Vi narreremo ora di una terra lontana chiamata Azingot, un
posto dimenticato dagli uomini, dove la notte si corica tardissimo, tanto che il tramonto
è lungo quanto un pomeriggio, e l'alba è così prossima al tramonto, che ogni giorno
appare come un miracolo senza fine. Azingot è
un luogo da cui nessuno ha mai fatto ritorno, se pur vi abbia messo mai piede, Ma questo
non conta, perché non è di uomini che intendiamo narrarvi, ma di cavalli.
Figuratevi praterie così vaste che l'occhio vi si confonda
in un orizzonte inimmaginabile, boschi così folti e montagne così alte che vi sembri
lecito scorgervi la mano di un creatore tanto distratto da non aver tenuto conto di quanto
fosse abbondante l'arte che vi aveva profuso... solo così ne avrete un'idea.
In quel luogo tanto vasto vivevano due cavalli, soli. In
realtà non sapevano di essere in due. Credevano di essere uno l'immagine dell'altro, o
meglio, ritenevano di assomigliarsi così tanto che fosse superfluo concepire di essere in
due. L'uno si chiamava MicroLord, l'altro WhiteSir. Il primo malgrado si fosse accorto di
come le sue zampe, il suo dorso e la sua coda fossero bruni, riteneva in tutto e per tutto
di essere chiaro come il mattino e come il buon amico nel quale specchiava ogni giorno la
sua serena esistenza. Inutile dire che anche WhiteSir riteneva, riguardo alle sue zampe,
al suo dorso ed alla sua coda, che fossero scuri come l'ombra, e che apparissero chiari a
lui soltanto, per qualche taciuto incantesimo.
Ma tutto ciò era superfluo. Come le parole per i cavalli e
gli animali tutti. E per quelli che si comprendono al volo.
Nel buon quotidiano di ogni giorno il riposo, l'esercizio
fisico avevano la loro consistente ragione di essere...
Trascorrevano l'estate a correre su e giù per le sconfinate
praterie. Si abbeveravano alle fresche sorgenti dei boschi più folti ed amavano
contemplare il sorgere del sole sopra lo scintillio delle creste montane. Così per giorni
e giorni. Così per notti e notti.
Poi accadde un fatto imprevedibile, Cioè, qualcosa che mai
avevano lontanamente supposto, potesse accadere. Videro un altro cavallo.
Capirono immediatamente che era un altro cavallo. Apparve dal
nulla e non era né nero né bianco. Veniva da lontano.
Per quale motivo fosse giunto sin lì, non lo ricordava
nemmeno lui. Tanti mesi erano trascorsi dacché si era risolto a mettersi in cammino.
Aveva scordato quasi di esistere ormai, non fosse altro per gli zoccoli che di tanto in
tanto gli dolevano per la fatica del suo vagabondare.
I due lo osservarono meglio. Era come loro. Ed era diverso.
Si moveva come se... danzasse, ecco sì, danzasse. Anche se mai avevano visto danzare
capirono che doveva essere "danzare" saper volare come gli uccelli del mattino
senza staccarsi da terra.
Alla meraviglia si sostituì lo stupore, allo stupore
subentrò l'incertezza, all'incertezza seguì un sentimento nuovo, la paura, che li
immobilizzò.
Venne avanti lo sconosciuto, gettando loro un occhiata
distratta. Passò oltre scuotendo il muso, come fossero dettagli insignificanti del suo
cammino senza fine. Ma fatti pochi passi, si arrestò. Si voltò e si mise ad osservarli,
prima l'uno e poi l'altro. Scoppiò in un nitrito che ricordava il fragore di una risata.
Si accorse che erano cavalli.
Immobili come sassi, si erano limitati a seguirlo con lo
sguardo, voltando appena il muso. Annuì, come annuisse a se stesso. Troppe erano le
miglia che aveva percorso in solitudine e pensando che: chi si sottomette al giogo della
solitudine volontaria, troppo o troppo poco conosce, se ne va, alla deriva, cercando il
paradiso perduto della propria innocenza.
ElConte, giunto nel bel mezzo delle terre di Azingot,
comprese in un lampo che non avrebbe più potuto tornare indietro, né andare oltre.
Sarebbe rimasto.
Non fu semplice superare la diffidenza dei due nuovi
compagni.
MicroLord, il più curioso, aveva preso a seguirlo passo
passo ed a imitare quasi per gioco ogni sua elegante ed aggraziata movenza, con una sorta
di diligenza che rammentava quella dell'allievo che segue il maestro.
WhiteSir invece restava discosto osservando vigile. Poi come
se detestasse l'idea che l'altro, seppur per gioco, permettesse di poter imprigionare la
propria natura selvatica, si lanciava lontano in un galoppo furioso ed indomito.
Ma ben presto i giganti delle sue resistenze si fecero
piccoli come gli gnomi e si sottomise al tesoro e alla maledizione che lo straniero si era
trascinato appresso: il tarlo della conoscenza di sé.
Si scoprì abile. Ben più abile del compagno la cui indole
si apprestava ad evidenziarsi tanto diversa dalla sua. In pochi mesi subì la metamorfosi:
il fuoco della ribellione che lo dominava aveva assunto i contorni di una volontà di
ferro attraverso cui aveva addomesticato la sua anima.
Un giorno mentre tutti e tre galoppavano percorrendo lo
stretto sentiero che attraversa il bosco, una lepre tagliò improvvisamente il cammino al
signore di MicroLord che veniva per ultimo. Inutile risultò lo scarto a sinistra, poiché
ben più importante gli si parò davanti un grosso tronco abbattuto da un fulmine. Fu
questione di un attimo e già il pensiero lo aveva portato al di là dell'ostacolo con un
balzo possente.
Da quel giorno, per gioco, ogni qualvolta trovava sul suo
cammino un impedimento, MicroLord saltava.
E divenne tanto abile da potersi librare nell'aria con lo
stesso vigore di un aquila reale che spicca il volo.
Se mai qualcuno sia tornato da Azingot, se mai vi abbia messo
piede, se mai sia esistito, Azingot, se mai qualcuno lo abbia immaginato prestando
orecchio alle soffici cantilene dei sogni e se ne sia rammentato appena desto, ha narrato
di tre cavalli che srotolano le loro esistenze in una terra clemente e lieta oltre la
gabbia del mondo: i signori di Azingot. |