al congresso di Parigi, dove l'uscita plateale del Cavour aveva
attirato l'attenzione di tutti i delegati, non ottenemmo nulla. Si
discusse sì del Papato, (ma questo era difeso dai Francesi), del Re di
Napoli, del trattamento nel Lombardo-Veneto agli ex fuoriusciti, ma le
simpatie venivano dai Prussiani, prossimi avversari degli Austriaci, dai
Russi, perdenti la guerra, e dagli Inglesi, antipapisti dal tempo di
Enrico VIII. Ci si
convinse comunque che era meglio "contattare" direttamente Napoleone III
che passare dal suo Ministro degli esteri filoaustriaco. Il primo
contatto, passato alla storia, fu quello della
Contessa
Virginia di Castiglione
la più bella donna in quel momento in Europa. Il galante
imperatore dei Francesi ebbe una relazione burrascosa con la Castiglione,
interrotta da un attentato, che
la mise fuori gioco. Si seppe solo più tardi che l'attentato era di
fattura italiana, ma di ispirazione molto vicina all'imperatore: l'Imperatrice Eugenia.
La Parigi di allora rivaleggiava con Londra nella bella vita e per molti
versi di poteva dire che la superava. Se volevi vivere andavi a Parigi,
se volevi crearti una fortuna andavi a Londra. E' per questo che la
città divenne poi il centro del peccato con le sue dame belle e
intriganti, fra le quali non era seconda a nessuno la russa
Barbara (Barbe) Dmitrievna Mergassov Rimsky-Korsakova,
che il sesso lo usava solo per uno scopo. I rapporti di amicizia e buon
vicinato, tenuti con la coppia reale francese dal nostro
ambasciatore Costantino Nigra (grazie ad una borsa di
studio (1845), si iscrisse alla facoltà di legge ottenendo così la laurea. Interruppe gli studi nel 1848 perché si arruolò come volontario nella terza compagnia bersaglieri, interamente formata da studenti. Combatté con valore nelle battaglie di Peschiera, Santa Lucia, Calmasino e Goito restando ferito a Rivoli. http://web.tiscali.it/Nigra/vita.html
), comunque non si interruppero.
In Lombardia, alla firma del trattato di difesa comune, le provocazioni
contro l'odiato austriaco si moltiplicarono), comunque non si interruppero.
In Lombardia, alla firma del trattato di difesa comune, le provocazioni
contro l'odiato austriaco si moltiplicarono
( si fumava solo
sigari Cavour, etc). Il 29 gennaio alla Scala durante la
rappresentazione della Norma di Bellini, presente lo stato maggiore
austriaco, quando il coro intonò Guerra, Guerra! tutti gli astanti si
alzarono in piedi ripetendo l'invocazione. Agli
Austriaci non restava che rompere le relazioni diplomatiche col Piemonte
in segno di sfida.
Felice Orsini - il terrorista
Si pensò che forse era il caso di ingraziarsi anche l'imperatrice. Non
tutto era quindi perduto quando, il 14 gennaio 1858, tre bombe
scoppiarono contro la carrozza imperiale.
Lo scoppio causò 8 morti e 150 feriti tra la folla, ma lasciò illesa la coppia imperiale*
che stava recandosi all’Opéra di Parigi. Anche questa volta
gli attentatori erano
Italiani, ma lavoravano in conto proprio, almeno così sembrava. Felice
Orsini, Pieri, De Rudio (o Rudio), Gomez finirono in prigione
(questi
ultimi due finirono graziati negli Usa a combattere con Custer). Un repubblicano
francese, Bernard, aveva insegnato loro a confezionare le bombe e poco era bastato per convincere
gli attentatori che tutto il male dell'Italia e dell'Europa veniva da
Parigi, da questo Napoleone fattosi Imperatore dopo che Presidente e
protettore del Papa. La storia di Orsini e di de Rudio è al link
soprastante quella degli altri cospiratori prima dell'attentato ve la
diamo qui.
Antonio
Gomez, veniva dalla Legione straniera in Algeria (1853-1855). Il 7
dicembre 1855 fu condannato a Marsiglia a 6 mesi di carcere per abuso di
confidenza con gli ufficiali e scontata la pena emigrò in Inghilterra.
Giovanni Andrea Pieri nacque S. Stefano di Moriano (Lu) nel 1808.
Piccole pendenze in patria portarono anche lui nella legione. Si stabilì
a fine contratto a Parigi giusto in tempo per la rivoluzione (1848). Si
racconta che venne poi in Italia e prestasse servizio nei Bersaglieri.
Ma anche da qui fu cacciato per concussione.
In Francia il suo asilo
durò poco perché con il colpo di stato di Napoleone III si fece anche
piazza pulita di tutti i vecchi amici cospiratori repubblicani e massoni. Emigrato
a Londra, conobbe Felice Orsini. «Farò vedere io a costoro come si
organizzi sul serio un attentato, che raggiunga la mira, [...] Mazzini e
Rollin che armano le mani di volgari esecutori, invece di perigliarsi in
prima persona al gran gesto del tirrannicidio, impareranno com’io non
lesini la mia vita [...j Mazzini ed i suoi non sanno uscire dalla
routine del classico rugginoso pugnale, io sarò moderno, terribile,
applicando le macchinette infernali, esposte incautamente alla curiosità
dei visitatori in un museo del Belgio». Fu quindi Bernard, esperto
chimico, e non lui ad impostarle. Due anonime semisfere di ghisa di
oltre un chilo l’uno, avrebbero viaggiato in incognito e sarebbero state
ricomposte a Parigi con dentro un chilo di fulminato di mercurio. Dei 4
attentatori Pieri sparì subito, perché un commissario, dalla memoria e
dalla vista acuta, lo riconobbe. I francesi sapevano per una spiata
dell'attentato ne avevano preso uno, uno + uno fa due, ma il percorso
dell'Imperatore e l'evento non vennero cancellati. Gomez, il primo
arrestato, spifferò tutto ed ebbe l'ergastolo, concesso poi anche a Di
Rudio.
Niente da fare per Orsini e Pieri. A Vittorio Emanuele II, non restava che chiedere scusa, anche se
l'Orsini era suddito del Papa. Il processo ebbe infatti una
svolta imprevista quando, nel raccontare le sue peripezie, l'Orsini
concluse con queste parole:" Le deposizioni.... sono sufficienti per mandarmi a
morte, e io .... senza chiedere la grazia non mi umilierò davanti a
colui che ha ucciso la nascente libertà della mia patria... io scongiuro
Vostra maestà di non respingere il voto supremo di un incamminato verso
il patibolo, liberi la mia patria..."
Anche questa volta la stampa
centuplicò gli effetti. Ci si chiese come un terrorista avesse potuto
leggere in aula una dichiarazione politica, chi era quel giudice che lo
aveva lasciato fare. La risposta era una sola: il permesso era partito
da corte. L'Orsini concluse il suo soggiorno terreno con una lettera a
Napoleone per ringraziarlo di avergli fatto leggere in aula l'ennesimo
attacco all'Austria. Nel contempo ripudiava ogni forma di violenza,
ponendo per i suoi correligionari l'impegno al sacrificio personale,
alla abnegazione per il raggiungimento del più alto risultato della
Libertà. Una serie di incontri segreti, nel corso dell'anno, coinvolsero
il progressista Gerolamo o Girolamo, cugino di Napoleone III, scapolo
gaudente, ed infine
l'Imperatore. Nella testa di Napoleone era di nuovo frullata l'idea
dell'Italia Federale: un regno al Nord, Sabaudo, uno centrale con suo
cugino Napoléon
-Joseph -Charles-Paul Bonaparte,
anche
chiamato
dal
1852 Principe Napoléon -Jérôme
(Gerolamo) prossimo marito di Clotilde, figlia quindicenne di Vittorio Emanuele, uno
meridionale al figlio del vecchio bonapartista Murat, ed il Papa nella città
Eterna, presidente della confederazione.
L'idea era sufficentemente malvagia;
da ampio protettorato Austriaco saremmo passati a pieno protettorato Francese.
LETTERA DEL CONTE
CAVOUR AL GEN. ALFONSO LA MARMORA, MINISTRO DELLA GUERRA E MARINA DEL RE
DI SARDEGNA
Baden 24 luglio 1858
Caro amico
Ho creduto debito mio il far conoscere senza indugio il risultato delle
mie conferenze coll'imperatore al Re. Ho quindi redatta una
lunghissima relazione (40 pagine circa) che spedisco a Torino (al Re). Desidererei molto che il Re se la
facesse leggere, giacché mi pare di avere in essa riferito quanto di
notevole mi disse l'Imperatore in una conversazione che durò poco meno
di otto ore.
Non ho il tempo di ripeterti ogni cosa: tuttavia in massima ti dirò che
si è stabilito:
l° Che lo Stato di Massa e Carrara sarebbe causa o pretesto della
guerra;
2° Che scopo della guerra sarebbe la cacciata degli Austriaci dall'
Italia: la costituzione del Regno dell'Alta Italia, composto di tutta la
valle del Po, delle Legazioni e delle Marche;
3° Cessione della Savoia alla Francia. Quella della contea di Nizza in
sospeso;
4° L'Imperatore si crede sicuro del concorso della Russia e della
neutralità dell'Inghilterra e della Prussia.
Nullameno l'Imperatore non s'illude sulle risorse militari dell'Austria,
sulla sua tenacità, sulla necessità di prostrarla per ottenere la
cessione dell'Italia. Egli mi disse che la pace non si sarebbe firmata
che a Vienna, e che per raggiungere questo scopo era mestieri allestire
un esercito di 300.000 uomini. Essere pronto a mandare 200.000
combattenti in Italia; richiedere 100.000 Italiani.
L'Imperatore entrò in molti particolari sulle cose della guerra che
m'incaricò di comunicarti, e ch'io ti riferirò a viva voce. Mi parve
avere studiata la questione assai meglio de' suoi generali, ed avere in
proposito idee giuste. Parlò pure del comando - del modo di
governarsi col Papa - del sistema di amministrazione da stabilire nei
paesi occupati - dei mezzi di finanza. In una parola di tutte le cose
essenziali al nostro grande progetto. In tutto fummo d'accordo. Il
solo punto non definito si è quello del matrimonio della Principessa
Clotilde. Il Re mi aveva autorizzato a conchiudere solo nel caso in cui
l'Imperatore ne avesse fatta una condizione sine qua non dell'alleanza.
L'Imperatore non avendo spinto tant'oltre le sue istanze da galantuomo
non ho assunto impegno. Ma sono rimasto convinto che esso mette a questo
matrimonio una grandissima importanza, e che da esso dipende se non
l'alleanza, l'esito suo finale. Sarebbe errore, ed errore gravissimo
l'unirsi all'Imperatore e nello stesso tempo fargli una offesa che egli
non dimenticherebbe mai. Ci sarebbe poi di danno immenso l'avere a lato
suo, nel seno de' suoi consigli, un nemico implacabile, tanto più da
temersi che gli corre nelle vene sangue corso.
Ho scritto con calore al Re, pregandolo a non porre a cimento la più
bella impresa dei tempi moderni, per alcuni scrupoli di rancida
aristocrazia. Ti prego, ove ti consultasse, di aggiungere la tua voce
alla mia. Non si tenti l'impresa, in cui si mette a repentaglio la
corona del nostro Re e la sorte dei nostri popoli, ma se si tenta, per
amar del Cielo, nulla si trascuri di quanto può assicurare l'esito
finale della lotta. Ho lasciato Plombières con l'animo più sereno. Se il
Re consente al matrimonio, ho la fiducia, dirò quasi la certezza, che
fra due anni tu entrerai in Vienna il capo delle nostre file vittoriose.
Tuttavia, per accertarmi del fondamento delle speranze manifestatemi
dall'Imperatore circa al contegno probabile delle grandi Potenze
nell'evento di una guerra con l'Austria, ho pensato di venire a fare una
corsa a Baden, ove trovansi riuniti Re, Principi e Ministri di varie
contrade dell'Europa. Fui bene ispirato, poiché in meno di 24 ore parlai
col Re di Wurtermberg, col Principe Reale di Prussia, con la
Granduchessa Elena, con Manteuffel e vari altri diplomatici russi e
tedeschi. Stando a quanto mi dissero e la Granduchessa Elena, ed il
signor Ballau, uno dei più accorti diplomatici russi, si potrebbe far
assegno sicuro sulla cooperazione armata della Russia, La Granduchessa
mi disse che se la Francia s'univa a noi, la nazione russa
costringerebbe il suo Governo a fare altrettanto. Ballau mi disse:
Si vous avez à l'un de vos cotés un chasseur de Vincennes, comptez que
de l'autre VouS avez un soldat de notre garde.
Rispetto alla Prussia credo che, quantunque senta una grande antipatia
per l'Austria, essa rimarrà dubbiosa ed incerta, finché gli eventi la
spingano irresistibilmente a prender parte alla lotta. Non ho più tempo
di proseguire. Ma il fin qui detto ti proverà che,non ho perduto il mio
tempo, e che il mio viaggio non si può contare per vera vacanza.
Addio. Spero sempre vederti al confine. C. CAVOUR.
.
Il 10 gennaio 1859 all'apertura del parlamento Piemontese, il Re di Sardegna pronunciò il famoso discorso del "Grido di Dolore" scritto nella parte finale dallo stesso Napoleone III.
Il 4 gennaio arrivò a Parigi la bozza del discorso che Vittorio Emanuele doveva pronunciare il
10, ma Napoleone trovò che il passo (in francese) .....costanti nel fermo proposito di compiere, camminando sulle orme segnate dal mio magnanimo mio Genitore, la missione che la Divina Provvidenza ci ha
affidato.. non era confacente e riscrisse .. Tuttavia, pur rispettando i trattati, non possiamo restare indifferenti al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di
noi…Il non confacente secondo lui era troppo forte. L'ingerenza di questi nella comunicazione, come abbiamo già visto, inizia all'ultimatum in Crimea,
passa dal processo Orsini ed ora la troviamo in un discorso ufficiale del Regno. Oggi si direbbe che l'Imperatore
dei Francesi era un grande comunicatore mediatico.
*Fu questo il 3° attentato subìto da Napoleone III
-Parigi 1808, - Chislehurst- Londra,1873;
figlio terzogenito di Luigi Bonaparte (fratello di Napoleone Bonaparte e
re d'Olanda) e della regina Ortensia di Beauharnais figlia della prima
moglie Giuseppina) e dalla moglie, la spagnola Eugenia de Montijo de Teba, contessa de Guzmàn
(Granada1826 - Madrid 1920; figlia di Cipriano de Montijo e di M. Manuela de Teba)
. Il fratello maggiore di Napoleone I aveva solo figlie femmine e
l’altro fratello era Luigi Bonaparte. Luigi ebbe tre figli: Napoleone
Carlo che morì presto, Napoleone Luigi che morì di rosolia e Luigi
Napoleone (Napoleone III).
Nelle more dei disegni insurrezionali che precedono la seconda guerra di
indipendenza si era dato il la a…. la concessione al governo russo di
una stazione navale (una base appoggio); il che dispiacque molto
all'Inghilterra, a cui però furono date sufficienti spiegazioni per
placarla. Tutto fu fatto per ingraziarsi anche la Prussia e in questo
modo isolare l'Austria. Nel dicembre del 1858, per mezzo di La Farina
**, Cavour fece chiamare Garibaldi da Caprera. Egli giunse a Torino il
20, e il 22 era già di ritorno a Caprera, da dove le sue lettere agli
amici in Italia e all'estero dipingono ora l' intensa sua gioia e
l'intera sua fiducia nel governo piemontese. Insurrezioni nei Ducati
(emiliani), cominciando da Massa e Carrara mentre in Genova i migliori
fra la Guardia nazionale dovevano esser organizzati come nucleo di un
corpo di volontari da agire pari passo coll'esercito (da fuoriusciti).
Garibaldi sostenne la Dittatura regia e raccomandava a tutti cieca e
assoluta fiducia in Cavour e nel Re !!!.
"21 dicembre
1858.
Carissimo amico, (La Farina)
Dovendo partire domani per Caprera, ho incaricato Medici dell'
organizzazione delle compagnie di bersaglieri della guardia nazionale,
di cui conferimmo col ministro (della Guerra Piemontese). Certamente la
cosa passerà la nostra speranze ed io spero di formare con ciò un
potente corpo ausiliare con l'esercito. Bisogna dunque mandare a Genova
i fondi necessari, e si procederà immediatamente a formarlo. L'idea del
ministro di accogliere i Lombardi della presente leva avrà un effetto
stupendo. Io credo che riguardo all' armamento nostro - conservando
tutta la segretezza di cui sono suscettibili le circostanze - si deve
fare su maggior scala possibile, e non esser da meno questa volta dello
slancio infallibile e gigante delle popolazioni. Le notizie che io ho
dalle differenti province sono stupende! tutti vogliono la dittatura
militare, che voi mi avete predicato; le rivalità, i partiti spariscono;
e potete arditamente assicurare il nostro amico !!! (il conte di Cavour)
che egli è onnipotente, e che deve manomettere (sic) qualunque
straordinario provvedimento con la certezza dell'assentimento
universale. Oh ! questa volta, per Dio, la vinceremo!. - Scrivete dunque
a Giacomo Medici, e provvedete. - Io parto, e spero mi chiamerete
presto. - Vi ho disturbato e vi disturberò sovente, ma, spero, scuserete
il vostro fratello per la vita. GIUSEPPE GARIBALDI
P.S, - Io credo
necessario, darsi l'ordine della formazione d'una compagnia di
bersaglieri inviato a tutti i corpi dello Stato.
.
**Giuseppe La Farina
nacque a Messina nel 1815. Più volte, per le sue idee, fu costretto
all'esilio prima in Toscana a Firenze, poi a Roma. Fece ritorno in
Sicilia nel 1848 dopo lo scoppio della rivoluzione del 12 gennaio dove
fu eletto deputato: andò in missione diplomatica al campo di Carlo
Alberto a Valeggio sul Mincio, fu ministro dell'istruzione e dei lavori
pubblici (1848) poi della guerra e marina del governo siciliano
provvisorio (1849). Dopo la repressione della rivoluzione siciliana fu
esule a Marsiglia e a Parigi dove ben presto abbandonò la linea
repubblicana per sposare quella piemontese monarchica. Partecipò nel
1856 con D. Manin e G. Pallavicino alla fondazione della Società
nazionale di cui fu segretario, e contribuì a orientare verso il
Piemonte di Cavour l'opinione pubblica moderata che non condivideva più
i metodi insurrezionali mazziniani. In aprile e maggio del 1860 operò
per la spedizione dei Mille in Sicilia; il 21 ottobre, con il plebiscito
per l’annessione del Napoletano e della Sicilia al Regno d’Italia,
Messina lo eleggeva suo deputato al Parlamento italiano. Il 27 ottobre
1860 fu nominato consigliere di Stato. Alla vigilia della sua morte
volle tornare in Sicilia e il 5 settembre 1863 si spense a Torino. La
sua salma venne trasportata a Messina dopo nove anni, e fu tumulata nei
sotterranei della Galleria Monumentale.
... relazione (40
pagine circa) che spedisco a Torino (al Re). Desidererei molto che il Re
se la facesse leggere
Il piano di
Plombières.
La lettera che il conte di Cavour scrisse al re Vittorio Emanuele Il
il 24 luglio 1858 subito dopo il convegno di Plombières contiene il
resoconto fedele dei due colloqui segreti che il Cavour ebbe con
Napoleone III. Riportiamo qui la parte sostanziale della storica
lettera: quella che si riferisce appunto agli scopi della guerra e alla
sistemazione da dare all'Italia dopo la vittoria. A codesta parte,
precede quella nella quale l'Imperatore concordava con Cavour lo
sviluppo dell' azione da svolgere per spinger l'Austria a provocare la
guerra, dato che condizione essenziale del piano napoleonico era che
l'aggressione doveva venire dall'Austria.
...Risolta questa prima questione, l'Imperatore mi disse: « Prima di
andare avanti, bisogna pensare a due gravi difficoltà che troveremo in
Italia: il Papa e il re di Napoli. Devo trattarli con riguardo il primo,
per non sollevare contro di me, i cattolici francesi, il secondo per
conservarci le simpatie della Russia che si fa una specie di punto
d'onore di proteggere il Re Ferdinando».
Risposi all'Imperatore:
1. - che, quanto al Papa,. gli era facile conservargli il tranquillo
possesso di Roma per mezzo della guarnigione francese che vi si trovava,
salvo a lasciar insorgere la Romagna.
2. - che, siccome il Papa non aveva voluto seguire a suo riguardo i
consigli che egli (l'Imperatore) gli aveva dati, non poteva trovare
irragionevole che questa regione approfittasse della prima occasione
favorevole per liberarsi da un detestabile sistema di governo, che la
Corte Romana si era ostinata a non riformare.
3. - che, quanto al Re di Napoli, non c'era bisogno di occuparsi di lui,
a meno che volesse prendere partito per l'Austria; salvo a lasciar fare
ai suoi sudditi se, approfittando del momento, si volessero sbarazzare
del suo paterno dominio.
Questa risposta soddisfece l'Imperatore e si passò alla grande domanda:
Quale sarebbe lo scopo della guerra?
L'Imperatore ammise senza difficoltà che bisognava cacciare
completamente gli Austriaci dall' Italia, e non lasciar loro un pollice
di terreno al di qua delle Alpi e dell'Isonzo. Ma poi. come organizzare
l'Italia?. Dopo lunghe dissertazioni, di cui risparmio il racconto a V.
M., avremmo all'incirca convenute le basi seguenti sempre riconoscendo,
però, che esse sono suscettibili di essere modificate dagli eventi della
guerra. La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il
Regno dell'Alta Italia su cui regnerebbe la Casa Savoia. Si
conserverebbe al Papa Roma e il territorio che la circonda. Il resto
degli Stati del Papa con la Toscana dovrebbe formare il regno
dell'Italia centrale. Non si toccherebbe la circoscrizione territoriale
del Regno di Napoli. I quattro Stati italiani formerebbero una
confederazione, sul tipo della Confederazione Germanica, di cui si
darebbe la Presidenza al Papa per consolarlo della perdita della parte
migliore dei suoi Stati.
Questa sistemazione mi pare completamente accettabile. Poiché V. M.,
essendo Sovrano di diritto della metà più ricca e più forte d'Italia,
sarebbe sovrano di fatto di tutta la penisola. Quanto alla scelta dei
sovrani da porre a Firenze e Napoli nel caso molto probabile in cui lo
zio e il cugino di V. M. prendessero la saggia decisione di ritirarsi in
Austria, la questione è stata lasciata in sospeso; tuttavia l'Imperatore
non ha nascosto che vedrebbe con piacere Murat risalire sul trono di suo
padre; e da parte mia ho indicato la Duchessa. di Parma come adatta ad
occupare, almeno provvisoriamente, Palazzo Pitti (Fi). Questa ultima
idea è piaciuta immensamente all'Imperatore che sembra tenere molto a
non essere accusato di perseguitare la Duchessa di Parma, nella sua
qualità di Principessa della casa di Borbone.
Dopo aver regolato la futura sorte d'Italia, l'Imperatore mi domandò
cosa avrebbe la Francia e se V. M. cederebbe la Savoia e la Contea di
Nizza. Risposi che V. M., professando il principio di nazionalità,
comprendeva come ne derivasse che la Savoia doveva esser riunita alla
Francia; che di conseguenza era pronta a farne il sacrificio per quanto
le costasse immensamente di rinunciare a un paese che era stato la culla
della sua famiglia e ad un popolo che aveva dato tante prove di affetto
e di devozione ai suoi antenati. Che quanto a Nizza, la cos'a era
diversa, poiché i Nizzardi per la loro origine, la loro lingua e le loro
abitudini appartengono più al Piemonte che alla Francia e che perciò la
loro riunione all'Impero sarebbe contraria a quello stesso principio per
far trionfare il quale si stava per prendere le armi. A questo punto
l'Imperatore si carezzò più volte i baffi e si accontentò di soggiungere
che queste erano per lui questioni assolutamente secondarie di cui ci
sarebbe tempo per occuparsi più tardi.
Passando poi all'esame dei mezzi necessari perché la guerra abbia un
esito felice, l'Imperatore osservò che bisognava cercare d'isolare
l'Austria e di non dover fare i conti che con essa; e che era per questo
che egli teneva tanto a che (la guerra) fosse motivata da una causa tale
da non impaurire le altre potenze del Continente e da esser popolare in
Inghilterra. L'Imperatore è parso convinto che quella da noi adottata
riusciva a questo duplice scopo. L'Imperatore conta positivamente sulla
neutralità dell' Inghilterra: mi ha raccomandato di fare ogni sforzo per
agire sull'opinione pubblica di questo paese per costringere il governo,
che ne è schiavo, a non far niente in favore dell'Austria. Egli conta
ugualmente sull'antipatia del Principe di Prussia verso gli Austriaci,
perché la Prussia non si pronunci contro di noi. Quanto alla Russia,
egli ha la promessa formale e più volte ripetuta, dell'imperatore (Zar)
Alessandro. di non contrastare i suoi progetti circa l'Italia. Se
l'Imperatore non si fa illusioni, come del resto sono abbastanza
propenso a credere dopo tutto quello che mi ha detto, la questione si
ridurrebbe a una guerra tra la Francia e noi da un lato, e l'Austria
dall'altro".
Cavour
accettava il piano perché la condizione essenziale indispensabile per
agire contro l'Austria, era di avere l'aiuto della Francia, che si
poteva ottenere solo accettando le idee napoleoniche. Ma la forza della
coscienza unitaria italiana, ormai pienamente risvegliata, doveva
rendere vano lo sforzo napoleonico di ridurre la penisola a un
vassallaggio francese. Tale forza avrebbe saputo rivelarsi capace di
procedere verso i propri fini, oltre e contro la volontà e le idee di
Napoleone. Lo dimostrarono gli eventi successivi del 1859-1860.
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