La
giustizia militare
|
|
Dopo il primo anno di guerra, il morale
dei soldati, per niente entusiasta, non poté che peggiorare. L'anno che
precede Caporetto, fu costellato di punizioni inflitte e, anche il
cambio del Comando Supremo (Diaz), non migliorò la situazione. Le punizioni o i ferri a cui erano
sottoposti nel passato gli eserciti professionali, erano mal digerite
dalla leva popolare. In determinate circostanze l'esecuzione sommaria (senza
una condanna dibattimentale) veniva eseguita sul posto. Capello,
comandante della II armata, era tristemente famoso per i metodi già
sperimentati in colonia e per i suoi discorsi alle truppe inframmezzati da ingiurie e minacce. Le prime esecuzioni sommarie si
ebbero sull'Altopiano di Asiago nel 1916 quando Cadorna di fronte al
panico delle truppe ordinò di fucilare alcuni ufficiali e soldati.
In un caso di malcontento prima di
un assalto, si procedette alla decimazione (pratica che si crede invece inventata dai tedeschi) estraendo casualmente 1 soldato ogni dieci dai
ranghi e riducendo ulteriormente il loro numero con un'altra estrazione:
costoro vennero poi passati per
le armi. Ai granatieri venne ordinato di scavare nuove trincee in un
"Lenzuolo Bianco". Così era definito un pezzo di terra nel
quale avevano trovato sepoltura provvisoria i caduti di precedenti
assalti. L'ordine fu ribadito, tacciando i soldati di codardia al fuoco e
i granatieri dovettero disseppellire parzialmente i cadaveri e con
questi convivere per mesi.
Quando le trincee erano molto ravvicinate, e
quindi non soggette ai tiri d'artiglieria di entrambe le parti, succedeva
spesso che fra nemici ci si scambiassero opinioni ed anche generi di
conforto diversi. "Ho punito due alpini" notava un ufficiale
" perché erano usciti nottetempo con un piffero per recarsi sotto
le trincee nemiche" . Un giorno di Pasqua la distanza fra i
belligeranti era diventata talmente sottile che, da entrambe le parti,
dalle retrovie, si fu costretti a sparare un colpo di cannone per ripristinare
l'ostilità. Sulle trincee e sui comandi aleggiava lo spettro della "Tregua
di natale" del fronte occidentale e la paura che si ripetesse
in Italia.
|
le
pesanti conseguenze
http://www.cimeetrincee.it/fucilazi.htm http://www.cimeetrincee.it/longa.htm
http://www.cjargne.it/alpinortis.htm#GRANDE%20GUERRA%A0 |
|
|
|
|
L’azione del comando supremo si svolse in diverse direzioni: da un lato faceva pressioni sui collegi giudicanti perché non si discostassero dalle richieste che avanza l’avvocatura militare (un preponderante numero di giudici erano formati da ufficiali di complemento che venivano quindi dalla vita borghese) d’altra parte invitavano gli ufficiali presenti nella trincea ad usare le estreme misure per punire codardi e vigliacchi
(si chiamavano esecuzioni sommarie ed erano "legalmente normali"). Intere brigate furono tenute inchiodate al posto di combattimento sotto la minaccia dei fucili e delle mitraglie
|
|
Il 4 agosto
1916, nei ranghi del 47° Btg Bersaglieri, vi furono tre fucilati per diserzione
e il 31 ottobre, nel 6° reggimento, 6 fucilati per rivolta. Il 47°, venne coinvolto
il 10 ottobre, in un attacco a Jamiano
fiancheggiato dalla brigata Modena (41/42) e dalla brigata Padova
(117/118). La
direzione di attacco e la penetrazione raggiunta nelle linee nemiche, non
contemporanea ai reparti fiancheggiatori, comportarono un successivo ripiegamento e costi umani per il
rinnovo della azione. Il comandante, maggiore Cortese, disperso nella
azione, ritenuto responsabile degli errati comandi, fu proposto per una
inchiesta qualora fosse riapparso anche dalla prigionia. L'inchiesta
istituita doveva chiarire i seguenti quesiti:
1- I
Bersaglieri si erano spinti fino al paese abbandonato per saccheggiarlo?
(considerazione negativa che si aveva del bersagliere fin dai tempi del
12°)
2- Il 47° restò collegato col 42° Rgt. della Modena e con quelli della
brigata Padova ?
3- Il ripiegamento fu causa od effetto di altre azioni concomitanti ?
L'inchiesta si risolse con un nulla di fatto, ma ciò dà il senso del clima
che si respirava in quel periodo al fronte.
|
|
|
Così Gabriele D'Annunzio descrive la fucilazione di alcuni fanti della brigata Catanzaro, due volte decorata di medaglia d'oro e considerata una delle più valide unità di fanteria:
"Di spalle al muro grigio furono messi i fanti condannati alla fucilazione, tratti a sorte dal mucchio dei sediziosi……Siete contadini. Vi conosco alle mani. Vi conosco al modo di tenere i piedi in terra. Non voglio sapere se siete innocenti, se siete colpevoli. So che foste prodi, che foste costanti. La legione tebana, la sacra legione tebana, fu decimata due volte. Espiate voi la colpa? O espiate la patria
contaminata?……Il Dio d'Italia vi riarma e vi guarda." La brigata Catanzaro, 141-142°
rgt, come tante altre, aveva avuto i suoi giorni in linea (23 e 24 maggio) e pur con perdite notevoli era stata ricondotta in trincea
(Hermada) 10 giorni dopo. Ritirata nuovamente a Santa Maria La Longa, paesino della bassa friulana il 24 giugno (64% gli effettivi) si paventò da subito un suo reimpiego.
Il parroco del paese aveva avuto sentore che qualcosa si andava tramando, dai discorsi fatti nelle osterie. Credette suo dovere mettere sull’avviso il comandante della Brigata, ma fu tranquillizzato dal fatto che quelle erano ritenute normali lamentele. Quando di lì a qualche giorno la Brigata ricevette l’ordine di tornare al fronte, la sommossa divampò. Alle 22.30 del 15 luglio, con un violento fuoco di fucileria, razzi multicolori ascesero il cielo per dare il segnale della rivolta ad altre Brigate. Furono uccisi un capitano e un tenente addetti al Comando e la truppa in rivolta si apprestò ad assalire la residenza di Gabriele D’Annunzio adiacente un campo d’aviazione. Viene dato l’allarme al Comando Supremo a Udine. Nel cuore della notte gruppi di artiglieria, carabinieri e squadroni di cavalleria circondano la Brigata Catanzaro. Verso le 3 del mattino la rivolta è spenta. Tre ufficiali e quattro carabinieri erano rimasti uccisi. Si istruì il processo per direttissima a seguito del quale 28 militari furono condannati a morte, passati per le armi e gettati in una fossa comune. Qualche ora dopo, sotto buona scorta la Catanzaro fu rispedita nella bolgia. Lungo la strada altri dieci vennero condannati e fucilati per insubordinazione di fronte al nemico. Facevano parte di quei 114 uccisi con esecuzione sommaria. |
|
|
|
Si dice nel
sito Frontedolomitico.it d’un processo istituito a carico di 345
bersaglieri del 18° btg del 3° ammutinatosi. Furono in 5 quelli condannati a morte
per
fucilazione. Uno, A.G., ai lavori forzati a vita. Gli altri a pene
detentive minori di 3 anni. Agordo, 22/23 aprile 1916. (TS, di guerra, b.
74, f. 117/II, sent. 329) - La sera del 21 aprile, di concerto fra di
loro, gli imputati , dopo aver preso le armi e senza ordine dei loro
superiori, abbandonarono gli alloggiamenti in Salesei occupati dal 18°
battaglione e si trasferirono ad Alleghe, ove furono fermati e donde
furono ricondotti fino a Caprile.
Ad altri 5 dell’8° (7ª cp) il Tribunale militare di guerra del
I corpo d'armata l’8 maggio 1917 inflisse pesanti condanne per abbandono
di posto in presenza del nemico. Ergastolo per uno e un altro, già
condannato per diserzione, alla fucilazione. (TS, Atti diversi, b.
fucilazioni A-R, giudizi sommari 1, f. C.). Il mattino del 19 aprile 1917,
i bersaglieri C.V., A.L., M.C., F.L., Z.A., tutti dell'8° dopo essersi presentati al posto di medicazione in San Blasius, adducendo
disturbi di lieve entità per i quali l'ufficio medico non credette il caso
di doverli esonerare dai lavori di costruzione della linea difensiva di
massima resistenza, Rio Bosco – Pezzovico anziché raggiungere la compagnia
medesima e prendere parte ai lavori, si diressero arbitrariamente a Tre
Croci, recandosi in un'osteria ove sostarono alquanto e bevvero del vino.
Di là i pervenuti, sotto la particolare influenza del C.V., [...] si
portarono fino alle prime case di Auronzo, ove però venivano fermati da una
pattuglia di carabinieri e fatti ritornare indietro, perché
sprovvisti di documenti giustificativi. Dopo aver trascorsa la notte in
una casa vuota lungo la strada tra Auronzo e Val Marzon
[...] M.C.
[...] F.L. e [...] Z.A. profondamente preoccupati e pentiti di quanto
avevano fatto, ripresero la via di Tre Croci [...] Gli altri verranno
fermati a Masarè e tratti in arresto. |
|
Il caso
del 6° reggimento:
gemello del 12° nella brigata bersaglieri, al
fronte già da diverso tempo ed in procinto del turno di rotazione:
il
giorno 29, i comandi pur sapendo che sarebbe stato reimpiegato, lo
spedirono diversi
chilometri dietro le retrovie. Erano
passate 48 ore e venivano riavviati al fronte. Coralli, il comandante, nella notte fu oggetto di un
attentato che ferì il capitano Maiga. L'esecuzione delle misure
repressive fu coordinata dal comandante della 45° divisione che
interrogò sei sospetti più due per compagnia. Alle 6 del 1 novembre
l'esecuzione sommaria degli indiziati. Scrisse Bissolati " Parlo
con il capo delle decimazioni, persuadendolo che si possa e si debba
arrivare soltanto alla punizione degli indiziati"!!!!. Nella V
armata che aveva raccolto quanto era rimasto della II, dopo Caporetto,
si emanarono disposizioni che si
spinsero fino al ritiro delle bombe a mano e delle munizioni. Vennero
infiltrati fra la truppa, carabinieri travestiti che seguissero le teste
calde per poi smascherarli. Molti degli sbandati di Caporetto erano
finiti in campi di raccolta dell'Emilia, dove la propaganda politica pacifista
locale era da
sempre un fattore costante e per queste province, esterne al conflitto,
Diaz chiedeva lo stato di guerra. Gli furono concessi carabinieri,
guardie di finanza e cavalleria per la miglior tutela dell'ordine
pubblico. Badoglio, rinato spiritualmente dalle ceneri di Caporetto, diede ordine di passare ad un unico ufficio le
informazioni raccolte dalla polizia, dalle spie e dalla censura postale, per la redazione quindicinale di
una relazione. Molti reati, d'ora in poi (Era Diaz), passarono dai
tribunali ordinari alla Corte Marziale. Le denunce per atti di
familiarità col nemico delle vedette dei posti avanzati, d'ora in poi
sarebbero state sanzionate con la pena capitale. Qualsiasi ferita ora
veniva vista come atto autolesionista.
Così il comando della III
armata nell'agosto del 18: "la legge commina contro i disertori
pene che non potrebbero essere più gravi.. non riescono ad incutere nel
cattivo soldato un salutare terrore. Non sono abbastanza
conosciute…perché la lenta procedura fa perdere l'immediatezza della
pena (succedeva che in attesa del giudizio, che poteva anche
rivelarsi assolutorio, il soldato passasse mesi lontano dal fronte).
Paolo
Monelli - Le scarpe al sole …..pag 138 e seg..... Due carabinieri hanno
condotto su stanotte da Enego i due alpini condannati alla fucilazione
perché un giorno dell'Ortigara, usciti dalla battaglia per una corvè,
non vi erano poi più rientrati. Toccano all'aiutante maggiore i compiti
più odiosi, persuadere i due che sono vane le speranze che hanno portato
trepidamente con sé per tutta la strada (i carabinieri, buoni diavoli,
non avevano core di disilluderli); e mandare a chiamare prete e medico;
e tirar fuori il plotone d'esecuzione; e intanto far chiudere in una
baracca questi due morituri così diversi da quelli che buttiamo fuori
della trincea i giorni di battaglia - che appena si son ritrovati con il
loro battaglione hanno urlato, pianto, chiamata la famiglia lontana,
implorato pietà e perdono.
« Andaremo de pattuja tute le sere, sior tenente .. " »
E quando hanno intuito che nessuna forza umana poteva loro ridare la
vita, non hanno più detto una parola, hanno solo continuato a piangere
lamentosamente. Il plotone d'esecuzione s'allinea, sbigottito, occhi
atoni sull'aiutante maggiore che con voce che vuole dunque far suonare
aspra spiega la necessità di mirar bene per abbreviare l'agonia a gente
irrimediabilmente condannata. Nel plotone ci sono amici, paesani, forse
anche parenti dei due condannati. Commenti sommessi nell'allineamento.
«Silenzio!» grida l'aiutante. È arrivato il prete, tremante, spaurito;
c'è anche il medico, si marcia ad una piccola radura sinistra nel bosco,
ai primi lucori dell'alba. Ecco il primo condannato. Un pianto senza
lacrime, un rantolo, esce dalla gola serrata una parola. Occhi senza
espressione più, sul volto solo terrore ebete della bestia al macello.
Condotto presso un abete, non si regge sulle gambe, s'accascia: bisogna
legarlo con un filo telefonico al tronco. I! prete, livido, se lo
abbraccia. Intanto, il plotone s'è schierato su due righe: la prima riga
deve sparare. L'aiutante maggiore ha già spiegato: io faccio un cenno
con la mano, e allora fuoco. Ecco il cenno. I soldati guardano
l'ufficiale, il condannato bendato, e non sparano. Nuovo cenno. I
soldati non sparano. Il tenente batte nervosamente le mani. Sparano. Ed
ecco il corpo investito dalla raffica si piega scivolando un poco lungo
il tronco dell'albero, mezza la testa asportata. Con un'occhiata, il
medico sbriga' la formalità dell'accertamento. Siamo al secondo - questo
scende calmo, quasi sorridente, con appesa al collo una corona
benedetta. Dice come estasiato: «L'è justo. Vardè vualtri de rigar drito,
no ste a far come che go fato mi ». Tocca di
sparare a quelli della seconda riga: ma questi tentano di sottrarsi,
affermano di aver già sparato, la prima volta. L'aiutante maggiore
taglia corto, minaccia, parole grosse. I! plotone si riordina. Un cenno,
la scarica. È finito. Il plotone d'esecuzione - raccapriccio, angoscia
su tutti i volti - rompe i ranghi, rientra lento. Per tutto il giorno,
un gran discorrere a bassa voce nelle baracche, un gran sbigottimento in
tutto il battaglione. La giustizia degli uomini è fatta. |
|
|
|
|
|
L'ufficio statistica, testé insediato, diede la percentuale media
giornaliera dei disertori: (spesso fuggivano durante le licenze a casa)
202 ogni 100.000 soldati (2 %°), variabile nel dettaglio dei reparti
(in un reggimento arrivò al 6%°: in capo a sei mesi sarebbe sparito
dall'organico).
" Si concedono Lire 60 per la cattura di
ogni disertore "
http://www.remtechnology.net/giustizia militare.htm
...non
erano riusciti a farsi capire da chi
aveva
compiuto miracoli e sacrifici indicibili….Morti a migliaia senza
capire e senza farsi capire, raggruppati intorno ai migliori elementi
della piccola borghesia italiana". Malaparte, con Soffici, è
convinto che "... il popolo abbia fatto la guerra senza sapere
perché; "…"la guerra è stata voluta dagli interventisti che
gridavano viva Trento e Trieste e viva la Francia. I neutralisti non la
volevano, e perciò gridavano abbasso Trento e Trieste, abbasso la
Francia. Noi che stiamo facendo la guerra, non abbiamo gridato
nulla". (scriveva Curzio Malaparte -
lui repubblicano, garibaldino, interventista e volontario- in "La
rivolta dei santi maledetti", 1921 - rist. 1928, p.164)
Apposite pattuglie nelle retrovie, sui treni,
boschi e fattorie isolate davano la caccia a chi si era allontanato dal
reparto. A condanna eseguita, la sentenza veniva affissa sulla porta dei
famigliari. |
|
|
"Tutte le volte che c'era un attacco arrivavano i carabinieri. Entravano nelle nostre trincee, i loro ufficiali li facevano mettere in fila dietro di noi e noi sapevamo che - quando sarebbe stata l'ora- avrebbero sparato addosso a chiunque si fosse attardato nei camminamenti invece di andare all'assalto. Questo succedeva spesso. C'erano dei soldati, ce n'erano sempre, che avevano paura di uscire fuori dalla trincea quando le mitragliatrici austriache sparavano all'impazzata contro di noi. Allora i carabinieri li prendevano e li fucilavano. A volte era l'ufficiale che li ammazzava a rivoltellate."
Nel campo degli ufficiali prevaleva la richiesta di
esonero dal comando per incapacità.
Così Diaz
"..a parte il fatto
che la nostra scarsezza di ufficiali non ci permette una grande
selezione (a Modena con tre mesi di corso vennero licenziati 6.000
allievi ufficiali) …molte volte chi sostituisce non vale di più di chi è
esonerato".
Sotto Cadorna (29 mesi) furono comunque esonerati
per incapacità 807 ufficiali (28 al mese) di cui 217 generali e 225
colonnelli. Sotto Diaz (12 mesi ma con un corpo ufficiali già ben
formato!) ne furono esonerati 176 (14 al mese). All'entrata in guerra
l'Italia aveva soltanto 15.000 ufficiali di ruolo, mentre alla vigilia di Caporetto 160.000 giovani, non contadini ma inesperti come loro, erano
stati promossi ufficiali !!. |
Non sono comprese in queste
cifre (730 a morte) le esecuzioni sommarie e quell’applicazione della pena sulla linea
del fuoco che è demandata all’ufficiale in caso di emergenza. Delle
esecuzioni sommarie non sappiamo molto: una commissione d’inchiesta
presieduta dal generale Tomasi, della magistratura militare, effettuò le
indagini su 150 casi più alcune decine avvenute durante la ritirata di
Caporetto (si parla di 35); in alcuni casi furono accertati degli abusi
ma non sappiamo con quali conseguenze giuridiche. Cadorna diceva che chi
si macchia di viltà ne avrebbe subito le conseguenze “quando non fosse
già stato freddato dal piombo del superiore”.
|
|
Nei primi mesi del 1918 il numero dei disertori
superava quello dei morti e prigionieri.
Le denunce che risultavano a fine guerra (quando il 2 settembre 1919, fu
concessa un'amnistia per i reati militari) per "indisciplina, resa
al nemico, mutilazione volontaria, renitenza o diserzione, etc",
ammontavano a 870.000; di queste 470.000 per renitenti in cui si
comprendevano gli emigrati non rientrati (moltissimi
si stima 370.000). Per i restanti,
60.000 contro civili per reati in zona di guerra. Alla fine furono circa 15.000 le condanne all'ergastolo, 4028 le
condanne a morte, non eseguite per
contumacia od altro 3.280. Alla fine del conflitto 750 persone erano state giustiziate per reati
vari, anche "civili" come il saccheggio, il furto e lo scasso
(ma in zona di guerra). Negli altri paesi
belligeranti le condanne a morte furono inferiori.
http://www.remtechnology.net/giustizia%20militare.htm
L’Ultimo
picchetto sulla strada di Selis da "Gli ultimi giorni dell’armata perduta"
di Tullio Trevisan. Gaspari Editore. |
Questo episodio fu narrato nel suo libro dal Palmieri e ripreso da Del
Bianco ne La guerra e il Friuli; ma lo stesso Rocca, in un capitolo su La
giustizia militare nel suo libro Vicende di guerra, confermò l’episodio.
|
|
Nov. 1917 Ritirata di Caporetto - Tre giorni dopo il
combattimento di Pradis (Carnia) Il generale, seguito da tutti gli
ufficiali, salvo quelli dei reparti impegnati (a combattere) che erano
agli ordini del comandante del Val Ellero, si diresse ai vicini casolari
di Selis. Il comandante della 63’ divisione riunì gli ufficiali e con tono
solenne e con voce studiatamente ferma e lente disse loro: ‘Signori! ho
fatto quanto era possibile per porre in salvo gli avanzi della mia
divisione. Il tentativo è fallito. Sciolgo gli ufficiali dal dovere
dell’obbedienza. Ognuno si regoli come crede. Mi do alla montagna per
cercare di raggiungere da solo le nostre linee”. …... Ma entrambi i due alti ufficiali
(Rocca e Murari) non citano
un grave e tragico episodio avvenuto presso Selis . Trovata la linea
telefonica nemica, fu mandata avanti in esplorazione una pattuglia, che
però non fece ritorno. L’intero reparto allora avanzò con circospezione
nella boscaglia e riuscì a sorprendere il modesto presidio nemico addetto
al posto telefonico, che si arrese senza opporre resistenza, tranne un
soldato, che riuscì a fuggire. Ma nell’interno del piccolo ricovero
c’erano, prigionieri, i soldati italiani della pattuglia, i quali, benché
avvantaggiati dalla sorpresa, evidentemente si erano arresi spontaneamente
senza combattere. Nonostante la situazione ormai disperata e la sensazione
dell’imminente, inevitabile conclusione del tentativo di sottrarsi alla
cattura, con una decisione precipitosa ed incomprensibile, il generale
Rocca ordinò un brevissimo e formale processo a carico del sergente
capopattuglia, che venne immediatamente “passato per le armi”.
|
|
Ecco come il Palmieri descrisse quel tragico fatto e il combattimento di
Selis: “Il generale Rocca, assunte ulteriori notizie circa la cattura
della pattuglia, ordina un brevissimo formale giudizio a carico del
sergente che la comandava. E il giudizio che può sortire da un’affrettata
e non sempre serena valutazione dei fatti, non può, in circostanze del
genere, essere che uno: di morte. Una squadra di dieci alpini della 21Oa
compagnia ha ordine di fucilare immediatamente il sergente il quale non va
alla ricerca di attenuanti o di giustificazioni per la sua condotta.
Dinanzi a tutta la colonna schierata, la tragica funzione ha luogo, previa
degradazione del sottufficiale, mentre il nemico vicino si prepara a
trarre fra le sue maglie questi stanchi e scossi residui della 63’
divisione. Il sergente muore coraggiosamente, con “eroico comportamento”,
come avrà a dire il capitano Nussi, e ciò conferma nei componenti la
colonna il convincimento di non essersi trattato di un vile, di un pauroso
e che l’estrema decisione adottata dal generale Roca non sia di certo
stata necessaria, opportuna e, soprattutto, serena.
Con un pugno dei suoi uomini (attendenti e ufficiali) scese poi presso
Aviano e dopo molte avventure giunse alla foce del Tagliamento e montato
sopra una barca sperava di raggiungere Venezia ma fu scoperto. Il 18
dicembre, sarà arrestato dai gendarmi austriaci nei pressi di Cesarolo. |
|
|
|
MESE |
INDIVIDUI INCRIMINATI |
% CONDANNE |
CONDANNE A MORTE
ESEGUITE. |
CONTUMACI |
GIUDIZI SOMMARI |
OTT.16 |
2675 |
68,36 |
19 |
85 |
7 |
NOV.16 |
2410 |
72,4 |
9 |
42 |
1 |
DIC.16 |
2422 |
67,9 |
15 |
49 |
|
GEN.17 |
2472 |
72,65 |
7 |
45 |
|
FEB.17 |
2938 |
71,1 |
6 |
63 |
|
MAR.17 |
3890 |
70 |
13 |
37 |
7 |
APR.17 |
3709 |
74,7 |
13 |
63 |
|
MAG.17 |
5142 |
74,3 |
48 |
57 |
5 |
GIU.17 |
5903 |
78 |
45 |
93 |
20 |
LUG.17 |
6327 |
78,2 |
37 |
59 |
28 |
AGO.17 |
7488 |
77,6 |
27 |
92 |
2 |
SETT17 |
6388 |
77,8 |
32 |
50 |
7 |
|
|