FRANCESCO LORENZO PULLE'

giudizi e  personaggi

Se non diversamente indicato i brani sono tratti dalla Tesi di laurea della N.D. Contessa Dott.ssa Lina Barbara Pullè.
Le immagini della famiglia ed altri testi in consultazione provengono sempre dalla stessa fonte.
Il testo integrale della tesi con i diari è consultabile al sito
http://pulle.filippoforlani.org/storia/TESI-LINA PULLE-DIARI FRANCESCO LORENZO PULLE.pdf

Il conte Pullè, al centro con Giorgio e Stephania all'inizio della guerra

GIORGIO, professore di geografia all’ Istituto Commerciale di Padova. Capitano nel 35° Fanteria (lo stesso in cui si era arruolato il padre). Nelle trincee sotto il Podgora, mentre per la terza volta si recava a far saltare i reticolati con tubi di gelatina, fu ferito alla fronte da una palla di schrapnel. Per questa sua azione valorosa gli fu concessa la medaglia d’Argento al V.M. Altra medaglia di bronzo e Croce di Guerra si guadagnò in altri combattimenti. Fu per tutta la guerra al fronte nelle trincee di prima linea.
STEPHANIA, sorella di Giorgio, ha ereditato dagli avi la disposizione per la pittura. Ha fatto tutta la guerra come infermiera volontaria sempre negli ospedaletti da campo presso la linea del fuoco. Per questa sua attività è stata decorata di speciale medaglia dalla Croce Rossa ed ebbe la Croce di Guerra per non essersi mossa dal suo posto nonostante un furioso bombardamento nemico colpisse l’ospedaletto da campo dove prestava servizio.

  Lo sguardo con cui Pullè osserva il popolo tradisce un atteggiamento di tipo aristocratico, di superiorità, che difficilmente egli potrebbe reprimere, nonostante il suo sincero interesse nei confronti degli umili ed il desiderio di migliorare le loro condizioni sociali ed economiche. In un'altra occasione, egli descrive con compiacimento l'educazione e la correttezza di alcuni ufficiali che, per lasciare dormire una bambina in treno le cedono il loro posto e viaggiano in piedi. In questi episodi è possibile cogliere il dualismo tipico di una parte della vecchia aristocrazia: da un lato, il voler essere partecipi allo sviluppo e al diffondersi del socialismo riformista; dall'altro, il rimanere saldamente legati ai valori e privilegi di casta. Nell'aspirazione - inconscia, forse - di rimanere comunque egemoni. Tutto ciò richiama alla memoria alcune delle più belle pagine del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in cui viene descritto, attraverso gli occhi del nobile siciliano, un mondo oramai in estinzione, i cui valori vengono calpestati dai ceti borghesi emergenti. Il voler mantenere i propri privilegi e rivendicare l'orgoglio di casta diventa anacronistico e perfettamente inutile in un mondo che sta cambiando così velocemente; ma il Gattopardo sopravviverà comunque, nella certezza che "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". (G. Tomasi di Lampedusa, pag. 42, Il Gattopardo, Feltrinelli Editore, Milano, 1959, pag. 42) Le guerre risorgimentali prima, mondiali poi, affretteranno questo cambiamento: la caduta degli Imperi spazzerà via ogni residua illusione e le divisioni tra le classi sociali andranno ad attenuarsi sempre più. Gli equilibri sociali si stanno trasformando, ma non devono mutare i valori che il vecchio mondo ha trasmesso; solo così si spiega l'attaccamento del Pullè alle proprie tradizioni e il suo ribadire gli insegnamenti di dovere e dignità. A proposito di ciò, si segnala il passo in cui egli rileva, con forte atteggiamento critico, la disorganizzazione dell'esercito nel novembre '17. Egli imputa la responsabilità di tale situazione agli Ufficiali, incapaci di essere di esempio alle truppe: "Ora appare in tutto il suo terrore la disorganizzazione dell'esercito. Questi sbandati sono veramente una turba pezzente. Anche qui la colpa dell'indifferenza e mancanza dei sensi di dignità e del dovere degli ufficiali, che non hanno mai badato alla tenuta del soldato: sempre il berretto schiacciato in tutti i sensi, gli abiti scomposti, sbrandellenti. E dietro il disordine esterno, il disordine morale che ne consegue". Più avanti nel diario, Pullè insisterà su questo concetto, stigmatizzando "Vari ufficiali lazzeroni", rei di essere disordinati e sporchi nella persona. La mancanza di rispetto verso i principi di dignità, compostezza e ordine concorrerà a creare nelle file dell'esercito fenomeni di insubordinazione, in sinergia con l'efferato autoritarismo delle alte sfere. Entrambi questi atteggiamenti concorreranno al risultato della "rotta di Caporetto": "La condizione dell'ufficiale medio e medio inferiore è bifronte: l'istituto militare ripete la condizione del ceto sociale che solitamente lo esprime. Egli è un repressore nei confronti delle truppe che gli sono affidate perchè con l'istruzione, l'addestramento, l'esempio, il regolamento, le renda un duttile organismo collettivo, insieme socialmente rassegnato e militarmente efficiente; ma è poi egli stesso un represso in rapporto all'immensa piramide gerarchica che si serve di lui come mediatore ma lo sovrasta. [...] Si ripresenta, nel mezzo della condizione militare, l'ambivalenza oggettiva dei ceti d'origine degli ufficiali di grado medio e inferiore. Non meraviglia che l'operazione di sutura e di mediazione tra la volontà politica a livello dirigenziale e l'opaca fatica esecutiva a livello di massa, in cui consiste il delicatissimo ruolo degli ufficiali sulla linea del fuoco, sia accompagnata da indifferenza, rotta da inadempienze, e punteggiata a tratti, da grida di insubordinazione: controllabili al principio, già compresenti alla disgregazione di Caporetto, foriere di possibili esiti radicali nel dopoguerra"..M. Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, cit, pagg. 82-83.
 
L'IMPEGNO DELLE DONNE

Le donne nella Grande Guerra rivestono un ruolo importante, in cui dimostrano un coraggio non dissimile da quello degli uomini impiegati in trincea. Dalle pagine del diario di Pullè è possibile ricavare informazioni sulle loro attività, in particolare sul ruolo delle crocerossine. In data 23/12 e successivamente 26/12/'16 troviamo annotate le seguenti frasi: "Incontro Contessa Sederini alla dama della C.R.I. Sfida il maltempo ed i pericoli!". Più avanti "Dal suo volto traspare una benignità infinita. La sua pietà è vera commozione". Le prime crocerossine arrivano sul Carso nel maggio del 1915, subito dopo l'entrata in guerra dell'Italia. Si occupano degli ospedali delle prime linee e delle retrovie cittadine, dove vengono smistati i feriti più gravi. Le loro voci, i loro visi erano i soli segni di umanità in luoghi dove la quotidianità del dolore diventava abitudine e aveva come conseguenza l'insensibilità di chi doveva affrontarlo. Tra le infermiere in divisa candida, velo blu e croce rossa nella fascia bianca intorno al capo, spesso si incontrano signore appartenenti all'alta borghesia o all'aristocrazia. La sua stessa figlia Stephania (Steny) è crocerossina fin dai primi giorni del conflitto. I rischi in cui incorrono non sono minori di quelli degli uomini, soprattutto quando si trovano nelle immediate retrovie del fronte, dove sono esposte all'artiglieria nemica. Sempre disponibili, la loro giornata non ha orari, spesso devono subire volgarità e allusioni da parte della truppa, altamente sensibile alle presenze femminili. Un ruolo importante lo rivestono anche le donne che non sono impegnate direttamente al fronte, ma che vivono nei villaggi del retrofronte, che rifocillano i battaglioni di prima linea quando sono in riposo; oppure coloro che vivono nei paesini lungo il Piave che, dopo la ritirata del '17, si ritrovano in prima linea impegnate a trasmettere informazioni ai nostri comandi, sul numero dei reggimenti nemici, sulle loro postazioni, o se hanno compiuto atti di sabotaggio. Testimonianza di questa disponibilità viene riferita anche da Pullè in data 26/12/'16: "Si interroga una donna che conosce il luogo e dà informazioni precise. E' ammirabile la prudenza e la correttezza della sua informativa" Mesi dopo l'autore dei diari annoterà le parole della Contessina Cesca Compostella che nel salutarlo ribadisce la solidarietà delle donne e il loro appoggio ai combattenti: "I cuori delle nostre donne sono saldi come le montagne" (2/11/'17) "State saldi; e non dubitate di noi!" (3/11/'17). Alle alte sfere dell'esercito non sfugge la funzione positiva dell'appoggio delle donne alla truppa, soprattutto nei momenti di difficoltà. Inoltre Pullè riporta in data (2/2/'18) un discorso del senatore Gasparotto in cui sottolinea: "fare appello alle donne contro gli imboscati". La Iª Guerra Mondiale porta grandi trasformazioni nel ruolo della donna. Molte di esse devono prendere il posto degli uomini sia nelle industrie sia nei campi. Questo significa un nuovo ruolo per loro; in primis diventano più indipendenti. Non a caso sono proprio le donne a guidare le dimostrazioni di malcontento - per la carenza del pane, per la richiesta di sussidi e di licenze - che a Torino, a Milano e altrove costellano i mesi del '16-'17. E' un processo di modernizzazione della figura femminile tradizionale producente lacerazioni e traumi. Pullè capisce e approva il cambiamento del ruolo della donna nella società; ne abbiamo molteplici testimonianze nel suo scritto.

 

IL FRATELLO CLEMENTE LUIGI PULLE'

nato a Modena il 11/6/51, morto a Verona il 25 Gennaio 1908, colonnello Comandante il 10° Bersaglieri

 

A 16 anni si diplomò perito geometra e a 18 era già insegnante di ginnastica nelle Scuole Medie di Modena ove fu con Ermete Vandelli, Giuseppe Bertoni tra i primi cultori dell’educazione fisica della gioventù. Nel 1870 i 3* più Leone Segrè fondano la Società Ginnastica dei Dilettanti e nel 1874 la Società di Ginnastica, ottenuto dagli Amministratori Comunali il permesso di usufruire come palestra di una vecchia chiesa in disuso (la chiesa di Santa Margherita in via Fonteraso), assunse il nome di Società di Ginnastica del Panaro.  A 20 anni Clemente andò nel Battaglione d’istruzione d’Asti dove pure insegnò ginnastica e un anno dopo promosso sergente ritornò alla Scuola militare di Modena donde uscì due anni appresso sottotenente dei Bersaglieri. Promosso tenente entrò nella Scuola di Guerra di Torino. Riuscito negli esami tra i primi ebbe da lì a poco la promozione a capitano e fu chiamato alla Scuola di Tiro di Parma ove insegnò Tattica Militare.  Il generale Pallavicino lo volle suo aiutante maggiore in prima ma (poiché) volgevano allora sorti non favorevoli alle armi italiane in Africa, Clemente Pullè chiese ed ottenne di essere mandato in Eritrea coi Bersaglieri operanti nel teatro di guerra. Si distinse ad Adigrat sulla via di Cassala in parecchie scaramucce e scontri e rimase colà per due anni. Promosso maggiore a scelta fu comandato col 1° Battaglione del 12° Bersaglieri prima in Romagna poi in Ancona dove preoccupanti moti richiedevano un comandante che avesse tatto e coraggiosa serenità. Nel 1904 Clemente, tenente colonnello del 6° bersaglieri, viene promosso colonnello e nominato comandante 87° fanteria. Sulla fine del 1909 gli viene assegnato il comando del 10° Bersaglieri che era stato sempre il suo Reggimento e ch’era di stanza a Verona. Ivi morì repentinamente, rimpianto da tutti i suoi soldati, dai Superiori e dalla cittadinanza.

*Ecco il breve ricordo dei quattro fondatori riportato dall'avv. Perroux durante il discorso che tenne in occasione della celebrazione del primo centenario della Società: Ermete Vandelli, che poi fu ragioniere; che per tutta la sua vita tirò "la carretta" della Segreteria della Società del Panaro, l' umile segretario non meno prezioso di quelli che possono essere i grandi presidenti, l' umile burocrate che costituì il segno tangibile della continuità sotto le varie amministrazioni che si succedettero. Giuseppe Bertoni, studente, direttore tecnico della Società dal 1870 al 1896 quando fu nominato istruttore della Scuola Normale di Ginnastica femminile di Torino, che fu Presidente della Federazione delle Società Ginnastiche italiane. Mentre questi due provenivano dalla piccola borghesia, il terzo era il Conte Clemente Pullé (primo “presidente” se così posiamo chiamare un giovane ventenne) che dorme nella tomba di famiglia a Sestola - conte di Sestola - che combattè con i suoi Bersaglieri ad Adigrat e che chiuse la sua vita come Ufficiale Generale del Regio Esercito. E Leone Segré israelita che per spirito patriottico partecipò a tutte le manifestazioni che nel nome ben noto dell' Italia si tenevano nella nostra città e che concluse la sua vita nel disastro ferroviario di Castel Giubileo al ritorno dai funerali di Umberto I°.

     

L’INCONTRO CON MUSSOLINI

  L'attività di Pullè nel Fascio Parlamentare di difesa Nazionale
Il 13.12.1917, F.L. Pullè fu tra i fondatori, presso l'Accademia di S.Cecilia a Roma, assieme a 25 senatori, del Fascio parlamentare di difesa nazionale. Il fascio parlamentare di difesa nazionale fu un raggruppamento politico promosso da Maffeo Pantaleoni, economista e uomo politico di estrazione radicale poi nazionalista, costituito allo scopo di coordinare l'azione di tutte le forze politiche italiane in appoggio al governo per superare la crisi determinata nel paese dalla sconfitta di Caporetto. Il fascio parlamentare, che alla fine del dicembre '17 contava già più di 124 senatori aderenti, venne sciolto il 22 giugno del 1919. Con la fine della guerra cessò l'unità delle correnti che vi avevano preso parte e il raggruppamento si sciolse. Pullè fu fin dal principio segretario del fascio dei senatori presieduto da Vittorio Scialoja: l'attività del fascio viene raccontata diffusamente da Pullè stesso nel volume:
Memorie del fascio parlamentare di difesa nazionale F.L.Pullè - Celesia di Vigliasco, Bologna, Cappelli Editore, 1932. In questo libro scopriamo finalmente una caduta di tono del nostro eroe, che ci vuole !, se no il discorso rischia di diventare agiografico. Pullè scrive infatti che la sera del 17 dicembre del 1917 :

 

   

In Germania, già prima dell'inizio del conflitto, il Kaiser diceva " .. è tempo che i giornali comincino ad aprire gli occhi del popolo sui grandi interessi nazionali... la popolazione non deve assolutamente essere lasciata nella condizione di domandarsi solo al momento dello scoppio di una guerra quali siano gli interessi in difesa dei quali la Germania si accinge a combattere"

  "Mi presentai a Benito Mussolini, intento al lavoro in una più che modestissima ridotta, in un angolo della tipografia (non al fronte). Vedevo Mussolini per la prima volta. Davanti a quell'austero volto marziale, in quel luogo e in quell'ora, la mente mi corse ad un'altra oscura ridotta tra le trincee del fronte ove il compagno bersagliere meditò la trincea patriottica, ormai tracciata tra le due ali del Parlamento Nazionale, trincea che non sarebbe stato più possibile debellare, e dalla quale doveva partire il balzo liberatore". In un asterisco a piè di pagina riferito all'incontro del 17 dicembre del '17 aggiunge: "è una data memoranda; quasi fatale. Ebbi la sensazione che in Lui prima di ogni altri, ed anzi in Lui solo, dovevasi ravvisare la pronostica GUIDA dell'azione. E per questo spettasse a Lui prima la notizia del movimento iniziato". Ad attenuante del Pullè bisogna dire che questo incontro del 1917 lo racconta nel 1932 quando Mussolini era diventato il Duce. Che il fascio parlamentare non fosse confondibile con esperienze successive, che assunsero lo stesso nome, lo dimostra il programma che nella seduta del 21 novembre 1918 il fascio parlamentare approvò per le riforme politiche e amministrative del dopoguerra (per il dettaglio si rimanda alla tesi)
     
    L’incontro con Filippo Corridoni
(la sua scheda biografica all’anno 1915)
"Un giorno mi incontrò nella trincea un giovane soldato romagnolo (in realtà era di Macerata) che alla manica portava il segno dei buoni servigi prestati. "Professore - mi disse - ella mi ha conosciuto fervente propagandista del partito socialista. Ma oggi io qui non vedo, non sento, che una cosa sola: il dovere di buon soldato della patria". Ora giace la salma di lui, Filippo Corridoni ignorato, a lato di una trincea (Frasche) conquistata sul Calvario!
  La Trincea delle Frasche era un forte trincerone austriaco alle spalle ( si raggiunge a piedi) della sommità della scalinata di Redipuglia. Insieme con la contigua "trincea dei razzi" fu oggetto di ripetuti sanguinosi attacchi delle nostre fanterie, durante la terza e la quarta battaglia dell'Isonzo (ott. nov.'15). Il 23 ottobre 1915 dopo lunga e dura lotta, il 32° regg.to fanteria (Brigata Siena) del quale facevano parte i volontari milanesi riuscì a porvi piede per la prima volta; nell'impeto di quell'assalto cadde Filippo Corridoni (med. d'oro). Per tutta la notte successiva i fanti resistettero nella trincea conquistata alla furia degli attacchi che il nemico scatenava, ma alla fine sotto un bombardamento infernale, non giungendo rinforzi, furono costretti ad abbandonarla. Fu fatto per tutta la giornata un armistizio locale, per sgomberare i morti e feriti dalle due parti, ma il corpo di Corridoni non venne rintracciato.
Anche il 1° Rg.to Bersaglieri bis (15°), il giorno 28 dello stesso mese, riusciva ad occupare di slancio la contesa trincea e ad oltrepassarlo, ma più tardi, investito da tutti i lati da fuoco violentissimo era costretto a ripiegare. L'onore della conquista definitiva spettò alla Brigata Sassari (151° e 152° fanteria per gli austriaci i Rote Teufel-i diavoli rossi, dal colore rosso delle mostrine). I valorosi fanti Sassari, portatisi il 12 novembre, fin sotto le linee avversarie, ed occupate due piccole doline ad esse antistanti, mediante il volontario sacrificio di audaci pattuglie, riuscirono ad aprire dei varchi nei reticolati. “Avanzano altri plotoni del 151° e del 152°, con magnifico slancio guidato con mirabile esempio dagli ufficiali. Sotto un intensissimo fuoco d’artiglieria e di mitragliatrici, dopo ripetuti assalti riescono ad impadronirsi della posizione “Trincea delle Frasche”... “Gli austriaci erano stati costretti a cedere. Il giorno dopo cadeva anche la Trincea dei Razzi.” Nelle vicinanze della Trincea delle frasche, oltre alla colonna Corridoni troviamo il Cippo Brigata Sassari. Poco distante ancora lungo il tracciato della “Tortuosa” la “Dolina dei Bersaglieri collegata alle Frasche da una galleria.   Pullè a cavallo in alto a sx
     

 

 L’azione in cui caddero Corridoni ed altri volontari milanesi viene narrata da Dino Roberto, volontario milanese e fraterno amico di Corridoni:“Corridoni durante l’espugnazione della trincea era rimasto miracolosamente illeso. S’era visto cadere tra le braccia l’amico Robolini. Nella trincea conquistata non c’erano ufficiali. Egli assunse la responsabilità del comando,tra il frastuono della battaglia e le grida disperate dei feriti. Due violenti ritorni offensivi del nemico furono ributtati, mentre incombeva la minaccia di aggiramento alle ali. Corridoni allora con pochi uomini si precipitò alla difesa della destra. La situazione però si faceva critica. Gamberoni fu mandato in cerca di rinforzi. Mentre questi arrivavano, Corridoni, levatosi in piedi per additare loro la strada agitando il berretto e gridando: “Vittoria,vittoria, viva l’Italia” cadde colpito alla fronte da una palla nemica. Fu vano ogni soccorso”. Il maggiore De Martino, comandante della Brigata del 32°, narra successivamente:Durante l’assalto trovai Corridoni sulla trincea nemica, con una mano stringeva il berretto che aveva agitato come un vessillo. (…) Avvenne così, spontaneamente, una breve sospensione del combattimento. Col tenente Scartasini frugammo dappertutto per trovare il cadavere di Pippo Corridoni, dove io l’avevo visto poche ore prima non c’era più ".
(A. Scrimali, F. Scrimali, Il Carso della Grande Guerra. Le trincee raccontano, Edizioni Lint, Trieste1992, pp. 322, 335-339, rid.)

     

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