|
LA GRANDE OFFENSIVA L'ATTACCO DAL COMELICO E DAL CADORE ALLA FERROVIA DELLA VAL PUSTERIA DA PARTE DELLA IV ARMATA 1a parte |
|
La sera del 23 maggio (1915) così scrive sul suo diario il sottotenente Austriaco Anton von Morl: “La distanza dal Passo Montecroce Comelico a San Candido è di miseri 12 km (in valle aperta, su terreno facile, ne ho fatti 6 i più facili). Se gli italiani sanno fare la guerra, marciano ancora (già) stanotte sullo stradone bianco, senza che noi possiamo impedirlo, e domani mattina sono già sulla ferrovia della Pusteria” Scrive Oswald Ebner sull'arrivo degli italiani nel settore di Sesto Pusteria: "E il nemico venne, come previsto, lungo l'ampia e bella rotabile che sale con lieve pendenza da Padola verso il passo di Monte Croce; si mosse cauto e indeciso, quasi temesse di doversi misurare con forze decisamente superiori, e si fece precedere da pattuglie di ricognizione che si scontrarono con gli avamposti austriaci. Ma anche questi elementi esploranti superavano solo di poco il vecchio confine di stato e si ritiravano non appena avvertivano qualche resistenza." |
Gianni Oliva Storia degli Alpini pag 98/99: …. Deciso nella primavera del 1915 con la firma del patto di Londra, l’intervento italiano si sviluppò all’ombra della convinzione che il conflitto avrebbe avuto termine entro breve tempo: anzi, la congiuntura bellica della primavera ‘15, caratterizzata da un sostanziale equilibrio delle forze, aveva alimentato l’illusione che « il nostro intervento avrebbe determinato l’entrata in guerra di altri paesi a fianco dell’Intesa, promuovendo così un decisivo spostamento delle forze in gioco ». Una rapida guerra offensiva avrebbe permesso di unire all’Italia le terre irredente di Trento e Trieste, completando l’opera iniziata col Risorgimento (erano queste le motivazioni degli interventisti democratici), ma avrebbe anche aperto la strada ad un’espansione nei Balcani e nel Mediterraneo orientale (secondo i voti degli interventisti nazionalisti). Conformemente a questa impostazione della guerra, il piano di operazioni predisposto dal generale Cadorna (e rimasto sostanzialmente invariato dal 1915 al 1917) prevedeva la concentrazione degli sforzi sul fronte dell’Isonzo, il cui cedimento !!! avrebbe aperto la strada verso Lubiana e Vienna. ..segue
Più in dettaglio, il piano comprendeva anche l’irruzione sulla linea ferroviaria Fortezza-Brunico-Lienz-Spittal-Villach-Lubiana, partendo dall'Ala sinistra della 4a armata (IX Cda) che «avrebbe dovuto portarsi col grosso a Dobbiaco (Toblach) e a San Candido (Innichen) (I Cda) e con un’aliquota a Brunico proseguendo lungo la Rienza fino a Franzenfeste (Fortezza), per recidere alla base il saliente trentino-alto atesino (e le sue ferrovie) da sempre minaccia alle nostre retrovie venete. Il grosso sarebbe poi sceso a Est lungo la Drava (e il Gail, suo affluente), verso Villach per l'azione generale verso Lubiana... ». Era un piano magnifico se non ci fossero state di mezzo le alpi
vedi link cartografia.........http://digilander.libero.it/trombealvento/guerra2/varie/comelico.htm
http://digilander.libero.it/trombealvento/guerra2/varie/cortina.htm
http://digilander.libero.it/trombealvento/guerra2/varie/cortina1.htm
http://digilander.libero.it/trombealvento/guerra2/varie/europaazioni.htm
segue.....La 2a armata avrebbe intanto occupato Caporetto, il Kolovrat e il Korada, mentre la 3a armata avrebbe raggiunto
l’Isonzo fra Gradisca e Monfalcone. « Insomma, la marcia su Lubiana avrebbe
dovuto essere preceduta e assicurata da un’ampia manovra di tipo napoleonico
sulla sinistra, che garantisse il possesso di Tarvisio e di Villach; e la 4a
armata, già nel periodo della radunata, doveva dare inizio alla grande
operazione, superando gli antistanti sbarramenti austriaci di Alto
Cordevole-Valparola, Landro-Platzwiese-Sofl Pauses, e di Sexten (Sesto Pusteria), e dando alla
sua azione spiccato carattere di vigore, mentre alla zona Carnia erano
prescritte, per il periodo della radunata, le semplici operazioni preliminari
d’investimento delle fortificazioni di Malborghetto da un lato, di Raibl e del
Predil dall’altro »…. Il piano di Cadorna non diede però i risultati sperati:
gli austriaci si ritirarono quasi ovunque sul confine naturale (militare
difendibile), sacrificando lembi di territorio in cambio di posizioni ottimali, mentre l’avanzata italiana si limitò alla conquista
... « ... soltanto là dove il confine militare austriaco si allontanava
maggiormente da quello politico ». La guerra si ridusse quindi «a una serie di
successive “spallate” sull’Isonzo, dal giugno 1915 all’agosto 1917, che
portarono a guadagni territoriali modesti e poco significativi (se si esclude la
conquista di Gorizia dell’agosto 1916) e a un logorio crescente dei due eserciti
contrapposti ». ..
Nelle sue "Memorie" Cadorna ha addossato al comandante della 4a armata,
generale Nava, la responsabilità di non aver saputo accelerare i tempi
dell’avanzata nell’estate del ‘15 e di aver quindi condizionato negativamente i
successivi sviluppi delle operazioni (il generale Nava fu infatti esonerato dal
comando nel settembre ‘15, dopo l’ordine di Cadorna all’armata di assumere
temporaneamente un atteggiamento difensivo). Al di là delle innegabili
responsabilità individuali di singoli comandanti, il piano di Cadorna si
scontrava però con fattori oggettivi, di carattere sia interno che
internazionale, parte dei quali avrebbe potuto essere meglio valutata e
preventivata perché già messa in evidenza da dieci mesi di combattimenti sugli
altri fronti europei. La strategia offensiva di Cadorna urtava innanzitutto
contro una difficoltà di ordine tecnico: l’impossibilità di una guerra di
movimento. « Il livello raggiunto nel 1914-18 dallo sviluppo industriale metteva
a disposizione degli eserciti mezzi distruttivi di elevata potenza,
tecnologicamente abbastanza semplici per poter essere riprodotti su larga scala
da tutti i belligeranti senza differenze qualitative rilevanti», mentre,
all’opposto, « l’insufficiente progresso della motorizzazione permetteva
all’artiglieria (ancora dipendente dal traino animale oppure affidata a trattori
di scarse prestazioni) di esercitare la sua terribile azione distruttiva solo su
aree molto ridotte, impedendo qualsiasi avanzata in profondità: carri armati e
aerei, i soli mezzi in rapida evoluzione tecnologica, non avevano ancora
raggiunto lo sviluppo quantitativo e qualitativo necessario per pesare in misura
decisiva sulle sorti delle grandi battaglie ». … Gianni Oliva Storia degli
Alpini pag 98/99 ...
era lo stallo, la trincea
quella cosa che sembrava proibito pronunciare o scrivere nei rapporti
e che eufemisticamente
veniva paragonata a un cordone srotolato
all'infinito. Nava
in un fonogramma del 13/6/1915
"Parmi che involontariamente si vada far capo
lungo la frontiera da Vanscuro a Peralba a quella guerra cordone che abbiamo
tutti in orrore"
F
GEN. LUIGI NAVA
IV ARMATA ITALIANA
Il laconico ordine del comando superiore dell'esercito al Gen. Dankl diceva: "La regione deve essere difesa in qualsiasi modo con le forze disponibili." Rispettando questo ordine vennero sgomberate tutte le sporgenze del confine con l'Italia (450 km), , soprattutto quelle degli spartiacque tra l'Adige e il Piave, ma anche la Valsugana orientale e la valle dell'Adige a sud di Rovereto, al fine di ritirare il fronte sulla linea fortificata intorno a Trento e sulle cime fassane (Val di Fassa), determinandone l’accorciamento di circa 100 km. In quest'ottica Cortina venne abbandonata agli italiani senza colpo ferire. In quel momento il settore TrentinoTirolese era completamento sguarnito per sostenere l'attacco condotto contro la Russia. Non erano rimasti che i territoriali Standschutzen o milizia territoriale o III esercito e i Landesschützen (i tre reggimenti da montagna della Landwehr (esercito nazionale) erano reclutati in Tirolo e nel Voralberg). Il nome di Kuk. Landesschützen venne modificato il 16 gennaio 1917 con decreto imperiale di Carlo I in K.k. Kaisernschützen in riconoscimento del loro valore. Le fortezze (Haideck, Mitterberg, Landro e Platzwiese) e il suo personale era già stato smobilitato a favore di postazioni mobili, ma questo per il motivo che sui forti fissi non si poteva più fare affidamento. La costruzione risaliva a circa 30 anni prima e non resistevano alle nuove artiglierie pesanti d'assedio. I forti poi avevano un difetto non si spostavano, anche lentamente, come un’artiglieria o un mortaio pesante. Chi avessimo di fronte era un mistero. Per averne un quadro approssimativo dobbiamo mediare purtroppo da varie fonti partendo da quella di Heinz von Lichem, La guerra in montagna 1915-18 - Vol. 1°, Ed. Athesia, Bz 1994, pag. 4 1-42. "Nei primi giorni del conflitto il Tirolo potè essere tenuto unicamente per merito dei 38.000 Tiroler Standschutzen, poiché i tre reggimenti di Landesschutzen e quelli dei Kaiserjager si trovavano in Russia e Galizia..”. Difendevano quindi il Trentino-Tirolo (prima dell'arrivo del Corpo alpino bavarese (Deutsche Alpenkorps) costituito da 13 btg. con un gran numero di pezzi d’artiglieria da montagna (48) e di mitragliatrici) secondo uno schema a settori ... |
I FORTI AUSTRIACI Il Forte di Prato Piazza
(in tedesco Straßensperre Plätzwiese
sotto)
sorge sull'omonima cima, in Val di Landro. Costruito tra il 1888 e il 1895
sorge ad una quota di 2040 metri s.l.m. e in coppia con quello basso al
Lago difendono l’accesso a Dobbiamo. |
||
|
|
|
|
(Heinz von
Lichem-La Guerra in Montagna) Fra Valparola e il passo Montecroce Comelico
tutti gli sforzi degli italiani miravano nel 1915 ad un unico importante obiettivo:
raggiungere a nord la Vai Pusteria, l’arteria principale dei rifornimenti
al fronte delle Dolomiti, la fondamentale via di comunicazione fra i’ovest
(Vai d’Adige, Vai d’Isarco) e l’est (Tirolo Orientale, valle della Drava).
Tutti i rinforzi, le munizioni, i materiali giungevano al fronte ampezzano
e di Sesto dalla ferrovia (e dalle ferrovie secondarie feldbahn nelle
valli Fiemme, Gardena e Valsugana). Da oltralpe, attraverso il Brennero e
la Pusteria passavano molti trasporti destinati alla Carinzia Via
Villach
ed all’Isonzo (Nord Tarvisio, Predil, Plezzo); i treni continuavano a
transitare giorno e notte. Per esempio gran parte delle truppe e del materiale
destinati alla 12° (Caporetto) battaglia dell’Isonzo, insieme all’Alpenkorps,
passarono lungo la Pusteria, per ingannare l’avversario e non fargli
capire che si preparava una operazione decisiva; gli spostamenti per una
offensiva di tali dimensioni durarono mesi. Quindi se gli italiani fossero
arrivati in Pusteria, avrebbero reciso una via di comunicazione
fondamentale per l’Austria; che poi dalla Pusteria sarebbero dilagati
nelle altre valli del Tirolo, s’intende da sé. Il fronte ampezzano e di
Sesto va considerato sotto questo aspetto di enorme rilievo; i punti caldi
del conflitto, descritti in seguito, corrispondono per lo più alle zone in
cui sarebbero state possibili avanzate verso nord. P. es. gli italiani
tentarono di passare da Valparola per scendere in Val Badia; a Corvara e
Calfosch-Colfosco si trovavano centri organizzativi del fronte tirolese.
Si combatté aspramente anche a Sonpòusses, a nord di Cortina, per aprire
un varco verso Al Plan de Maréo-San Vigilio di Marebbe. Gli italiani si
accanirono contro il Monte Piana, l’ultimo bastione che bloccava
l’avanzata su Dobbiaco; per la sua importanza strategica e militare,
all’incrocio delle vie che da Cortina e da Misurina portano a nord,
divenne luogo di epiche lotte cruente. Sulla strada da Cortina a Dobbiaco
un piccolo cartello, poco oltre Ospedà-Ospitale, indica Rufiedo-Rufreddo;
in guerra era una delle zone più calde, ove gli italiani continuavano ad
insistere per forzare il passaggio alla Pusteria; ma lo sbarramento
austriaco era rinforzato dalle posizioni sovrastanti, da quelle dei Zuoghe
sul versante nord, da quelle dei Forame e Costabella sul versante sud, e
gli italiani non passarono; le mete da loro sognate e ambite, Landro e
Dobbiaco, non furono raggiunte. I difensori tirolesi tutti i soldati della
vecchia Austria dislocati fra il Sas de Stria, presso il passo Valparola,
e le Cime Frugnoni, oltre il passo Montecroce Comelico, sapevano che dal l
loro ferrea resistenza dipendeva l’intero fronte a difesa della Val
Pusteria e del Tirolo, e non vacillarono. A differenza di altri gruppi,
come Le Tofane o il Cristallo, il massiccio delle Dolomiti di Sesto si
allunga molto di più in direzione nord-sud; in guerra ciò fu un grosso
inconveniente per gli attaccanti ed un notevole vantaggio per i tirolesi.
Dal Monte Piana alla Cima Vanscuro, inizio delle Alpi Carniche, il
catenaccio dei difensori si snodava in continua salita e discesa
attraverso le valli e le vette, i passi e le pareti, le forcelle e le
torri delle Dolomiti di Sesto. Monte Piana, Tre Cime di Lavaredo, Monte
Paterno, Torre di Toblin, Cima Undici, Croda Rossa di Sesto, passo
Montecroce Comelico sono perle nella collana delle montagne e località
famose per la storia del Tirolo durante la guerra 1915—1917. A metà maggio
del 1915 gli italiani ammassarono molte truppe e ingenti materiali ad
Auronzo e Santo Stefano di Cadore (Comélico); sapevano che i soldati
tirolesi ed austroungarici in servizio effettivo si trovavano in Russia o
nei Balcani, e perciò speravano di avere facilmente partita vinta su un
fronte sguarnito (e l’avrebbero avuta se avessero attaccato subito in
forze, percorrendo in discesa i miseri 12 km dal passo Montecroce Comélico
a San Candido-Innichen, senza curarsi di conquistare prima le vette
dolomitiche ed i forti disarmati. Approfittando della provvidenziale inazione italiana dei primi giorni, accorsero sul confine le ultime riserve del Tirolo: i drappelli della gendarmeria, gli studenti dell’università di Innsbruck e soprattutto gli Standschùtzen locali, cioè gli anziani ed i giovanissimi; talvolta nonni, che avevano combattuto sotto il vecchio Radetzky, si trovarono insieme ai loro nipoti. Che il Tirolo fosse capace di mobilitare all’ultimo momento 38.000 volontari o quasi di Standschùtzen, nessuno lo riteneva possibile. Le avanguardie italiane pensavano di trovare ben poca resistenza; invece furono accolte a distanza ravvicinata da un nutrito e micidiale fuoco di fucileria; quasi ogni colpo andava a segno. Ovviamente 38.000 Standschutzen non erano sufficienti per tutto il fronte tirolese; ma bastarono a ingannare gli italiani, perché si erano appostati nei passaggi obbligati e in punti dominanti. Cambiavano continuamente posizione, passando da una forcella all’altra e facendosi vedere su ogni varco; la tattica astuta fu adottata da piccoli gruppi dallo Stelvio alle Giudicarie, dall’Adige alle Dolomiti, il 24 maggio 1915. Avvenne quello che gli austriaci chiamarono «un miracolo militare»; i comandi italiani credettero di trovarsi di fronte a difensori numerosi ed agguerriti; tentennarono, preferirono aspettare; fu un errore madornale ed irreparabile. Se gli italiani fossero avanzati con decisione, avrebbero sopraffatto facilmente gli Standschutzen, armati soltanto di vecchi fucili ed a corto di uomini e di munizioni; invece essi lasciarono passare i primi giorni favorevoli senza nulla di fatto, dando agli avversari il tempo di organizzarsi, di prepararsi, di approntare trincee ecc. Come detto, si può senz’altro considerare un miracolo il fatto che il fronte dolomitico abbia adempiuto alla sua funzione di barriera fin dall’inizio della guerra, poiché i Landesschùtzen, i Kaiserjaeger, il Landsturm (intanto erano arrivati i Germanici) e le unità tecniche del genio arrivarono dalla Russia e dai Balcani appena nel settembre del 1915, facendo diventare la linea tirolese tanto forte da resistere a qualsiasi attacco. Per quattro mesi il confine era stato difeso da una manciata di uomini eroici che, prodigandosi con dedizione assoluta, seppero preservare la loro patria dalla umiliazione di una occupazione nemica. A tal riguardo bisogna pure sottolineare l’importanza decisiva che ebbero i forti austriaci, situati in punti strategici, in tutti i varchi favorevoli a potenziali avanzate. Dallo Stelvio all’Adige ed al confine con la Carinzia i forti, sebbene in parte antiquati, adempirono perfettamente alla loro funzione, incutendo timore agli attaccanti (che li sopravvalutarono); le esigue guarnigioni riuscirono a sventare ogni offensiva. I fondovalle ed i passi erano dunque bloccati dai forti; sui monti vigilavano gli Standschiitzen, pronti a tutto per salvaguardare il loro confine e le loro case. Grazie all’arrivo dei reggimenti tirolesi dall’est nell’autunno del 1915, il fronte si rinsaldò notevolmente e quindi in molte zone i forti perdettero valore; alcuni furono disarmati ed abbandonati, trasferendo i cannoni in nuove postazioni ben mimetizzate (lo era già stato fatto prima). Ma tutta una serie di casematte, specialmente quelle di Folgaria-Lavarone, conservarono la loro importanza fino all’ultimo giorno di guerra; le prestazioni dei pezzi e delle guarnigioni furono decisive soprattutto nei primi mesi del conflitto. |
|||
.... all'inizio della guerra
l'Austria aveva sul fronte Trentino tirolese (350 km
di competenza I e IV armata italiana) non più di 25 battaglioni corrispondenti secondo
il nostro organico a 2 divisioni !!! (2 DIVISIONI CONTRO 2 ARMATE). Nel gennaio 1915 il fronte sud-ovest
(Italiano) venne diviso dal Comando supremo imperiale in 3 zone : Tirolo, Carinzia e Carniola-Litorale. Il Tirolo a sua volta venne ripartito in 5 settori o "rayon" : - I Rayon : Ortles (dal giogo dello Stelvio al Cevedale) - II Rayon : Tonale (da Cevedale a Cima Presena) - III Rayon : Tirolo meridionale (da Cima Presena al monte Croce) - IV Rayon : Fiemme-Fassa (dal monte Croce al monte Padon) - V Rayon : Cadore (dal monte Padon alla Croda Nera). TIROLO Southwestern Front, Generaloberst Erzherzog Eugen Chief of Staff (CSM) - Feldmlt. Alfred Krauss Tirol Defense Command - Gen. d. Kav. Viktor Dankl von Krasnik - Rayon IV (Fleimstal- val Fiemme) 90. inf. div. (Poi Div.Marmolada) - Feldmlt. Edl. v. Scholz - 55. mtn. brig. - Oberst Frh. v. Concini (battaglioni standschutzen Auer, Rankweil e Feldkirch (circa 1300 uomini), compagnie fucilieri di Cavalese, Predazzo, Primiero e Moena (530 uomini), 166° Btg. Landsturm e 1/2 Btg 39° Landsturm) - 179. inf. brig. Landstürm - Oberst Schiessler (battaglioni Standschutzen Kastelruth, Groden e Dornbirn (1350 uomini). dal X Btg. del 2° Reggimento Tiroler Kaiserjager (TJR), dal 38° Btg.Landsturm e dal restante 1/2 Btg 39° Landsturm) AreeSperren Paneveggio und Moena - Rayon V (Pustertal- val Pusteria) Komb. div. Pustertal - Feldmlt. Ludwig Goiginger - 51. mtn. brig. - Oberst Edl. v. Sparber - 56. mtn. brig. - Genmj. Bankowski Aree Sperren Corte, Ruaz, Tre Sassi, Plätzwiese, Landro, Mitterberg, Heideck In conseguenza dell'ampia estensione territoriale del IV Rayon e della scarsa efficienza bellica delle riserve, dei Landsturm e degli Standschutzen, giunse in soccorso il 28 maggio il Corpo alpino bavarese (Deutsche Alpenkorp) costituito da 13 battaglioni (tra i quali uno di sciatori) con un gran numero di pezzi d’artiglieria da montagna (48) e di mitragliatrici (bastava e avanzava per dichiarare guerra a un alleato a cui la dichiarammo solo un anno dopo !!! : perchè ?? e le prove non mancavano, ci furono prigionieri quell'estate). Nel novembre del 1914 il col. Pengov costituì, con reparti di guardia alle ferrovie, il 165° battaglione Landstürm, che nel gennaio del 1915 venne assegnato al Rayon V per sgombrare la neve dai valichi più importanti, minare le strade, allestire magazzini e depositi munizioni nonché ospedali da campo. Erano quindi in totale alcuni battaglioni di marcia; i battaglioni di Landstürm dal 160 al 169 7 battaglioni di riserva degi IR (Infanterie Regiment) 29° (serbo) e 37° (ungherese-romeno) Gendarmeria e guardia di finanza, per un totale di 26 battaglioni di fanteria, 46 reparti di Standschützen, 12 distaccamenti di Landstürm, 37 compagnie di artiglieri da Fortezza. Una forza effettiva di 35.000 fucili, 146 pezzi di artiglieria mobile - Fonte Kaiserjaeger: Dal maggio 1915 i battaglioni da marcia dei reggimenti tirolesi (X° dei Kaiserjäger e IX° dei Landesschützen) non furono più mandati in Galizia, ma furono assegnati alla difesa del confine. Oltre ai distaccamenti di Landesschützen ed ai battaglioni da marcia e d'attacco territoriale dei reggimenti tirolesi, erano ora a disposizione di Dankl 39 battaglioni di Standschützen, il corpo alpino tedesco guidato dal generate Kraft von Delmensingen, ed in forza alla divisione il 29° e il 37° reggimento di fanteria ungherese, 22 batterie con 75 cannoni. In totale, sul fronte tirolese si trovavano ora 61 battaglioni contro 188 italiani. |
|
||
|
|||
|
|||
GLI ESONERI
"Un fesso è partito, un fesso
è arrivato, sarà silurato senza
pietà". Questa canzonaccia non
era soltanto una delle tante
opinioni dei soldati espressa in
forma satirica, ma era anche
l'inizio di quel disfattismo
fatto sovente con allusioni,
epigrammi, lazzi e motti, che |
La valle italiana del Piave
era percorsa |
||
Il Medagliere dei volontari alpini |
|||
In attesa che il dispositivo
offensivo dei CdA fosse schierato ed operativo (la mobilitazione ufficiale era iniziata
il 22 maggio 1915 e fino al 23 sera i comandi di CdA non erano operativi:
occorreranno mesi (come dice Del Boca))
era necessario svolgere opera accurata di controllo sulla linea di confine
e nelle retrovie del traffico e di
sorveglianza da eventuali attacchi di sorpresa.
Presidiavano il Passo Comelico alla vigilia dell dichiarazione di guerra la 68° compagnia alpini del battaglione
"Pieve di Cadore", che aveva trascorso l'inverno a Padola. Da Padola al passo Il
70° Regg. Fanteria, il 69° al Col Rosson e Candide. Il 16° Battaglione R.
Guardie di Finanza
e il 5° Battaglione dell'8°
Reggimento Bersaglieri a Cima Canale,
in ValVisdende.Anche il corpo delle Regie
Guardie Forestali, i carabinieri ed i volontari alpini erano considerati
particolarmente utili tanto che “L’istituzione dei volontari alpini del
Cadore*,
data la tradizione di alto patriottismo cui essa si ispira, rappresenta
una forma morale di grandissimo valore; epperò è dovere del comandante del
settore di impiegarla con vero intelletto d’amore.”
Dal diario di B. Mussolini 4 Aprile
'16 Ricognizione mattutina al valico del Volaja. Siamo ridiscesi per il torrente omonimo sepolto sotto la neve, Nel pomeriggio, nuova ricognizione su Bordaglia Alta. Siamo saliti per un pendìo ripidissimo. - Erano con me il tenente Santi e tre alpini della “compagnia volontari alpini”. Indossavano il camice bianco. Questi volontari sono in gran parte carnioli e friulani. Gente del paese. Di tutte le età. Di tutte le condizioni sociali. Sbarrando i passi ai confini d’Italia, essi difendono le loro case, le loro famiglie, i loro villaggi che sarebbero i primi a subire le violenze dell’invasore. Gente simpatica. Siam giunti al laghetto di Bordaglia (da Forni con strada forestale verso Nord), completamente gelato. Dal laghetto ha origine il torrente omonimo che si getta a Pierabech nel Fleons o Degano, dopo aver ricevuto, come confluente, il Volaja. *VOLONTARI ALPINI : Che le alpi sarebbero prima o poi diventate teatro di una guerra, non lo si metteva in dubbio ormai da mesi. Come era successo 40 anni prima per la formazione delle prime compagnie distrettuali alpine e a somiglianza dei confinanti altoatesini Standschutzen (o Bersaglieri immatricolati tirolesi) i valligiani cadorini esclusi dalla leva per varie ragioni, o per età e ancor validi si costituirono in reparti volontari di guide della forza complessiva di un battaglione. Il comandante di settore poteva impiegarli a propria discrezione, sia riuniti in unità organiche, o isolatamente come guide esperte (o sciatori) dei luoghi, informatori o staffette, avendo cura di affiatarli quanto prima con i reparti dell’esercito in mobilitazione (la storia delle portatrici e dei portatori viene successivamente). Nel gennaio 1915 qualcuno al IX CdA aveva balenato l’idea di farne una vera e propria formazione con l’obiettivo di avere in quelle vallate un consistente nucleo di elementi che, per la perfetta conoscenza dei luoghi e l’attaccamento alla loro terra, sarebbero stati particolarmente utili anche per la guerra partigiana (Si ha notizia che anche a Brescia una piccola formazione si uni al Btg Vestone e venne impiegata in Val di Ledro (Monte Nodic) per essere poi nell'estate del 1916 assorbita dalla 1a compagnia volontari, sempre alle dipendenze del 5° Reggimento Alpini). Poiché le leggi di guerra prevedono che i partigiani, gli irregolari, vengano fucilati sul posto in questi casi occorre andare coi piedi di piombo. Se da esentati dal servizio accettavano la divisa o qualcosa di simile (fasce tricolori) tanto valeva che si mettessero quella vera con oneri e onori come poi andò a finire. Intanto “Sembrerebbe opportuno a questo Comando di approfittare dello spirito bellico e patriottico della popolazione del Cordevole, gente rotta |
Dazio De Faveri Med. Argento Comandante di una compagnia di volontari alpini, riusciva ad occupare la cima di un monte, fugandone i difensori e mantenendo la posizione nonostante i contrattacchi nemici. In altra circostanza, conduce la compagnia in un brillante atto notturno contro trinceramenti avversari su di un contrafforte, cacciandone pure i difensori, nonostante il vivo fuoco della loro fucileria e artiglieria. Tofana, lì 18-24 settembre 1915”. Polla Arduino già Tenente dei Volontari del Cadore medaglia d'oro al v. m. Nato a Venezia 6/9/1884 -Tenente ( VIII reparto d'assalto ) motivazione: Ferito gravemente due volte nella stessa azione, disdegnò ogni cura, animato dal solo pensiero di offrire alla Patria ciò che ancora gli rimaneva di forze. Fulgida figura di eroe, rimase imperterrito sulla posizione sotto l’infuriare dell’ira nemica, esempio di meravigliosa tenacia; finché colpito una terza volta e gravemente, trascinato al posto di medicazione, trovava l’energia di gridare di voler tornare ancora tra i suoi soldati. Audace tra gli audaci, temprato dal pericolo mortale più volte affrontato, abituato a volere per sé l’impresa più rischiosa e più ardita, in tutti i combattimenti fu espressione di vero eroismo, trasfondendo col suo valoroso contegno, con la costante audacia la forza e l’energia nei suoi dipendenti. Ponte di Vidor, Monfenera, Monte Asolone, 10/11- 20/12 1917 Meritò anche una medaglia d’argento al v.m. e nella guerra ’40-’45 una croce di guerra al v.m., oltre alla promozione a capitano per merito di guerra. |
||
alla montagna e saldamente affezionata alla propria terra, distribuendo al momento voluto, armi e munizioni (anche modello 70/87), munendoli di un bracciale nazionale o di un distintivo qualsiasi atto a metterli al coperto delle leggi belliche". Venne anche la guerra poi lo scioglimento “[. .1 si è dovuto sciogliere il Battaglione volontari alpini del Cadore, su proposta del suo comandante, perché non dava nessun affidamento di utile concorso. Rimasero solo circa 40 volontari che, unitamente ad altri 70 inviati da Longarone, firmarono tutti l’atto che li obbliga al servizio per tutta la durata della guerra. A giorni essi saranno dislocati a Cima Sappada, in unione a mezza compagnia di bersaglierii, per prendere e mantenere il contatto lungo il contrafforte del Tuglia coi volontari della Carnia” |
IL DISPOSITIVO OFFENSIVO ITALIANO DELLA IV ARMATA dalla Croda Grande al Peralba erano schierati IX CdA: 17a Div. (Br. Torino 81/82 f e Reggio 45/46 f) e 18a Div. (Br. Alpi 51/52 f e Calabria 59/60 f) + Br. Parma 49/50 f della 1a Div. e truppe suppllettive (3° Rgt. Bersaglieri ) I CdA: 2a Div. Gen. Saverio Nasalli Rocca (Br. Umbria 53/54 f e Como 23/24 f) e 10a Div. (Br. Marche 55/56 f e Ancona 69/70 f) + Br. Basilicata 91/92 f della 1a Div. e truppe suppl. (da Giugno 8° Rgt. Bersaglieri) 7 Rgt. Artiglieria da campagna 1-8-13-17-20-25-33° 2 Gruppi artiglieria Pesante e 3 Gruppi Artiglieria da Montagna 6 Btg. Alpini - Val Chisone, Fenestrelle, Pieve di Cadore, Val Piave, Val Cordevole, Belluno 2 Rgt. Cavalleria 21° Cavalleggeri di Padova e 9° Lancieri di Firenze 1 Rgt. Milizia Territoriale Genio Minatori, Pontieri, Telegrafisti XVI Battaglione Guardia Finanza |
||
IPOTESI COMANDO SUPREMO…. A questa azione (Falzarego, La Corte, Ruaz))
potrebbero anche essere destinati i mezzi d’attacco impiegati contro
Plàtzwiese, Landro e Sexten, quando questi sbarramenti fossero caduti.
L’offensiva condotta per le altre linee è favorevole in quanto ché esse
sono convergenti e da un fronte di circa 20 km. (in linea retta da Tai a
Santo Stefano di Cadore) ovvero 26 (da San Vito al Passo di Monte Croce)
si cadrebbe su di un fronte di 10 km. (Niederdorf –Villabassa,
Innichen-S.Candido). Queste condizioni favorevoli scemano alquanto quando
si consideri il terreno. Anzitutto i contrafforti che separano il Seeland
dalla Rienz (Rienza) e questa dal Sexten (Rio Sesto), e più specialmente
quest’ultimo, sono massicci montani rocciosi, impervi (dolomiti di Sesto
Cima Tre Scarperi m. 3151, Cima 12 m. 3094, Cima 11 m. 3092, Croda Rossa
(o Cima 10), m. 2939 M. Popera m. 3045), veri elementi separatori fino
alla loro estremità sulla Drava là dove più si renderebbe necessario il
collegamento fra le colonne operanti. Le operazioni risulterebbero sulle
singole linee pressoché isolate. L’offensiva poi avrebbe da superare
numerose resistenze; quella assai forte opposta dalla posizione naturale
di Podestagno, e quella delle opere di Plàtzwiese, Landro e Sexten. Meno
difficile forse superare quest’ultime per la possibilità di attaccarle da
posizioni dominanti (Monte Piano, pianoro di Rimbianco (Lavaredo), e cima
dei Collesei m. 1974). Ma se tali resistenze non sono poche, non è neppur
detto che sia necessaria la contemporaneità degli sforzi per tutte le
linee nominate, non potendo tutte le colonne operanti darsi reciproco
aiuto. La caduta delle opere di Plàtzwiese e di Landro faciliterebbe
l’avanzata della colonna del Boite, che potesse essere arrestata di fronte
alla posizione di Podestagno; ed il raggiungimento di uno dei tre
obiettivi (Niederdorf - Innichen) porterebbe come conseguenza la caduta
degli altri. Delle tre linee in migliori condizioni sono le prime due
(Boite e Ansiei), avendo quasi al confine il buon collegamento rotabile
del Passo delle Tre Croci, ed oltre il confine, prima dell’ingolfarsi
nella zona separatrice, il punto comune di Schluderbach. Sembrerebbe
quindi che l’offensiva principale potrebbe probabilmente svolgersi per la
linea del Boite e dell’Ansiei, proseguendo poi su Niederdorf e
Toblach-Dobbiaco; senza però trascurare quella del Passo di Monte Croce
Comelico, che potrebbe anche pronunziarsi con minori forze e, come detto,
non contemporaneamente alla principale”. Poi “ Ma a parte le
aspirazioni l’attuazione dipenderà soprattutto dalle notizie che, al
momento si avranno sul nemico” .
Ipotesi, piani, carta che girava vorticosamente dalla IV Armata al comando Supremo e ai reparti inferiori e da qui tornava a Nava ma nessuna o scarsa conoscenza dei luoghi. Nessuna conoscenza da parte dell'artigliere Nava dei cannoni d'assedio navali smontati dalle navi, o in attesa di essere montati, e del loro impiego: nessuna informazione sul nemico, logistica impossibile (si dovettero requisire migliaia di asini al posto dei più potenti muli) e per finire ufficiali impreparati e soldati ancor meno. Gli unici ad aver svolto un qualche addestramento di montagna, gli alpini, presenti in soli 6 battaglioni mobilitati per quel fronte. Cadorna come era consuetudine nello S.M. dava le linee generali poi lasciava ai sottoposti l'elaborazione dei piani che vagliava, approvava o respingeva. L'attacco doveva svolgersi con prudenza ma con un vantaggio sul nemico di 2 a 1 (in uomini): ma del nemico non si sapeva nulla e la macchina messa in moto era di una lentezza esasperante esattamente l'opposto di quella che serviva. Anche le previsioni di chi guarda una carta topografica generale erano ottimistiche, misurate in chilometri le distanze erano risibili, ma in montagna tutto questo si moltiplicava per 10. Il colpo da maestro, la nostra Blitzkrieg (quella di Rommel 2 anni dopo) stava qui andando incontro ad un disastro colossale. Lo racconteremo affiancandolo agli esoneri e alle esautorazioni di comando attuate da Nava e Cadorna per correggere la rotta, ma scaricatesi alla fine sullo stesso Nava. Aprì la serie il Gen. di Cavalleria Pirozzi (ma era lo scacchiere Carsico: poi un Generale di Cavalleria in mezzo alle montagne era come un prete in mezzo alla neve, se voleva farsi vedere aveva scelto il posto giusto). |
|||
Nel settore di Landro e Sesto (Comelico)
si prevedeva di dover affrontare almeno 3 brigate, ma una remora era il
lato destro che dal Peralba segnava per un tratto il confine di stato per
immettersi poi in una catena montuosa
fino al monte Elmo (Helmspitze) sopra Sesto che restava, come quasi tutto il resto, di
ignota consistenza (I difensori se non meglio facilitati salivano dalla
valle del Gail e da Sillian per noi invisibili) e di altrettanta ignota orografia. Erano le cime Palombino, Vallona, del
Cavallino, di Vanscuro, dei Frugnoni poi dell’Eisenreich e del Monte
Arnese e la dorsale Quaterna (m. 2503)-Rosson più accessibile. Il 24 maggio nessuna
brigata italiana era ancora schierata al completo al confine. Il 27 Cadorna invitò Nava a
Belluno per un colloquio che rimase segreto ma i cui contenuti possiamo
immaginare. Lo stesso giorno Cortina d'Ampezzo era stata sgombrata dagli
Austriaci. 27/5/1915 - Primo scontro a fuoco Una compagnia Standschutzen ricevette l'ordine di attestarsi sulle vette dominanti fra l'Eisenreich (Montagna del Ferro) e forcella Manzon. "Gli italiani reagirono troppo tardi, inviando due deboli pattuglie che dai Frugnoni avanzarono in perlustrazione verso l'Eisenreich ma furono respinte”. 29/5/1915 – Esonero del comandante la 10a div. Giovanni Scrivante sostituito da Pietro Montuori (dalla Brigata Parma della 1a Div.) Ordini perentori di attacco vengono distribuiti a tutti i comandi inferiori e se non bastasse viene resa pubblica la circolare della destituzione di Scrivante e Pirozzi in modo che si sappia che non si scherza !!!. “L’inattività è sommamente deleteria, non solo perché immobilizza le truppe, ma specialmente perché rivela, in chi vi si adagia, mancanza di fiducia nelle proprie forze ed è indice di debolezza di carattere. L’avere raccolto con facile credulità tutte le esageratissime informazioni abilmente diffuse dal nemico, impressionò fortemente taluni comandanti anche di grado elevato, e li indusse a rimanere inattivi o a indugiare con superflue cautele ed in compiti di secondaria importanza, mentre tutto andava a spingerli ad agire e ad ardire. Il Comando Supremo non può tollerare che per effetto d’informazioni non attendibili, che il semplice criterio professionale deve far respingere e che ad ogni modo debbono tosto essere controllate con rapide ricognizioni, si facciano vivere i comandi e le truppe in un ambiente di titubanze e di dubbi che paralizza le forze e deprime gli animi, mentre ogni sforzo deve essere diretto a ringagliardire i cuori e ad ispirare fede incrollabile nelle nostre fortune militari. Il severo provvedimento adottato a carico dei tenenti generali Pirozzi e Scrivante deve pertanto servire di incitamento e di monito, e la gravità stessa del provvedimento sta ad indicare quale sia l’importanza grande che il Comando Supremo annette all’impulso che gli ufficiali generali debbono imprimere alla loro azione di comando e quanto si attende da loro”’. Dopo questo battesimo del fuoco gli austriaci capirono che i Frugnoni e Cima Vanscuro non si potevano prendere senza uno sforzo maggiore. Gli scontri andranno avanti una settimana senza risultati. E’ il giorno del Corpus Domini (3 giugno). Giù nella valle si apprestano a celebrare la festa religiosa; i primi rintocchi delle campane risuonano attraverso la valle. Lassù il capitano Steiner con i suoi Rainer e gli Standschutzen è a 300 passi dal nemico, pronto a scattare per l’attacco…” - |
H e i n
z v o n
i c h e m |
Luigi Nava.“Sette muraglie dolomitiche, elevate, aspre, rocciose, quasi insuperabili, avvolgenti la conca centrale della regione cadorina e altrettante interposte brecce, variamente ampie e praticabili formano il contorno del terreno della fortezza Cadore - Maé”. “Alle prime luci dell'alba balzano all'improvviso sulla linea Frugnoni - Forcella Pala degli Orti - Cima Vanscuro. I fanti del 69° Fanteria (B. Ancona 10a Div.) che sono appena saliti a presidiare la Cima Vanscuro, con le tende poste presso Forcella Pala degli Orti, colti di sorpresa in quella posizione da poco occupata, con ogni visuale impedita dalla notte e da una cappa di nebbia, bersagliati dai pezzi da montagna piazzati con un trasporto avventuroso e difficile presso l'Obstansersee e sull'Eisenreich (Montagna del Ferro), alle 7 ripiegano verso la cresta dei Frugnoni dove un plotone di alpini è riuscito a contenere il nemico. Gli alpini resistono fino a che la fanteria si è completamente disimpegnata. Giunge improvviso, dal comando della posizione di Col Quaternà, l'ordine di ripiegare. Verso le 11, tolto l'accampamento sotto la cresta dei Frugnoni, gli alpini si ritirano protetti da veli di nebbia, senza lasciare nelle mani degli austriaci neppure un paletto di tenda". Verso le 13.30 l'azione era conclusa; gli austriaci ebbero solo un ferito; gli italiani lamentarono 15 morti. |
|
A metà giugno gli alpini
conquistano Cima Vallona dopo furibondi scontri. La mattina del 13 giugno
i pezzi austriaci concentrano tiro violento contro le posizioni del Passo
e della Cima Vallona; cecchini, annidati sul Palombino, sparano in fondo
valle contro le riserve italiane. Cadono il comandante della 28° cp.
cap. Medici, il tenente Jacod comandante la sezione mitragliatrici. Nel
tardo pomeriggio giungono in rinforzo tre compagnie di fanteria che
rilevano dalle trincee quattro plotoni di alpini. Durante la notte altri
attacchi austriaci si infrangono contro le difese italiane. Gli austriaci,
visto vano ogni sforzo, sgombrano il versante sud-est di cima Vallona che
rimarrà definitivamente italiana". Contemporaneamente all'attacco a Cima
Vallona, il 12 giugno gli austriaci si mossero pure con un gruppo di 27 "Rainer"
e di Standschutzen di Obertilliach (paese sottostante) al comando del
cadetto Koch per insediarsi sul Palombino. Si continua con scontri di pattuglia nonostante gli ordini del Comando Supremo e d’Armata. Anche negli altri settori i progressi erano minimi tanto che il 12 giugno Nava se la prendeva col Comandante la Brigata Reggio, e con Pietro Marini comandante il IX CdA ma non proponeva la destituzione. Intanto Cadorna informava e prendeva atto che il nemico stava rafforzandosi. Nessuno però pensa ad azioni manovrate. Si aspettano i cannoni d’assedio per ridurre al silenzio l’artiglieria e i forti nemici, poi un attacco frontale in che condizioni contro trincee (e reticolati) poste in posizione sovrastante e armate di mitragliatrice è prevedibile. Di giorno in giorno il comando artiglieria dava per imminente la disponibilità dei grossi calibri. A fermare a volte o a riprogrammare l’azione voci di arrivi consistenti di nemici forse sparsi ad arte, come nel caso del Gen. Scrivante. 15-18/6/1915 "Gli austriaci presidiano non solo la Cima Palombino ma anche la Forcella Dignàs, il più importante valico dell'intero tratto Montecroce-Giogo Veranis. I nostri comandi decidono di attaccare contemporaneamente la Forc. Dignàs e la C. Palombino. All'alba del 15, dopo preparazione d'artiglieria dal Col Rosson, dal Costone Paidosso e dalla Forcella Zovo, i1 2° batt. del 91° fanteria punta sulla Forcella Dignàs. Gli austriaci attendono; lasciano che la compagnia italiana di testa, uscita dal bosco, salga su per la valle scoperta, fiancheggiata da ripidi pascoli, e giunga fin poco sotto la Forcella. Allora, dai sicuri ripari della Croda Nera, aprono d'improvviso il fuoco. Mitragliata da posizioni dominanti, battuta da artiglieria, senza possibilità di difesa, la compagnia si protegge come può durante l'intera giornata. Si disimpegna di notte. Nella notte del 15 giugno due plotoni della 29° compagnia alpini del "Fenestrelle", al comando del S.ten. Landi Mina, partendo dal passo di Cima Vallona, fugando il nemico e perdendo 11 uomini, riescono a raggiungere la quota 2354 della "Cresta Palombino". All'alba del 18 l’attacco decisivo. L'occupazione del Palombino, dalla cui cima e da tutta la cresta era visibile il villaggio di Obertilliach, rese possibile guidare con maggior precisione il tiro delle artiglierie. Il 19 Giugno Cadorna lanciava a Nava per interposta persona un velato messaggio con la destituzione del comandante il IX CdA Pietro Marini sostituito da Luigi Segato. A Scrivante succede Montuori poi nello stesso anno il Tenente Generale Edoardo Ravazza |
Fino al 1914 nessun stato maggiore europeo aveva previsto scontri tra grandi unità di fanteria in regioni d’alta montagna: “Al di sopra di 2.500 m. si può accampare per qualche settimana nel cuore dell’estate; tra i 2.200 e i 2.500 m. si può accampare dalla metà di luglio ai primi di settembre: non si accampa a meno di circostanze special negli altri mesi. Piccoli reparti alpini possono accampare anche d’inverno spazzando il terreno dalla neve e costruendo le tende con doppi teli con paglia tra di essi o in buche scavate nella neve.” (O. Zavattari, Esperimenti sulla neve, ecc., “Rivista Militare Italiana”, maggio 1901).
|
||