messo in
circolazione più biglietti di quanti ne potesse coprire a garanzia. A
seguito di tale scandalo nascerà nel 1893 l’embrione della Banca
d’Italia con la fusione della Banca Nazionale nel Regno, La
Toscana Nazionale e la Toscana di Credito. Le vicende delle alterne fortune
della lira proseguiranno fino al 1943, quando in seguito allo sbarco Anglo-americano le potenze alleate emisero per i loro bisogni le A.M.
Lire dichiarandone la convertibilità con la moneta ufficiale.!!? Per
paradosso al Nord (Repubblica) usavano la moneta con l’effigie Reale.
Gli importi emessi e la prolungata circolazione al Sud indussero
un’inflazione che neanche in tempo di guerra s'era vista.
LIRE EMESSE PER TERRITORI OCCUPATI, COLONIE
O STATI DEL REGNO
Grecia dracme, Albania
lek, Somalia rupie e somali dal 1950
Altra moneta emessa per Vaticano e San marino (metallica
parificata)
ma non solo
vedi i due capitoli "moneta di Guerra" in Schede della Seconda guerra
mondiale.
http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/schede.htm
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