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ENRICO TOTI
e i Bersaglieri ciclisti
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"In pieno giorno"
dice Ulderico Piferi
"
superammo lo sbarramento nemico allo scoperto". Alle quindici circa
del 6 agosto 1916 arrivammo a quota 85 (quella che sovrasta il cimitero di Redipuglia). Venne subito l'ordine d'avanzare
ed Enrico era tra i primi. Aveva percorso 50 metri quando una
prima pallottola lo raggiunse. M'avvicinai mentre eravamo entrambi allo
scoperto. Non ne volle sapere di ripararsi. Continuava a gettare bombe,
e per far questo si doveva alzare da terra. Fu così che si prese una
seconda pallottola al petto. Pensai che fosse morto. Mi feci sotto
tirandolo per una gamba ma questi scalciò. Improvvisamente si risollevò
sul busto e afferrata la gruccia la scagliò verso il nemico. Una
pallottola, questa volta l'ultima, lo colpì in fronte" |
Quando nel 1915 l'Italia sta per entrare in guerra,
Toti
manda una supplica al Ministro della Guerra per essere arruolato. Rifiutato
tre volte alla visita di controllo (sugli
anni si barava sulle gambe no)
scrive insistendo sulle sue capacità sportive e dicendosi disposto a
qualsiasi lavoro, anche umile.
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Inquieto ragazzino romano di S. Giovanni (nasce nel 1882 da famiglia di
ferrovieri) Enrico, poco incline alla scuola, spariva da casa per giorni. Fu trovato in compagnia di zingari coi quali, se non fermato, avrebbe senz'altro iniziato il loro girovagare. La famiglia riportatolo a casa tollerò altre scappatelle, poi alla notizia di un concorso
per mozzi in Marina (aveva14 anni)
l'imbarcò. Marinaio modello sulla Ettore Fieramosca, finì ben presto per stancarsi della vita
di bordo e degli orizzonti marini limitati. |
...ma a diciassette anni
qualcosa a bordo aveva imparato: ormai esperto elettricista, si imbarcò sulla nave da guerra Emanuele Filiberto
con più possibilità di vedere il mondo, poi
con la Coatit, che partecipa ad una azione di polizia d'altura contro
i pirati del mar Rosso. Dedicatosi alla lettura e al disegno, recuperò gli anni non trascorsi sui banchi di scuola, diventando caricaturista e pittore. Dopo
11 anni di servizio Toti si congedò
(il fratello ferroviere, il solo, muore e lui non se la sente di
lasciare la madre sola). Al quartiere di San Giovanni, che da anni non lo vedeva, si presentò un altro Toti, più posato e ordinato ma sempre con la passione del viaggio che non s'era sopita. Il padre ferroviere gli ottenne un posto sulle locomotive. Era il
1907:
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2
marzo 1908: per l'imperizia di un
compagno viene travolto da un vagone e gli deve essere amputata la
gamba. Ritiratosi dal lavoro con una piccola pensione avvia una modesta industria di giocattoli che gli permette una certa agiatezza. Aiuta nel
rione i ragazzi più bisognosi, che poi prende in laboratorio a
lavorare, diventando
ancora più popolare fra la gente. |
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Prima della disgrazia lo sport ciclistico, avventuroso per l'epoca, gli fece inforcare le due ruote. Costruitosi da solo la prima bicicletta, saliva e scendeva i colli romani con rara perizia e forza. Ora,
dopo l'incidente, con una gamba sola non poteva essere condannato ad una vita di sott'ordine. A forza di costanza e allenamento riesce a liberarsi temporaneamente delle grucce, a correre in bici e nuotare. Il 2 ottobre 1911 attorniato da una piccola folla parte da Roma con l'intenzione di fare il giro del mondo in bicicletta
!!!. L'Italia
invece partiva per la guerra di Libia.
Dalla domanda che Toti inoltra al Gen. Emanuele Filiberto, si rileva "…Presi poi a percorrere l’Europa in bicicletta e studiarne i popoli, e d’allora ho sognato sempre di vedere l’Italia grande e prosperosa. Attraversai tutta la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Germania, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia. Arrivai al Circolo Polare Artico, convissi a causa del ghiaccio, qualche tempo con gli esquimesi della Lapponia. (Qui un incidente lo blocca per tre giorni al freddo, lo ritrovano quasi assiderato). Da lì fui in Finlandia, poi in Russia e da Pietrogrado attraversando le innumerevoli steppe giunsi a Mosca. Attraversai la regione dei turcomanni, la Polonia, l’Austria fino che giunsi a Roma in famiglia
(1912)." |
Toti parte per il giro del mondo dall'ingresso monumentale dell'Esposizione del 1911 in Roma. |
"…a Stoccolma si trattenne più di un mese.
Perché la neve gli impediva di proseguire, e lì si procurò i mezzi per
vivere dando lezioni d’italiano e lavorando come caricaturista in
qualche teatro di varietà". Scrive
a casa "..sono giunto a Steinstrass
cadendo lungo la via più di venti volte. Ma sono cadute leggere e sulla
neve non mi faccio male; mi rialzo e via di nuovo"
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"tre
metri vanno bene ?"
Sotto gli occhi
di un incredulo Razzini, Toti saltò |
Giulio
Bedeschi .. «Voglio
fare il volontario. Aiutare in qualunque modo i soldati che combattono.
Posso portare la posta, l’acqua, le munizioni, fare il portaordini, o fare
tutti i servizi che volete. Sono forte, so andare dappertutto. Se mi
lasciate raggiungere la linea posso combattere come qualunque altro
soldato. Non badate se mi manca una gamba, ormai non mi serve, faccio
tutto ugualmente. Quella bandiera l’ho portata con me per piantarla sul
colle di San Giusto, a Trieste. Voglio arruolarmi volontario, portare le
stellette, vivere coi soldati al fronte, aiutarli. Non ditemi di no, per
piacere: mandatemi in prima linea, non ve ne pentirete, so fare il mio
dovere. Non impressionatevi a guardarmi, non giudicatemi: cosa vi importa
se mi manca una gamba? So strisciare come una biscia, posso passare
inosservato attraverso le linee, fare quello che ad altri soldati non può
riuscire... So sopportare la fame e la sete, non temo pericoli. »
Sono sue parole testuali, dette, ripetute, rimaste scritte. In chi sta ad
ascoltarlo, l’incredulità e lo stupore immancabili all’inizio cedono poi
il passo alla commozione. Ma c’è il regolamento da rispettare: essendo
escluso dal servizio militare per gravissima mutilazione non può essere
arruolato; essendo borghese vestito da militare può andare incontro a
grossi fastidi: la legge sul reclutamento parla chiaro. Tuttavia un
maggiore che lo interroga non sa resistere al suo fervore, si sente spinto
a trascurare il regolamento. « E va bene, resta qui con noi, Toti» Il
maggiore sorride, ordina che venga consegnata allo zoppo una gavetta e che
gli si assegni un posto nella cantina dove alloggiano gli attendenti degli
ufficiali del Comando Tappa. Non è ciò che Toti vorrebbe, ma sa che a
voler raggiungere il suo intento bisogna percorrere molte tappe, procedere
per gradi: si adatta a tutto, aiuta barbieri e sellai, cucinieri e sarti,
calzolai e falegnami. Ma ben presto comincia a impratichirsi della zona,
inforca la bicicletta e compie scorribande fino a ridosso delle trincee,
prende contatto con i soldati in linea, torna con lettere da impostare e
commissioni da sbrigare. Soprattutto si porta agli ospedaletti da campo
della zona, rincuora i feriti trovando parole e accenti che stupiscono
medici e infermieri; i feriti lo pregano di ritornare, e Toti ogni mattina
ricompare portando giornali, sigarette, cioccolata, carta da lettera. Ma
la sua continua aspirazione è la linea, è l’offrire tutto se stesso in
linea in mezzo ai combattenti. A Cervignano non si stanca di attendere in
piazza il passaggio del Duca d’Aosta, il Comandante della Terza Armata;
finché una volta riesce ad avvicinarlo e a parlargli a lungo, lo prega di
accettarlo come volontario e di inviarlo in linea. Gli scrive anche una
supplica, gli grida in una pagina: « Le giuro che ho
del fegato! ». Attende la risposta, fa con la sua stampella,
arrancando per i sentieri e le mulattiere, frequenti puntate nelle trincee
delle linee, dove ormai lo conoscono e la sua figura è benvoluta,
ammirata. Un capitano un giorno gli domanda, amichevole: «Ebbene, Toti,
quando avrai queste stellette? ». Enrico Toti si fa serio all’improvviso,
guarda a lungo l’ufficiale prima di dare la risposta che soltanto a vita
compiuta potrà essere interamente capita: «Signor capitano, non ne sono
ancora degno ». E’ il suo grande, taciuto dolore il non portare le
stellette, la sua pena continua e cocente che nel profondo dell’animo si
unisce all’umiliazione: il non poter essere considerato, almeno
formalmente, eguale neppure all’ultimo dei combattenti. Per non far vedere
la mancanza di stellette e mostrine, per essere supposto soldato fra i
soldati, ha preso l’abitudine di rovesciare il collo del maglione da
bersagliere (Dolce vita), che sempre indossa, sul colletto della giubba
militare che allora era chiuso ed alto. Con questo sotterfugio si confonde
fra i soldati regolari. Ma tutto congiurava contro di lui: venne
rispedito a casa. segue... |
Nel gennaio 1916 mi presentai in trincea al maggiore Paride Razzini comandante del 3°
Bersaglieri
ciclisti *.
chiedendogli di far parte del battaglione. L'ordine del duca D'Aosta
(che aveva nuovamente e sommessamente coinvolto) comandante la III armata parlava chiaro, darmi un incarico.
Avevo tanto insistito presso il Duca, che questi per togliermi dai piedi mi aveva firmato un permesso. Avrei portato messaggi dalla prima alle linee arretrate. Il maggiore
dei bersaglieri mi squadra e mi dice
" Figliolo mio ti manca la gamba sinistra, i miei bersaglieri ne hanno finora avuto
due". "E' vero, ma io saprò renderle dei servigi preziosi e lei m'apprezzerà, io so fare tutto"
dissi
"Vediamo " (la storia dice che gli chiese di saltare
in lungo un fosso).
"tre
metri vanno bene ?" chiese lui. |
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Aveva
quindi sfibrato il Duca una seconda volta
(la
prima lo aveva dislocato nelle retrovie, nei comandi)
per farsi sbattere in trincea, ma
Razzini era uno che non si faceva emozionare, in trincea mai.
Già c'erano rimasti male i bersaglieri a vedere un invalido al fronte.
Cosa si doveva fare per tornare a casa, si
chiedevano ?. I salti mortali ?!!!!. Ma ci
volle poco per conoscere il personaggio.
Sempre allegro si prestava ad ogni servizio, anche quello di guardia (quando non c'era Razzini!). Il Toti di trincea non è più un
ragazzino, è un uomo di 35 anni. Ha vissuto e visto il mondo. Quella
che si appresta a concludere non è una vicenda isterica o passionale ma
un preordinato sacrificio. Cosa avrebbe fatto un Toti con tutte e due le
gambe ?!
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"Dal profilo biografico della sorella sui
suoi viaggi: Toti intraprende un secondo viaggio in bicicletta, attraversando l’Egitto (lungo il Nilo
1913) e parte del
Sudan ma gli inglesi non gli consentono di proseguire senza scorta o senza l’ausilio di una
carovana. Questo per Toti non è un ostacolo sufficiente a fermarlo, ma viene comunque depredato dei pochi soldi che gli servivano per mangiare e che gli avrebbero consentito d'attraversare l'Africa.
Per rifarsi le finanze si esibisce anche al teatro Margherita, emulo di un altro grande fantasista italiano
Fregoli. Un posto sul palcoscenico a un italiano non si nega mai. Bastava che rappresentasse se stesso ed era già uno
spettacolo. Viene rimpatriato dalle autorità inglesi: erano trascorsi due
anni .
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Ricorda Ulderico Piferi caporalmaggiore suo compaesano e amico alla Soc.
Sportiva
Audace.
"L'incontrai con la sua bicicletta borghese che pedalava come
un fulmine, cucita sopra la canottiera
aveva la bandiera tricolore deciso ad entrare per primo a Trieste e ad
alzarla a S. Giusto: sempre possibilmente per primo".
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E venne il giorno della gloria alle cave del
Selz, espugnata a prezzo di perdite spaventose |
immagine
gentilmente fornitaci da Vladimiro Senigalliesi dell U.N.U.C.I di Monza |
Quando il 6 agosto il battaglione ebbe l'incarico d'attaccare quota 85 di Monfalcone Toti, volle essere della schiera, lui non era inferiore a loro. Il battaglione partito sotto la pioggia raggiunse le ultime case di Monfalcone. Lasciate le biciclette, si rifornì di bombe a mano e munizioni e iniziò la salita alla quota. Ferito più volte, all'ultima mortale, lanciò la gruccia oltre la trincea al grido di "Viva l'Italia
Viva i Bersaglieri". |
Il
lunedì di Pasqua lo vedono arrivare in bicicletta al Comando Tappa con
la testa e parte del viso fasciati alla meglio. "È scoppiata una bomba
tra i sacchetti che ci riparavano: un caporale è rimasto ucciso, alcuni
soldati sono feriti, io me la sono cavata". Lo sfasciano: guance e
fronte sono costellate da ferite; gli occhi sono socchiusi, le palpebre
rigonfie, tumefatte e livide. Occorre tutta l’autorità del colonnello
comandante per indurlo a farsi ricoverare in ospedale e farsi togliere
le schegge anche dagli occhi. Ai primi d’agosto del 1916 sta per
scattare l’offensiva che porterà a Gorizia. Anche nella zona di Monfalcone vengono sferrati numerosi attacchi per distogliere
l’attenzione sul vero obiettivo. Il mattino del 4 agosto le posizioni
austriache vengono attaccate da Monte Sei Busi al mare. Dopo i primi
successi gli austriaci però si riprendono tutto il 5. Nel pomeriggio del
giorno successivo, 6 agosto, un battaglione di fanti e due di
bersaglieri vengono mandati all’assalto di quota 85. Uno dei battaglioni
è il 3° bersaglieri di Toti. Toti avanza fra i bersaglieri saltellando
sulla sua stampella, il balzo in avanti è di 200 metri e là sul terreno
scoperto il reparto deve fermarsi perché il battaglione che lo affianca
è costretto a retrocedere sotto la violenza del tiro delle
mitragliatrici austriache. Toti da dietro un muretto spara e non si
ferma neanche quando viene ferito una poi due volte. L'amico Ulderico
Piferi "Aveva percorso 50 metri quando una
prima pallottola lo raggiunse. M'avvicinai mentre eravamo entrambi allo
scoperto. Non ne volle sapere di ripararsi. Continuava a gettare bombe,
e per far questo si doveva alzare da terra. Fu così che si prese una
seconda pallottola al petto. Pensai che fosse morto. Mi feci sotto
tirandolo per una gamba ma questi scalciò. Improvvisamente si risollevò
sul busto e afferrata la gruccia la scagliò verso il nemico. Una
pallottola, questa volta l'ultima, lo colpì in fronte".
Si portò l’elmetto verso le labbra, baciò il piumetto da bersagliere e
si lasciò morire. Più ancora che la motivazione della medaglia doro al
valor militare, concessa al di sopra del regolamento per sovrano motu
proprio a quel borghese e mutilato e volontario con le stellette, sarà
l’affermazione del Duca D'Aosta comandante della 3° Armata a definire
l’importanza storica di quell’uomo, le dimensioni della sua figura:
“Onorare Enrico Toti vuol dire onorare il popolo italiano”.
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Espugnata a prezzo di perdite spaventose l'altura, la
storia del Toti raggiunse anche le redazioni dei giornali e fece il giro del mondo. Il
duca D'Aosta, oltre alla concessione dell'Oro, gli tributò un
personale riconoscimento.
http://www.carabinieri.it/Editoria/CARABINIERE/2004/08-Agosto/articoli/071_storia.htm
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La
sua tomba si trova al cimitero di Monfalcone.
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I
BERSAGLIERI CICLISTI
*usati come jolly, per tamponare le falle, lasceranno su tutto il
fronte numerose testimonianze d'eroismo. La loro corsa non
terminerà che a fine conflitto passando per la copertura dei reparti in
ritirata da Caporetto nell'ottobre - novembre del 1917, e nelle
formazioni di cavalleria che invaderanno la Pianura Veneta alla vigilia del 4
novembre.
L'avventura
e l'ebrezza della corsa :
Allora sì vedevi la vera ebbrezza del ciclismo fatta di ritmo e stile, fatta di fatica vinta con la forza della volontà, fatta di silenzio sottolineato dal fruscio dei raggi e delle catene. Potevi vedere sulle polverose carrarecce file interminabili di soldati in bicicletta per due pedalare di buona lena portando sul proprio mezzo il più svariato equipaggiamento. Durante questi trasferimenti emerge la baldanza giovanile. Passati pochi chilometri nasce uno spirito d'emulazione che fa aumentare la velocità. In tali frangenti i graduati meno giovani si trovano a mal partito e possono anche perdere la faccia davanti alla truppa. Ma le vecchie volpi, individuati i più forti, li caricano delle mitragliatrici e delle attrezzature più pesanti. Il baffuto sergente maggiore può così sfoggiare la pedalata più
rotonda.
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