La giustizia militare

Gli ordini di fucilazioni del "duro" Andrea Graziani

  Dopo il primo anno di guerra, il morale dei soldati, per niente entusiasta, non poté che peggiorare. L'anno che precede Caporetto, fu costellato di punizioni inflitte e, anche il cambio del Comando Supremo (Diaz), non migliorò la situazione. Le punizioni o i ferri a cui erano sottoposti nel passato gli eserciti professionali, erano mal digerite dalla leva popolare. In determinate circostanze l'esecuzione sommaria (senza una condanna dibattimentale) veniva eseguita sul posto. Capello, comandante della II armata, era tristemente famoso per i metodi già sperimentati in colonia e per i suoi discorsi alle truppe inframmezzati da ingiurie e minacce. Le prime esecuzioni sommarie si ebbero sull'Altopiano di Asiago nel 1916 quando Cadorna di fronte al panico delle truppe ordinò di fucilare alcuni ufficiali e soldati. In un caso di malcontento prima di un assalto, si procedette alla decimazione (pratica che si crede invece inventata dai tedeschi) estraendo casualmente 1 soldato ogni dieci dai ranghi e riducendo ulteriormente il loro numero con un'altra estrazione:  costoro vennero poi passati per le armi. Ai granatieri venne ordinato di scavare nuove trincee in un "Lenzuolo Bianco". Così era definito un pezzo di terra nel quale avevano trovato sepoltura provvisoria i caduti di precedenti assalti. L'ordine fu ribadito, tacciando i soldati di codardia al fuoco e i granatieri dovettero disseppellire parzialmente i cadaveri e con questi convivere per mesi.

Quando le trincee erano molto ravvicinate, e quindi non soggette ai tiri d'artiglieria di entrambe le parti, succedeva spesso che fra nemici ci si scambiassero opinioni ed anche generi di conforto diversi. "Ho punito due alpini" notava un ufficiale " perché erano usciti nottetempo con un piffero per recarsi sotto le trincee nemiche" . Un giorno di Pasqua la distanza fra i belligeranti era diventata talmente sottile che, da entrambe le parti, dalle retrovie, si fu costretti a sparare un colpo di cannone per ripristinare l'ostilità. Sulle trincee e sui comandi aleggiava lo spettro della "Tregua di natale" del fronte occidentale e la paura che si ripetesse in Italia.

le pesanti conseguenze http://www.cimeetrincee.it/fucilazi.htm  http://www.cimeetrincee.it/longa.htm http://www.cjargne.it/alpinortis.htm#GRANDE%20GUERRA%A0

 
     

L’azione del comando supremo si svolse in diverse direzioni: da un lato faceva pressioni sui collegi giudicanti perché non si discostassero dalle richieste che avanza l’avvocatura militare (un preponderante numero di giudici erano formati da ufficiali di complemento che venivano quindi dalla vita borghese) d’altra parte invitavano gli ufficiali presenti nella trincea ad usare le estreme misure per punire codardi e vigliacchi (si chiamavano esecuzioni sommarie ed erano "legalmente normali"). Intere brigate furono tenute inchiodate al posto di combattimento sotto la minaccia dei fucili e delle mitraglie

 

Il 4 agosto 1916,  nei ranghi del 47° Btg Bersaglieri, vi furono tre fucilati per diserzione e il 31 ottobre, nel 6° reggimento, 6 fucilati per rivolta. Il 47°, venne coinvolto il 10 ottobre,  in un attacco a Jamiano fiancheggiato dalla brigata Modena (41/42) e dalla brigata Padova (117/118). La direzione di attacco e la penetrazione raggiunta nelle linee nemiche, non contemporanea ai reparti fiancheggiatori, comportarono un successivo ripiegamento e costi umani per il rinnovo della azione. Il comandante, maggiore Cortese, disperso nella azione, ritenuto responsabile degli errati comandi, fu proposto per una inchiesta qualora fosse riapparso anche dalla prigionia. L'inchiesta istituita doveva chiarire i seguenti quesiti:

1- I Bersaglieri si erano spinti fino al paese abbandonato per saccheggiarlo? (considerazione negativa che si aveva del bersagliere fin dai tempi del 12°)
2- Il 47° restò collegato col 42° Rgt. della Modena e con quelli della brigata Padova ?
3- Il ripiegamento fu causa od effetto di altre azioni concomitanti ?

L'inchiesta si risolse con un nulla di fatto, ma ciò dà il senso del clima che si respirava in quel periodo al fronte.

  Così Gabriele D'Annunzio descrive la fucilazione di alcuni fanti della brigata Catanzaro, due volte decorata di medaglia d'oro e considerata una delle più valide unità di fanteria: "Di spalle al muro grigio furono messi i fanti condannati alla fucilazione, tratti a sorte dal mucchio dei sediziosi……Siete contadini. Vi conosco alle mani. Vi conosco al modo di tenere i piedi in terra. Non voglio sapere se siete innocenti, se siete colpevoli. So che foste prodi, che foste costanti. La legione tebana, la sacra legione tebana, fu decimata due volte. Espiate voi la colpa? O espiate la patria contaminata?……Il Dio d'Italia vi riarma e vi guarda." La brigata Catanzaro, 141-142° rgt, come tante altre, aveva avuto i suoi giorni in linea (23 e 24 maggio) e pur con perdite notevoli era stata ricondotta in trincea (Hermada) 10 giorni dopo. Ritirata nuovamente a Santa Maria La Longa, paesino della bassa friulana il 24 giugno (64% gli effettivi) si paventò da subito un suo reimpiego. Il parroco del paese aveva avuto sentore che qualcosa si andava tramando, dai discorsi fatti nelle osterie. Credette suo dovere mettere sull’avviso il comandante della Brigata, ma fu tranquillizzato dal fatto che quelle erano ritenute normali lamentele. Quando di lì a qualche giorno la Brigata ricevette l’ordine di tornare al fronte, la sommossa divampò. Alle 22.30 del 15 luglio, con un violento fuoco di fucileria, razzi multicolori ascesero il cielo per dare il segnale della rivolta ad altre Brigate. Furono uccisi un capitano e un tenente addetti al Comando e la truppa in rivolta si apprestò ad assalire la residenza di Gabriele D’Annunzio adiacente un campo d’aviazione. Viene dato l’allarme al Comando Supremo a Udine. Nel cuore della notte gruppi di artiglieria, carabinieri e squadroni di cavalleria circondano la Brigata Catanzaro. Verso le 3 del mattino la rivolta è spenta. Tre ufficiali e quattro carabinieri erano rimasti uccisi. Si istruì il processo per direttissima a seguito del quale 28 militari furono condannati a morte, passati per le armi e gettati in una fossa comune. Qualche ora dopo, sotto buona scorta la Catanzaro fu rispedita nella bolgia. Lungo la strada altri dieci vennero condannati e fucilati per insubordinazione di fronte al nemico. Facevano parte di quei 114 uccisi con esecuzione sommaria.
     
Si dice nel sito Frontedolomitico.it d’un processo istituito a carico di 345 bersaglieri del 18° btg del 3° ammutinatosi. Furono in 5 quelli condannati a morte per fucilazione. Uno, A.G., ai lavori forzati a vita. Gli altri a pene detentive minori di 3 anni. Agordo, 22/23 aprile 1916. (TS, di guerra, b. 74, f. 117/II, sent. 329) - La sera del 21 aprile, di concerto fra di loro, gli imputati , dopo aver preso le armi e senza ordine dei loro superiori, abbandonarono gli alloggiamenti in Salesei occupati dal 18° battaglione e si trasferirono ad Alleghe, ove furono fermati e donde furono ricondotti fino a Caprile. Ad altri 5 dell’8° (7ª cp) il Tribunale militare di guerra del I corpo d'armata l’8 maggio 1917 inflisse pesanti condanne per abbandono di posto in presenza del nemico. Ergastolo per uno e un altro, già condannato per diserzione, alla fucilazione. (TS, Atti diversi, b. fucilazioni A-R, giudizi sommari 1, f. C.). Il mattino del 19 aprile 1917, i bersaglieri C.V., A.L., M.C., F.L., Z.A., tutti dell'8° dopo essersi presentati al posto di medicazione in San Blasius, adducendo disturbi di lieve entità per i quali l'ufficio medico non credette il caso di doverli esonerare dai lavori di costruzione della linea difensiva di massima resistenza, Rio Bosco – Pezzovico anziché raggiungere la compagnia medesima e prendere parte ai lavori, si diressero arbitrariamente a Tre Croci, recandosi in un'osteria ove sostarono alquanto e bevvero del vino. Di là i pervenuti, sotto la particolare influenza del C.V., [...] si portarono fino alle prime case di Auronzo, ove però venivano fermati da una pattuglia di carabinieri e fatti ritornare indietro, perché sprovvisti di documenti giustificativi. Dopo aver trascorsa la notte in una casa  vuota lungo la strada tra Auronzo e Val Marzon [...] M.C. [...] F.L. e [...] Z.A. profondamente preoccupati e pentiti di quanto avevano fatto, ripresero la via di Tre Croci [...] Gli altri verranno fermati a Masarè e tratti in arresto.   Il caso del 6° reggimento: gemello del 12° nella brigata bersaglieri, al fronte già da diverso tempo ed in procinto del turno di rotazione: il giorno 29, i comandi pur sapendo che sarebbe stato reimpiegato, lo spedirono diversi chilometri dietro le retrovie. Erano passate 48 ore e venivano riavviati al fronte. Coralli, il comandante, nella notte fu oggetto di un attentato che ferì il capitano Maiga. L'esecuzione delle misure repressive fu coordinata dal comandante della 45° divisione che interrogò sei sospetti più due per compagnia. Alle 6 del 1 novembre l'esecuzione sommaria degli indiziati. Scrisse Bissolati " Parlo con il capo delle decimazioni, persuadendolo che si possa e si debba arrivare soltanto alla punizione degli indiziati"!!!!. Nella V armata che aveva raccolto quanto era rimasto della II, dopo Caporetto,  si emanarono disposizioni che  si spinsero fino al ritiro delle bombe a mano e delle munizioni. Vennero infiltrati fra la truppa, carabinieri travestiti che seguissero le teste calde per poi smascherarli. Molti degli sbandati di Caporetto erano finiti in campi di raccolta dell'Emilia, dove la propaganda politica pacifista locale era da sempre un fattore costante e per queste province, esterne al conflitto, Diaz chiedeva lo stato di guerra. Gli furono concessi carabinieri, guardie di finanza e cavalleria per la miglior tutela dell'ordine pubblico. Badoglio, rinato spiritualmente dalle ceneri di Caporetto, diede ordine di passare ad un unico ufficio le informazioni raccolte dalla polizia, dalle spie e dalla censura postale, per la redazione quindicinale di una relazione. Molti reati, d'ora in poi (Era Diaz), passarono dai tribunali ordinari alla Corte Marziale. Le denunce per atti di familiarità col nemico delle vedette dei posti avanzati, d'ora in poi sarebbero state sanzionate con la pena capitale. Qualsiasi ferita ora veniva vista come atto autolesionista. Così il comando della III armata nell'agosto del 18: "la legge commina contro i disertori pene che non potrebbero essere più gravi.. non riescono ad incutere nel cattivo soldato un salutare terrore. Non sono abbastanza conosciute…perché la lenta procedura fa perdere l'immediatezza della pena (succedeva che in attesa del giudizio, che poteva anche rivelarsi assolutorio, il soldato passasse mesi lontano dal fronte). 

Paolo Monelli - Le scarpe al sole …..pag 138 e seg..... Due carabinieri hanno condotto su stanotte da Enego i due alpini condannati alla fucilazione perché un giorno dell'Ortigara, usciti dalla battaglia per una corvè, non vi erano poi più rientrati. Toccano all'aiutante maggiore i compiti più odiosi, persuadere i due che sono vane le speranze che hanno portato trepidamente con sé per tutta la strada (i carabinieri, buoni diavoli, non avevano core di disilluderli); e mandare a chiamare prete e medico; e tirar fuori il plotone d'esecuzione; e intanto far chiudere in una baracca questi due morituri così diversi da quelli che buttiamo fuori della trincea i giorni di battaglia - che appena si son ritrovati con il loro battaglione hanno urlato, pianto, chiamata la famiglia lontana, implorato pietà e perdono.
« Andaremo de pattuja tute le sere, sior tenente .. " »
E quando hanno intuito che nessuna forza umana poteva loro ridare la vita, non hanno più detto una parola, hanno solo continuato a piangere lamentosamente. Il plotone d'esecuzione s'allinea, sbigottito, occhi atoni sull'aiutante maggiore che con voce che vuole dunque far suonare aspra spiega la necessità di mirar bene per abbreviare l'agonia a gente irrimediabilmente condannata. Nel plotone ci sono amici, paesani, forse anche parenti dei due condannati. Commenti sommessi nell'allineamento. «Silenzio!» grida l'aiutante. È arrivato il prete, tremante, spaurito; c'è anche il medico, si marcia ad una piccola radura sinistra nel bosco, ai primi lucori dell'alba. Ecco il primo condannato. Un pianto senza lacrime, un rantolo, esce dalla gola serrata una parola. Occhi senza espressione più, sul volto solo terrore ebete della bestia al macello. Condotto presso un abete, non si regge sulle gambe, s'accascia: bisogna legarlo con un filo telefonico al tronco. I! prete, livido, se lo abbraccia. Intanto, il plotone s'è schierato su due righe: la prima riga deve sparare. L'aiutante maggiore ha già spiegato: io faccio un cenno con la mano, e allora fuoco. Ecco il cenno. I soldati guardano l'ufficiale, il condannato bendato, e non sparano. Nuovo cenno. I soldati non sparano. Il tenente batte nervosamente le mani. Sparano. Ed ecco il corpo investito dalla raffica si piega scivolando un poco lungo il tronco dell'albero, mezza la testa asportata. Con un'occhiata, il medico sbriga' la formalità dell'accertamento. Siamo al secondo - questo scende calmo, quasi sorridente, con appesa al collo una corona benedetta. Dice come estasiato: «L'è justo. Vardè vualtri de rigar drito, no
ste a far come che go fato mi ». Tocca di sparare a quelli della seconda riga: ma questi tentano di sottrarsi, affermano di aver già sparato, la prima volta. L'aiutante maggiore taglia corto, minaccia, parole grosse. I! plotone si riordina. Un cenno, la scarica. È finito. Il plotone d'esecuzione - raccapriccio, angoscia su tutti i volti - rompe i ranghi, rientra lento. Per tutto il giorno, un gran discorrere a bassa voce nelle baracche, un gran sbigottimento in tutto il battaglione. La giustizia degli uomini è fatta.

     

  L'ufficio statistica, testé insediato, diede la percentuale media giornaliera dei disertori: (spesso fuggivano durante le licenze a casa) 202 ogni 100.000 soldati (2 %°), variabile nel dettaglio dei reparti (in un reggimento arrivò al 6%°: in capo a sei mesi sarebbe sparito dall'organico).

" Si concedono Lire 60 per la cattura di ogni disertore "   http://www.remtechnology.net/giustizia militare.htm 

...non erano riusciti a farsi capire da chi aveva compiuto miracoli e sacrifici indicibili….Morti a migliaia senza capire e senza farsi capire, raggruppati intorno ai migliori elementi della piccola borghesia italiana". Malaparte, con Soffici, è convinto che "... il popolo abbia fatto la guerra senza sapere perché; "…"la guerra è stata voluta dagli interventisti che gridavano viva Trento e Trieste e viva la Francia. I neutralisti non la volevano, e perciò gridavano abbasso Trento e Trieste, abbasso la Francia. Noi che stiamo facendo la guerra, non abbiamo gridato nulla".  (scriveva Curzio Malaparte - lui repubblicano, garibaldino, interventista e volontario- in "La rivolta dei santi maledetti", 1921 - rist. 1928, p.164)

Apposite pattuglie nelle retrovie, sui treni, boschi e fattorie isolate davano la caccia a chi si era allontanato dal reparto. A condanna eseguita, la sentenza veniva affissa sulla porta dei famigliari.

  "Tutte le volte che c'era un attacco arrivavano i carabinieri. Entravano nelle nostre trincee, i loro ufficiali li facevano mettere in fila dietro di noi e noi sapevamo che - quando sarebbe stata l'ora- avrebbero sparato addosso a chiunque si fosse attardato nei camminamenti invece di andare all'assalto. Questo succedeva spesso. C'erano dei soldati, ce n'erano sempre, che avevano paura di uscire fuori dalla trincea quando le mitragliatrici austriache sparavano all'impazzata contro di noi. Allora i carabinieri li prendevano e li fucilavano. A volte era l'ufficiale che li ammazzava a rivoltellate." Nel campo degli ufficiali prevaleva la richiesta di esonero dal comando per incapacità.

Così Diaz "..a parte il fatto che la nostra scarsezza di ufficiali non ci permette una grande selezione (a Modena con tre mesi di corso vennero licenziati 6.000 allievi ufficiali) …molte volte chi sostituisce non vale di più di chi è esonerato".

Sotto Cadorna (29 mesi) furono comunque esonerati per incapacità 807 ufficiali (28 al mese) di cui 217 generali e 225 colonnelli. Sotto Diaz (12 mesi ma con un corpo ufficiali già ben formato!) ne furono esonerati 176 (14 al mese). All'entrata in guerra l'Italia aveva soltanto 15.000 ufficiali di ruolo, mentre alla vigilia di Caporetto 160.000 giovani, non contadini ma inesperti come loro, erano stati promossi ufficiali !!.

Non sono comprese in queste cifre (730 a morte) le esecuzioni sommarie e quell’applicazione della pena sulla linea del fuoco che è demandata all’ufficiale in caso di emergenza. Delle esecuzioni sommarie non sappiamo molto: una commissione d’inchiesta presieduta dal generale Tomasi, della magistratura militare, effettuò le indagini su 150 casi più alcune decine avvenute durante la ritirata di Caporetto (si parla di 35); in alcuni casi furono accertati degli abusi ma non sappiamo con quali conseguenze giuridiche. Cadorna diceva che chi si macchia di viltà ne avrebbe subito le conseguenze “quando non fosse già stato freddato dal piombo del superiore”.   Nei primi mesi del 1918 il numero dei disertori superava quello dei morti e prigionieri. Le denunce che risultavano a fine guerra (quando il 2 settembre 1919, fu concessa un'amnistia per i reati militari) per "indisciplina, resa al nemico, mutilazione volontaria, renitenza o diserzione, etc", ammontavano a 870.000; di queste 470.000 per renitenti in cui si comprendevano gli emigrati non rientrati (moltissimi si stima 370.000). Per i restanti, 60.000 contro civili per reati in zona di guerra. Alla fine furono circa 15.000 le condanne all'ergastolo, 4028 le condanne a morte, non eseguite per contumacia od altro 3.280. Alla fine del conflitto 750 persone erano state giustiziate per reati vari, anche "civili" come il saccheggio, il furto e lo scasso (ma in zona di guerra). Negli altri paesi belligeranti le condanne a morte furono inferiori. http://www.remtechnology.net/giustizia%20militare.htm

L’Ultimo picchetto sulla strada di Selis da "Gli ultimi giorni dell’armata perduta" di Tullio Trevisan. Gaspari Editore.

Questo episodio fu narrato nel suo libro dal Palmieri e ripreso da Del Bianco ne La guerra e il Friuli; ma lo stesso Rocca, in un capitolo su La giustizia militare nel suo libro Vicende di guerra, confermò l’episodio.

 

Nov. 1917 Ritirata di Caporetto - Tre giorni dopo il combattimento di Pradis (Carnia) Il generale, seguito da tutti gli ufficiali, salvo quelli dei reparti impegnati (a combattere) che erano agli ordini del comandante del Val Ellero, si diresse ai vicini casolari di Selis. Il comandante della 63’ divisione riunì gli ufficiali e con tono solenne e con voce studiatamente ferma e lente disse loro: ‘Signori! ho fatto quanto era possibile per porre in salvo gli avanzi della mia divisione. Il tentativo è fallito. Sciolgo gli ufficiali dal dovere dell’obbedienza. Ognuno si regoli come crede. Mi do alla montagna per cercare di raggiungere da solo le nostre linee”. …... Ma entrambi i due alti ufficiali (Rocca e Murari) non citano un grave e tragico episodio avvenuto presso Selis . Trovata la linea telefonica nemica, fu mandata avanti in esplorazione una pattuglia, che però non fece ritorno. L’intero reparto allora avanzò con circospezione nella boscaglia e riuscì a sorprendere il modesto presidio nemico addetto al posto telefonico, che si arrese senza opporre resistenza, tranne un soldato, che riuscì a fuggire. Ma nell’interno del piccolo ricovero c’erano, prigionieri, i soldati italiani della pattuglia, i quali, benché avvantaggiati dalla sorpresa, evidentemente si erano arresi spontaneamente senza combattere. Nonostante la situazione ormai disperata e la sensazione dell’imminente, inevitabile conclusione del tentativo di sottrarsi alla cattura, con una decisione precipitosa ed incomprensibile, il generale Rocca ordinò un brevissimo e formale processo a carico del sergente capopattuglia, che venne immediatamente “passato per le armi”.

  Ecco come il Palmieri descrisse quel tragico fatto e il combattimento di Selis: “Il generale Rocca, assunte ulteriori notizie circa la cattura della pattuglia, ordina un brevissimo formale giudizio a carico del sergente che la comandava. E il giudizio che può sortire da un’affrettata e non sempre serena valutazione dei fatti, non può, in circostanze del genere, essere che uno: di morte. Una squadra di dieci alpini della 21Oa compagnia ha ordine di fucilare immediatamente il sergente il quale non va alla ricerca di attenuanti o di giustificazioni per la sua condotta. Dinanzi a tutta la colonna schierata, la tragica funzione ha luogo, previa degradazione del sottufficiale, mentre il nemico vicino si prepara a trarre fra le sue maglie questi stanchi e scossi residui della 63’ divisione. Il sergente muore coraggiosamente, con “eroico comportamento”, come avrà a dire il capitano Nussi, e ciò conferma nei componenti la colonna il convincimento di non essersi trattato di un vile, di un pauroso e che l’estrema decisione adottata dal generale Roca non sia di certo stata necessaria, opportuna e, soprattutto, serena. Con un pugno dei suoi uomini (attendenti e ufficiali) scese poi presso Aviano e dopo molte avventure giunse alla foce del Tagliamento e montato sopra una barca sperava di raggiungere Venezia ma fu scoperto. Il 18 dicembre, sarà arrestato dai gendarmi austriaci nei pressi di Cesarolo.
     
MESE

INDIVIDUI INCRIMINATI

% CONDANNE

CONDANNE A MORTE ESEGUITE. 

CONTUMACI

GIUDIZI SOMMARI

OTT.16  2675 68,36 19 85 7
NOV.16 2410 72,4 9 42 1
DIC.16 2422 67,9 15 49
GEN.17 2472 72,65 7 45
FEB.17 2938 71,1 6 63
MAR.17 3890 70 13 37 7
APR.17 3709 74,7 13 63
MAG.17 5142 74,3 48 57 5
GIU.17 5903 78 45 93 20
LUG.17 6327 78,2 37 59 28
AGO.17 7488 77,6 27 92 2
SETT17 6388 77,8 32 50 7  

 


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