HANNO SCRITTO...
Gualtiero Castellini da "Tre anni di guerra. Diario di un
ufficiale
….ecco io oggi agisco per un
punto d'onore, perché per patriottismo non più?." Appunti
dopo l'attacco ".non è riuscito e bisognerà ricordarlo;
17 battaglioni di 11 reggimenti d'altrettante brigate diverse hanno
attaccato Oslavia questa sera. Non c'era ordine d'operazione, solo una
direzione (geografica). Mio Dio quanti morti. Battaglioni che giungevano
da 15-20 chilometri e non marciavano più. Ma perché non parlo dei miei
soldati? Non scrivono come me, sono in gran parte bravi e muti, si
battono e dormono nel fango..siamo arrivati dove si erano fermati i
granatieri tre giorni prima, li abbiamo trovati morti allineati, tutti
bocconi..ma perché non smette di piovere?" |
Non c'è niente di buono nella guerra, eccetto la sua fine. (Abraham Lincoln) La guerra non rende i ragazzi degli uomini ma rende gli uomini dei morti. (Ken Gillespie) Tutte le guerre sono combattute per denaro. (Socrate) Le guerre non si pagano in tempo di guerra, il conto viene dopo. (Benjamin Franklin) |
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LETTERA D'UN BERSAGLIERE da "Quelli
che non tornarono" di Pietro e Mario Ferrari
Un bersagliere ! Ma non sai,
nonna, che noi siamo la fanteria più bella d'Italia…..io mangio male,
dormo peggio, soffro il freddo e il sole cocente, eppure mi sento bene,
sono felice come mai lo fui, .. di una tale vita francamente avevo
bisogno. Domani presenteremo il giuramento, subito dopo farò domanda
per essere inviato al fronte e allora soltanto mi sentirò degno di me
stesso." |
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ARMANDO DIAZ >> |
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LETTERA ALLA MOGLIE DEL COMANDANTE
del Soldato Marselli Galasso 227° fanteria
..Signora mi domanda se i soldati
gli volevano bene? Come non fare a non amare una persona che non ha
castigato mai nessuno in cinque mesi.. Stava sempre a parlare con tutti,
faceva un circolo e lui rispondeva, dava dei buoni consigli. Spero mi
vorranno perdonare se trovano errori e pezzi che ho scancellato..sono
quel povero ragazzo che gli è molto affezionato che ha ricevuto il suo
dono e la sua lettera così affettuosa." |
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IL MARTIRIO D'OSLAVIA di Adolfo
Amodeo da "Momenti della vita di guerra Piove, piove, piove. Si diguazza nel fango, si è lordi di fango, si respira nebbia. Gli abiti sono sempre bagnati, le tende e le baracche pure. Vedo scendere due con tavole e filo spinato, si levano bestemmie e pur proseguono. Comprendo cosa sia la fatica. Il biblico sudore della fronte. La fatica che uccide e martirizza rimarrà sempre fra le mie impressioni d'Oslavia. Resistere in questo fossato di fango aperto verso il cielo, ricordarsi di essere stato fino a ieri un uomo con un lavoro, una famiglia ed essere ora un numero nel fango, un sudicione prostrato e stanco. Avvilimento che toglie l'intelligenza, questo è il martirio di Oslavia. |
“La guerra è un massacro fra uomini che non si conoscono a vantaggio di uomini che si conoscono ma eviteranno di massacrarsi reciprocamente” (P.Valéry) |
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LA RITIRATA di Ardengo Soffici
(a dx) -…Prenda un sidecar e vada alla Brigata Vicenza. E' urgentissimo- mi disse il capitano. Ho cominciato a vedere dopo Prodamano file di camions, vetture e carrette militari. Più avanti carri di contadini, carichi alla rinfusa e soldati e borghesi avanzanti senza più ordine alcuno. Il mio motociclista avanzava a forza di urli e fischi. A ondate una moltitudine veniva innanzi lungo i fossi, famiglie desolate, ragazzi che piangevano. Più avanti verso San Daniele mi si presentò un tale ingombro di ressa e ammassamento che tutto quello che avevo veduto era nulla in confronto. Cercai una via d'uscita, sbucai in una strada oltre i campi più piccola dove un'altra folla si muoveva. Erano resti di compagnie che se n'andavano stancamente, anche gli ufficiali non si occupavano più di loro. Entravano nelle stalle, nelle cantine, negli orti e se ne uscivano con latte, vino, mele e pane che distribuivano. Pariglie di cavalli tiravano grossi barconi incatramati. Si sperava di passare almeno il Tagliamento. |
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DIARIO DI OLIVIERI ARIO Bersagliere del
2° Fui chiamato alle armi nel settembre 1916 e destinato al 3°. Dopo un corso da mitragliere ci inviarono come compagnie autonome al 12° sulla Bainsizza. Verso l'autunno del 17 eravamo in Val Sugana. Nei giorni di Caporetto camminammo per 6 giorni e 6 notti. Vecchi, donne e bambini ci seguivano con la disperazione di lasciare le loro terre…. Sul Piave nella nostra zona vennero inglesi e francesi. Rimasi ferito sul Grappa e con me molti dei miei compagni. Ci ritirarono dalla prima linea e al termine della convalescenza con la compagnia rifatta ritornammo sul Montello. I morti in quei giorni (15 giugno 1918) furono tantissimi, una cosa impressionante. Si seppe che era caduto anche Baracca. Superato il momento fu ripresa poi la marcia verso la vittoria. A Col di Fara (Soligo) l'ultima azione. Nel 1920 il congedo. |
Versi
1915/18 Si sta come d'autunno sugli alberi, le foglie-Bosco di Courton Francia Luglio 1918" Di queste case, non è rimasto che qualche brandello di muro, di tanti che mi corrispondevano, non è rimasto neppure tanto. Ma nel cuore nessuna croce manca. E' il mio cuore, il paese più straziato Acquattato in trincea, la notte di Natale del 1915, scrisse forse la più bella di tutte le opere che ha lasciato alla memoria e che ancora oggi ci trasmettono emozioni forti: Cima Quattro, il 25 Dicembre |
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Veglia |
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Andrea Graziani |
Gaetano Giardino |
Giuseppe Ungaretti al corso Ufficiali a Campolongo | ||
Tratto da una ricerca di Nuto Revelli che ha raccolto testimonianze di vita contadina facendo ricostruire ai suoi intervistati la loro biografia intorno ad alcuni temi (il lavoro, la famiglia, l'emigrazione, la guerra, il fascismo, il confronto tra passato e presente ecc). In molti dei discorsi si fa riferimento alla prima guerra mondiale. Il mondo dei vinti , Torino, Einaudi, 1977 | ||||
Giovanni
Battista Ponzo, nato a Canosio, 1888, muratore La guerra? Io ho tirato il numero a Prazzo. Ero del 2° genio zappatori, a Casale Monferrato. Dopo cinquanta giorni di istruzione sono partito per il fronte. Eh, eravamo forzati. Non pensavo più di salvarmi. Carso, San Gabriele, Monte Santo, Castagnavizza, Gorizia, San Michele, San Martino, Monte Cucco... Ho lavorato un anno e mezzo a scaricare le gallerie del San Michele, erano piene di torpedini, un lavoro pericoloso, da disperati. [..]. Nel 1917, sul San Michele, era andato al massacro l'11° bersaglieri. Un anno dopo i morti erano ancora tutti là, allo scoperto. Nelle trincee i morti erano in piedi, uno teneva su l'altro. E tutte le parti di ferro erano verdi per via del gas iprite, le stellette, i chiodi delle scarpe, i bottoni delle giubbe... A Castellavizza ho visto un grande prato tutto coperto di grigioverde. Avevano tentato di conquistare la collina, li hanno ammazzati tutti, erano alpini, tutti morti. E la ritirata di Caporetto? Arrivati a San Víto del Tagliamento c'erano due ponti. Uno squadrone di cavalleria insisteva per passare sull'altra sponda. Allora un capitano ha puntato la pistola contro il comandante dello squadrone, voleva che i cavalieri attraversassero il fiume a guado, erano sette le colonne che tentavano di passare: colonne di camion, uomini, muli, artiglierie, profughi, una gran confusione. Il ponte è poi saltato con lo squadrone di cavalleria sopra, gli austriaci erano a trecento metri. E sopra le nostre teste volavano gli aeroplani. «Non andiamo piú a casa, è la morte», pensavamo. [..]. Un giorno, a Bassano del Grappa, ho visto un reggímento di alpini che saliva verso le linee, erano tutti fiulinot, tutti giovani. Che pena che facevano. Davanti avevano la banda musicale, e loro dietro che piangevano, ragazzini di diciotto anni, andavano sul Grappa, è un bell'ossario il Grappa [..]. |
Emilio De Bono
ORDINE
DEL GIORNO Del Col. Emilio DE BONO ai Bersaglieri del 1° bis poi 15° (CARSO)
NOVEMBRE 1915 |
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De Bono Memorie 1935: le trincee - |
.... Ieri poi furono rubate 9 galline,
uccise e poi abbandonate in un campo. Questa è azione criminosa e vigliacca.
Pensate che avete quasi tutti a casa un padre e una madre, che forse stentano la vita, e pensate quello che proverebbero se si vedessero privati dalla loro frutta, del loro grano, dei loro polli da dei birbanti vestiti da soldato.
Pensate che siamo in un paese i cui cittadini devono imparare ad amarsi e non a maledirsi.
Deve far male al cuore di tutti sentir dire: "Gli italiani mi hanno rubato le galline!" |
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"Inconcepibile e irrazionale il
tracciato della nostra linea. Assurdo aver ottemperato alla imposizione
di non cedere un palmo di terreno conquistato, (ott. nov. 1915 Frasche) se io
avessi avuto il tempo necessario avrei corretto i più grossi difetti
della linea, anche a costo di ritirarla in qualche punto. Fu
oltremodo penoso e si prolungò (perdite dell'attacco 58 ufficiali e 1400
uomini) per tutto un giorno e una notte".
“Per quanto avessi, quando ero capo
di S.M., visitato, si può dire, tutte le trincee del Corpo d’Armata,
come comandante di truppe in attesa di combattere - non ho vergogna di
confessarlo - io mi trovavo di fronte ad un problema nuovissimo che non
mi era mai stato dato di risolvere, neppure teoricamente, prima di
allora. Il non vedere, il non poter sentirsi alla mano i propri soldati;
capire la difficoltà che vi sarebbe stata per accorrere tempestivamente
e nella direzione più opportuna con le riserve, mi dava una certa
sensazione di impotenza”. |
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"Zona di guerra. Vermegliano 19 ottobre 1915. Prego si faccia pervenire questo scritto al suo indirizzo, al signor Ettore Polonio, via S. Francesco 30, Trieste.(trovato nello zaino lasciato in trincea da Ugo Polonio che muore due giorni dopo) | ||||
Mio
caro, mio buon papà. Ti scrivo perché forse non vi rivedrò più e spero
che queste righe tu potrai averle. Io sono ateo, due sono le mie
fedi, i miei culti: la Patria, la famiglia. Non ho mai amato una donna,
solo alla Patria sacrificherò la mia vita, solo alla famiglia se vivo.
Il mio amore di Patria è amore puro, bello, sublime; l'Italia che io amo
non ha niente di tutte quelle piccinerie che appassionano gli altri. La
mia Italia, l'Italia dei miei sogni mesti e nostalgici, l'Ideale, e il
bello, il grande, ciò che per gli altri è Dio. Se muoio, muoio nella
piena coscienza del mio sacrificio: non sono affatto un incosciente, un
esaltato, un ubriaco di parole. Muoio nella coscienza piena e serena di
aver portato una briciola di lavoro ad un'opera di titani, lieto e sicuro
di aver cancellato con il mio sacrificio l'onta di una vita inoperosa, una
vita da utopista, da sognatore, da ottimista.. Non voglio mi si pianga.
Non temo la morte, la guardo in faccia ed è bella; io non avevo mai
provato una calma, una serenità simile a quella che ora provo, direi
quasi che vivo già di una vita differente da quella degli altri. Domani
c'è la prova: aut. aut, o si muore o si vive.... da domani sarò
qualcuno: o vivo o morto. Viva l'Italia, viva il Re! Mio caro, mio
buon papà, l'anima mia (se l'ho), il mio pensiero, tutto l'io è proteso
verso te, verso voi, verso la mia Trieste. Vi bacio, vi bacio, addio non
piango... Questo è quanto di più sincero io abbia scritto o detto.
L'ho scritto d'un fiato, senza rileggere, è uno sfogo dell'anima mia; è
una confessione, la più sincera della mia vita. Ugo Polonio. P.S. Testimone la mia coscienza, che oggi è più grande e il mio sentimento dell'onore, che oggi è più puro. Le dolcezze che provo oggi non le ho mai provate. Scrivo in trincea. L'artiglieria nostra fa un fuoco d'inferno. Ho letto ora il proclama di S.A.R. al mio plotone. Urrà! Savoia." |
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La
lettera del giovane ufficiale venne trasmessa al padre, Ettore Polonio,
solamente il 21 gennaio 1919 a città liberata. E’ medaglia d’oro. |
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Silvio D'Amico Dall'Enciclopedia dello Spettacolo, vol. 4, coll. 42-45) |
(in: Corriere della Sera del 30 marzo 1980, rid.)" "Imbussolate tutti i nomi" |
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Scrittore e critico
drammatico, direttore dell'Enciclopedia dello Spettacolo, nato a Roma
il 3 febbraio 1887 [ivi morto il 1 apr. 1955]. A Roma frequentò le facoltà
universitarie di giurisprudenza, lettere e filosofia, laureandosi in
giurisprudenza. Dal 1911 fu assunto per concorso del Ministero della
pubblica istruzione, Direzione generale antichità e belle arti. Dal 1915
al '17 fu volontario nella prima guerra mondiale (ufficiale di
artiglieria). Nel 1923 lasciò il Ministero, essendo stato nominato
professore di storia del teatro nella Real Scuola di Recitazione presso
l'Accademia Di S. Cecilia in Roma. Nel I935, invitato dal governo a
formulare il progetto per un'accademia d'arte drammatica in Roma, ne fu
nominato presidente, conservandovi la cattedra di storia del teatro.
Intanto fin dall'ott. 1914 era entrato nella redazione del quotidiano
romano L'Idea nazionale come vice del suo critico Domenico Oliva.
Morto l'Oliva nel 1917, e terminata la guerra, gli succedette alla fine
del '18 come titolare della rubrica, tenendo anche la direzione della
terza pagina del giornale. La stessa rubrica tenne dal 1925 nella Tribuna,
con cui L'Idea nazionale si era fusa, e dal 1941 al '43 nel Giornale
d'Italia, che abbandonò all'epoca dell'occupazione tedesca.
Dal 1945 riprese la critica nel Tempo di Roma. Oltre che sui
quotidiani predetti, esercitò continuativamente la stessa critica in più
periodici: dal 1923 al '28 su La Festa di Milano, dal 1934 al '46
su La nuova antologia, dal '52 su L'approdo e su L'Illustrazione
italiana. Dal 1945 fu pure titolare delle cronache alla Radio di Roma.
Ha fondato, e dal 1932 al '36 ha diretto insieme con Nicola De Pirro, la
rivista teatrale Scenario, dal 1937 al '43 ha diretto la Rivista
italiana del dramma (poi italiana del teatro), pure da lui
fondata, e edita dalla Soc. degli autori; ha diretto la collana critica
"Il Teatro del Novecento" edita da Treves e la collana di testi
teatrali intitolata "Repertorio" per le ed. Roma . Ha
collaborato a importanti quotidiani e periodici italiani e stranieri,
nonché all'Enciclopedia italiana (dove ha diretto la Sez. del
teatro) e all'Encyclopaedia Britannica. Il giorno della sua morte tutti i
teatri di Roma rimasero chiusi in segno di lutto, mentre in quelli di
Milano,Torino e Bologna lo scomparso fu commemorato in un intervallo:
ai funerali, celebrati a spese della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, del Comune di Roma, dell'Accademia d'arte drammatica e del
quotidiano Il Tempo, si alternarono ai cordoni i maggiori esponenti
del rinnovato teatro italiano. Al suo nome s'intitolarono sia l'Accademia
d'arte drammatica che la Scuola del Piccolo Teatro di Trieste |
I
discorsi dei fanti non sono allegri. E oggi parlavano sul tema:
fucilazioni. Che è il più lugubre. Che c'è di vero nei racconti delle
iniquità e delle ingiustizie senza nome attribuite ai tribunali militari?
Serrentino racconta di come fu mandato a morire sotto il fuoco nemico un
aspirante di diciannove anni, arrivato da tre ore in trincea, i cui uomini
si erano sbandati davanti alle mitragliatrici austriache.
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Diario di guerra La vigilia di Caporetto 2 ottobre 1917
Il
bersagliere decorato al valore racconta la
morte dell'aiutante maggiore in prima
del 4°
Bersaglieri, capitano Maruffi, torinese, a un ufficiale che non
lo conosceva. Fu in questo maggio, quando i bersaglieri fecero un'azione
dimostrativa passando l'Isonzo tra Bodrez e Loga, e poi ritirandosi a
battaglia terminata, dopo la conquista del Cricco e del Vodice fatta da
altri corpi. |
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Così avviene che, su dieci uomini da fucilare, due degli estratti sono complementi arrivati il 29. All'ora della fucilazione la scena è feroce. Uno dei due complementi, entrambi di classi anziane, è svenuto. Ma l'altro, bendato, cerca col viso da che parte sia il comandante del reggimento, chiamando a gran voce: "Signor colonnello! signor colonnello! ". Si fa un silenzio di tomba. Il colonnello deve rispondere. "Che c'è figliuolo? ". " Signor colonnello! " grida l'uomo bendato "io sono della classe del '75 (ha oltre 40 anni e la sua famiglia vivrà nel perenne marchio di infamia). Io sono padre di famiglia. Io il giorno 28 non c'ero. In nome di Dio! ". risponde paterno il colonnello >>>>> |
"Figliuolo,io non posso cercare tutti quelli che c'erano e che non c'erano. La nostra giustizia fa quello che può. Se tu sei innocente, Dio ne terrà conto. Confida in Dio". |
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Matematici italiani caduti in guerra
Italian mathematicians fallen in WWI
Santi Buoni
(1880-1915): teacher at the Hich School of Busseto |
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Italian Mathematics and World War I
by P. Nastasi & R. Tazzioli powerpoint
Francesco Severi: the
opinion of an “official socialist” to the newspaper l’Adriatico.
Giornale del Mattino (March 9th, 1915) |
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Paolo Caccia Dominioni: diario di guerra:
Quota 126 del Vippacco.Andarono su in settanta ( 4°
sezione lanciafiamme) e poi, chissà per quali strane successioni di
passaggi da una dipendenza all’altra vennero dimenticati. Dopo 92 giorni
di trincea, in pieno inverno, si trovò chi poteva assumere la
responsabilità di conceder loro il riposo: e calarono giù i dieci
superstiti, veri scheletri ricoperti di fango, deboli macchine senza
volontà…calarono giù, e dopo poco li rispedirono a quota 89 di
Monfalcone" |
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Guerra di materiali e di
tecnologia |
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LA
GUERRA E’ FINITA |
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Battista,
poveretto, aveva tanto male ai piedi. Aiutava mia mamma a tirare il
carretto perché mio papà era sempre nascosto in soffitta. Mio papà non
aveva fatto il militare perché era stato esonerato, ma dopo i tedeschi
portavano via tutti gli uomini. Sono venuti una sera in questa casetta e
sapevano, si vede, che c’era là mio papà. Allora mia mamma (eravamo
ormai a letto) ci ha fatti alzare e ci ha messi sulla scala, tutta una
fila. Si sono commossi, sono stati bravi e non hanno portato via mio
papà…. La Cesca ha fatto la spagnola. Mi ricordo che la vedevo sempre
seduta al tavolo con la testa giù. A Fregona c’era un dottore, ha
curato lei e anche mio papà che era stato tanto male, è quasi morto.
Aveva bisogno di zucchero ma allora non c’era né zucchero né niente.
Alla Cesca sono venute fuori delle ghiandole sul collo, l’hanno operata
male a Vittorio (Veneto) e le è rimasta una cicatrice brutta, per questo
poi portava sempre maglie coi colli alti. Giacomo, che aveva due anni più
di me, si ricorda che sulla strada lavoravano i prigionieri italiani e i
bosniaci li sorvegliavano col fucile, avanti e indietro. I prigionieri
dicevano in italiano: "La guerra adesso finisce" e i bosniaci
dicevano sempre: "Ja, ja". E li insultavano anche, in
italiano, e i bosniaci non capivano e dicevano sempre: "Ja, ja".
Giacomo
ricorda bene il giorno della fine della guerra. Dicevano che alla stazione
c’era un deposito con aringhe abbandonate. Allora mia mamma, mia zia e i
miei fratelli sono partiti per andare a prendere queste aringhe. I
tedeschi avevano occupato tutta la strada e andavano su per il Cansiglio
per tornare in Germania. Per la strada, sulla curva, era arrivata una
granata e c’era una donna morta e un cane. Mia mamma e gli altri sono
arrivati vicino alla stazione e mentre erano là sono arrivati due
lancieri a cavallo che si vede che andavano verso casa perché era finita
la guerra. E tutti quanti, dalla contentezza,
gridavano, piangevano, a vedere quegli italiani che erano arrivati.
Quando hanno fatto per andare a prendere queste aringhe e c’era da
passare su un prato lungo, hanno cominciato a sparare e allora mia mamma e
gli altri sono tornati indietro e intanto sono arrivati sette o otto bersaglieri
e hanno detto: "Bisogna andare dentro perché i tedeschi
sparano dalle colline". Sono andati dentro in una casa. E i
bersaglieri hanno messo una bicicletta con la mitraglia e hanno
cominciato a sparare verso la collina. Ma i tedeschi venivano sempre
avanti. Mia mamma e gli altri erano nascosti sotto al secer.
I bersaglieri dopo un po’ hanno detto: "Noi bisogna che
andiamo via perché se stiamo qua tiriamo bombe a mano quando vengono
dentro e vi facciamo male, ammazziamo anche voi". Appena andati via
i
bersaglieri, sono arrivati i tedeschi, bosniaci, grandi, con
questo fucile, e hanno detto: "Taliani, taliani". Mia mamma ha
detto : "Nein nein nein. Nein italiani". Ma loro non hanno
creduto e sono andati su per le scale e battevano col fucile sulle porte e
hanno guardato dentro ma non li hanno trovati e allora sono venuti giù.
Mia mamma e gli altri sono andati fuori e, cinquanta metri avanti, là per
terra hanno visto uno di quei bersaglieri
morto. Era la sera verso l’imbrunire e la guerra era finita.
Poi sono passati per Fregona mio zio Chechi e mio zio Gioachino che
avevano fatto la guerra. |
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A Fregona, qualche settimana dopo la fine della guerra, Giacomo ha perso tre dita della mano sinistra a causa di una bomba. La Cesca aveva trovato una capsula con una polverina e Giacomo gliel’aveva presa e poi aveva levato il tappo per buttare la polvere sul fuoco. Era venuta su una fiammata e gli era scoppiata in mano. Allora due alpini lo hanno portato all’ospedale militare di Vittorio (Veneto), ma l’ufficiale medico lo ha rimandato indietro perché lì curavano solo i militari. Lo hanno portato a San Giacomo, all’ospedale, ma neanche lì volevano riceverlo perché non c’era posto. I due alpini hanno battuto alla porta finché le suore non lo hanno tirato dentro ed è stato lì sette o otto giorni. Quando è tornato a casa le ferite non guarivano mai, le garze erano sempre attaccate. Poi mia mamma lo ha portato all’ambulatorio del battaglione degli alpini e lì finalmente lo hanno medicato senza fargli male e in quindici giorni le ferite si sono cicatrizzate. Mio papà finita la guerra è andato a Quero per vedere com’era, ma la nostra casa era crollata, c’erano solo macerie. Era tutto a terra, ricordo che quando poi siamo tornati andavamo a giocare sulle cataste di macerie. Mio papà a Quero ha incontrato Toni Gatto, eravamo parenti da parte della moglie che veniva da Bassano. La sua casa aveva ancora il cuert e allora ha detto a mio papà se voleva fare assieme, lui aveva la bottega e mio papà faceva il pane. Appena hanno preparato una casa vecchia lì vicino, mio papà ha potuto venire a prendere la famiglia a Fregona e siamo stati in quella casa, dove mia mamma aveva la licenza di osteria. |
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Paolo Boselli |
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Promozioni di guerra e ufficiali
fai da te
All'inizio del conflitto l'esercito si trovava costretto a fare i conti con una drammatica carenza di quadri. Gli ufficiali di carriera (permanenti) erano appena sufficienti per coprire il servizio (di pace)............insufficienti per ripristino quadri e per i reparti mobilitati. Vigeva allora il sistema del volontariato, applicato in Germania già dall'800 con buoni risultati, ma non ugualmente diffuso in Italia. I volontari che oggi chiameremmo di "complemento" erano giovani di estrazione borghese, provvisti di un titolo di studio e del denaro per "pagarsi"!!!! l'iscrizione ai corsi in cambio della quale prestavano servizio presso i luoghi di residenza con una ferma non oltre i 12 mesi e l'ammissione agli esami per conseguire il brevetto di sottotenente. (Prima quindi erano aspiranti ufficiali anche se il grado non era ufficialmente riconosciuto). Per motivi di tradizione differenti dalla Società Prussiana e indifferenza al grado molti giovani non superavano gli esami, in questo approvati dalla classe permanente che poteva meglio controllare a numero chiuso carriere e promozioni specie in occasione di quelle guerricciole fino ad allora fatte. Con lo scoppio della guerra e la triste realtà dei vuoti si procedette alla promozione al grado superiore di sottufficiali di carriera o in congedo, medici e studenti di medicina (per la loro competenza ma non per il teatro operativo), di allievi dei collegi militari e personalità che comunque non avrebbero potuto farne a meno per non scendere in mezzo alla massa. Per quanto non bastasse partivano dei corsi accelerati a Modena, Parma, Torino, Caserta e presso i corpi per ufficiali di complemento. Furono creati fino alla fine del conflitto 15o.ooo ufficiali d'esercito e di milizia. I corsi della durata di 3 mesi potevano anche essere più corti. Si registrò il caso della scuola di Torino di Artiglieria e Genio il cui corso durò nel 1915 50 !!!! giorni. I diplomati diventavano adesso veramente aspiranti e un mese dopo sottotenenti. Dopo il 1916 i corsi di carriera vennero soppressi e comunque fino a quel momento non superarono la durata di 6 mesi. Tutti gli ufficiali (permanenti) saranno tratti d'ora in poi dalle promozioni di merito. Gli ufficiali della Milizia Territoriale erano aumentati del 1000% a scendere gli aumenti dei vari gradi con le più basse percentuali negli alti gradi (159% ufficiali superiori e 885 generali). Ricordiamo che la funzione di Generale di Brigata veniva spesso svolta da Colonnelli di Brigata. Alla fine del conflitto ci si accorse comunque che era stato fatto un errore madornale nell'allargamento della classe ufficiale portata per 2/3 da non permanenti. Errore dipeso dal fatto che non essendo aumentati i sottufficiali inferiori le mansioni veniva svolte da quelli di complemento a differenza di quanto accadeva in Germania e in Inghilterra e che condizionerà anche il secondo conflitto. La Germania sia nel grande conflitto e in stato di controllo postbellico dopo per mascherare i quadri faceva comandare battaglioni a semplici tenenti ( e Rommel a Caporetto ne era un esempio) e il resto in proporzione. Non vinsero sia nell'uno che nell'altro caso, ma la vittoria costò cara. |
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……. E quinte, venne un ordene che nella citta di Ancona a scoppiato una revolta. (…) Ci fu una vera revolozione perche si anno messo di acordio i soldate con li borchese. Ed ec[c]o come forino i fatte: che [ad] Ancona c[']era uno reggemento di bersegliere, quase tutte del 99 della stessa mia eta e tutte che avevino fatto la querra e avevino fatto 4 anne di soldato e certo che aspetavino il congedo e invece del concedo li stavino imparcanto per antare a fare il soldato in Arbenia. E queste brave e malantrine soldate bersegliere non ci volevino antare, poi che sapevino che la nave era pronto nel porto di Ancona. (…) Alla sera come se ne suno antate alla libra uscita si anno portato fuore tutte i vestite di bersagliere impiu che avevino, perche d[']ogni soldato bersagliere avevano 2 vestite. Quinte, e cosi, antavino dalle borche[se] revolozinarie e ci davino uno vestito per vestirese persagliere e li soldate se vestevino di borche[se] e li borchese deventavino bersagliere. E cosi, quanto revavo l[']orario della retrada, invece di entrare i vero bersagliere, rientravino li farse bersagliere borchese. E cosi, quella sera, la caserma si arreimpito piena di revolozinarie..
Cosi, queste revolozinarie, per il primo anno preso al tenente e il
sercente e tutte li soldate che facevino li sentenelle, ci anno
tapato la bocca, li anno portato imprecione e anno fatto uscire a
tutte li pricioniere. E cosi, la quardia la facevino li borchese che
erino
i finte bersegliere, mentre i vero bersagliere
erino fuore con la sua donna. E cosi, nella caserma tutte li
demostrante si anno armato come meglio potevino: perche nella
caserma arme ce n[']erino tante, e assaie mitraglie, magare c[']erino
tanta monezione della querra e poi che c[']erino tutte li arme che
si dovevino portare in Arbania. E queste arme l[']anno portato fuore.
(…) |
Questo è il diario di
Vincenzo Rabito |
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"Fontanazza" autobiografia 1899-1970 |
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Come racconta della rivolta di Ancona dell11° Bersaglieri e dell’allerta alla sua caserma. Tratto da Archivio Diari Pieve S. Stefano (Ar) http://www.archiviodiari.it/default.htm |
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RENATO SERRA Nell'"Esame di coscienza di un letterato" la guerra viene ridotta a una manifestazione istintiva, legata alla cieca passione dell'individuo, in sé contraddittorio «Del resto viviamo, poiché non se ne può fare a meno, e la vita è così". |
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Laureato in lettere
all'Università di Bologna, a soli 20 anni, allievo di Carducci con
una tesi sui Trionfi di Petrarca, fu studioso di letteratura e
critico letterario, direttore della Biblioteca Malatestiana di
Cesena e della Biblioteca Piana. Serra, diviso fra impegno etico e
pratico, partecipò al conflitto perché avvertiva che di fronte ad
esso la letteratura evidenziava tutti i suoi limiti. Egli tuttavia
aveva chiara la percezione che la guerra, di per sé, non sarebbe
servita a costruire alcunché di positivo.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/opere/serra.htm
“E’ una vecchia lezione! La guerra è un fatto, come tanti altri in questo mondo; è enorme, ma è quello solo; Accanto agli altri, che sono stati e che saranno; non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla assolutamente, nel mondo. Neanche la letteratura” «La guerra ha rivelato dei soldati, non degli scrittori e alla fine tutto tornerà press'apoco al suo posto». Chi vi parteciperà non godrà di sconti, né sarebbe dignitoso pietire medaglie al merito; «Né il sacrificio né la morte aggiungono nulla a una vita, a un'opera, a un'eredità». |
Quando
comincia una guerra, la prima vittima è la Verità.
Quando la guerra finisce, le bugie dei vinti sono smascherate,
quelle dei vincitori, diventano Storia. |
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da http://www.bibliolab.it/materiali_dida/mat_forum/gmat6.htm |
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Giuseppe Daniele, nato a Cherasco, classe 1887, contadino |
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Ma poi è venuta la guerra, io ero di
terza categoria come capofamiglia. Hanno perduto '1 Ludin, una montagna,
forse era del 1916, allora ci hanno richiamati anche noi di terza e
siamo andati a riprendere quella montagna, 'l Ludin. Poi al Crestarossa,
altra montagna del Veneto, altra battaglia. Poi l'Ortigara, nel
Trentino, ah matot...', non so come sono riuscito a togliermela, a
mucchi i morti, hanno cominciato a salire in mattinata da Bassano i
tedeschi e ci hanno preso su un fianco, ne hanno fatto una strage.
Che cosa pensavamo noi di quella guerra? Non avevamo nessuna voglia di
farla, per forza andare. A noi non interessava la guerra, noi eravamo
poveri diavoli, a noi non conveniva. Interessava a qualcuno per farsi i
soldi, ma non a noi. « Andiamo là a perdere tempo e ancora a farci
ammazzare», ecco che cosa ci dicevamo. E’ sull'Ortigara che ho visto la guerra piú brutta. Là i colpi di mortaio cadevano e facevano tremare la terra. Una notte siamo usciti dalla trincea, ero con la 15° compagnia del battaglione Borgo San Dalmazzo. Abbiamo raggiunto una valletta che era piena di morti. Abbiamo costruito una lunga morena con i morti, abbiamo tolto i morti e ci siamo ammucchiati al loro posto. Poi al mattino, alle sette, arriva l'ordine di partire all'assalto. «Fuori», grida il capitano. «Prima esce lei, poi usciamo noi», gli dicono i soldati. Le mitraglie dei tedeschi sparavano a gran forza raso terra. Esce il capitano, esce la prima ondata di alpini, e muoiono tutti. Io ho tardato un attimo: «Se ho da morire muoio qui», mi sono detto. Poi la nostra artiglieria ha cominciato a bombardarci, e anche i tedeschi hanno preso a bombardarci. I nostri ci bombardavano per farci uscire dalla trincea, per spingerci all'assalto. Neh che guerra falsa! In quel batibói (scompiglio) ne sono morti migliaia e migliaia. Mah! Quante volte mi sono nascosto sotto i morti per ripararmi dalle schegge degli shrapnel! |
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Com'erano i nostri ufficiali? Ce n'erano dei buoni e dei cattivi. I
cattivi ogni tanto li trasferivano di reparto perché se no i soldati li
ammazzavano. Il soldato stava sempre zitto, ma l'ufficiale cattivo aveva
paura di essere ammazzato. Non ci siamo mai ribellati, non eravamo mica
capaci di ribellarci. Non avevamo nemmeno piú fame in trincea, tanta era
la paura, tante erano le sofferenze. Avevamo sempre tanta sete. Oh,
dell'Ortigara mi ricordo sempre. Poi una volta sono andato avanti con trenta esploratori, c'era stato un combattimento e ne avevo visti a cadere tanti, a cadere giú come le mosche. Siamo finiti in una buca, gli austriaci ci hanno accerchiati, allora abbiamo alzato un fazzoletto, siamo caduti prigionieri. Anche gli altri della mia compagnia sono caduti prigionieri. 1 primi giorni siamo vissuti con un mestolo di brodaglia. Poi in treno ci hanno portati in Ungheria. Rape alla mattina e alla sera, nient'altro. Piú niente pancia avevamo, ne sono morti tanti dei nostri, tutte le mattine erano trenta o cinquanta i nostri morti: tanti morivano senza male, come un pollastrino quando ha la malattia. Facevamo cuocere le bucce delle patate, delle rape. Io vivevo a cicoria. Mi dicevo: «Cosí non posso piú andare avanti». Un giorno arriva l'ordine: «Chi vuole andare in Galizia? Occorrono sessanta uomini a lavorare in una fattoria di millecinquecento giornate». Allora mi sono trascinato in fila. L'indomani siamo saliti sul treno, un giorno e una notte, siamo arrivati a Leopoli, vicino alla Russia. Lí sono andato un'altra volta a chiedere la carità, l'avevo chiesta da piccolo la carità e l'ho chiesta da alto, andavo a bussare alle porte delle case, mi dicevano: «Ceta, ceta, aspetta, aspetta», mi davano una fetta di pane nero o una patata. Una volta ho imbattuto in una casa dove c'era un medico, mi ha dato una bella pagnotta di pane bianco, mi ricordo, l'ho baciata quella pagnotta prima di mangiarla. Mi dicevo: «Oh, 'sta volta mi riprendo un po ». L'ho mangiata, non mi ha nemmeno toccato le budella tanto ero vuoto. « Se veniste in due a segare la nostra legna ... » mi ha detto il medico. « Sí sí, io chiamo un mio compagno». Alla sera siamo andati là a segare la legna, un'ora e mezza, e finito il lavoro ci ha dato una buona minestra di orzo. E dopo la minestra una bella e buona polenta. Noi mangiavamo tutto. Allora ci ha fatto preparare ancora una purea di patate. Iste, non riuscivamo piú a tirare il fiato. Cristolu, avremmo mangiato fino a scoppiare. |
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L'indomani siamo andati a lavorare per la prima volta alla fattoria. Là
c'erano delle pentole di patate bollite, e noi giú a mangiare. Un mio
amico aveva già la pancia gonfia, e io a dirgli: «Stai attento che
crepi». E’ rimasto lí con una patata in bocca, morto, si sono strappate
le budella, le nostre budella erano fini, sottili, patite. Nella fattoria piano piano mi sono ripreso con le forze, ero contento, mi sentivo rivivere. Poi è finita la guerra e il padrone della fattoria voleva che restassimo là: «No io non ci sto in questi paesi, a mangiare patate e cavoli». Ah, era brava gente, contadini, bravi sicuro. Mi ricordo sempre, una volta ero seduto lungo una strada e mangiavo una patata, è passata una donna, mi ha guardato, e si è messa a piangere. Eh, era piú duro fare della fame che fare la guerra! Tra i prigionieri i piú smilzi resistevano, ma i piú grossi si sgonfiavano e morivano tutti. Quando sono tornato a casa ho trovato la solita miseria: ero pulito, a zero. Gli altri si erano fatti i soldi e noi a zero. Mia madre ormai era sola, era vissuta di stenti, aveva tirato avanti con il mio piccolo sussidio, l'avevano truffata col sussidio. La «Combattenti» era d'accordo con il Distretto, avevano rubato cinquanta lire a mia madre, a ogni madre di soldato avevano rubato cinquanta lire, l'ho proprio constatato io quando sono tornato dalla guerra, e le ho pretese quelle cinquanta lire. Cbe fregun... . Ho subito ripreso a fare il manovale nelle cascine a una lira al giorno. All'estate andavo col ferro a tagliare il grano, le giornate erano lunghe, due lire al giorno, con due lire si comprava giusto una camicia. Lavorando guadagnavo i soldi per comprare la crusca per i maiali, e mantenevo mia madre. Poi sono riuscito a comprare una vacca, poi un'altra, ho affittato un po' di terra, cudíu la lervaia (rispettavo la briciola). Nel 1924 mi sono sposato e ho avuto quattro figli |
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Corrado
ALVARO Un campo di battaglia, a chi vi sta , sembra non sia mai servito ad altro, e che sia un regno perpetuo di guerra. A rivederlo poi, perde il senso cui era stato legato fino a che vi si è lottato; una siepe un bosco, un macigno, una ruga di terreno, una valle , i monti lontani disposti sull’orizzonte non significano più nulla e non ricordano nulla. Gli storici vi ricostruiscono la manovra di battaglia secondo le loro idee, vi vedranno una battaglia fantastica, in cui sarà tenuto conto delle masse, delle manovre, dei comandi. Nessuno saprà mai che importanza abbia avuto per un uomo un sasso, un albero, un ciottolo, un ciuffo d’erba; che dimensione abbiano avuto per i soldati una buca, una fila di pietre, la siepe d’un campo. I monti e i colli lontani stanno, chiomati d’alberi o calvi, come generali davanti a un tavolo di manovra, parlano con la voce dei cannoni, una voce da eco, riflessiva e spaziosa; ogni elemento della terra diventa provvidenziale e animato, la natura ubbidisce di colpo a un’altra legge, e l’uomo tra quelle apparenze, vi acquista quel senso di orientamento per cui avverte suoni amici e nemici; gli elementi vivono per conto loro, l’uomo vi si aggira come il primo giorno del mondo creato; sono aboliti secoli di civiltà, anni di vita comune e ragionevole, l’uomo non è più che istinto. Vi si trovano meglio coloro che sono abituati a vivere a contatto con la natura e con la fatica umana più dura……. tratto da : Vent’anni - capitolo V Corrado ALVARO ( 1895-1956) |
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Arnaldo Fraccaroli (Villa Bartolomea, 26 aprile 1882 – Milano, 16 giugno 1956) giornalista e scrittore (commedie Ostrega, che sbrego! (1907) e Siamo tutti milanesi (1952) è ricordato per le sue corrispondenze dal fronte (Grande Guerra) per il “Corriere della Sera”. Fu amico di Giacomo Puccini e autore di quattro volumi dedicati al compositore lucchese, tra cui la monografia La vita di Giacomo Puccini pubblicata da Ricordi nel 1925 e Giacomo Puccini si confida e racconta, pubblicata postuma nel 1957. Arnaldo Fraccaroli così annotava le proprie impressioni sulla prima giornata di guerra sul fronte di pertinenza della Fortezza Verona (settore Baldo-Lessinia): «le poche salve d’artiglieria venivano dai monti lessini, dove pure si deve aver fatto un'avanzata, che mi è impossibile di conoscere nei particolari, perché stasera dopo il lungo giro sul Baldo e quest'ultima escursione in Vai d’Adige sino al confine, non ho la possibilità di andare anche lì» Era sposato con Lisetta Camerino, Triestina ed aveva un figlio Aldo (1919) conosciuto come uno dei più grandi fotografi navali di tutti i tempi. |
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Da
http://www.ardito2000.it/ardito2000_000003.htm
"Ed eccoci giunti alla nuova
Domenica. Gli Arditi bersaglieri celebrano le feste così. Nel pomeriggio
ha piovuto, la sera è buia. Ammassati sulla nostra prima linea stanno
gli arditi di un magnifico reparto fiammeggiante, famoso per queste
irruzioni. Alle ore 21,55 comincia improvviso e subitamente tempestoso
il tiro delle nostre artiglierie e delle nostre bombarde contro la prima
linea per rompere i reticolati. Tre minuti dopo, la prima ondata di
arditi esce dalle nostre linee di Casa Bressanin, strisciando curvi fra
i reticolati sotto il fuoco. Questa prima ondata è su cinque colonne di
pochi uomini: hanno il fazzoletto bianco al braccio per distinguersi nel
buio. Due minuti dopo si stacca la seconda ondata. Sono
duecentocinquanta arditi fra tutti. Di rincalzo stanno pronti nelle
nostre linee reparti di bersaglieri. La prima trincea che si stacca dal
Piave Vecchio è appena a nove metri dalla nostra. I due reticolati si
confondono. Qui la vicinanza rende impossibile l'uso delle bombarde. Per
aprire i varchi entra in funzione un drappello di lanciafiamme. I
lunghissimi mordenti guizzi delle vampate si avventano contro la
trincea, mentre più a sud gli arditi dell'ala destra si slanciano di
volata sui cinquanta metri di terreno che in quel punto separano la
nostra linea da quella avversaria. Al quinto minuto gli arditi della
prima ondata hanno già scavalcato la prima trincea supplementare,
attraverso i reticolati rotti, e si sono impadroniti delle prime poche
vedette. La loro azione è così fulminea e così ben concordata con
l'artiglieria, che arrivano sulla trincea quando ancora il terreno è
sconvolto dalle ultime bombe. Ricevono sulla persona zaffate di
terriccio. Subito le artiglierie allungano gradualmente il tiro. Con
bombe a mano, con lanciafiamme, con pistole mitragliatrici, gli arditi
irrompono nella trincea, urlando il loro grido di guerra e la loro
parola e di riconoscimento che stavolta è Roma. Li guida un giovane
maggiore toscano. Tutti gli ufficiali sono alla testa dei loro reparti.
L'assalto procede fulmineo, regolato minuto per minuto come una gara
sportiva. Nove minuti precisi dopo il principio dell'azione anche la
seconda linea è conquistata. Si fa il primo centinaio di prigionieri si
prendono tre mitragliatrici. Un bottino presto destinato a diventare più
consistente". Gli strappi alla disciplina concessi agli arditi e la loro ostentata animosità e la loro insubordinazione verso il carabiniere, tradizionale simbolo della legge e dell’ordine, non erano soltanto privilegi come il soprassoldo e la maggior copia di licenze, ma elementi costitutivi del mito, espressione della vitalità dell’ardito e della sua volontà di affermarsi e vincere ad ogni costo, anche contro le regole. |
1 DICEMBRE 1917. - Mi sono recato da mia sorella T. Bottàn a Sala di Sopra. - Dolore... desolazione... Una famiglia campagnola, si, ma abbondante di tutto, anzi ricca, ora spoglia di tutto e ridotta alla miseria ! Le truppe, oltre ai delitti già menzionati, installatesi in casa e ridotta la famiglia in angusto spazio, sono giunte all' eccesso crudele di portarsi via la polenta appena versata e persino il paiolo del latte che bolliva per i bambini. Il terrore e lo sgomento si legge sul volto a quelle povere anime : lo spettro della fame si è già insediato in casa. Questa è la nuda, cruda e dolorosa realtà in quella famiglia già tanto bersagliata. Fonte Fronte del Piave |
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OTTOBRE 1918 . La
settimana scorsa sorprese nei campi sette povere donne, alcune anche
attempate. Arrestate perché non recavano seco la “legittimazione,, che
avevano lasciata in casa poco discosta, e dichiarate in arresto, furono
fatte correre incalzate dai cavalli per un buon chilometro. Giunte al
cosiddetto luogo del “ Commando” una, non si sa perché, fu fatta entrare
con un poderoso schiaffo accompagnato da una spinta. - “Perchè, disse, mi trattate cosi? non sono una bestia” Tanto bastò per fruttarle lì per lì venticinque vergate. Quindi col titolo di sospette spie, furono ad una ad una fatte entrare in una stanza e spogliate nude alla presenza del capitano e dei soldati. Civiltà austro-teutonica, dirà qualcuno. Non so: Ripeterò ancora una volta che vi hanno molti e molti punti di contatto tra l’ Austria e la Turchia; ma aggiungerò che in Turchia a simili eccessi non si arriva. - Ieri è stato qui il Parroco di Piavon. Sono orribili le cose che ci narra della Divisione ungherese che stanzia in quei luoghi. Non v’è più un capo di bestiame nelle stalle, non più un pollo, non più un suino, non più un pugno di grano turco nei granai o nei campi. Chi non è riuscito a nasconderla in tempo, non ha più un capo di biancheria da cambiarsi. Non si passa nulla: e alle lagnanze della popolazione fu cinicamente risposto: “Siete destinati a morire da fame” Alla domanda di ammazzare un bovino, che dopo molte ricerche è stato trovato, la risposta è stata: “No. i civili non devono mangiare carne” Fonte Fronte del Piave |
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