IL VENTENNIO FASCISTA (riassunto)
Nella seconda metà degli anni '20, quando in Germania il nazismo era ancora una forza marginale, in Italia lo Stato totalitario era già una realtà consolidata nelle sue strutture giuridiche (il partito unico, la milizia, i sindacati di regime, ecc.) e ben riconoscibile nelle sue manifestazioni esteriori: le adunate di cittadini in uniforme, le campagne propagandistiche orchestrate dall'autorità, l'amplificazione dell'immagine e della parola del capo, oggetto di un vero e proprio culto.
La caratteristica essenziale del regime fascista era la sovrapposizione di
due strutture e di due gerarchie parallele: quella dello Stato, che aveva
conservato l'impalcatura esterna del vecchio stato monarchico, e quella del partito
con le sue numerose ramificazioni. Il punto di congiunzione fra le due strutture
era rappresentato dal Gran consiglio del fascismo, organo di partito
investito anche di importantissime funzioni costituzionali. Al di sopra di tutti
si esercitava incontrastato il potere di Mussolini, che riuniva in sé la
qualifica di capo del governo e quella di duce del fascismo.
Contrariamente a quanto sarebbe accaduto in altri regimi totalitari, nel
fascismo italiano l'apparato dello stato ebbe fin dall'inizio, per esplicita
scelta di Mussolini, una netta preponderanza sulla macchina del partito. Per
trasmettere la sua volontà dal centro alla periferia, per esempio, Mussolini si
servì del tradizionale strumento dei prefetti assai più che degli
organi locali del Pnf. A controllare l'ordine pubblico e a reprimere il dissenso
con la forza provvedeva la polizia di Stato, mentre la Milizia era
confinata a una funzione poco più che decorativa di corpo
"ausiliario", senza nessun paragone con quello che sarebbe stato il
ruolo svolto in Germania prima dalle SA e poi dalle SS.