ell'estate
del 1894, dopo che i dervisci hanno di nuovo violato i confini
della colonia, il Gen. Baratieri, con 3.000 uomini delle truppe coloniali,
supera i 200 km di deserto che lo separano da
Kassala
(Sudan) e l'espugna. L'azione vittoriosa e inaspettata, desta una grande impressione
sulla stampa Inglese che non si è ancora ripresa dalle disfatte di Khartum, da quella contro gli Zulù in Sud Africa e dal pantano afgano
della Jihad. I dervisci tornano
all'attacco nei giorni della battaglia di Adua e successivamente in
aprile, ma le mura e i forti della città, rinforzati per l'occasione,
reggono. Alla fine del 1894
gli etiopi hanno
buon gioco contro il piccolo Re Tona dei Sidama, ultimo a non essersi
piegato al potere del Negus. Re, Negus e Re dei Re sono talmente
numerosi in Etiopia da meritare, un sito a parte. Menelik aveva attuato negli anni
sull'altopiano etiopico la tipica guerra d'espansione
"imperialista" per sottomettere vari regni indipendenti. I nostri contrasti continui con Ras
Mangascià e la sicurezza del confine del Mareb*-Belesa sono la causa della
spedizione nel Tigrè. Una serie di vittorie, Halai,
rioccupazione di Adua e Adigrat, Coatit, Senafè, Makallè, conducono gli Italiani all'interno dell'Etiopia fino all'Amba Alagi, dove
lasciamo un piccolo presidio. Ma la politica italiana va ora in
fibrillazione davanti a vittorie certe e a problemi di bilancio
ingigantiti dalle vicine elezioni (26 maggio).
* The Mareb River (or Gash River) is a river flowing
out of central Eritrea which partly forms a natural frontier between
Eritrea and Ethiopia. The Mereb River is 440 kilometers long. Its
headwaters rise north of Amba Takara in central Eritrea, on the landward
side of the eastern escarpment within 80 km of Annesley Bay on the Red
Sea. It flows south, bordering Ethiopia, then west through western
Eritrea to reach the Sudanese plains near Kassala. The waters of the
Mareb do not reach the Nile but dissipate in the sands of the eastern
Sudanese plains. The Mareb is dry for much of the year, but like the
Takazze is subject to sudden floods during the rainy season; only the
left bank of the upper course of the Mareb is in Ethiopian territory.
Its main tributaries are the Obel River on the right bank (in Eritrea)
and the Sarana, Balasa and 'Engweya Rivers on the left (Ethiopia).
Oreste
Baratieri
Così scrisse Tradigò ne "I
Bersaglieri e i loro atti di valore da Goito ad Adua" sulla
genesi di Adua.
Baratieri nel 1890 divenne comandante della
piana di Massaua, città che faceva da quartiere generale nella colonia
africana e nel 1892 divenne governatore d'Eritrea. Fu in quei mesi che
iniziarono i contrasti tra Baratieri e Roma. Il governo infatti decise
di effettuare la divisione tra poteri civili e militari, limitando i
poteri della figura del Governatore. Baratieri manifestò la sua
insoddisfazione in una lettera al generale Luigi Pelloux "Qui hanno
proclamato il governo civile, ma il governo non può che essere (di tipo)
militare" (ad Arimondi andava il potere militare vero e proprio). In
mancanza di una precisa legislazione che disciplinasse i poteri e le
funzioni del governo coloniale, Baratieri poté così godere di carta
bianca nella gestione della colonia, che però ben presto ebbe effetti
negativi sul suo mandato e sulla presenza italiana nel Corno. Tra il
1893 ed il 1894, Baratieri fece confiscare circa 400.000 ettari
suscitando il malumore delle popolazioni locali ed un'inevitabile
sentimento antitaliano tra gli eritrei. Baratieri credette profondamente
nel primato della sfera militare, ed eliminò così gradualmente quasi
tutti gli esperti ed i funzionari civili dall'amministrazione della
regione, passando invece le loro mansioni a suoi ufficiali; tra queste
mansioni ci furono i lavori geodatici. In una lettera a Pelloux,
Baratieri scrisse "I militari mi stenderanno una carta al 1:100.000
delle regioni non ancora rilevate dall'Istituto Geografico che d'ora in
poi non invierà più i suoi impiegati. Essi mi tracciano e mi dispongono
i lavori per le strade e lo scavamento dei pozzi che tanta importanza
necessitano alle comunicazioni militari e commerciali.." Così nel 1892
l'Istituto Geografico sospese i rilievi cartografici, ma i militari non
ebbero il tempo, i mezzi ed il personale per completare le mappe. La
campagna del 1895-96 fu così condotta senza carte o con grossi sbagli,
solo dopo la sconfitta di Adua, nell'inverno del 1986, il personale
specializzato dell'Istituto Geografico fu autorizzato a rientrare in
Africa. Oltre che dagli italiani le armi da fuoco agli etiopi provennero
anche dai francesi. Accordi per l'acquisto di armi furono raggiunti con
gli armeni, Sarkis e Terzian, anche quest'ultimo fu nominato consigliere
militare del negus. Altre armi inoltre giunsero in dono dalla Russia
zarista solidale con l'Etiopia per motivi religiosi, essendo entrambi i
paesi cristiano-ortodossi (ndr a voler esagerare). San Pietroburgo oltre
alle armi offrì anche la consulenza di propri strateghi militari, il cui
contributo fu importantissimo nella tattica impiegata ad Adua. Tra i
personali strateghi di Menelik è da ricordare il conte Leontieff. Le
armi entravano nel Corno d'Africa attraverso i porti occupati dai
francesi nel Golfo di Aden: Tagiura, Obock, e dal 1892, Gibuti. Inoltre
l'Etiopia poté contare anche su una propria manifattura militare, ad
Harar
Baratieri fu promosso
tenente generale e
Crispi eccitato gli telegrafava:
“Ormai il Tigrè è
aperto all’Italia: sarà indulgenza nostra se non vorremo occuparlo”.
E il ministro della guerra gli inviava sottobanco un telegramma:
“Aspettiamo sue proposte sul modo di trarre profitto dal successo. Due
battaglioni partiranno il 30 corrente, gli altri due il 14 febbraio
(1895), salvo suoi desideri in contrario. Per la batteria da montagna
attendiamo la proposta già preannunziata da Lei”
(si trattava dell’arruolamento di altri 2000
indigeni e la costituzione di una seconda batteria da montagna da far
rientrare nei limiti di bilancio della colonia Eritrea che aveva un
limite massimo di spesa di 9 milioni di lire d'allora).
Si arrivò quindi come sempre al "redde rationem": Crispi scriveva a Baratieri, il 6 aprile: “Ogni ulteriore espansione in Africa trova
opposizione nell’Alta Italia, anche tra gli amici del Ministero. Il mio
collega del Tesoro, se ne preoccupa per la incertezza delle spese cui
andremo incontro. L’impresa potrebbe essere tollerata solamente se la
Colonia concorresse anch'essa con i tributi locali ad ogni modo S. E.
Sonnino non permette che il bilancio dell’Eritrea ecceda i 9 milioni. Non
vorremmo che la questione suscitasse imbarazzi nella nuova Camera.
Rimane dunque inteso che Adigrat debba essere il limite delle nostre
occupazioni ". E Baratieri di rimando: “Siamo in ostilità
aperta con Mangascià. Le lettere ed il contegno di Menelick fanno
credere ad una prossima guerra contro l’Aussa, non lontana contro di
noi. I Dervisci possono attaccarci in giugno. Indispensabile tenga
Adigrat e Cassala, e guardi Adua. La riduzione al bilancio di 9 milioni
esigerebbe il rimpatrio di tre battaglioni italiani e lo scioglimento di
due battaglioni indigeni. Il rimpatrio degli Italiani incoraggerebbe il
nemico ad affrettare le ostilità. Essendo così la situazione, io non
posso proporre una diminuzione di forze mantenendo la responsabilità per
la difesa della Colonia”. Crispi allora: “Ripetiamo che bisogna
limitarsi per ora nell’impresa tigrina, e poiché gli ultimi battaglioni
furono di qui spediti senza una vera necessità della difesa, il
Ministero è di avviso che due di essi potrebbero rimpatriare. Vi è
opposizione nel paese ad ulteriore espansione. Ad ogni modo è nostra
assoluta volontà che nulla in Africa sia fatto che valga ad eccedere la
spesa di nove milioni. Noi non vogliamo
mettere a rischio le sorti dell’Italia per un errore commesso in Africa’!!"
(manca ancora un anno ad Adua).
Da questo momento
Baratieri offre le sue dimissioni e andrà avanti insistendo
per tutta l'estate portando a sua giustificazione che un vincente non
intavola trattative di pace con un perdente (Mangascià)
-
Un
altro, non così impegnato come me, potrebbe tentare in Africa un
accomodamento con Mangascià e con Menelik, che permetta di ridurre
notevolmente le spese; e potrebbe per avventura abbandonare qualche
lembo di territorio - ma Mangascià sembrava essere
solo una pedina inviata in avanscoperta per testare la reale
volontà e capacità italiana di tenere la colonia. Il 26 luglio
alla Camera iniziò la discussione sul bilancio di previsione
degli esteri
al quale Baratieri, richiamato in Patria dopo le numerose
insistenze, aveva modo di ribadire:
"I miei precedenti telegrammi dicono chiaro che le offerte dimissioni
sono occasionate dalla proibizione categorica dell’aumento di forze e
dall’ordine di diminuire le spese. Io ritengo che l’attuale preparazione
- contro un possibile attacco di Menellk in autunno- sia insufficiente a
mantenere, i punti dai quali il Governo del Re intende assolutamente non
retrocedere. Quindi devo insistere per avere l’autorizzazione di
conservare le attuali forze italiane, di aumentare subito le forze
indigene, e di accrescere subito i mezzi di trasporto; è impossibile
improvvisare. Senza tale autorizzazione la mia coscienza e il mio
patriottismo m’impongono di insistere nelle dimissioni offerte, nella
speranza che altri possa tenere la Colonia con minori mezzi e concludere
una pace onorevole e durevole ".
Naturalmente il dibattito alla
Camera trovava ampia eco sui giornali e c'era chi informava il
Negus. Arimondi suo sostituto lo mette al corrente della manovre degli
abissini
e fino ai primi di settembre queste non sembrano preoccupanti.
Il 15 Baratieri deve rientrare in fretta e furia a Massaua dove arriva il 26.
Ras Mangascià appariva velocemente e altrettanto velocemente si
sganciava. Sembrava la caccia del gatto ai topi. Molto probabilmente non
avevamo idea di cosa fossero le armate imperiali riunite il cui numero,
eccedente la nostra dimensione, era stato finora tenuto a bada per
singoli ras. Il nemico, che combatteva di lancia si stava riarmando e armi sempre più moderne venivano catturate.
D'altronde passavano imprecisi dalla lancia al fucile, con poche
lezioni.
Il Ketit imperiale (la chiamata alle
armi) era quindi già suonata in tutta l'Etiopia. Parte il countdown, il
conto alla rovescia della guerra (-150). I nostri isolati e lontani
avamposti avevano anche difficoltà a comunicare e gli ordini e i
contrordini andavano spesso perduti creando un caos operativo non
indifferente.
Da Cronologia.it -
I primi
di novembre facendosi sempre più insistenti le notizie che truppe
etiopiche andavano concentrandosi a sud del lago Ascianghi, Baratieri
telegrafò al generale ARIMONDI: “Ora
che alcuni capi d’oltre frontiera sono e si dichiarano uniti a noi
contro il comune nemico, bisogna trarne partito per dar un indirizzo ed
unirli nell’intento comune. Potranno giovare le relazioni assidue, e
magari un distaccamento volante ad Amba Alagi con un ufficiale sveglio e
intelligente; questi nell’agire potrà determinare altri ad unirsi a noi,
oltre a prevenire discordie fra i nostri, a tenerli a freno, a
sorvegliare gli incerti “
.
lI 24 novembre
il maggiore Toselli, per fare una ricognizione nel Seloà e nell’Enda
Meconnì, partì da Makallè con il IV battaglione Indigeni, la la batteria
da montagna e la banda di Ras Sebath verso Ambra Alagi e di là appreso
che il grosso dell’esercito etiopico con MENELIK si trovava a Uorrò Ailù,
mentre l’avanguardia comandata da Ras Makonnen, che aveva con sé le
truppe dei ras Alula, Olio, MANGASCIA e Mikael, marciava verso
l’Ascianghi - si spinse verso Belejo per osservare il nemico ed
ostacolarne l’avanzata. Arimondi ricevute informazioni da Toselli sui
movimenti nemici, chiese istruzioni a Baratieri, che il 30 rispose
annunciandogli di avergli mandato in rinforzo tre compagnie del VI
Indigeni e consigliandogli di “tenere (le forze) al possibile riunite,
sottomano, in grossi gruppi intorno a Makallè” . Le forze erano
costituite da 4.500 regolari e dalle bande dell’Agamè, del Tigrè, del
Seraè, dell’Acchelè-Guzai, dell’Endertà e dell’Enda Meconnh. Nello
stesso tempo il Governatore ordinò la mobilitazione delle truppe della
Colonia e il concentramento da Cheren e Asmara a Adigrat dei battaglioni
I, VI, VII e VIII, della Milizia Mobile e della 2a batteria da montagna.
Il 30 novembre, il gen. Arimondi, ricevute le istruzioni del
Governatore, ordinò per il 5
dicembre il concentramento a Makallè di 14 compagnie e le bande
indigene, e comunicò a Toselli le direttive di
Baratieri dandogli facoltà di “mantenersi in posizione a Belejò oppure
di ripiegare ai piedi di Amba Alagi, secondo “circostanze”. Toselli, il
1° dicembre, avanzando Makonnen alla testa di 30.000 uomini, ripiegò su
Atzalà. Contemporaneamente chiese rinforzi al gen. Arimondi, il
quale gli rispose che “sarebbe accorso il 6 con sei compagnie e una
sezione d’artiglieria”. Ma il giorno 5 il generale Baratieri , informato
delle intenzioni dell’Arimondi, gli telegrafò: “Non conviene
allontanarsi da Makallè perché non essendo ancora avvenuto il
concentramento, si avrebbe una divisione di forze e gravi difficoltà per
l’approvvigionamento. Il Magg. Toselli tenga contatto fin che può,
poi ripieghi con la maggiore lentezza possibile ’ Il 6 dicembre
mattina Arimondi trasmise l’ordine del governatore a ToselliI; ma era
ormai tardi, già sotto pressione del nemico, Toselli non lo ricevette
nemmeno e rimase convinto che doveva resistere più a lungo possibile
sull’Amba Alagi, in attesa delle 6 compagnie promesse e guidate da
Arimondi. Il 6 Arimondi (anche se aveva già inviato l’altro ordine)
propose a Baratieri di avanzare con una parte delle proprie truppe fino
ad Afgol per sostenere il ripiegamento di Toselli e, insieme con lui,
fare “un’attiva difesa avanzata del forte di Makallè”. Avuta
l’autorizzazione, Arimondi la notte del 6 partì da Makallè con sei
compagnie, una sezione di artiglieria e la banda di degiacc Fauta, in
tutto circa 1500 uomini, avvisando Toselli della sua mossa (che come il
precedente ordine non ricevette !!!).
All'Amba Alagi il 7 dicembre
1895 (-80del Ketit), l'intero presidio del magg. Toselli viene decimato. I soldati italiani rifanno a
ritroso la strada percorsa. A Makallè lasciamo pochi
soldati in un forte che viene ben presto accerchiato. Dopo un mese di
assedio, in gennaio,
venuta a mancare l'acqua, al Maggiore Giuseppe Galliano non resta che
aderire ad una tregua concordata in patria e
ritirare le truppe dopo l'onore delle armi reso da Ras Maconnen che lo scorterà
fino ai confini (-40 GIORNI).
Le sconfitte
subite innescano immediatamente una reazione di rivalsa. Giungono altri uomini e materiali per il momento
inadeguati, mentre altri sono in viaggio o ancora in porto a Napoli. Gli uomini non sono
preparati al clima africano, alle febbri e i materiali non possono
essere trasportati su così lunghe distanze. Il primo
ministro Francesco Crispi, ex
garibaldino siciliano, avuto sentore che Baratieri intende
ritirarsi dal Tigrè, telegrafa in continuazione. Il 28 febbraio 1896 (-1) si tiene un
consiglio di guerra. Delle varie ipotesi si scarta l'offensiva, ma anche
la difesa passiva. Le notizie sulla consistenza delle truppe del Negus
è parziale. Si continua a credere ad un esercito male armato,
mentre ora ha anche cannoni mitragliere francesi a tiro rapido, fucili francesi e inglesi (mod. 86)
e l'italiano Vetterly preda di guerra. Il
nuovo fucile mod. 91 non è stato distribuito in colonia ai reparti da
mesi colà. Solo il
battaglione alpini lo ha portato dall'Italia. Il Vetterly 87 con
caricatore è in dotazione solo ai nazionali perchè gli ascari continuano ad
avere il modello a colpo singolo (mod. 70). Agli abissini qualcuno ha visto in
mano anche alcuni dei moderni Remington a ripetizione di fabbricazione americana,
venduti dal Vaticano nel 1872 (questi fucili erano stati donati dal
clero americano con una colletta all'epoca di Mentana).
Da ardito
2000.it :
Quando anche gli altri due ufficiali dissero che la pensavano nello
stesso modo (attacco), Baratieri, a malincuore, cedette. L'ordine di
battaglia venne diramato nel tardo pomeriggio del 29 Febbraio 1896. Si
leggeva: "Stasera il corpo d'operazione muove dalla posizione di
Saurià in direzione di Adua, formato dalle colonne sotto indicate: la
colonna di destra , al comando del generale Dabormida, segue la strada
di Zala-Colle Guldan-Rebbi; la colonna di centro, al comando del
generale Arimondi, segue la strada Gundapta-Colle Guldan-Rebbi Arienni;
la colonna di sinistra, al comando del generale Albertone, segue la
strada Saurià-Adi Cheras-Colle Chidane Meret; la colonna di riserva, al
comando del generale Ellena, segue la strada della colonna di centro,
muovendosi un'ora dopo. il Q.G. marcerà alla testa della riserva".
Lo schieramento italiano di prima linea
forte di18.000 uomini, agli ordini di Baratieri, avanzerà
comunque su tre colonne (i Generali di Adua Albertone,
Arimondi, Dabormida, Baldissera) + una di riserva
Gen. Ellena contro gli abissini (115.000 circa, vedi
tabella sotto).
La sconfitta
Sulla battaglia di Adua sono state scritte montagne di carte. Non ne
aggiungerò ulteriori se non piccole annotazioni sulla situazione
del campo di battaglia. Gli abissini schierano 10.000 cavalieri galla
mentre noi non ci siamo portati al seguito nemmeno quei pochi che
avevamo. Le tre colonne dalla base di partenza di Suarià devono
schierarsi su una linea di difesa comune per le 5 del mattino, attraverso
percorsi individuali paralleli. Per il collegamento notturno si devono
usare staffette, per il giorno sono
previsti Eliografi (specchi solari, lampi di indiana memoria) ma questi
non vengono nemmeno portati alla base di partenza. Il teatro
della battaglia ha una profondità di 28 km e una larghezza di 14. La
lunga marcia notturna e l'immediato ingaggio dello scontro non lasciano
il tempo alle truppe di riposarsi e rifocillarsi. La brigata indigeni di Albertone, che si sposta molto più velocemente delle nazionali, dopo
aver deviato nella notte dal suo percorso e invaso quello della colonna
Arimondi e Ellena ( che devono fermarsi), già dalle tre del mattino
è stata individuata dagli abissini. Alle 5 per gli errori degli
schizzi mappali si ritrova nel campo del Negus. L'effetto sorpresa é
già sfumato. Le truppe abissine hanno già mangiato quando il Negus uscito alle
5 da Messa si mette al comando. Da questo momento le
colonne, che non comunicano più fra di loro per le distanze e nemmeno si vedono per
l'orografia delle ambe, fatta di piccoli passi e valli profonde,
affrontate una ad una saranno battute. Alle 8,15 Albertone mandò un
messaggero a Baratieri per chiedergli dei rinforzi, poi si ributtò nella
mischia. Il maggiore Gamerra, comandante del battaglione Bersaglieri,
sparò le ultime cartucce spalla a spalla con quattro tenenti, disposti
in quadrato, in mezzo a una turba di assalitori. E quando le pistole
furono scariche le usò come clave prendendole per la canna. Ma ormai la
battaglia stava volgendo al termine. Pochi minuti dopo, il generale
Albertone venne fatto prigioniero e condotto dall'imperatore.
Dabormida ingannato anche lui dalla mappa
piomba in fondo al vallone di
Mariam Sciauifò nell'accampamento di ras Mangascia e Alula. Le prime ore
di combattimento, con gli assalti reiterati continuamente respinti non
convincono nemmeno il Negus sulla possibilità di vittoria.
Dabormida tentò infine di
aprirsi un varco attraverso il vallone Jeka, ma l'imboccatura di quel
canalone, che poi fu ribattezzato "valle della morte", era già stato
occupata dal nemico che fece una strage.
Gli abissini
attaccano sparando in corsa. I loro colpi volano alto e i primi a farne
le spese sono gli ufficiali che continuano a restare in sella alle cavalcature.
Le nostre batterie aprono vuoti immensi fra gli attaccanti, subito
rimpiazzati. Quando gli abissini piazzano le mitragliere che anche a
grande distanza falciano i nostri artiglieri è la fine. Se avessimo
attaccato tutti assieme avremmo avuto un rapporto di forze
1 a 6 o + in favore degli abissini ora in molti casi è peggio.
Cadono i Generali Arimondi e
Ellena. Cade un civile, Luigi Bocconi figlio di un noto industriale,
che dopo la morte di Toselli ha preso la sua carabina e si è presentato
volontario a Baratieri. In suo nome verrà fondata l'omonima Università
di Milano. Cadono diversi fotografi. Della battaglia di Adua non
esistono fotografie ma solo illustrazioni fatte sulla base dei
racconti dei superstiti. Due compagnie di bersaglieri col T. Col. Compiano vengono
inviate sul Zeban Daarò. " Forza ragazzi che stasera andremo a
mangiare le pesche ad Adua", disse Compiano per incitare al
combattimento i soldati. Anche qui però trovano orde di abissini e di loro
non ne sopravviveranno che 40 . Gli altri bersaglieri del Colonnello
Stevani si difesero fino allo stremo. Gli ufficiali che non morirono in
combattimento pur di non darsi prigionieri preferirono il
suicidio. La riserva della brigata Ellena viene impiegata in tutte
le direzioni per turare le falle dello schieramento. Il III indigeni
(Galliano) dalla fascia cremisi, quello di Makalle, inviato sul
Monte Raiò viene ben presto circondato. Sono le 10 di mattina.
Muoiono tutti i comandanti di compagnia e metà degli altri ufficiali.
Giuseppe Galliano
Solo il Leone o Ambasah come lo chiama il Negus resiste ancora. Così
Galliano si rivolge agli
ufficiali superstiti
" Signori, si dispongano con la loro gente e
vedano di finir (morir)
bene". Alle 15 del pomeriggio del 1 marzo il
silenzio scende sul campo di battaglia.
In
verità un gruppo di Alpini ritiratosi verso la vetta di una montagna
resisterà ancora un giorno, ma nessuno sopravvive. Nemmeno il negus è
ancora convinto della vittoria. Dirà a Salsa "Mi
fa piacere che tutti i miei amici italiani siano fuori pericolo. Ma se
la mia cavalleria quel giorno fosse stata disponibile, neppure lei (e lo
indicava con il dito) avrebbe potuto scampare". E’ infatti accertato
che le truppe speciali del Negus, al principio della battaglia, si erano
avviate ad Abba Garima, perchè Menelik non credeva ad una vittoria
completa e si preparava alla ritirata.
Si aspetta infatti un colpo di coda da parte
degli italiani che non arriverà ora. Non pensa all'inseguimento, ne a varcare la linea di
confine dell'Eritrea. La situazione rifornimenti in effetti, dopo 5 mesi
nella zona, si è fatta critica e i vari eserciti dei Ras contano di
ritornare ai loro territori per sfamarsi e "leccarsi" le ferite. Tutto quello che si poteva incettare era
stato preso. Il 3 marzo Baratieri ritiratosi per
vie interne riesce di nuovo a comunicare coi superstiti. Mancano
all'appello 262 ufficiali, 4000 italiani (ufficiali compresi), 2900 ascari e oltre 2000
prigionieri. Il numero dei caduti supera quello di tutte le guerre del
Risorgimento messe assieme. Le perdite del negus Menelik si stimano fra morti e feriti a oltre
25.000.
Il
Fair play di Makonnen non è comune a tutti i Ras. Le vendette nei confronti degli
Eritrei e di tutti i soldati di colore che servono in campo italiano
sono impressionanti. Si rivolgono anche verso parte degli italiani con
mutilazioni e amputazioni di ogni genere.
Tutti gli italiani morti, i
prigionieri ascari ed alcuni prigionieri italiani furono evirati o
mutilati, in base ad un'usanza comune agli abissini del sud. " […]Le
vittime venivano trascinate davanti al carnefice, il quale stretto il
braccio destro del condannato, conficcava nelle carni un affilato
coltellaccio, girandolo intorno all'articolazione del polso fino a
recidergli i legamenti, quindi piegava e torceva fino a staccare la mano
spruzzante di sangue. La vittima cadeva dal dolore, ma gli veniva posto
il piede sinistro sul ceppo dove il carnefice vibrava a due mani il
grosso sciabolone ricurvo. La vittima veniva poi condotta ad immergere i
moncherini in dei recipienti di grasso fuso bollente". I 1.900
prigionieri italiani furono divisi tra le tribù. Molti morirono per le
ferite, le sevizie e la marcia da Adua a Socota, di 900 km e che durò 3
mesi.
Gli
altri rimasero prigionieri fino al marzo del 1897 quando furono
raggiunti gli accordi di pace. I combattenti al rientro sbarcarono a
Napoli, nella più completa indifferenza e con l’obbligo di tenersi
lontano dai giornalisti e di non parlare con nessuno della battaglia di
Adua. Furono anche sottoposti a duri interrogatori, e privati del soldo
annuale, sulla base di un R.D. del giugno ‘896 che prevedeva che a tutti
i prigionieri italiani non spettasse alcun assegno.
(a fianco) Asmara giugno1896: il tecnico
d'ortopedia Cav.
Ernesto Invernizzi prova una protesi su un arto amputato ad un'ascari.
A
destra un'ascari ha già indossato la protesi e presto l'avranno
in molti.
Ras
Mengesha was triumphant when the Emperor conceded to him the right to
decide and execute whatever punishment he saw fit upon all the Eritrean
Askari troops held prisoner at Adowa. Ras Mengesha Yohannis then ordered
and carried out a punishment that would be remembered in Eritrea for
generations to come. Some have said it was his vengeance on the
Eritreans for costing him the Imperial Throne by resisting and fighting
against his rule, prefering colonization by the Italians. He ordered
that the right hand and left foot of every male Eritrean prisoner be cut
off. It did nothing to engender warmth between the people of Eritrea and
Tigrai or the rest of Ethiopia. Many of these men died, the rest were
crippled for life and returned to live pitifully in the Italian colony.
Although some Ethiopian nobles may have been unhappy at this brutal
punishment, many also thought it was appropriate. What Menelik II
thought about it is unknown. The Italian authorities made some attempt
at providing artificial limbs, but, for the most part, these men did not
recieve much help from the colonial government.
TRA I NOSTRI SOLDATI FERITI E
PRIGIONIERI DEGLI SCIOANI
Massaua, 20 aprile 1896 - IL MAGGIORE SALSA, inviato dal generale
Baldissera a visitare i nostri soldati prigionieri nel campo scioano, è stato ricevuto da Menelik. Prima di essere introdotto, fu
invitato a deporre le armi e un servo lo perquisì. Il tenente Roversi,
che accompagnava il Salsa, aveva in tasca uno di quei coltelli che
servono a stappare le bottiglie e ad aprire le scatole di conserve
alimentari, e gli fu sequestrato. Il Negus ricevette il Salsa nella sua
tenda, circondato da tutti i ras. Si complimentò con il maggiore che si
era salvato ad Adua, poi domandò se anche il capitano Anghera fosse
salvo. Saputo che sì, aggiunse: «Mi fa piacere che tutti i miei amici
siano fuori di pericolo. Ma se la mia cavalleria quel giorno fosse stata
disponibile, neppure lei (e indicava Salsa con il dito) avrebbe potuto
scampare». E’ infatti accertato che le truppe speciali del Negus, al
principio della battaglia, si erano avviate ad Abba Garima, perchè
Menelik non credeva ad una vittoria completa e si preparava alla
ritirata. I nostri feriti fanno pena. Salsa trovò il tenente Vece nudo e
addolorato da un attacco artritico: lo ha condotto sotto una tenda, dove
lo ha rivestito e rifocillato. Alcuni prigionieri sono però in buon
ordine e con il morale alto. Per esempio, i nostri inviati ne hanno
incontrati una cinquantina guidati da un ufficiale: erano reduci
dall’acqua, dove avevano lavato i loro effetti personali. Il maggiore,
senza fermarsi perché non gli era consentito, li salutò e chiese loro se
potesse essere utile in qualche modo. L’ufficiale rispose al saluto, poi
si portò davanti ai suoi e gridò: «Viva l’Italia!», subito imitato dai
soldati. Per qualche istante Salsa poté parlare con il colonnello Nava,
ferito due o tre volte di sciabola alla testa: calmo e rassegnato, Nava
disse di essere ben trattato e di non avere bisogno di nulla. Il
generale Albertone è invece guardato a vista perché temono che voglia
suicidarsi. Un senso di grandissima pena destano gli Ascari, tutti
amputati della mano destra e del piede sinistro. Il Negus li ha tenuti
per tre giorni quasi liberi, poi ha dato l’ordine della mutilazione,
accompagnato con quello della pena di morte per chi li avesse curati.
Molti sono morti per emorragia o per cancrena: - quelli che si sono
salvati, appena 300, Io devono alle donne che di notte li hanno
assistiti.
.
LE
PROPOSTE DEL NEGUS PER LA PACE
1° il Trattato di Uccialli fra l’Italia e l’Etiopia è completamente
abrogato. Il nuovo trattato si farà con queste basi: come è costume fra
le potenze d’Europa, gli articoli del trattato saranno definiti di pieno
accordo fra i due plenipotenziari nominati da S. M. il re d’italia e S.
M. l’imperatore d’Etiopia.
2° La frontiera tra Etiopia e Colonia Eritrea è segnata dal
Mareb-BelesaMuna confine fra l’Agamè e l‘Okulè-Kusai.
3° Appena firmato quest’atto si farà lo sgombero del forte di Adigrat.
Dopo, i soldati italiani, meno quelli necessari per la colonia,
ritorneranno in patria, e quelli dell’imperatore, ad eccezione di quelli
del capo nominato in Tigrè, torneranno al loro paese.
4° I soldati di S. M. il re d’Italia e quelli di S. M. l’imperatore
d’Etiopia non possono sotto alcun pretesto entrare nel territorio
dell’altro stato senza autorizzazione del capo da cui il territorio
dipende.
5° Quest’atto deve rimanere segreto nelle mani delle loro maestà
l’imperatore d’Etiopia e il re d’Italia e non verrà comunicato alle
altre potenze se non quando sarà terminato il trattato definitivo.
Menelik chiede infine che la restituzione dei prigionieri tra le due
parti venga differita a trattato concluso.
.
LA
SITUAZIONE IN AFRICA
Le forze (italiane) concentrate nell’altipiano si possono calcolare fra
i 15 e i 16 mila uomini. La brigata Valles è fra Saati, Archico e
l’Asmara, le truppe della colonna Stevani sono scaglionate tra Cheren e
Cassala. Il forte di Cassala ormai ha la funzione di un posto avanzato
che impedisce le sorprese da parte dei dervisci. Sulla questione di
Adigrat si deve ritenere che per ora essa rappresenti un obbiettivo
secondario che il governo non perde tuttavia di vista per ogni migliore
possibile soluzione. Circa le intenzioni dei ras rimasti nei pressi di
Adigrat si deve ritenere che essi siano informati del concentramento
delle nostre forze: non è probabile quindi che si lascino sorprendere.
Data questa situazione e date le difficoltà logistiche e la siccità, non
è opera patriottica, scrive “L ‘Esercito”, creare nuove aspettative che
hanno poche probabilità di essere soddisfatte. La calma del generale
Baldissera ci rende convinti che non si lascerà sopraffare da
impressioni e giudizi che non partano dalla sua profonda convinzione e
da un calcolo oculato.
Gli ostaggi rimasti vengono alla fine
scambiati dopo che hanno prestato servizio svolgendo i più umili, disparati ed apprezzati mestieri presso gli alti notabili abissini.
I 2
neo costituiti Reggimenti Bersaglieri con l'intero corpo
d'Africa, agli ordini del Generale Antonio Baldissera sostituto di
Baratieri gia incaricato a Febbraio, marciano per
togliere prima l'assedio a Kassala poi al forte
di Adigrat. Qui da
tre mesi è rinchiuso il Maggiore dei Bersaglieri Marcello Prestinari. Il maggiore Salsa viene inviato oltre le linee a negoziare col Negus.
Il 19
dicembre 1897 Kassala veniva restituita agli inglesi del Col. Pearson. Il 26 ottobre 1896 viene firmata la pace.
In Etiopia il potere passa in diverse mani per finire alla figlia
dell'imperatrice Taitù, Zaiditù. Alla sua morte Tafari Maconnen figlio
del ras dell'Harrar viene incoronato Negus Neghesti (re dei re) col nome
di Hailè Selassiè, ma questa è già un'altra storia.
Dovevate morire
http://www.secondorisorgimento.it/rivista/dibattito/adua.htm
http://www.warfare.it/storie/adua.html
Piano della battaglia
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