GLI UFFICIALI
Come grande parte della letteratura relativa alla Prima Guerra Mondiale ha
sottolineato, una delle finalità intrinseche del conflitto è quella di
ricondurre le frange più estremistiche della società entro i limiti del
tessuto sociale già consolidato. Le classi proletarie, dalle cui fila
provengono i soldati, vengono comunque contenute e governate attraverso un
atteggiamento di tipo repressivo, piuttosto che tramite un coinvolgimento
ideologico. Quanto agli ufficiali, che per lo più provengono dalla classe
media, essi vengono addestrati a svolgere un ruolo di mediazione fra i
vertici e le masse dell'esercito. Particolarmente importante, nel quadro
di questa struttura, è il ruolo dell'ufficiale di complemento di grado
inferiore, che funge da cerniera fra il soldato e l'alto graduato. Viene
spesso imputata a lui (anche nelle pagine del diario, cfr. ad es.
25/5/'17-27/8/'17) l'insubordinazione nella truppa come conseguenza di un
atteggiamento poco responsabile nei confronti del proprio ruolo, incapace
di fornire esempi di dignità e senso del dovere. Saranno comunque gli
stessi ufficiali che, dopo la disfatta di Caporetto, riusciranno a
rinsaldare le fila dell'esercito e diffondere di nuovo l'orgoglio e la
forza di combattere, ridefinendo proprio le modalità di relazione fra
truppe e graduati. Incertezze, contraddizioni e divisioni
contraddistinguono anche i comportamenti degli ufficiali di grado
superiore. La guerra non spegne, anzi, rinfocola i risentimenti, le
frustrazioni e le velleità politiche dei massimi dirigenti militari,
spesso in disaccordo sulle decisioni da prendere o, a volte, sui fini
stessi della guerra.
Nelle pagine del diario compaiono non troppo velate
critiche agli alti gradi dell'esercito. In data 21/10/'16 Pullè narra
l'episodio nel quale il generale Ravazza infligge 10 giorni di arresti di
rigore al comandante di battaglione, dopo aver rilevato alcune piccole
manchevolezze nel vestiario degli uomini. E, si badi, l'episodio si svolge
non in Accademia, ma in prima linea! Non appaia comunque ingeneroso fare
qui il nome di un singolo: l'episodio si riporta in quanto emblematico di
un comportamento diffuso fra tutti i comandanti. Più avanti (28/10/'16)
l'autore dei diari mette in evidenza la ferocia dei tribunali militari di
guerra e sottolinea il numero eccessivo dei processi; sono del resto
innumerevoli e ben noti i riscontri storici in proposito. Non solamente la
truppa viene guidata con pugno di ferro, ma vige un vero stato di
soggezione in tutti gli ordini gerarchici, ed anche è in questa feroce
pressione che molti storici individuano una delle cause della "rotta di
Caporetto". In qualità di ufficiale di collegamento (portaordini-collegatore)
fra il Comando Supremo e il fronte, Pullè frequenta sovente il C.S.: in
più occasioni egli riporta nel diario i colloqui avuti con i massimi gradi
dell'esercito. Il valore storico di tali annotazioni è assai alto.
A Udine, nel gennaio '17, più precisamente il giorno 12, egli incontra il
Gen. Barbarich, il quale gli riferisce i temi affrontati nella Conferenza
Alleata; si era discusso in particolare della necessità di un attacco
imminente, "per dimostrare anche militarmente la superiorità degli
Alleati". Il blocco degli Imperi Centrali era considerato vulnerabile solo
dalla parte austriaca; di conseguenza l'offensiva doveva essere condotta
dal Carso, per la via storica. Così fu: ancora una volta, il Pullè si
dimostra buon testimone. Qualche mese dopo verranno annotati gli
atteggiamenti diametralmente opposti dei generali e della truppa di fronte
all'andamento della guerra. Il 26/5/'17, infatti, a Udine, Pullè si trova
al Comando Supremo per conferire sulla battaglia tra Flondar e Medeazza
cui aveva assistito il giorno precedente. Sia Cadorna sia Capello sono di
ottimo umore, certo non presaghi dei fatti che pochi mesi dopo, a
novembre, li porteranno alla rotta di Caporetto e alla fine delle loro
carriere. Raccomandano a Pullè di sollecitare a Roma il Governo ad avere
maggiore fiducia. Cadorna sottolinea che tutto è sotto controllo e che
fino al '18 "ha già tutto provveduto". Come sarà differente la storia!
L'ottimismo e la fiducia di Cadorna e Capello sono in palese contrasto con
il terrore che si legge sui visi dei soldati in partenza per la prima
linea, che Pullè descrive con triste realismo.
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Ancor prima di prendere parte
attivamente alla guerra, F.L. Pullè non celò le sue accese idee
interventiste, come viene testimoniato da questo brano tratto da un
discorso che tenne in Senato il 14 dicembre 1914 "La Nazione domanda
solo a chi la guida chiara e ferma la indicazione della via pel destino,
che essa ha coscienza di dovere, di volere, e di potere in questa crisi
della storia". L'Italia, secondo Pullè, doveva tutelare i propri
interessi vitali inerenti ai suoi confini naturali: Alpi e Mari. Al
Mezzogiorno si doveva guardare con particolare attenzione, perché su di
esso gravitavano gli interessi del nostro paese; così come bisognava
prestare particolare attenzione a quei popoli europei con i quali ci si
sarebbe trovati in contatto nel grande bacino Mediterraneo. La guerra
gettava le poste per i commerci futuri. La conquista del Canale di Suez
rappresentava per l'Italia la minaccia maggiore. Secondo Pullè la nostra
nazione doveva prendere parte a quella espansione perchè grazie ad essa si
aprivano i commerci nei mari dell'India e dell'Estremo Oriente. "le
nostre colonie militari scaglionate con tanti sacrifici lungo le coste
dell'Africa occidentale ed orientale devono considerarsi come tappe verso
un più alto obiettivo commerciale". Il 24 maggio l'Italia entrò nel
conflitto. Allo scoppio della guerra l'opinione pubblica italiana era
divisa in due partiti: quello dei neutralisti, con a capo l'ex presidente
del Consiglio Giolitti; e gli interventisti, con a capo Benito Mussolini,
Filippo Corridoni, Leonida Bissolati, Cesare Battisti, ecc. Favorevoli
alla neutralità erano i socialisti, i cattolici e i giolittiani, mentre
erano per l'intervento i nazionalisti, gli irredentisti, i socialisti
riformisti, i democratici e i repubblicani. In linea con il suo partito, i
socialisti riformisti, Pullè caloroso interventista si apprestò ad
arruolarsi.
All'attività di combattente al fronte, egli alternò quella di
parlamentare. In tale veste, il 16/12/'15 tenne un discorso in Senato
intitolato Il nostro Esercito e la Nazione , in risposta alle
Comunicazioni del Governo. Nel testo Pullè metteva in luce le maggiori
difficoltà della nostra posizione rispetto alle frontiere delle altre
Nazioni e come il balzo in avanti, compiuto dallo slancio delle nostre
truppe, avesse salvato l'Italia dal flagello dell'invasione. "Già dopo le
prove dei nostri attacchi del giugno-luglio, le ridotte austriache non
risuonavano più nella notte, delle risate ironiche degli insulti e delle
parodie delle nostre canzoni accompagnate dal mandolino e dall'organetto".
Quegli italiani, di cui Radetzki millantava di aver veduto sempre le
terga, divennero i valorosi soldati che incalzavano le imperiali truppe
arretranti. F.L. Pullè continuava descrivendo due toccanti episodi di
eroismo, riconosciuti come tali in primis dagli stessi austriaci e
aggiungeva: "Io ho professato sempre una gran fede nel valore dell'uomo
italiano, nella virtù del popolo, ricercato e studiato con amore nella sua
varia e ricca psicologia. E per questo, per intima convinzione,
politicamente mi sono trovato dalla sua parte. Ma io stesso sono rimasto
sorpreso delle qualità nuove e insospettate nel contadino e nell'operaio
improvvisati soldati". Nel suo discorso esaltava la truppa: "il
fantaccino" che aveva la visione della grande linea di battaglia, nei
campi aperti, sotto la luce del cielo e che ora si trovava invece in una
oscura e fangosa trincea, in oscuri camminamenti con la morte che lo
colpiva ogni volta che alzava il capo fuor dalla terra. Tale dedizione,
rimarcava Pullè, era dovuta a tutta la resistenza provata, ai disagi e
alle pene dell'emigrazione supportate grazie alla genialità e alla facoltà
di adattamento dello spirito italiano
La popolazione nel Mezzogiorno sentiva la guerra contro l'Austria con lo
stesso spirito patriottico di quella parte d'Italia, in cui i ricordi
della dominazione austriaca non si erano ancora spenti. "Fu una sorpresa
vedere come un grande sentimento comune avesse eguagliato la mentalità del
soldato napoletano con quella del richiamato della valle del Po. L'unità
morale delle masse italiane si era cementata e si rinnovava in questa
guerra". Pullè sottolineava ancora come, appena assicurati i luoghi dalle
bombe austriache, si fosse organizzata la vita civile. Innanzi tutto le
scuole, che le autorità militari si erano apprestate a lasciare libere,
perchè vi si svolgesse la vita scolastica come in tempo di pace. Spesso i
soldati cucinavano "un rancio supplementare" per fornire agli alunni la
"calda refezione", così come distribuivano indumenti fatti arrivare dai
comitati in quelle "fredde e povere valli". Gli Austriaci ritirandosi
avevano "desertato case e campi portandosi appresso, dai 12 anni in su,
ogni uomo atto a lavorare". I soldati quindi, oltre a salvaguardare la
difesa del nemico tendevano la mano ad ogni bisogno, alleviando ogni
miseria, e si consolavano il dolore dei figli lontani portando sulle
braccia i bambini del luogo e con essi dividevano il pane non sempre
superfluo. L'impegno in questa guerra, definita da Pullè "sacra" , recava
nel militante una "nuova educazione" ed una "trasformazione psicologica"
che doveva invitare alla riflessione: Per Pullè la guerra avrebbe maturato
un nuovo stato di coscienza: la difesa della patria era il primo passo
verso l'uguaglianza sociale. L'Esercito e la Marina non domandavano altro
che essere spalleggiati dalla Nazione: "Ma di lassù il soldato ha un altro
bisogno: quello sul benessere de' suoi; ha bisogno di sapere che
ritornando domani alle sue case non le troverà stremate delle risorse
agricole; che non troverà le officine prive dei mezzi pel lavoro; che la
necessità non gli porrà di nuovo in mano il bastone dell'emigrante, perchè
egli torni ad armare ancora del suo braccio le industrie straniere".
Ribadiva ancora nel suo discorso come siano stati moventi economici,
industriali e commerciali ad ordire la trama della grande guerra, mettendo
in rilievo l'importanza del dominio italiano in Adriatico, non tanto per
fini politico-militari, quanto per quelli economici. Ecco perchè Trieste
con la Dalmazia, la chiave marittima, era altrettanto necessaria come
Trento, la chiave terrestre, alla vita dell'Italia. E concludeva tra
applausi, congratulazioni ed approvazioni, con queste parole: "si
cementerà, in pace, tra classe e classe, quella unità di spiriti, che la
guerra ha cementato tra le masse da regione a regione; e che l'amore, la
più bella delle discipline, ha fuso tra gli ufficiali e soldati, per cui
ogni sacrificio è caro". L'interesse di Pullè, per le conseguenze
gravissime dello scontro bellico sulla massa dei soldati, viene
evidenziato in un altro discorso che terrà in Senato il 19/3/'17 al fine
di promuovere una legge per l'istituzione di un ente "Per gli Orfani e gli
Invalidi della Guerra", successivamente denominato "Opera nazionale". Egli
sosteneva come tale ente non dovesse essere di beneficenza, ma di
solidarietà da parte dello Stato. Doveva cioè tutelare gli orfani
minorenni, che non avevano ancora la capacità giuridica di reclamare i
propri diritti, mentre proponeva inoltre l'istituzione di una "opera
intermediana" per gli invalidi che potevano agire nel proprio interesse.
"Tutto si deve dare di quanto
abbisognerà" .[...] " Perocchè nessuna spesa, di pace o di guerra, appare
più doverosa e sacra di questa per gli orfani e gli invalidi della
guerra;nel pensiero che a questi dopo i morti il più è dovuto di ciò che
l'Italia sarà e potrà nel suo avvenire. [...] Ogni lavoratore della terra,
e sono i più dei nostri combattenti, sogna come meta ideale per sè e pei
figli il possesso della sua porziuncola. Se questo ideale schiettamente
umano viene a sposarsi con quello della patria solidarietà, e, più in alto
ancora - quale già cominciò a lievitare nella sua mente, - all'idea della
lotta per la civiltà, egli si farà più intrepido ai perigli. [...] La
morte lo guata da ogni zolla, didietro ad ogni sasso. In quell'attimo
supremo il cuore anche del più forte trema, nel balenio di una rapida
visione di tutto il passato, e di quel che attenderà la sua e le vite che
dipendon dalla sua. Guai se in tal momento di perplessità e di esitazione
la volontà vacilla; un arresto, e l'azione è compromessa, lo sforzo
perduto. In quel punto è estremamente necessario portare la buona parola;
forte, ma sicura; non di promessa,ma di fatto reale, compiuto: "O bravi,
non esitate! La nazione ha provveduto pei vostri cari e per voi, che col
vostro sacrificio ne avrete salvata la libertà e i suoi tesori di civiltà.
"Non esitate! Fate il vostro dovere, la Patria ha fatto il suo!".
Nella tornata del 20 marzo il ministro dell'interno Orlando nel rispondere
all'onorevole Pullè mise in risalto il vibrante sentimento patriottico del
discorso. Lo ringraziò per le toccanti parole e gli assicurò tutto il suo
consenso. |
La proposta della
medaglia di Bronzo
Il capitano volontario
di guerra Senatore Pullè, Conte Prof. Comm. Francesco Lorenzo, nella notte
dal 1 al 2 corrente mese (novembre 1916) venne, dallo scrivente, lasciato
nel vallone di Boneti perchè fosse di collegamento fra il Comando della
Brigata Padova , agli ordini del quale il Reggimento era stato posto, e il
Comando di questo che si trasferiva nella prima linea per dirigervi
l’azione dei dipendenti battaglioni ordinata per quel giorno. A cagione
del ritardo frapposto dai riparti della Brigata Valtellina a sostituire su
Q. 208 Sud il 51° battaglione bersaglieri, il movimento che, a sua volta,
questo doveva compiere, subì notevole ritardo e, non potendo il Comando di
reggimento più oltre attendere, incaricò il capitano Comm. PulIè di
sollecitarlo. Più volte, pertanto, egli si recò a Q. 208 Sud per conferire
coi comandanti interessati, poscia raggiunse il Comando del reggimento
verso Q. 208 Nord per ragguagliarlo in merito. Più tardi, dopo che il 51°
battaglione ebbe raggiunto la nuova posizione assegnatagli, il capitano
Comm. Pullè spontaneamente raggiunse ancora il Comando del reggimento che,
frattanto si era spostato, recandosi sulla linea più avanzata, onde
dovette percorrere un camminamento già quasi distrutto dall’artiglieria
nemica ed ancora efficacemente battuto da quella e da frequenti raffiche
di mitragliatrici. Rientrava poscia al suo posto di combattimento,
rifacendo la medesima pericolosa strada. Il capitano Comm. Pullè non è più
in giovane età, ne è ancora perfettamente guarito da una ferita riportata
in precedente azione di guerra, e, per quanto ben portante, la sua
attività in quel giorno deve avergli (essergli) costato non poca fatica
che egli sopportò con evidente noncuranza e colla maggiore serenità di
spirito, dando, così, esempio ai giovani di mirabile forza d’animo e di
resistenza fisica. La sua condotta fu, adunque, ben degna della maggiore
lode e pertanto io propongo che gli venga conferita la medaglia di bronzo
al valor militare (per la motivazione allegata) |
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IL VALLONE
Il Vallone è stato per due anni,
l’anticamera della prima linea, il luogo , dove si abbandona l’ultima
speranza, e si dà, rassegnati , un addio alla vita. I costoni di Devetaki,
di Palikisce, di Boneti, con quelle case sbrecciate e dirute, con quegli
atiglieri a fianco dei pezzi, con quei radi alberi, che segnano la strada
di Doberdò e abbelliscono Mikoli, parevano un mondo febbricitante,
fantastico, innaturale. I reggimenti, che venivano dalle lontane
retrovie, o da altri fronti, vi penetravano di mala voglia, chè né osterie
c’erano, né cucine, né donne: e la morte pareva che ti stesse sempre
sospesa sul capo, come una mannaia di ghigliottina. E però vi si sentivano
a disagio, lo maledivano. Ma quando il Vallone, dopo dieci giorni di
ospitalità, dovevano, una bella sera, lasciarlo per la prima linea, che
cosa avrebbero dato per rimanervi! …Nel Vallone, di sera, faceva fresco e,
dovunque ci si volgesse, un sorso d’acqua lo trovavi. Vallone non era
ancora Carso, nel giudizio di qualche fante. Vi cadevano, a coppie, i 305:
a mazzi , gli shrapnells e gli spring-granate. Ma, nel Vallone, in quelle
centinaia di uomini che vi vivevano, la morte sceglieva appena i più
segnati dal destino; e gli altri: potevano cantare, andar dal cantiniere,
far quattro chiacchiere alla buona. …
Tratto da : Il Vallone -Come ho
visto il Friuli ,Roma,1919 Mario PUCCINI ( 1885-1953)
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D.L. 1 gennaio 1917 Medaglia d’Argento
al V. M.
”In giornata di aspro combattimento, quantunque
non ancora guarito di una ferita riportata in un’azione precedente,
disimpegnava le attribuzioni di ufficiale di collegamento con ammirevole
resistenza ed esemplare fermezza d’animo dimostrando sereno sprezzo della
vita e profondo sentimento militare, allorché per compiere il suo mandato
dovette attraversare zone intensamente battute dall’artiglieria e dalle
mitragliatrici avversarie.
[f.to il Duca D’Aosta]. Altopiano
Carsico 2 novembre 1916”
I "nonni" della trincea
Questo non è l'inventario
degli anziani al fronte ma solo il riassunto di quelli da noi incontrati
durante il racconto e che sono appartenuti al corpo. Ci scusiamo se ne
abbiamo dimenticato qualcuno. In linea a fianco dei giovani presta
servizio un vecchio leone, decorato del 1866, Radamisto Stanislao,
sergente di 72 anni (classe1843), ma anche un generale Cossu Giuseppe ( classe 1845)
sottotenente a Custoza nel 1866, e un maggiore Francesco
Lorenzo Pullè (classe 1850 volontario garibaldino nel 1866) con una
carriera politica e d'insegnamento alle spalle. Un altro generale Marcello
Prestinari (classe 1847) muore il 10 giugno 1916 a Gallio di Asiago al
comando di una brigata territoriale.
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Dalle considerazioni del Diario a cura
di Barbara Lina Pullè (tesi di laurea)
LA TRUPPA
Lo sguardo di Francesco Lorenzo Pullè
nei confronti della truppa, e in particolar modo del corpo dei
bersaglieri, è di affetto e stima. Tali sentimenti derivano anche dal
ricordo del fratello più giovane prematuramente scomparso, Clemente
(Mentino), colonnello dei bersaglieri, ricordato spesso, nelle pagine del
diario, con infinito rimpianto. Pullè annota nelle prime righe del diario:
(16/10/'16) "Sembriamo ranocchi! Ancora un giorno come questo e dovremo
prelevare dei salvagente". Ma il distacco ironico è solo apparente,
e subito dopo si leggono considerazioni
che rilevano la tragicità del conflitto, e la durezza della trincea, luogo
di sofferenza comune, assume tutto il suo spessore: "Si nuota... in un
mare di guai. Il fetore è enorme. Molti cadaveri giacciono insepolti chi
sa da quanto tempo!...I vermi sono tutti eguali e non sanno dire se è
carne nostra, o di quei di là". Queste condizioni vengono condivise da
tutti i soldati, siano essi impegnati da una parte o dall'altra del
fronte. Le parole del diario non solo riportano alla mente i testi di
storia, ma fanno sentire sulla nostra pelle quei tragici momenti passati
dai soldati: giovani tolti dalle loro terre, il più delle volte
inconsapevoli della calamità cui vanno incontro,
chiamati a difendere quella Patria, della
quale forse molti non riescono ad individuare il significato. Si ritrovano
in guerra per la promessa, mai mantenuta, di ricevere in cambio del loro
sacrificio un pezzo di terra, quella terra tanto sognata, indispensabile
per la sussistenza delle loro famiglie e per sottrarli alla perenne
umiliazione dell'emigrazione.
Pullè registra prima di ogni battaglia le notti passate senza dormire, in
cui l'agitazione è accompagnata da conati di vomito o da un leggero stato
febbrile, o da una nevrotica attività di sistemazione delle proprie cose.
La paura, seppure mai il termine è menzionato esplicitamente, è qui
fotografata con immensa efficacia, si veda ad esempio il 19/8/'17. Come
già evidenziato in precedenza, in diverse pagine del diario troviamo
sottolineato il pugno di ferro e il feroce autoritarismo usato dalle alte
sfere nei confronti della truppa; e non senza commenti critici. In data
22/10/'16, viene riportato un episodio che fa riflettere: il gen. Ravazza,
in un impeto di nervosismo, da un calcio ad un bersagliere; Pullè
commenta: "Nessuno gli dice nè gli può
dire che quel bersagliere è da 16 mesi in combattimento ed è sceso ieri
dalla trincea! E' evidente la prevenzione di Ravazza contro i Bersaglieri
in massima, questo in ispecie. Fa comparazioni colla Fanteria che loda; e
dichiara che il 15° gli ha fatto poco buona impressione. Gli ufficiali non
si occupano di comprendere le ragioni della stanchezza dei soldati; essi
sono solo strumenti da manovrare, non già uomini. Il soldato è per
antonomasia il contadino che non ha mai fatto politica: "Che ha solo
risposto ad un comando; e ora fa rassegnatamente la guerra come un duro
mestiere, sacrificandosi più degli altri, sopportando più degli altri,
ubbidendo più degli altri". M.
Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, Il Mulino, Bologna, 1989, pag. 326.
Questo malcontento sfocerà in episodi sempre più consistenti di
insubordinazione. In alcuni momenti prevale il desiderio di sdrammatizzare
la situazione, e così subentrano i toni ironici. Nel descrivere il rientro
della fanteria dalla prima linea, sul fronte tra Flondar e Medeazza
(25/5/'17), Pullè commenta il passaggio dei reduci, "poveri soldati
anneriti e laceri" con queste
parole: "Un fantaccino ci marciava dinanzi coi calzoni completamente
spaccati a triangolo: guai se non aveva le mutande!". Il giorno seguente,
al Comando Supremo a Udine, Pullè, nel ruolo di portaordini-collegatore
fra il C.S. e il fronte, conferisce sulla battaglia appena vista. Nelle
truppe serpeggia la paura e lo scontento; il Pullè è consapevole, e
descrivendo un battaglione di bersaglieri della sua divisione in partenza
per la prima linea, osserva: "Il viaggio in camion è un pronostico poco
lieto pel soldato...Sa che lo conduce al fuoco. Si vedono partire con un
certo rimorso. Non son le facce più liete. Si sfogano a gridare: "Viva la
Russia!". Però nessuno rileva l'intenzione. (27/8/'17). Il giorno dopo
egli annota la ribellione di un gruppo di bersaglieri del reggimento
destinati anche questi alla prima linea; la loro protesta riguarda non
tanto l'orrore del Carso, quanto la ritenuta ingiustizia nella selezione.
Il mancato riposo, il non rispetto dei turni di avvicendamento, le facili
fucilazioni, come abbiamo visto, saranno alcuni tra i motivi dello
sbandamento nelle truppe. I soldati stremati da mesi trascorsi nelle
trincee, non hanno più la forza di combattere e finiscono per lasciarsi
travolgere dagli eventi; nelle pagine del diario sopra riportate troviamo
tutto il preludio della disfatta imminente. Molti mesi dopo (12/2/'18)
Pullè avrà a registrare l'incontro avuto con alcuni soldati che
combatterono con lui sia sul Podgora, sia a quota 208 sud, e si stupisce
del loro mancato avanzamento nella carriera: "Sono sempre poveri semplici
soldati dopo 33 mesi" I subalterni sono i primi a subire le ingiustizie
del comando, e non vengono mai tenuti in considerazione; i diari
sottolineano le discriminazioni cui sono sottoposti, il Pullè è purtroppo
cosciente di non poter fare molto per loro. Crede fermamente nella
disciplina e nell'obbedienza della truppa. Descrive i moti di ribellione
nelle fila dell'esercito, ne comprende umanamente le ragioni, ma senza mai
mettere in discussione la gerarchia militare ed il suo ruolo. Come molti
altri intellettuali del periodo, egli comprende il disagio del soldato
subalterno, ma lo giudica dall'alto della sua posizione sociale; non
ritiene di rivestire un ruolo che gli permetta di partecipare ad
un'istanza di cambiamento in comune, e rimane fermo nelle proprie
posizioni di privilegio. L'ottica con cui viene analizzato il fenomeno è
ancora frammentaria, raramente coglie la dinamica interna del conflitto e
i processi sociali e psicologici che ne sono causa. |
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Ponte in Val Dogna
La gita a Chiout
mercoledì, 15 novembre 1916 a Chiout
Ciût: Scrivo a Gino: La
etimologia di ciûts sarebbe clausum; ma cûb secondo la pronuncia locale
suppone un latino volgare clotu.
(Il comune di Dogna
è composto da molte piccole borgate sparse a raggiera intorno al capoluogo
e lungo la valle; molte di queste borgate hanno nome Chiout che significa
"luogo chiuso, recintato, protetto" in friulano infatti il Chiôt è la
stalla dei maiali come per noi emiliani il Chius o cius è sempre luogo chiuso
dove si tengono i maiali).
All'ospedale di Cassegliano sono (vedo) le tre dame: Soderini, Bartolomei,
Carboni Librino. Fissati i particolari della gita alle trincee di Val
Dogna.
sabato, 23 dicembre a Chiusaforte
Incontro alla dama della Croce Rossa
contessa Soderini. Sfida il maltempo ed i pericoli!
domenica, 24 dicembre Vigilia del
Natale a Plan Spadovai (m.1150)
lunedì, 25 dicembre Natale: da
Chût alla Bieliga Partiti alle 8,50 giunti alle 10,30 Carovana a muli:
contessa Soderini, cap. Rava, ten.ti Pullè, Malerba, serg. Zoppis,
operatore Laurenti. Salmeria con doni. La messa finisce in una cappelletta
costruita a spese della Regina Madre, presso la piccola spianata ove
sorgeva la baracca bruciata della mia Compagnia.
martedì, 26 dicembre da Chiout a Chiusaforte (e ritorno) Accompagnata la
contessa Sederini. A cavallo fino a Rio Mas la signora; il Colonnello e io
a piedi; di là in camion.
L’IGNOBILE FERITA
lunedì, 9 aprile 1917
Sveglia in una bella nevicata. I 35
mitraglieri scesi da Cuel Tarod partono per la Bieliga (malga). Hanno
dormito tutti per terra nella stanza della mensa e della cucina; e salvo
qualche piccolo scherzo prima di addormentarsi, non si sono sentiti in
tutta la notte. Escursione per la ricerca di legname.
giovedì, 12 aprile da Mincigos a
Udine e Bologna.
Da Mincigos a Dogna un ora e mezza, prima su Polo, poi col mio solito mulo
e mulattiere, un
dipendente del conte Bragadin di Cimon di Valmarana. Proprio alla fine,
nella stretta presso il ponte sul Dogna, incontriamo un convoglio di
carrette a due muli; passa la prima e la seconda, alla terza i muli
ombrosi scartano, stringendomi fra la roccia e il carro. Ho creduto che il
mulo fosse stritolato; invece nulla a lui, ma a me qualcosa di sporgente,
credo la manovella del freno mi colpisce alla coscia. Magnifico sette ai
calzoni nuovissimi, alle mutande e alla pelle. Fermata al posto di
medicazione, dove mi fasciano e accomodano alla meglio il
sette (ai pantaloni una donna). Vengono a visitare il ferito prima il tenente del Comando di
Brigata, poi il capitano, poi il Generale Maggi. Arrivo a Moggio alle
11e10 dove aspetto l'automobile di Dario.
Si telefona a Chiout per far venire Bologna (attendente) alle 14 a Udine a portarmi i
vecchi calzoni.
lunedì, 28 maggio 1917
Mincigos (Mincigos è un piccolo
borgo situato in bella posizione alle pendici occidentali del Clap Forat).
Il Montasio è coperto di nubi. La sezione è costituita: torpedini e bombe:
capitano Pullé
Il col. Dompé è passato sul mulo alle 6 1/2 e
montato
in teleferica a Cuel Tarond.- A mezzogiorno non discende; cala invece alle
16 1/2 dal sentiero della Bieliga per Costa Secca accompagnato da Cecon
(guida). E' svelto come un pesce.
martedì, 29 maggio
a Mincigos Nebbia e pioggia - Gita a
Chiout
Esame e dichiarazione del medico Mioni sui postumi delle ferite:
La catena montuosa che
costeggiava la sponda destra della Val Dogna segnava gran parte del
confine militare nel primo tratto delle Alpi Giulie. I comandi militari
italiani capirono l’importanza di dover difendere le cime della val Dogna e fecero
costruire al posto delle mulattiere di fondovalle una strada (ago. 1914 –
primavera 1915) che, ultimata, risultò essere un’opera di grande e moderna
ingegneria (ma la sezione non superava i 2 metri) con manufatti, in parte
ancora esistenti (vedi sopra) che comprendevano: gallerie, ricoveri per
truppe, piazzole di sosta ed una teleferica a supporto del rifornimento
truppe che partiva dall’abitato di Chiout mt. 838 e, salendo fino a Cuel
della Baretta mt. 1522, scendeva sulla statale in località Cadramazzo in
comune di Chiusaforte. |
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L'esperienza di Fiume
Nel 1919 F.L. Pullè tenne in Senato un
discorso a favore di Fiume, contro il Ministro dell'Interno Nitti. Pullè
volle essere legionario di Fiume, dove ebbe importanti incarichi dopo
essere stato un artefice della sua annessione, come ricorda un ritaglio di
articolo, purtroppo non datato, de "Il Resto del Carlino della Sera"
intitolato Un interessante episodio fiumano del senatore Pullè di cui
riportiamo ampi stralci: "L'interruzione fatta dal senatore Pullè
all'avv. Trombetti durante la sua conferenza per ricordare come
l'approvazione del trattato di Rapallo al Senato avvenne con ventidue voti
contrari, compreso il suo, ci ha mosso a illustrare un episodio che da
molti è forse ignorato".
Il Senatore Pullè, maggiore del 6° bersaglieri dopo aver accompagnato il 9
novembre 1918, cinque giorni dopo l'armistizio, a Villa Italia i delegati
di Fiume che portavano il messaggio del Governo Provvisorio che proclamava
l'annessione di Fiume all'Italia, li seguì al ritorno a casa. La città era
in balia delle soldatesche austriache, le quali spadroneggiavano e
angariavano la città malgrado le proteste del Governo di Fiume e la
presenza nel porto della nostra squadra colla "Emanuele Filiberto". Il
senatore magg. Pullè, primo e solo ufficiale italiano, affrontò
l'ufficialità austriaca. La tracotanza austro-jugoslava era giunta a tale
punto da bandire l'uso delle bandiere e delle coccarde italiane. Il giorno
11 sulla piazza Dante il magg. Pullè accorse pure in aiuto di due
cittadini fiumani malmenati da una grossa pattuglia di quella soldataglia;
ne nacque un conflitto, in seguito al quale il comandante della nostra
squadra si decise a far sbarcare i marinai e a far rimettere la bandiera
italiana che era stata tolta dalla torre della città. Solo il 17 novembre
le truppe italiane, come è noto, entrarono a Fiume, seguite poi da una
rappresentanza interalleata. Il senatore Pullè ha ieri ricevuto dal
senatore Grossich, Presidente del Comitato Cittadino Fiumano, il seguente
telegramma: "Senatore Pullè – Bologna "Fiume memore suo primo assertore di
redenzione oggi esultante ricoscente saluta amico sincero" Il senatore
Pullè ha così risposto:"Senatore Grossich – Fiume Chi nel memorando 10
novembre 1918 primo raccolse il gran palpito di italianità di Fiume e la
rivide nelle sue ore più angosciose, esulta oggi con essa nel sole
dell'ideale raggiunto". "Il Resto del Carlino della Sera", data
sconosciuta. E a proposito della sua impresa fiumana, mi piace ricordare
un altro episodio. D'intesa con i delegati fiumani e Vittorio Emanuele
Orlando, F.L. Pullè fu incaricato di recarsi a Fiume a constatare lo stato
delle cose durante l'impresa di D'Annunzio. E così a 70 anni, il 24
settembre del 1919, raggiunse clandestinamente la città del Carnaro,
occupata dai legionari del D'Annunzio, nascosto con altri tre alti
ufficiali dei bersaglieri sotto il carbone sul tender della locomotiva. E
racconta Pullè: "al presentarmi, D'Annunzio correndomi incontro esclamò:
"Sei qui anche tu? Bravissimo. Resti?" "Sì, per ora come senatore, per
documentare a Roma la verità, poi, dopo il Senato tornerò con Voi". C.
Giovanardi, Il Prof. Sen. Francesco Lorenzo Pullè conte di San Florian,
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