HANNO SCRITTO...  
Gualtiero Castellini da "Tre anni di guerra. Diario di un ufficiale

….ecco io oggi agisco per un punto d'onore, perché per patriottismo non più?." Appunti dopo l'attacco ".non è riuscito e bisognerà ricordarlo; 17 battaglioni di 11 reggimenti d'altrettante brigate diverse hanno attaccato Oslavia questa sera. Non c'era ordine d'operazione, solo una direzione (geografica). Mio Dio quanti morti. Battaglioni che giungevano da 15-20 chilometri e non marciavano più. Ma perché non parlo dei miei soldati? Non scrivono come me, sono in gran parte bravi e muti, si battono e dormono nel fango..siamo arrivati dove si erano fermati i granatieri tre giorni prima, li abbiamo trovati morti allineati, tutti bocconi..ma perché non smette di piovere?"  

 

Non c'è niente di buono nella guerra, eccetto la sua fine. (Abraham Lincoln)

La guerra non rende i ragazzi degli uomini ma rende gli uomini dei morti. (Ken Gillespie)

Tutte le guerre sono combattute per denaro. (Socrate)

Le guerre non si pagano in tempo di guerra, il conto viene dopo. (Benjamin Franklin)

LETTERA D'UN BERSAGLIERE da "Quelli che non tornarono" di Pietro e Mario Ferrari

Un bersagliere ! Ma non sai, nonna, che noi siamo la fanteria più bella d'Italia…..io mangio male, dormo peggio, soffro il freddo e il sole cocente, eppure mi sento bene, sono felice come mai lo fui, .. di una tale vita francamente avevo bisogno. Domani presenteremo il giuramento, subito dopo farò domanda per essere inviato al fronte e allora soltanto mi sentirò degno di me stesso."  

 

Diaz

ARMANDO DIAZ >>

 
LETTERA ALLA MOGLIE DEL COMANDANTE del Soldato Marselli Galasso 227° fanteria

..Signora mi domanda se i soldati gli volevano bene? Come non fare a non amare una persona che non ha castigato mai nessuno in cinque mesi.. Stava sempre a parlare con tutti, faceva un circolo e lui rispondeva, dava dei buoni consigli. Spero mi vorranno perdonare se trovano errori e pezzi che ho scancellato..sono quel povero ragazzo che gli è molto affezionato che ha ricevuto il suo dono e la sua lettera così affettuosa." 

 
     
IL MARTIRIO D'OSLAVIA di Adolfo Amodeo
da "Momenti della vita di guerra

Piove, piove, piove. Si diguazza nel fango, si è lordi di fango, si respira nebbia. Gli abiti sono sempre bagnati, le tende e le baracche pure. Vedo scendere due con tavole e filo spinato, si levano bestemmie e pur proseguono. Comprendo cosa sia la fatica. Il biblico sudore della fronte. La fatica che uccide e martirizza rimarrà sempre fra le mie impressioni d'Oslavia. Resistere in questo fossato di fango aperto verso il cielo, ricordarsi di essere stato fino a ieri un uomo con un lavoro, una famiglia ed essere ora un numero nel fango, un sudicione prostrato e stanco. Avvilimento che toglie l'intelligenza, questo è il martirio di Oslavia.

 

“La guerra è un massacro fra uomini che non si conoscono a vantaggio di uomini che si conoscono ma eviteranno di massacrarsi reciprocamente” (P.Valéry)

   
LA RITIRATA di Ardengo Soffici (a dx)

-…Prenda un sidecar e vada alla Brigata Vicenza. E' urgentissimo- mi disse il capitano. Ho cominciato a vedere dopo Prodamano file di camions, vetture e carrette militari. Più avanti carri di contadini, carichi alla rinfusa e soldati e borghesi avanzanti senza più ordine alcuno. Il mio motociclista avanzava a forza di urli e fischi. A ondate una moltitudine veniva innanzi lungo i fossi, famiglie desolate, ragazzi che piangevano. Più avanti verso San Daniele mi si presentò un tale ingombro di ressa e ammassamento che tutto quello che avevo veduto era nulla in confronto. Cercai una via d'uscita, sbucai in una strada oltre i campi più piccola dove un'altra folla si muoveva. Erano resti di compagnie che se n'andavano stancamente, anche gli ufficiali non si occupavano più di loro. Entravano nelle stalle, nelle cantine, negli orti e se ne uscivano con latte, vino, mele e pane che distribuivano. Pariglie di cavalli tiravano grossi barconi incatramati. Si sperava di passare almeno il Tagliamento.

 
DIARIO DI OLIVIERI ARIO Bersagliere del 2°

Fui chiamato alle armi nel settembre 1916 e destinato al 3°. Dopo un corso da mitragliere ci inviarono come compagnie autonome al 12° sulla Bainsizza. Verso l'autunno del 17 eravamo in Val Sugana. Nei giorni di Caporetto camminammo per 6 giorni e 6 notti. Vecchi, donne e bambini ci seguivano con la disperazione di lasciare le loro terre…. Sul Piave nella nostra zona vennero inglesi e francesi. Rimasi ferito sul Grappa e con me molti dei miei compagni. Ci ritirarono dalla prima linea e al termine della convalescenza con la compagnia rifatta ritornammo sul Montello. I morti in quei giorni (15 giugno 1918) furono tantissimi, una cosa impressionante. Si seppe che era caduto anche Baracca. Superato il momento fu ripresa poi la marcia verso la vittoria. A Col di Fara (Soligo) l'ultima azione. Nel 1920 il congedo.

 

Giuseppe Ungaretti:

Versi 1915/18  

Si sta come d'autunno sugli alberi, le foglie-Bosco di Courton Francia Luglio 1918"

Di queste case, non è rimasto che qualche brandello di muro, di tanti che mi corrispondevano, non è rimasto neppure tanto. Ma nel cuore nessuna croce manca. E' il mio cuore, il paese più straziato

Acquattato in trincea, la notte di Natale del 1915, scrisse forse la più bella di tutte le opere che ha lasciato alla memoria e che ancora oggi ci trasmettono emozioni forti: Cima Quattro, il 25 Dicembre

   

 

Veglia
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore.
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita 

Andrea Graziani

Gaetano Giardino

Giuseppe Ungaretti al corso Ufficiali a Campolongo
     
Tratto da una ricerca di Nuto Revelli che ha raccolto testimonianze di vita contadina facendo ricostruire ai suoi intervistati la loro biografia intorno ad alcuni temi (il lavoro, la famiglia, l'emigrazione, la guerra, il fascismo, il confronto tra passato e presente ecc). In molti dei discorsi si fa riferimento alla prima guerra mondiale. Il mondo dei vinti , Torino, Einaudi, 1977    
Giovanni Battista Ponzo, nato a Canosio, 1888, muratore

La guerra?  Io ho tirato il numero a Prazzo. Ero del 2° genio zappatori, a Casale Monferrato. Dopo cinquanta giorni di istruzione sono partito per il fronte. Eh, eravamo forzati. Non pensavo più di salvarmi. Carso, San Gabriele, Monte Santo, Castagnavizza, Gorizia, San Michele, San Martino, Monte Cucco... Ho lavorato un anno e mezzo a scaricare le gallerie del San Michele, erano piene di torpedini, un lavoro pericoloso, da disperati. [..]. Nel 1917, sul San Michele, era andato al massacro l'11° bersaglieri. Un anno dopo i morti erano ancora tutti là, allo scoperto. Nelle trincee i morti erano in piedi, uno teneva su l'altro. E tutte le parti di ferro erano verdi per via del gas iprite, le stellette, i chiodi delle scarpe, i bottoni delle giubbe... A Castellavizza ho visto un grande prato tutto coperto di grigioverde. Avevano tentato di conquistare la collina, li hanno ammazzati tutti, erano alpini, tutti morti. E la ritirata di Caporetto? Arrivati a San Víto del Tagliamento c'erano due ponti. Uno squadrone di cavalleria insisteva per passare sull'altra sponda.  Allora un capitano ha puntato la pistola contro il comandante dello squadrone, voleva che i cavalieri attraversassero il fiume a guado, erano sette le colonne che tentavano di passare: colonne di camion, uomini, muli, artiglierie, profughi, una gran con­fusione.  Il ponte è poi saltato con lo squadrone di cavalleria sopra, gli austriaci erano a trecento metri.  E sopra le nostre teste volavano gli aeroplani. «Non andiamo piú a casa, è la morte», pensavamo. [..]. Un giorno, a Bassano del Grappa, ho visto un reggímento di alpini che saliva verso le linee, erano tutti fiulinot, tutti giovani. Che pena che facevano. Davanti avevano la banda musicale, e loro dietro che piangevano, ragazzini di diciotto anni, andavano sul Grappa, è un bell'ossario il Grappa [..]. 

 

Emilio De Bono

ORDINE DEL GIORNO Del Col. Emilio DE BONO ai Bersaglieri del 1° bis poi 15° (CARSO) NOVEMBRE 1915
Questo ordine (sotto) del giorno sarà letto e commentato almeno 3 volte al giorno, per una settimana di seguito sotto la responsabilità dei signori Com.ti di compagnia

De Bono Memorie 1935: le trincee -  

.... Ieri poi furono rubate 9 galline,  uccise e poi abbandonate in un campo. Questa è azione criminosa e vigliacca. Pensate che avete quasi tutti a casa  un padre e una madre, che forse stentano la vita, e pensate quello che proverebbero se si vedessero privati dalla loro frutta, del loro grano, dei loro polli da dei birbanti vestiti da soldato. Pensate che siamo in un paese i cui cittadini devono imparare ad amarsi e non a maledirsi. Deve far male al cuore di tutti sentir dire: "Gli italiani mi hanno rubato le galline!"
Siccome per fortuna i birbanti, i ladri, i vigliacchi, i senza cuore sono pochi, mentre la maggior parte dei bersaglieri del reggimento è onesta e buona, così io mi rivolgo ai buoni e agli onesti perché facciano il loro dovere, cioè impediscano e denuncino quei pochi indegni di vestire la divisa del bersagliere e del soldato italiano, i quali con le loro azioni tentano di disonorare il reggimento.

"Inconcepibile e irrazionale il tracciato della nostra linea. Assurdo aver ottemperato alla imposizione di non cedere un palmo di terreno conquistato, (ott. nov. 1915 Frasche) se io avessi avuto il tempo necessario avrei corretto i più grossi difetti della linea, anche a costo di ritirarla in qualche punto.  Fu oltremodo penoso e si prolungò (perdite dell'attacco 58 ufficiali e 1400 uomini) per tutto un giorno e una notte".

“Per quanto avessi, quando ero capo di S.M., visitato, si può dire, tutte le trincee del Corpo d’Armata, come comandante di truppe in attesa di combattere - non ho vergogna di confessarlo - io mi trovavo di fronte ad un problema nuovissimo che non mi era mai stato dato di risolvere, neppure teoricamente, prima di allora. Il non vedere, il non poter sentirsi alla mano i propri soldati; capire la difficoltà che vi sarebbe stata per accorrere tempestivamente e nella direzione più opportuna con le riserve, mi dava una certa sensazione di impotenza”.
“Questo grosso difetto che in qualche tratto (alla trincea dei Razzi lo ho constatato io) portava persino le due trincee avversarie a guardarsi le spalle; che in parecchi punti, come ho già detto, avvicinavano le linee opposte a meno di 50 metri traeva origine da un solo fatto: quello di avere troppo supinamente ottemperato alla imposizione di non cedere un palmo del terreno conquistato”.
“É inutile; bisogna avere il coraggio di confessarlo: nel 1915 eravamo ancora spaesati; la guerra che si combatteva non era quella che ci avevano insegnato. E questa è la principale ragione degli sviamenti e talvolta smarrimenti di Capi maggiori e minori”.

 
   

"Zona di guerra. Vermegliano 19 ottobre 1915. Prego si faccia pervenire questo scritto al suo indirizzo, al signor Ettore Polonio, via S. Francesco 30, Trieste.(trovato nello zaino lasciato in trincea da Ugo Polonio che muore due giorni dopo)  
Mio caro, mio buon papà. Ti scrivo perché forse non vi rivedrò più e spero che queste righe tu potrai averle.  Io sono ateo, due sono le mie fedi, i miei culti: la Patria, la famiglia. Non ho mai amato una donna, solo alla Patria sacrificherò la mia vita, solo alla famiglia se vivo.  Il mio amore di Patria è amore puro, bello, sublime; l'Italia che io amo non ha niente di tutte quelle piccinerie che appassionano gli altri. La mia Italia, l'Italia dei miei sogni mesti e nostalgici, l'Ideale, e il bello, il grande, ciò che per gli altri è Dio. Se muoio, muoio nella piena coscienza del mio sacrificio: non sono affatto un incosciente, un esaltato, un ubriaco di parole. Muoio nella coscienza piena e serena di aver portato una briciola di lavoro ad un'opera di titani, lieto e sicuro di aver cancellato con il mio sacrificio l'onta di una vita inoperosa, una vita da utopista, da sognatore, da ottimista.. Non voglio mi si pianga. Non temo la morte, la guardo in faccia ed è bella; io non avevo mai provato una calma, una serenità simile a quella che ora provo, direi quasi che vivo già di una vita differente da quella degli altri. Domani c'è la prova: aut. aut, o si muore o si vive.... da domani sarò qualcuno: o vivo o morto. Viva l'Italia, viva il Re!  Mio caro, mio buon papà, l'anima mia (se l'ho), il mio pensiero, tutto l'io è proteso verso te, verso voi, verso la mia Trieste. Vi bacio, vi bacio, addio non piango... Questo è quanto di più sincero io abbia scritto o detto. L'ho scritto d'un fiato, senza rileggere, è uno sfogo dell'anima mia; è una confessione, la più sincera della mia vita. Ugo Polonio.
P.S. Testimone la mia coscienza, che oggi è più grande e il mio sentimento dell'onore, che oggi è più puro. Le dolcezze che provo oggi non le ho mai provate. Scrivo in trincea. L'artiglieria nostra fa un fuoco d'inferno. Ho letto ora il proclama di S.A.R. al mio plotone. Urrà! Savoia."
 
La lettera del giovane ufficiale venne trasmessa al padre, Ettore Polonio, solamente il 21 gennaio 1919 a città liberata. E’ medaglia d’oro.  
     
Silvio D'Amico Dall'Enciclopedia dello Spettacolo, vol. 4, coll. 42-45)  

(in: Corriere della Sera del 30 marzo 1980, rid.)"

"Imbussolate tutti i nomi"

Scrittore e critico drammatico, direttore dell'Enciclopedia dello Spettacolo, nato a Roma il 3 febbraio 1887 [ivi morto il 1 apr. 1955]. A Roma frequentò le facoltà universitarie di giurisprudenza, lettere e filosofia, laureandosi in giurisprudenza. Dal 1911 fu assunto per concorso del Ministero della pubblica istruzione, Direzione generale antichità e belle arti. Dal 1915 al '17 fu volontario nella prima guerra mondiale (ufficiale di artiglieria). Nel 1923 lasciò il Ministero, essendo stato nominato professore di storia del teatro nella Real Scuola di Recitazione presso l'Accademia Di S. Cecilia in Roma. Nel I935, invitato dal governo a formulare il progetto per un'accademia d'arte drammatica in Roma, ne fu nominato presidente, conservandovi la cattedra di storia del teatro. Intanto fin dall'ott. 1914 era entrato nella redazione del quotidiano romano L'Idea nazionale come vice del suo critico Domenico Oliva. Morto l'Oliva nel 1917, e terminata la guerra, gli succedette alla fine del '18 come titolare della rubrica, tenendo anche la direzione della terza pagina del giornale. La stessa rubrica tenne dal 1925 nella Tribuna, con cui L'Idea nazionale si era fusa, e dal 1941 al '43 nel Giornale d'Italia, che abbandonò all'epoca dell'occupazione tedesca. Dal 1945 riprese la critica nel Tempo di Roma. Oltre che sui quotidiani predetti, esercitò continuativamente la stessa critica in più periodici: dal 1923 al '28 su La Festa di Milano, dal 1934 al '46 su La nuova antologia, dal '52 su L'approdo e su L'Illustrazione italiana. Dal 1945 fu pure titolare delle cronache alla Radio di Roma. Ha fondato, e dal 1932 al '36 ha diretto insieme con Nicola De Pirro, la rivista teatrale Scenario, dal 1937 al '43 ha diretto la Rivista italiana del dramma (poi italiana del teatro), pure da lui fondata, e edita dalla Soc. degli autori; ha diretto la collana critica "Il Teatro del Novecento" edita da Treves e la collana di testi teatrali intitolata "Repertorio" per le ed. Roma . Ha collaborato a importanti quotidiani e periodici italiani e stranieri, nonché all'Enciclopedia italiana (dove ha diretto la Sez. del teatro) e all'Encyclopaedia Britannica. Il giorno della sua morte tutti i teatri di Roma rimasero chiusi in segno di lutto, mentre in quelli di Milano,Torino e Bologna lo scomparso fu commemorato in un intervallo: ai funerali, celebrati a spese della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Comune di Roma, dell'Accademia d'arte drammatica e del quotidiano Il Tempo, si alternarono ai cordoni i maggiori esponenti del rinnovato teatro italiano. Al suo nome s'intitolarono sia l'Accademia d'arte drammatica che la Scuola del Piccolo Teatro di Trieste  

I discorsi dei fanti non sono allegri. E oggi parlavano sul tema: fucilazioni. Che è il più lugubre. Che c'è di vero nei racconti delle iniquità e delle ingiustizie senza nome attribuite ai tribunali militari? Serrentino racconta di come fu mandato a morire sotto il fuoco nemico un aspirante di diciannove anni, arrivato da tre ore in trincea, i cui uomini si erano sbandati davanti alle mitragliatrici austriache. Ma il fatto più atroce è un altro. Presso un reggimento di fanteria, avviene un'insurrezione. Si tirano dei colpi di fucile, si grida non vogliamo andare in trincea. Il colonnello ordina un'inchiesta, ma i colpevoli non sono scoperti. Allora comanda che siano estratti a sorte dieci uomini; e siano fucilati. Sennonché, i fatti erano avvenuti il 28 del mese, e il giudizio era pronunciato il 30. Il 29 del mese erano arrivati i " complementi", inviati a colmare i vuoti prodotti dalle battaglie già sostenute: 30 uomini per ciascuna compagnia. Si domanda al colonnello: "Dobbiamo imbussolare anche i nomi dei complementi? Essi non possono aver preso parte al tumulto del 28: sono arrivati il 29 ".

Il colonnello risponde: "Imbussolate tutti i nomi".

Diario di guerra 

La vigilia di Caporetto  2 ottobre 1917

Il bersagliere decorato al valore racconta la morte dell'aiutante maggiore in prima del 4° Bersaglieri, capitano Maruffi, torinese, a un ufficiale che non lo conosceva. Fu in questo maggio, quando i bersaglieri fecero un'azione dimostrativa passando l'Isonzo tra Bodrez e Loga, e poi ritirandosi a battaglia terminata, dopo la conquista del Cricco e del Vodice fatta da altri corpi.
Ritornati tutti di qua dall'Isonzo, e scesa la notte, si udirono a un tratto delle grida dall'altra parte del fiume. Erano dei nostri feriti, rimasti là, dimenticati. Non c'erano né zattere né barconi, tutti ritirati dal Genio. C'era soltanto un canapo di ferro, teso a fior d'acqua sull'Isonzo, che in quel punto è largo qualche decina di metri. Il capitano Maruffi disse: "Vado io di là per sistemarli alla meglio; poi troveremo un mezzo di trasporto". E si fece legare al canapo con un grosso filo telefonico, di cui un capo fu affidato alle mani di alcuni bersaglieri sulla riva.
Il capitano, assicurato così al canapo per la vita, scese in acqua; e avanti a forza di braccia. Ma il canapo al suo peso si piegava, e nel mezzo del fiume la corrente, turbinosa, irresistibile, gli passava sulla testa. Egli era sommerso, non poteva più avanzare. Tentò di tornare indietro: non ne aveva la forza. Con voce soffocata gridò che lo ritirassero a riva: i suoi uomini tirarono, il filo telefonico si spezzò. Egli andò sott'acqua, e in un momento affogò, restando attaccato al canapo che lo tratteneva senza salvarlo. Per non lasciarlo lì, i bersaglieri ruppero il canapo, e la corrente ne trascinò via il cadavere. I feriti rimasero a gemere sull'altra riva. Più tardi un barcone del Genio andò a prenderli e li riportò da noi, prima che gli Austriaci arrivassero. "Era un brav'uomo" - dice il tenente dei bersaglieri "corto d'intelletto, ma volenteroso e pronto a tutto. Andava a caccia del nastrino azzurro. E l'ha avuto; ma dopo morto".

 

Bersagliere in tenuta invernale con telino copri moretto senza piume

 

"Imbussolate tutti i nomi"...

     
Così avviene che, su dieci uomini da fucilare, due degli estratti sono complementi arrivati il 29. All'ora della fucilazione la scena è feroce. Uno dei due complementi, entrambi di classi anziane, è svenuto. Ma l'altro, bendato, cerca col viso da che parte sia il comandante del reggimento, chiamando a gran voce: "Signor colonnello! signor colonnello! ". Si fa un silenzio di tomba. Il colonnello deve rispondere. "Che c'è figliuolo? ". " Signor colonnello! " grida l'uomo bendato "io sono della classe del '75 (ha oltre 40 anni e la sua famiglia vivrà nel perenne marchio di infamia). Io sono padre di famiglia. Io il giorno 28 non c'ero. In nome di Dio! ".                                                risponde paterno il colonnello >>>>>  

"Figliuolo,io non posso cercare tutti quelli che c'erano e che non c'erano. La nostra giustizia fa quello che può. Se tu sei innocente, Dio ne terrà conto. Confida in Dio". 

     

Alpini del plotone grigio, primo esperimento del griogioverde

  Matematici italiani caduti in guerra Italian mathematicians fallen in WWI

Santi Buoni (1880-1915): teacher at the Hich School of Busseto
Emilio Carosi (1875-1918): teacher at the Technical Institute
Eugenio Elia Levi (1883-1917): one of the best Italian mathematician of the 20th century (Analysis)
Siro Medici (1883-1917), teacher at the Technical Institute of Florence (Differential and Projective Geometry)
Paolo Michel (1879-1916): he studied Financial Mathematics
Luciano Orlando (1877-1915): Elasticity and integral eq.
Eugenio Panzi (? - ?), assistant prof. of Geometry in Cagliari
Alberto Pascal (1894-1918): he studied Mathematics at the University; he published about ten works of History
Ermanno Senigaglia (1889-1916): Methodology
Giuseppe Tafani (1890-1918): teacher at the Technical Institute “Galilei” of Florence
Ruggiero Torelli (1884-1916): he studied Algebraic Geometry
Adolfo Viterbi (1873-1917): he studied Rational Mechanics and Geodesy

   
Italian Mathematics and World War I by P. Nastasi & R. Tazzioli powerpoint

Francesco Severi: the opinion of an “official socialist” to the newspaper l’Adriatico. Giornale del Mattino (March 9th, 1915)
(...) Io, che sono convinto della necessità dell'intervento dell'Italia a fianco della Triplice Intesa, sento di non aver mai provato un odio così implacabile contro la guerra - la quale non crea, ma sfrutta valori morali già esistenti; - né di aver mai desiderato, con altrettanto ardore, profondi rinnovamenti sociali, come da quando assistiamo alla spaventosa ecatombe di vite umane, all'enorme distruzione di ricchezza, all'acutizzazione del disagio economico del proletariato, al dispregio del diritto e delle bellezze dell'arte che la guerra europea trascina con sé.
Giacché è ben vero che le cause di questa guerra sono giustamente capitalistiche, ma non si può disconoscere che, sia per le brutali violazioni del diritto naturale dei popoli compiute dalla Germania, sia per l'esistenza di molte questioni insolute, sia infine per l'interesse di alcuni belligeranti, e soprattutto dell'Inghilterra, affinché vengano rispettate le nazionalità minori ("L'interesse e il dovere spingono l'Inghilterra nella stessa direzione", hanno scritto i professori dell'Università di Oxford), la guerra è andata acquistando, in modo prevalente, il carattere d'un conflitto fra due opposte concezioni dei diritti e delle forze, che debbono prevalere nel mondo moderno.

 
   

http://www.romacivica.net/ 

Paolo Caccia Dominioni: diario di guerra:

Quota 126 del Vippacco.Andarono su in settanta ( 4° sezione lanciafiamme) e poi, chissà per quali strane successioni di passaggi da una dipendenza all’altra vennero dimenticati. Dopo 92 giorni di trincea, in pieno inverno, si trovò chi poteva assumere la responsabilità di conceder loro il riposo: e calarono giù i dieci superstiti, veri scheletri ricoperti di fango, deboli macchine senza volontà…calarono giù, e dopo poco li rispedirono a quota 89 di Monfalcone"
“…La pioggia continua snida dal terreno il puzzo della vecchia orina; e in certi posti si è costretti a strisciare a terra, mettendo le mani sopra ogni genere di roba, magari su qualche decomposto pezzo di soldato.”
"Trincea! Abominevole carnaio di putredine e di feci, che la terra si rifiuta di assorbire, che l'aria infuocato non riesce a dissolvere. Lì tanfo di cadavere lo ingoiamo col caffè, col pane, col brodo".

 

   

Guerra di materiali e di tecnologia
La guerra di posizione che fissò al terreno gli eserciti in lotta e li obbligò ad una dispendiosa, disagevole e paralizzante convivenza con le difese artificiali, annullava di fatto il “guerriero” il combattente con il predominio degli aspetti materiali su quelli “spirituali” umani, della tecnologia sul soldato (“battaglia di materiale”, Materialschlacht). Ma questo non comprese che in minima parte la tecnologia e l’innovazione perché si risolse in un conflitto di quantità, serialità produttiva ripetitiva. In altri settori bellici, come quelli della costruzione di aeromobili o veicoli corazzati, la tecnologia non riuscì ad essere matura e affidabile al punto da rendersi decisiva per la conclusione del conflitto come lo sarà nella II guerra mondiale. Sul Carso e sulla linea dell’Isonzo la guerra si colloca pertanto, nel piano della tecnologia, tra il vecchio (800) e il nuovo ancora da definire. Le potenzialità dell’industria vennero rivolte alla fabbricazione di materiali atti ad alimentare la guerra di posizione, mentre un’attenzione pressoché nulla, data l’asperità o l’impraticabilità del terreno, in gran parte montagnoso, fu dedicata allo sviluppo di strumenti per lo sfondamento delle difese (leggi carro armato e aerei e/o tattiche aeree) e scarsa di mezzi celeri per lo sfruttamento della vittoria. Si videro poi a Caporetto in minima parte gli austriaci sfruttare il successo con moto e sidecar. L’aviazione, che colpisce l’immaginario popolare come espressione stessa del progresso, di certo vide nei due primi anni di guerra un’espansione costante (aerei di produzione Caproni, Ansaldo, Macchi, SIAI) e poté rafforzare dapprima l’impiego nella ricognizione fotografica e nell’osservazione, poi anche nel bombardamento di siti nemici come porti dell’Adriatico, mitragliamento e nella caccia, ma è ancora ben lontana dall’impulso costruttivo e dall’impiego operativo che avrà nell’ultimo anno di guerra con le teorie della guerra aerea totale di Douhet.

LA GUERRA E’ FINITA
Da un racconto di Angela Favero (in foto)

 
Battista, poveretto, aveva tanto male ai piedi. Aiutava mia mamma a tirare il carretto perché mio papà era sempre nascosto in soffitta. Mio papà non aveva fatto il militare perché era stato esonerato, ma dopo i tedeschi portavano via tutti gli uomini. Sono venuti una sera in questa casetta e sapevano, si vede, che c’era là mio papà. Allora mia mamma (eravamo ormai a letto) ci ha fatti alzare e ci ha messi sulla scala, tutta una fila. Si sono commossi, sono stati bravi e non hanno portato via mio papà…. La Cesca ha fatto la spagnola. Mi ricordo che la vedevo sempre seduta al tavolo con la testa giù. A Fregona c’era un dottore, ha curato lei e anche mio papà che era stato tanto male, è quasi morto. Aveva bisogno di zucchero ma allora non c’era né zucchero né niente. Alla Cesca sono venute fuori delle ghiandole sul collo, l’hanno operata male a Vittorio (Veneto) e le è rimasta una cicatrice brutta, per questo poi portava sempre maglie coi colli alti. Giacomo, che aveva due anni più di me, si ricorda che sulla strada lavoravano i prigionieri italiani e i bosniaci li sorvegliavano col fucile, avanti e indietro. I prigionieri dicevano in italiano: "La guerra adesso finisce" e i bosniaci dicevano sempre: "Ja, ja". E li insultavano anche, in italiano, e i bosniaci non capivano e dicevano sempre: "Ja, ja".

Giacomo ricorda bene il giorno della fine della guerra. Dicevano che alla stazione c’era un deposito con aringhe abbandonate. Allora mia mamma, mia zia e i miei fratelli sono partiti per andare a prendere queste aringhe. I tedeschi avevano occupato tutta la strada e andavano su per il Cansiglio per tornare in Germania. Per la strada, sulla curva, era arrivata una granata e c’era una donna morta e un cane. Mia mamma e gli altri sono arrivati vicino alla stazione e mentre erano là sono arrivati due lancieri a cavallo che si vede che andavano verso casa perché era finita la guerra. E tutti quanti, dalla contentezza, gridavano, piangevano, a vedere quegli italiani che erano arrivati. Quando hanno fatto per andare a prendere queste aringhe e c’era da passare su un prato lungo, hanno cominciato a sparare e allora mia mamma e gli altri sono tornati indietro e intanto sono arrivati sette o otto bersaglieri e hanno detto: "Bisogna andare dentro perché i tedeschi sparano dalle colline". Sono andati dentro in una casa. E i bersaglieri hanno messo una bicicletta con la mitraglia e hanno cominciato a sparare verso la collina. Ma i tedeschi venivano sempre avanti. Mia mamma e gli altri erano nascosti sotto al secer. I bersaglieri dopo un po’ hanno detto: "Noi bisogna che andiamo via perché se stiamo qua tiriamo bombe a mano quando vengono dentro e vi facciamo male, ammazziamo anche voi". Appena andati via i bersaglieri, sono arrivati i tedeschi, bosniaci, grandi, con questo fucile, e hanno detto: "Taliani, taliani". Mia mamma ha detto : "Nein nein nein. Nein italiani". Ma loro non hanno creduto e sono andati su per le scale e battevano col fucile sulle porte e hanno guardato dentro ma non li hanno trovati e allora sono venuti giù. Mia mamma e gli altri sono andati fuori e, cinquanta metri avanti, là per terra hanno visto uno di quei bersaglieri morto. Era la sera verso l’imbrunire e la guerra era finita. Poi sono passati per Fregona mio zio Chechi e mio zio Gioachino che avevano fatto la guerra. 

 
A Fregona, qualche settimana dopo la fine della guerra, Giacomo ha perso tre dita della mano sinistra a causa di una bomba. La Cesca aveva trovato una capsula con una polverina e Giacomo gliel’aveva presa e poi aveva levato il tappo per buttare la polvere sul fuoco. Era venuta su una fiammata e gli era scoppiata in mano. Allora due alpini lo hanno portato all’ospedale militare di Vittorio (Veneto), ma l’ufficiale medico lo ha rimandato indietro perché lì curavano solo i militari. Lo hanno portato a San Giacomo, all’ospedale, ma neanche lì volevano riceverlo perché non c’era posto. I due alpini hanno battuto alla porta finché le suore non lo hanno tirato dentro ed è stato lì sette o otto giorni. Quando è tornato a casa le ferite non guarivano mai, le garze erano sempre attaccate. Poi mia mamma lo ha portato all’ambulatorio del battaglione degli alpini e lì finalmente lo hanno medicato senza fargli male e in quindici giorni le ferite si sono cicatrizzate. Mio papà finita la guerra è andato a Quero per vedere com’era, ma la nostra casa era crollata, c’erano solo macerie. Era tutto a terra, ricordo che quando poi siamo tornati andavamo a giocare sulle cataste di macerie. Mio papà a Quero ha incontrato Toni Gatto, eravamo parenti da parte della moglie che veniva da Bassano. La sua casa aveva ancora il cuert e allora ha detto a mio papà se voleva fare assieme, lui aveva la bottega e mio papà faceva il pane. Appena hanno preparato una casa vecchia lì vicino, mio papà ha potuto venire a prendere la famiglia a Fregona e siamo stati in quella casa, dove mia mamma aveva la licenza di osteria.   

   

Paolo Boselli

Promozioni di guerra e ufficiali fai da te

All'inizio del conflitto l'esercito si trovava costretto a fare i conti con una drammatica carenza di quadri. Gli ufficiali di carriera (permanenti) erano appena sufficienti per coprire il servizio (di pace)............insufficienti per ripristino quadri e per i reparti mobilitati. Vigeva allora il sistema del volontariato, applicato in Germania già dall'800 con buoni risultati, ma non ugualmente diffuso in Italia. I volontari che oggi chiameremmo di "complemento" erano giovani di estrazione borghese, provvisti di un titolo di studio e del denaro per "pagarsi"!!!! l'iscrizione ai corsi in cambio della quale prestavano servizio presso i luoghi di residenza con una ferma non oltre i 12 mesi e l'ammissione agli esami per conseguire il brevetto di sottotenente. (Prima quindi erano aspiranti ufficiali anche se il grado non era ufficialmente riconosciuto). Per motivi di tradizione differenti dalla Società Prussiana e indifferenza al grado molti giovani non superavano gli esami, in questo approvati dalla classe permanente che poteva meglio controllare a numero chiuso carriere e promozioni specie in occasione di quelle guerricciole fino ad allora fatte. Con lo scoppio della guerra e la triste realtà dei vuoti si procedette alla promozione al grado superiore di sottufficiali di carriera o in congedo, medici e studenti di medicina (per la loro competenza ma non per il teatro operativo), di allievi dei collegi militari e personalità che comunque non avrebbero potuto farne a meno per non scendere in mezzo alla massa. Per quanto non bastasse partivano dei corsi accelerati a Modena, Parma, Torino, Caserta e presso i corpi per ufficiali di complemento. Furono creati fino alla fine del conflitto 15o.ooo ufficiali d'esercito e di milizia. I corsi della durata di 3 mesi potevano anche essere più corti. Si registrò il caso della scuola di Torino di Artiglieria e Genio il cui corso durò nel 1915 50 !!!! giorni. I diplomati diventavano adesso veramente aspiranti e un mese dopo sottotenenti. Dopo il 1916 i corsi di carriera vennero soppressi e comunque fino a quel momento non superarono la durata di 6 mesi. Tutti gli ufficiali (permanenti) saranno tratti d'ora in poi dalle promozioni di merito. Gli ufficiali della Milizia Territoriale erano aumentati del 1000% a scendere gli aumenti dei vari gradi con le più basse percentuali negli alti gradi (159% ufficiali superiori e 885 generali). Ricordiamo che la funzione di Generale di Brigata veniva spesso svolta da Colonnelli di Brigata. Alla fine del conflitto ci si accorse comunque che era stato fatto un errore madornale nell'allargamento della classe ufficiale portata per 2/3 da non permanenti. Errore dipeso dal fatto che non essendo aumentati i sottufficiali inferiori le mansioni veniva svolte da quelli di complemento a differenza di quanto accadeva in Germania e in Inghilterra e che condizionerà anche il secondo conflitto. La Germania sia nel grande conflitto e in stato di controllo postbellico dopo per mascherare i quadri faceva comandare battaglioni a semplici tenenti ( e Rommel a Caporetto ne era un esempio) e il resto in proporzione. Non vinsero sia nell'uno che nell'altro caso, ma la vittoria costò cara. 

 

     

……. E quinte, venne un ordene che nella citta di Ancona a scoppiato una revolta. (…) Ci fu una vera revolozione perche si anno messo di acordio i soldate con li borchese. Ed ec[c]o come forino i fatte: che [ad] Ancona c[']era uno reggemento di bersegliere, quase tutte del 99 della stessa mia eta e tutte che avevino fatto la querra e avevino fatto 4 anne di soldato e certo che aspetavino il congedo e invece del concedo li stavino imparcanto per antare a fare il soldato in Arbenia. E queste brave e malantrine soldate bersegliere non ci volevino antare, poi che sapevino che la nave era pronto nel porto di Ancona. (…) Alla sera come se ne suno antate alla libra uscita si anno portato fuore tutte i vestite di bersagliere impiu che avevino, perche d[']ogni soldato bersagliere avevano 2 vestite. Quinte, e cosi, antavino dalle borche[se] revolozinarie e ci davino uno vestito per vestirese persagliere e li soldate se vestevino di borche[se] e li borchese deventavino bersagliere. E cosi, quanto revavo l[']orario della retrada, invece di entrare i vero bersagliere, rientravino li farse bersagliere borchese. E cosi, quella sera, la caserma si arreimpito piena di revolozinarie..

Cosi, queste revolozinarie, per il primo anno preso al tenente e il sercente e tutte li soldate che facevino li sentenelle, ci anno tapato la bocca, li anno portato imprecione e anno fatto uscire a tutte li pricioniere. E cosi, la quardia la facevino li borchese che erino i finte bersegliere, mentre i vero bersagliere erino fuore con la sua donna. E cosi, nella caserma tutte li demostrante si anno armato come meglio potevino: perche nella caserma arme ce n[']erino tante, e assaie mitraglie, magare c[']erino tanta monezione della querra e poi che c[']erino tutte li arme che si dovevino portare in Arbania. E queste arme l[']anno portato fuore. (…)
E cosi, Ancona si a trovato tutta ammano dei sociale-comuniste, che il Coverno italiano non era piu padrone della cit[t]a di Ancona. Magare tutte li nave che c[']erino nel porto erino tutte con li bantiere rosse. Il municipio era tutto rosso. Certo che tutte queste finte bersagliere erino tutte echise so[l]data che avevino fatto la querra e sapevino bene sparare. E quinte, soldate e borchese erino tutte uno. E cosi l[']ordene che venne, non a Fernze solo, ma venne per tutte li cit[t]a vicino Ancona, per antarece soldate a compattere in questa citta di Ancona. E quinte, queste soldate che ci dovevino antare li prentevino della prima lettera [dell'ordine alfabetico] e fenevino nella lettra della “emme”. Quinte io, per mia mala sfortuna, mi anno chiamato il primo, perche mi sono fatto mettere il primo!

 

Questo è il diario di Vincenzo Rabito 
Che per incassare la cinquina prima (in ordine alfabetico) si faceva chiamare Arrabito

 

"Fontanazza" autobiografia 1899-1970 

 

Come racconta della rivolta di Ancona

dell11° Bersaglieri e dell’allerta alla sua caserma. Tratto da Archivio Diari Pieve S. Stefano (Ar) http://www.archiviodiari.it/default.htm

   
   

 
     

RENATO SERRA
tenente di fanteria

(Cesena 5/12/1884 – Podgora o Monte Calvario 20 luglio 1915)

Nell'"Esame di coscienza di un letterato" la guerra viene ridotta a una manifestazione istintiva, legata alla cieca passione dell'individuo, in sé contraddittorio «Del resto viviamo, poiché non se ne può fare a meno, e la vita è così".

 

Laureato in lettere all'Università di Bologna, a soli 20 anni, allievo di Carducci con una tesi sui Trionfi di Petrarca, fu studioso di letteratura e critico letterario, direttore della Biblioteca Malatestiana di Cesena e della Biblioteca Piana. Serra, diviso fra impegno etico e pratico, partecipò al conflitto perché avvertiva che di fronte ad esso la letteratura evidenziava tutti i suoi limiti. Egli tuttavia aveva chiara la percezione che la guerra, di per sé, non sarebbe servita a costruire alcunché di positivo.  http://xoomer.virgilio.it/brdeb/opere/serra.htm 

“E’ una vecchia lezione! La guerra è un fatto, come tanti altri in questo mondo; è enorme, ma è quello solo; Accanto agli altri, che sono stati e che saranno; non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla assolutamente, nel mondo. Neanche la letteratura” «La guerra ha rivelato dei soldati, non degli scrittori e alla fine tutto tornerà press'apoco al suo posto». Chi vi parteciperà non godrà di sconti, né sarebbe dignitoso pietire medaglie al merito; «Né il sacrificio né la morte aggiungono nulla a una vita, a un'opera, a un'eredità».
 

Quando comincia una guerra, la prima vittima è la Verità. Quando la guerra finisce, le bugie dei vinti sono smascherate, quelle dei vincitori, diventano Storia.
Arrigo Petacco - La nostra guerra

da http://www.bibliolab.it/materiali_dida/mat_forum/gmat6.htm

 

Giuseppe Daniele, nato a Cherasco, classe 1887, contadino

 
Ma poi è venuta la guerra, io ero di terza categoria come capofamiglia. Hanno perduto '1 Ludin, una montagna, forse era del 1916, allora ci hanno richiamati anche noi di terza e siamo andati a riprendere quella montagna, 'l Ludin. Poi al Crestarossa, altra montagna del Veneto, altra battaglia. Poi l'Ortigara, nel Trentino, ah matot...', non so come sono riuscito a togliermela, a mucchi i morti, hanno cominciato a salire in mattinata da Bassano i tedeschi e ci hanno preso su un fianco, ne hanno fatto una strage. Che cosa pensavamo noi di quella guerra? Non avevamo nessuna voglia di farla, per forza andare. A noi non interessava la guerra, noi eravamo poveri diavoli, a noi non conveniva. Interessava a qualcuno per farsi i soldi, ma non a noi. « Andiamo là a perdere tempo e ancora a farci ammazzare», ecco che cosa ci dicevamo.
E’ sull'Ortigara che ho visto la guerra piú brutta. Là i colpi di mortaio cadevano e facevano tremare la terra. Una notte siamo usciti dalla trincea, ero con la 15° compagnia del battaglione Borgo San Dalmazzo. Abbiamo raggiunto una valletta che era piena di morti. Abbiamo costruito una lunga morena con i morti, abbiamo tolto i morti e ci siamo ammucchiati al loro posto. Poi al mattino, alle sette, arriva l'ordine di partire all'assalto. «Fuori», grida il capitano. «Prima esce lei, poi usciamo noi», gli dicono i soldati. Le mitraglie dei tedeschi sparavano a gran forza raso terra. Esce il capitano, esce la prima ondata di alpini, e muoiono tutti. Io ho tardato un attimo: «Se ho da morire muoio qui», mi sono detto. Poi la nostra artiglieria ha cominciato a bombardarci, e anche i tedeschi hanno preso a bombardarci. I nostri ci bombardavano per farci uscire dalla trincea, per spingerci all'assalto. Neh che guerra falsa! In quel batibói (scompiglio) ne sono morti migliaia e migliaia. Mah! Quante volte mi sono nascosto sotto i morti per ripararmi dalle schegge degli shrapnel!
 

Com'erano i nostri ufficiali? Ce n'erano dei buoni e dei cattivi. I cattivi ogni tanto li trasferivano di reparto perché se no i soldati li ammazzavano. Il soldato stava sempre zitto, ma l'ufficiale cattivo aveva paura di essere ammazzato. Non ci siamo mai ribellati, non eravamo mica capaci di ribellarci. Non avevamo nemmeno piú fame in trincea, tanta era la paura, tante erano le sofferenze. Avevamo sempre tanta sete. Oh, dell'Ortigara mi ricordo sempre.
Poi una volta sono andato avanti con trenta esploratori, c'era stato un combattimento e ne avevo visti a cadere tanti, a cadere giú come le mosche. Siamo finiti in una buca, gli austriaci ci hanno accerchiati, allora abbiamo alzato un fazzoletto, siamo caduti prigionieri. Anche gli altri della mia compagnia sono caduti prigionieri.
1 primi giorni siamo vissuti con un mestolo di brodaglia. Poi in treno ci hanno portati in Ungheria. Rape alla mattina e alla sera, nient'altro. Piú niente pancia avevamo, ne sono morti tanti dei nostri, tutte le mattine erano trenta o cinquanta i nostri morti: tanti morivano senza male, come un pollastrino quando ha la malattia. Facevamo cuocere le bucce delle patate, delle rape. Io vivevo a cicoria. Mi dicevo: «Cosí non posso piú andare avanti».
Un giorno arriva l'ordine: «Chi vuole andare in Galizia? Occorrono sessanta uomini a lavorare in una fattoria di millecinquecento giornate». Allora mi sono trascinato in fila. L'indomani siamo saliti sul treno, un giorno e una notte, siamo arrivati a Leopoli, vicino alla Russia. Lí sono andato un'altra volta a chiedere la carità, l'avevo chiesta da piccolo la carità e l'ho chiesta da alto, andavo a bussare alle porte delle case, mi dicevano: «Ceta, ceta, aspetta, aspetta», mi davano una fetta di pane nero o una patata.
Una volta ho imbattuto in una casa dove c'era un medico, mi ha dato una bella pagnotta di pane bianco, mi ricordo, l'ho baciata quella pagnotta prima di mangiarla. Mi dicevo: «Oh, 'sta volta mi riprendo un po ». L'ho mangiata, non mi ha nemmeno toccato le budella tanto ero vuoto. « Se veniste in due a segare la nostra legna ... » mi ha detto il medico. « Sí sí, io chiamo un mio compagno». Alla sera siamo andati là a segare la legna, un'ora e mezza, e finito il lavoro ci ha dato una buona minestra di orzo. E dopo la minestra una bella e buona polenta. Noi mangiavamo tutto. Allora ci ha fatto preparare ancora una purea di patate. Iste, non riuscivamo piú a tirare il fiato. Cristolu, avremmo mangiato fino a scoppiare.
 

L'indomani siamo andati a lavorare per la prima volta alla fattoria. Là c'erano delle pentole di patate bollite, e noi giú a mangiare. Un mio amico aveva già la pancia gonfia, e io a dirgli: «Stai attento che crepi». E’ rimasto lí con una patata in bocca, morto, si sono strappate le budella, le nostre budella erano fini, sottili, patite.
Nella fattoria piano piano mi sono ripreso con le forze, ero contento, mi sentivo rivivere. Poi è finita la guerra e il padrone della fattoria voleva che restassimo là: «No io non ci sto in questi paesi, a mangiare patate e cavoli». Ah, era brava gente, contadini, bravi sicuro. Mi ricordo sempre, una volta ero seduto lungo una strada e mangiavo una patata, è passata una donna, mi ha guardato, e si è messa a piangere. Eh, era piú duro fare della fame che fare la guerra! Tra i prigionieri i piú smilzi resistevano, ma i piú grossi si sgonfiavano e morivano tutti.
Quando sono tornato a casa ho trovato la solita miseria: ero pulito, a zero. Gli altri si erano fatti i soldi e noi a zero. Mia madre ormai era sola, era vissuta di stenti, aveva tirato avanti con il mio piccolo sussidio, l'avevano truffata col sussidio. La «Combattenti» era d'accordo con il Distretto, avevano rubato cinquanta lire a mia madre, a ogni madre di soldato avevano rubato cinquanta lire, l'ho proprio constatato io quando sono tornato dalla guerra, e le ho pretese quelle cinquanta lire. Cbe fregun... .
Ho subito ripreso a fare il manovale nelle cascine a una lira al giorno. All'estate andavo col ferro a tagliare il grano, le giornate erano lunghe, due lire al giorno, con due lire si comprava giusto una camicia. Lavorando guadagnavo i soldi per comprare la crusca per i maiali, e mantenevo mia madre. Poi sono riuscito a comprare una vacca, poi un'altra, ho affittato un po' di terra, cudíu la lervaia (rispettavo la briciola). Nel 1924 mi sono sposato e ho avuto quattro figli
 

     
Corrado ALVARO

Un campo di battaglia, a chi vi sta , sembra non sia mai servito ad altro, e che sia un regno perpetuo di guerra. A rivederlo poi, perde il senso cui era stato legato fino a che vi si è lottato; una siepe un bosco, un macigno, una ruga di terreno, una valle , i monti lontani disposti sull’orizzonte non significano più nulla e non ricordano nulla. Gli storici vi ricostruiscono la manovra di battaglia secondo le loro idee, vi vedranno una battaglia fantastica, in cui sarà tenuto conto delle masse, delle manovre, dei comandi. Nessuno saprà mai che importanza abbia avuto per un uomo un sasso, un albero, un ciottolo, un ciuffo d’erba; che dimensione abbiano avuto per i soldati una buca, una fila di pietre, la siepe d’un campo. I monti e i colli lontani stanno, chiomati d’alberi o calvi, come generali davanti a un tavolo di manovra, parlano con la voce dei cannoni, una voce da eco, riflessiva e spaziosa; ogni elemento della terra diventa provvidenziale e animato, la natura ubbidisce di colpo a un’altra legge, e l’uomo tra quelle apparenze, vi acquista quel senso di orientamento per cui avverte suoni amici e nemici; gli elementi vivono per conto loro, l’uomo vi si aggira come il primo giorno del mondo creato; sono aboliti secoli di civiltà, anni di vita comune e ragionevole, l’uomo non è più che istinto. Vi si trovano meglio coloro che sono abituati a vivere a contatto con la natura e con la fatica umana più dura……. tratto da : Vent’anni - capitolo V Corrado ALVARO ( 1895-1956)

 

     
Arnaldo Fraccaroli (Villa Bartolomea, 26 aprile 1882 – Milano, 16 giugno 1956) giornalista e scrittore (commedie Ostrega, che sbrego! (1907) e Siamo tutti milanesi (1952) è ricordato per le sue corrispondenze dal fronte (Grande Guerra) per il “Corriere della Sera”. Fu amico di Giacomo Puccini e autore di quattro volumi dedicati al compositore lucchese, tra cui la monografia La vita di Giacomo Puccini pubblicata da Ricordi nel 1925 e Giacomo Puccini si confida e racconta, pubblicata postuma nel 1957. Arnaldo Fraccaroli così annotava le proprie impressioni sulla prima giornata di guerra sul fronte di pertinenza della Fortezza Verona (settore Baldo-Lessinia): «le poche salve d’artiglieria venivano dai monti lessini, dove pure si deve aver fatto un'avanzata, che mi è impossibile di conoscere nei particolari, perché stasera dopo il lungo giro sul Baldo e quest'ultima escursione in Vai d’Adige sino al confine, non ho la possibilità di andare anche lì» Era sposato con Lisetta Camerino, Triestina ed aveva un figlio Aldo (1919) conosciuto come uno dei più grandi fotografi navali di tutti i tempi.  

Da http://www.ardito2000.it/ardito2000_000003.htm  "Ed eccoci giunti alla nuova Domenica. Gli Arditi bersaglieri celebrano le feste così. Nel pomeriggio ha piovuto, la sera è buia. Ammassati sulla nostra prima linea stanno gli arditi di un magnifico reparto fiammeggiante, famoso per queste irruzioni. Alle ore 21,55 comincia improvviso e subitamente tempestoso il tiro delle nostre artiglierie e delle nostre bombarde contro la prima linea per rompere i reticolati. Tre minuti dopo, la prima ondata di arditi esce dalle nostre linee di Casa Bressanin, strisciando curvi fra i reticolati sotto il fuoco. Questa prima ondata è su cinque colonne di pochi uomini: hanno il fazzoletto bianco al braccio per distinguersi nel buio. Due minuti dopo si stacca la seconda ondata. Sono duecentocinquanta arditi fra tutti. Di rincalzo stanno pronti nelle nostre linee reparti di bersaglieri. La prima trincea che si stacca dal Piave Vecchio è appena a nove metri dalla nostra. I due reticolati si confondono. Qui la vicinanza rende impossibile l'uso delle bombarde. Per aprire i varchi entra in funzione un drappello di lanciafiamme. I lunghissimi mordenti guizzi delle vampate si avventano contro la trincea, mentre più a sud gli arditi dell'ala destra si slanciano di volata sui cinquanta metri di terreno che in quel punto separano la nostra linea da quella avversaria. Al quinto minuto gli arditi della prima ondata hanno già scavalcato la prima trincea supplementare, attraverso i reticolati rotti, e si sono impadroniti delle prime poche vedette. La loro azione è così fulminea e così ben concordata con l'artiglieria, che arrivano sulla trincea quando ancora il terreno è sconvolto dalle ultime bombe. Ricevono sulla persona zaffate di terriccio. Subito le artiglierie allungano gradualmente il tiro. Con bombe a mano, con lanciafiamme, con pistole mitragliatrici, gli arditi irrompono nella trincea, urlando il loro grido di guerra e la loro parola e di riconoscimento che stavolta è Roma. Li guida un giovane maggiore toscano. Tutti gli ufficiali sono alla testa dei loro reparti. L'assalto procede fulmineo, regolato minuto per minuto come una gara sportiva. Nove minuti precisi dopo il principio dell'azione anche la seconda linea è conquistata. Si fa il primo centinaio di prigionieri si prendono tre mitragliatrici. Un bottino presto destinato a diventare più consistente".
Gli strappi alla disciplina concessi agli arditi e la loro ostentata animosità e la loro insubordinazione verso il carabiniere, tradizionale simbolo della legge e dell’ordine, non erano soltanto privilegi come il soprassoldo e la maggior copia di licenze, ma elementi costitutivi del mito, espressione della vitalità dell’ardito e della sua volontà di affermarsi e vincere ad ogni costo, anche contro le regole.
 

1 DICEMBRE 1917. - Mi sono recato da mia sorella T. Bottàn a Sala di Sopra. - Dolore... desolazione... Una famiglia campagnola, si, ma abbondante di tutto, anzi ricca, ora spoglia di tutto e ridotta alla miseria ! Le truppe, oltre ai delitti già menzionati, installatesi in casa e ridotta la famiglia in angusto spazio, sono giunte all' eccesso crudele di portarsi via la polenta appena versata e persino il paiolo del latte che bolliva per i bambini. Il terrore e lo sgomento si legge sul volto a quelle povere anime : lo spettro della fame si è già insediato in casa. Questa è la nuda, cruda e dolorosa realtà in quella famiglia già tanto bersagliata. Fonte Fronte del Piave

     
OTTOBRE 1918 . La settimana scorsa sorprese nei campi sette povere donne, alcune anche attempate. Arrestate perché non recavano seco la “legittimazione,, che avevano lasciata in casa poco discosta, e dichiarate in arresto, furono fatte correre incalzate dai cavalli per un buon chilometro. Giunte al cosiddetto luogo del “ Commando” una, non si sa perché, fu fatta entrare con un poderoso schiaffo accompagnato da una spinta.
- “Perchè, disse, mi trattate cosi? non sono una bestia” Tanto bastò per fruttarle lì per lì venticinque vergate. Quindi col titolo di sospette spie, furono ad una ad una fatte entrare in una stanza e spogliate nude alla presenza del capitano e dei soldati. Civiltà austro-teutonica, dirà qualcuno. Non so: Ripeterò ancora una volta che vi hanno molti e molti punti di contatto tra l’ Austria e la Turchia; ma aggiungerò che in Turchia a simili eccessi non si arriva. - Ieri è stato qui il Parroco di Piavon. Sono orribili le cose che ci narra della Divisione ungherese che stanzia in quei luoghi. Non v’è più un capo di bestiame nelle stalle, non più un pollo, non più un suino, non più un pugno di grano turco nei granai o nei campi. Chi non è riuscito a nasconderla in tempo, non ha più un capo di biancheria da cambiarsi. Non si passa nulla: e alle lagnanze della popolazione fu cinicamente risposto: “Siete destinati a morire da fame” Alla domanda di ammazzare un bovino, che dopo molte ricerche è stato trovato, la risposta è stata: “No. i civili non devono mangiare carne” Fonte Fronte del Piave
 

   

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