Francesco Crispi

Rose Montmasson

Ribera (Ag) 1818 - Napoli 1901

Figlio di Tommaso, commerciante di grano di origine albanese (Arbëreshë), e di Giuseppa Genova, compì i suoi studi tra il 1828 e il 1835 al Seminario greco-albanese poi alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Palermo dove nel 1843 si laureò. Fu nel 1837 che conobbe Rosa D'Angelo, una popolana che sposò all'insaputa e contro la volontà dei propri genitori e dalla quale ebbe due figli, morti come la loro madre nel 1839. Allo scoppio della rivoluzione lasciò il suo studio d'avvocato a Napoli (già faceva parte di cospiratori antiborbonici) e tornò in Sicilia per occuparsi dell'esercito rivoluzionario della costituenda repubblica siciliana (1848/49). A metà maggio del '49 l'esperimento fallisce per la presa di Palermo da parte del Gen. Filangeri e Crispi è quindi costretto all'esilio a Torino. Il suo republicanesimo continuava e metteva in serio imbarazzo i governi piemontesi che lo vedevano anche qui cospiratore. Dopo il moto mazziniano di Milano del 1853 fu tra gli espulsi dal Regno per non creare problemi con gli austriaci (rapporti già tesi). Si rifugiò a Malta, dove fondò un nuovo giornale "La Valigia" e dove sposò Rose Montmasson che lo aveva seguito. Chi era Rose Montmasson?

Rose Montmasson, detta poi Rosalia dai siciliani, nasce il 12 gennaio 1825 a Saint Jorioz, nella Savoia. E’ figlia di gente umile, lavandaia e stiratrice che va di casa in casa, dalla mattina alla sera, offrendosi alle signore borghesi. Rose frequenta posti non propriamente adatti al mondo femminile, ma qui ha occasione d'incontrare Crispi che tiene spesso banco in accalorate discussioni e in infiammate corrispondenze con Mazzini e Cattaneo (Allora non c’era altro mezzo per contattare e comunicare con la gente. Si passava metà giornata a leggere e scrivere di rivoluzione e per farle non c’era più tempo). Lei, Rose, resta incantata dal suo ardore patriottico e dall’utopia di società in cui lui crede e per la quale si batte, senza tirarsi indietro davanti a nulla. Francesco e Rose quindi si sposano (un matrimonio frettoloso, celebrato da un prete sospeso “a divinis” con le conseguenze che verranno anni dopo). Gli anni che seguono sono anni di fughe e di cospirazioni; Rose è ormai votata anima e corpo alla causa dell’unità italiana, della repubblica, dell’uguaglianza. Nel 1858 ripara con Francesco a Parigi (il Governatore inglese li ha espulsi da Malta perché lui ha attaccato sul suo giornale oltre ai Borboni anche il clero maltese), poi, dopo l’accusa di complicità nell’attentato di Orsini a Napoleone III, via anche da Parigi. 
Clandestino nel 1859 nel "Regno delle due Sicilie" prepara il terreno per una rivoluzione il cui attore principale sarà Garibaldi e non il Mazzini inconcludente.
Rose nella spedizione dei mille vestirà spesso da uomo e curerà i feriti e alla bisogna sparerà. La storia poi ci dice che l’unità d’Italia sarà fatta e Crispi ne diventa un personaggio di rilievo con i suoi obblighi sociali e con l’esposizione mediatica. Nel 1861 si candidò per l'estrema sinistra alla Camera dei Deputati nel Collegio di Palermo, ma venne battuto. Comunque grazie a un caro amico siciliano, il repubblicano Vincenzo Favara, aveva presentato la sua candidatura nel Collegio di Castelvetrano dove pur essendo sconosciuto ai più, risultò vincitore grazie alla campagna propagandistica svolta dal suo "grande elettore", che organizzò anche una raccolta fondi per consentire al neo-deputato, all'epoca in gravi ristrettezze economiche, di recarsi a Torino per l'inaugurazione del Parlamento. Quando la capitale d’Italia si trasferisce a Firenze Rosalia ha già 40 anni e la sua figura, la sua educazione non è certo quella che circola in "società" e nei salotti buoni del regno. Lui adesso ha abbandonato i repubblicani (" La monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe" soleva dire) per i monarchici, lei invece è rimasta fedele ai vecchi ideali. Lui sa (o sogna) di avere un grande avvenire politico, aspira perfino alla presidenza del Consiglio quando toccherà alla sinistra di governare. I Crispi a Firenze vissero prima a casa di Jessie White Mario che lo fece abitare in una casa di Bellosguardo, poi si costruirono una casa loro vicina a quella che ora è la Stazione di S. Maria Novella. Vi si trasferì con Rose nel ’67 quando i rapporti non erano più gli stessi. Più di una volta Crispi disse di averla sorpresa ubriaca e i litigi divennero frequenti. I Crispi lasciarono Firenze ed il palazzo di Via della Scala poco dopo Porta Pia, e l’ascesa di Francesco divenne davvero inarrestabile.

La crisi economica, interna ed esterna al paese, ne facilitava l'alternanza fra destra storica e sinistra garibaldina o mazziniana (sempre storica). Si dice che la nuova fiamma di Francesco (ora 54enne) era stata incontrata per caso. Lina Barbagallo aveva accompagnato il padre nella prima capitale d’Italia, per scongiurare la sua epurazione dal posto di procuratore del Re a Palermo, ma questi fatti sarebbero accaduti troppo tempo prima per darli ancora per contingenti. Lina era comunque più bella e più giovane di Rose e Francesco ne colse il sorriso, scorgendola dietro il padre implorante per chissà quale altra causa (una delle prime raccomandazioni storiche). Dalla nuova relazione nasce una figlia, Giuseppina, che qualcuno dice anche non essere sua. La piccola ha cinque anni quando, - dopo avere spulciato il diritto ecclesiastico e quello maltese per trovare l’aggancio che gli consenta di dimostrare che il matrimonio di Malta è nei fatti nullo - la sposa. Mentre entrava furtivamente in comune un “nemico” insospettito da quella segreta cerimonia diramò la notizia. Era il 1878 e fù scandalo: Francesco Crispi viene accusato di bigamia e dovrà difendersi in tribunale con imbarazzanti domande a cui come tutti i politici non sa rispondere o se risponde non sa e non ricorda. Famosa la campagna di stampa de "Il Piccolo", il quotidiano più accanito nei suoi confronti, che andò avanti mesi a chiedergli di rispondere pubblicamente a sei domande sulle colonne. I giornali rivendicavano il diritto di intervenire sulla questione sottolineandone la valenza pubblica. Crispi replicava che erano fatti privati e a quelle sei domande non rispose. Lo scandalo coinvolse anche la regina Margherita, la quale si rifiutava di stringere la mano al ministro Crispi nelle cerimonie (circolava copia fotografica dell'atto di matrimonio celebrato a Malta ma nulla ancora si sapeva del ministro che l'aveva celebrato). L’ostracismo politico e religioso durò tuttavia ben poco. Nell'agosto del 1887 giunse infine la sua ora. Da ministro dell'interno dell'ultimo governo Depretis aveva già avuto modo di sottolineare la necessità di nuove normative nelle amministrazioni comunali e provinciali, pubblica sicurezza, penitenziari, emigrazione etc. Il primo rovescio africano a Dogali ne facilita l'elezione dopo diverse stagioni di governi deboli e succubi.

Si mette all'opera per sveltire l'amministrazione centrale e rafforzare il potere esecutivo come disse  "Le leggi da noi ... deliberate furono tutte leggi di libertà. Noi abbiamo assicurato l'autonomia al Comune e alla Provincia; dato ai magistrati elettivi l'amministrazione degli interessi locali; limitati i prefetti alle funzioni di governo; istituita la giustizia nell'amministrazione, contro gli abusi del potere esecutivo; posti vincoli alle spese ...affinché non avvengano dilapidazioni. E' nostra l'abolizione della pena di morte......devesi a noi la nuova legislazione......per gli inabili al lavoro.....abbiamo curato la diffusione della nostra lingua all'estero affinché i figli dei nostri concittadini abbiano sempre presente la patria lontana ".

La grave crisi economica creata dal liberismo negli scambi, non ha ancora permesso la nascita di adeguate strutture industriali nei grandi settori dei beni strumentali, dei cantieri e delle ferrovie. Gli accordi di nazione preferita con la Francia  continuano a danneggiarci e quando questa ci subentra a Tunisi (1881) nell'accordo commerciale del '68 a nostro favore, Crispi non esita ad aprire una guerra doganale per indirizzare altrove le vie commerciali e finanziarie del paese. Da cinque anni l'Italia ha firmato un patto militare con Austria e Germania senza dar corso ad accordi commerciali conseguenti. Fra le mete dei suoi primi viaggi c'e la cancelleria tedesca, che per Crispi rappresenta il termine di paragone dell'unificazione morale dopo quella materiale. Rimasto marginalmente coinvolto negli scandali bancari, vede il suo più acceso avversario, Giolitti uscire temporaneamente dalla scena politica. Nel dicembre 1893 riassume l'incarico di primo ministro mentre il paese è per l'ennesima volta scosso da disordini sociali. Due grosse insurrezioni armate sono scoppiate in Sicilia e in Lunigiana. Un provvedimento antianarchico, varato all'indomani di un attentato alla sua vita, si trasforma ben presto in uno strumento per colpire le leghe e i partiti della sinistra. Se a questo si aggiunge, la revisione delle liste elettorali si comprende il perché delle accuse di reazionario che gli piovono addosso dai radicali, ed in particolare da Felice Cavallotti che presenta un dossier a suo carico nell'estate del 1895. La discussione rimandata di 6 mesi, andrà a cadere a guerra iniziata e dopo aver subito i primi rovesci. I tentennamenti di Oreste Baratieri, nonostante i rinforzi inviati, lo inducono a nominare Antonio Baldissera  ( 21 febbraio 1896) come nuovo governatore. La nomina resta però segreta, mentre i suoi continui telegrammi, buon ultimo quello "...questa guerra è una tisi" inducono lo stato maggiore della colonia ad attaccare battaglia. La notizia della sconfitta di Adua, data nella notte del 2 marzo, provoca una generale sollevazione in tutte le città. I socialisti stamparono anche un'ode a Menelik !!. Il 5 marzo senza neanche affrontare un dibattito parlamentare Crispi viene invitato dal Re a dimettersi. L'involuzione della sua linea politica e la ricerca spasmodica di nuove terre, (al mercato libero non ne esistevano più), per la massa di emigranti fini per renderlo responsabile di una sconfitta che sul piano militare è tutta di Baratieri.  http://www.polyarchy.org/basta/documenti/gramsci.crispi.html  (sempre che Baratieri l'abbia nominato un altro)

A Rose era quindi stato detto che quel matrimonio valeva ben poco, privo di firme e senza pubblicazioni e così fu. Venne pregata di rendersi conto che insistendo avrebbe finito per danneggiare la carriera di Francesco. Rosalia venne pagata, ed accettò quel denaro solo per allontanare la fame. Non le restò altro. Rosalia Montmasson venne ancora vista nelle strade di Roma, e chi volle continuare a frequentarla smise presto. La dissero imbruttita dagli anni ed anche volgare, quando nella povertà della borsa e forse ormai anche della mente si aggirava con la croce di diamanti che i reduci dei Mille le avevano regalato dopo una colletta in tutta Italia. Ma i vecchi patrioti abbassavano lo sguardo provando vergogna. Riferisce Sergio Romano che un giorno, in Via Nazionale, un vecchio garibaldino la riconobbe, e piangendo l’abbracciò. Accorse gente. Era uno dei feriti che Rosalia aveva soccorso a Calatafimi bendandolo con la propria camicia. Muore in povertà nel 1904, e viene seppellita in un loculo messo a disposizione gratuitamente dal Verano dove ancora riposa. Di lei si sa poco e pochissimo si è cercato di sapere. Nei libri di storia, la piccola lavandaia che fece l’Italia non è quasi neppure citata.

Da Nudo di Donna 13 marzo Ugo Magnanti
Torino, 21 giugno 1860.
Mia Rose-Rosalia, mia Signora, perdonate le parole di rabbia che vi scrissi, per aver Voi disobbedito al mio ordine di restarvene a Quarto. Sapervi imbarcata sul Piemonte, fra tanti giovani uomini, con le vostre carni di femmina così raramente dissimulabili, quantunque in quel frangente protette da una divisa, mi fece montare il sangue alla testa.
E non solo (Lui era del 1818 e lei del 1826 rispettivamente 42 e 34 anni non proprio due piccioncini). Del resto, Voi siete sempre stata per me delizia e tormento!
E proprio per questo, di qui in avanti, risponderò a Voi e alle vostre parole, cercando quanto più potrò, ma so già che non potrò, come credo fin d’ora possiate ben vedere, di celarvi i desideri più reconditi che mi tengono la mente, da quando mi sono allontanato dalle vostre braccia, anzi, da quando Voi avete lasciato le mie, rimaste ciò nonostante le stesse del nostro idillio maltese: ricordate?
Cercherò di celare i mie desideri, non già per la premura di non violarvi nella pudicizia, che so essere per Voi un pregio alquanto confutabile, considerato il sangue ardente che vi scorre nelle vene, e la schiettezza con cui amate parlare della fragile natura umana, bensì poiché tali desideri, quanto così palesemente affioranti, non vi paiano quelli di un satiro concupiscente, a cui la visione sospirata della vostra nudità abbia strozzato le parole sul nascere, ma invece li stimiate come soltanto quelli di un amante, che vi è simile nell’ardore e nella passione, ma finanche nel modo di nutrire con i sentimenti più puri, con le parole più lievi, ogni amplesso creato, come voi dite, e non dite, dalle nostre umane braccia.
È la stessa premura, la stessa fedeltà, la stessa pulsione che riserveremo alla Patria nascente, alla Patria dalle belle forme e dalla tunica lunga, aperta sul petto, e al cielo e al vento consacrata. Sospirare per un abbraccio, cospirare, insorgere per il Paese, ecco la nostra ventura, che sarà persino quella di sciogliere tra le candide lenzuola i nostri dissidi fra monarchia e repubblica, fra moralità pubblica e uso privato del potere. Oh Dio, mia Rose-Rosalia, quanta gran smania di rivedervi al più presto! E quanto tangibile raggio di speranza!
Evviva le tue mani di lavandaia e stiratrice, evviva le tue mani d’infermiera, a Calatafimi, Alcamo e Salemi, evviva le tue mani che infuocano i miei sensi; evviva l’Italia!. Il tuo giovane rivoluzionario Francesco

 

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