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S I S M A
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Benvenuti nel mio sito Web!LILOIA EMIO - VIALE XXIII NOVEMBRE 1980 - 84020 CASTELNUOVO DI CONZA - SALERNO - ITALIA E-MAIL: LILOIA.EMIDIO@LIBERO.IT C E N N I S T O R I C I
I L C O M U N E D
I C A S T E L N U O V O D I C O N Z A Il sisma del 1980 ha purtroppo cancellato quasi del tutto il pittoresco borgo medioevale arroccato sul promontorio e il nuovo abitato è stato ricostruito in una zona distante. Del primitivo abitato restano le rovine e una cinquecentesca Croce in pietra. La visita a Castelnuovo di Conza è in ogni caso una felice occasione per trascorrere un soggiorno in una delle più suggestive zone dell’Appennino Campano, dove la natura si presenta ancora del tutto incontaminata. L’economia del territorio, montuoso, è interamente basato sull’allevamento e l’agricoltura. Vi si produce un ottimo olio di oliva, vino, insaccati e formaggi. E’ un paese con numerosi emigranti sparsi nel mondo.
RISORSE AMBIENTALI · I boschi e i territori rimboschiti in località Temete, Cesina e località Fontaniello; · Bosco didattico in località “Aia delle Chianghe” realizzato con ingegneria naturalistica; · Parco eolico Castelnuovo di Conza, sita in località costa Cesina, azienda che si occupa di produzione di energia alternativa. Sito Web: www.parcoeolicocastelnuovo.it; SITI ARCHEOLOGICI · Località Cupone, sito non custodito ad accesso gratuito; · Località Torretta IV secolo a.c., sito non custodito ad accesso gratuito; · Località S. Ilarione, sito non custodito ad accesso gratuito;
FRANCO ARMINIO Ai tempi del terremoto li citavano sempre insieme: Laviano, Santomenna, Castelnuovo di Conza. Furono i paesi della provincia di Salerno più colpiti. Li ho visti in forma di macerie e adesso li rivedo completamente ricostruiti. Non sono qui per denunciare scandali, per catturare storie. Sono qui per stare all’aria aperta, perché al mio paese posso solo scrivere, perché nelle città non mi piace andare, perché quando c’è il sole è meglio andare in un paese che leggere un libro. E poi mi piace vedere tre paesi uno dopo l’altro, vedi le differenze: li infili come le perle di un rosario, scruti le mutazioni cromatiche e di postura, osservi la filigrana che è diversa per ognuno sotto la stessa carta stropicciata dell’epoca. Oggi mi sento come una massaia che raccoglie le erbe, un piccolo erbario di gesti: uno che getta un fazzoletto di carta dalla macchina, un uomo che mette il telefonino in mano a sua figlia che non avrà nemmeno due anni, uno che guarda le montagne e si mette le mani nei capelli. Questi sono paesi di collina con la montagna addosso e la valle ai piedi, qui c’è tanto paesaggio: boscoso, brullo, spigoloso, rotondo, dimesso, luminoso, oscuro, un paesaggio sprecato come deve sempre essere il paesaggio. Qui non è stato ancora messo in produzione, non ci sono cartelli turistici, non ci sono aziende agrituristiche. Dico subito la cosa che mi ha colpito di più: il canto degli uccelli, era da tanto che non sentivo tanti uccelli stando in un paese. E un’altra cosa che ho sentito sono stati i galli, tutto il tempo che sono stato a Laviano ho sentito tanti galli. Tre piccoli luoghi fatti di case nuove, con la gente che abita alla periferia. Immaginate una tovaglia, è come se tutto fosse apparecchiato nei lembi, il centro è vuoto. Forse è stato proprio questo vuoto del centro che mi ha avviato alle prime considerazioni paesologiche, ma qui a Castelnuovo è veramente clamoroso. Sto in piazza Umberto I, una piazza senza insegne e senza abitanti. Sarebbe bello stare in questa piazza con una donna, prendere insieme questo silenzio e questo sole. Io trovo questi posti estremamente romantici, credo che non ci siano luoghi migliori per amarsi. Salgo un po’ più su. Qualcuno ha sfondato le porte delle case vuote. Non riesco a crederci che in un posto così bello non ci siano abitanti. Ho visto situazioni simili tante volte, ma qui è davvero stupefacente. Penso che gli amministratori della Regione debbano una volta per sempre porre mano al problema dello squilibrio abitativo tra queste zone e quelle costiere. Non è possibile andare avanti così, con il forno della desolazione contrapposto a quello della calca. Nessun politico campano può illudersi di apparire illuminato se non pone rimedio a questo criminale uso del territorio. Vedo case ricostruite pure con un certo gusto, i colori degli infissi e degli intonaci ben curati, un lavoro ben fatto, ma il risultato è che la gente si è messa dove il paese è meno ripido e hanno fatto uno stadio in cui ci può stare il doppio della popolazione e stanno costruendo una chiesa che sembra una torta nuziale. Tutti vogliono la casa lontano dai vicoli, dove passa la strada, dove non ci sono vie anginose, dove non ci sono scale, dove il paese è slogato, sciolto e non ci sono altre case vicine. Il tetto come teca cranica, questo è il neuro abitare, dove ogni casa è un mondo. Due curve tra cespugli, peri selvatici, ulivi, e sono a Santomenna. Qui la ricostruzione sembra sia stata realizzata da un’altra mano, il tessuto urbano è più compatto, ma il vuoto regna sovrano. Veloce osservazione del paese da sotto, dal filo della strada dove faccio in tempo a notare che uno che sta qui, ma ha vissuto molti anni in Argentina, è più tonico di un paio di giovanotti che contemplano la loro noia. Vado a Laviano. Qui vari stili architettonici: Austria, condominio turco, Guatemala. Ma oggi il sole mi aiuta a non disperarmi, è la prima volta che guardo questo paese con il sole e questo mi fa ammirare la bellezza del paesaggio, la bellezza del paesaggio assorbe la bruttezza del paese, la riduce. C’è tanta montagna. Alle spalle c’è la Lucania e forse sarebbe stato meglio se questi paesi fossero in Lucania, la Campania non è una Regione e non a caso nel quarantasei ne volevano fare due. Nessuno quando va al Nord dice che è campano. Fino a un certo punto si dice che si è di Napoli, poi non si sa bene che dire. Ognuno fa quello che deve fare. Quelli che passano in macchina hanno regolarmente una sigaretta in bocca. Più che di residenti io parlerei di rimanenti. Paesi di emigrazione. Si parla di tutto quando si parla della recente storia italiana, ma si parla assai poco di emigrazione. In certi paesi è l’unica cosa che è avvenuta, andare via era l’unico modo di mettersi in regola con la storia. Se ne andavano trecento persone all’anno, un vero e proprio esodo a cui non ha mai fatto seguito un controesodo. Adesso arriva d’estate un po’ di gente, si viene a consumare il rito del ritorno, si viene per l’aria buona, il buon mangiare, ma sembra che nessuno creda in questi luoghi, come se essere in pochi fosse una cosa di cui vergognarsi, una certificazione di fallimento. Io mi ostino a fare questi giri, mi ostino a cercare qualche linfa per una vita nuova in chi passa il tempo andando ai funerali degli altri in attesa del proprio. Riflessioni sparse. Un paese con una forma anche se è svuotato ti dà sempre un qualche ristoro. Questi tre sono vuoti e non hanno nulla di antico, in fondo sono stati costruiti negli ultimi vent’anni, si sente che le pietre, gli intonaci, gli infissi non sono stati tanto tempo sotto il sole o le intemperie, insomma un paese assai più giovane dei suoi abitanti è una cosa strana. Un paese giovane e vuoto è diverso da un paese antico e vuoto. Davanti al bar un gruppo di giovani parlano della Ferrari. Non ci penso neppure di chiedere loro qualcosa. Chiedo informazione ai vecchi. Se parli con i vecchi sembra che stai facendo un favore. Se parli coi giovani sembra che sono loro a farti un favore. Un anziano di una settantina d’anni mi dice che qui molti fanno i braccianti, si mettono nei pullman alle tre del mattino e vanno a lavorare nella piana del Sele. Nella mappa della flessibilità ci sono anche queste persone non ci sono solo i ragazzi dei telefoni e degli altri mestieri senza corpo. Non ho visto un cane, una pecora, una vacca. Continuo a sentire solo uccelli e canti di galli in lontananza, non sono a Laviano, sono nel sabato del villaggio leopardiano, ma è un sabato senza donzellette. Tre paesi neppure una donna. Ma preferisco la tristezza di essere qui alla tristezza di essere altrove. Stamattina possono bastare il sole e il fragile tesoro degli uccelli e dei galli che cantano. Il resto è silenzio e non mi va di romperlo neppure con una domanda. Oggi sento che la parola è infetta, poso sul paese solo qualche sguardo e vado via dopo aver provveduto al rifornimento come se fossi un ciclista solitario che pedala e pedala senza alcun traguardo. Con due euro panino e grande bottiglia d’acqua minerale, due euro da consumare al sole, costa poco stare in piedi, con due euro qui puoi stare in piedi un’intera giornata. Torno a Santomenna. Vedo un uomo sulla cinquantina che dorme nella sua macchina. Nascono da questa visione i versi che butto giù appena torno a casa. ELIO VENUTOLO
La leggenda E' d'uopo scrivere l'articolo dando prima spazio alla tradizione narrando in versione integrale la leggenda della Madonna della Petrara, senza omettere nessun dettaglio. In tempi remotissimi, che né la memoria né la storia possono ricordare, una donna vagava in compagnia di un bimbo, suo figlio, ed incontrò una contadina che sopraggiungeva con un asino. Essa era di Santomenna e la viandante le chiese: "M'vuoij ' da nu poc' d'farina p' fa nu p'zziddh' a 'sta bardascella?", ma la contadina le rifiutò quanto richiesto, perché se le avesse dato della farina del suo sacco sua suocera l'avrebbe severamente rimproverata, e così proseguì lungo il suo cammino. Di lì a poco sopraggiunse un'altra contadina che però era di Castelnuovo e la viandante col bambino le fece la stessa richiesta fatta poco prima alla contadina sanmennese, ma stavolta la farina non le fu rifiutata. Dopo molto tempo la contadina sanmennese incontrando quella castelnovese le chiese come mai non andasse più al mulino a macinare e la compagna rispose: '"Na cr'stiana cu nu criatur' m'avia c'rcat' nupuin' d'farina p' 'mbastà nu 'p'zziddh' a lu criatur' ca t'nia fam', da tann' a mò la farina inda lu sacc' nun è maij ' 'cchiù f'nuta". Ma appena rivelato il segreto la farina nel sacco ricominciò a terminare ed allora si comprese che la viandante incontrata tempo prima era la Madonna con il Bambino. Una notte alcune persone sognarono una bella donna la quale disse che dovevano recarsi presso la grotta della Petrara ed una volta lì avrebbero trovato qualcosa da portare in Chiesa. Al mattino alcune persone si recarono presso la grotta e lì trovarono in una nicchia una statua di pietra di una Madonna con braccio un bambino. Osservando la statua la identificarono con la viandante, ma al momento di trasportare la statua in Chiesa le persone presenti che erano alcune di Castelnuovo ed altre di Santomenna cominciarono a litigare su chi dovesse impadronirsi della statua. Alla fine si decise che la statua dovesse essere posta in una chiesa a Castelnuovo perché la grotta era nel nostro territorio però doveva avere il volto rivolto a Santomenna. Messisi d'accordo e trasportata in Chiesa la statua, così fecero però accadde un fatto strano:quando i popolani andarono in Chiesa il giorno successivo non ritrovarono più la statua e la cercarono in lungo ed in largo per poi ritrovarla nella grotta, allora la riportarono in Chiesa e la posizionarono allo stesso modo con le spalle rivolte a Castelnuovo. Una notte, però, la Madonna apparve in sogno ad un popolano e gli disse che voleva essere posta con le spalle a Santomenna ed il volto rivolto a Castelnuovo. Da allora rimase in quella posizione (intorno alla quale i castelnovesi costruirono una nicchia) fino al 23/11/1980. Deduzioni e simbologia: Dai fatti narrati ora dobbiamo trarre le nostre conclusioni.
La
Madonna come abbiamo letto e come tutti sappiamo era immortalata in una
statua. Questa statua era caratterizzata dalla figura principale della
Madonna, seduta su di un trono costruito dalla comunità castelnovese
dopo il ritrovamento, ed una figura secondaria che era "la bardascella".
La statua era di pietra, di piccole dimensioni rispetto ad altre
rappresentazioni di statue ad essa simili. Originariamente doveva essere
la statua di una dea, una Era eilitìa per la precisione, ovvero una
statua in pietra di una dea Greca molto importante, signora dell'Olimpo
e protettrice del matrimonio. Infatti, non è un primato della religione
cristiana realizzare una eìdolon (dal greco che significa
effige,immagine) con le fattezze della divinità anche se in verità la
rappresentazione iconografica delle divinità in età paleocristiana non
era diffusa perché Dio era considerato puro spirito e non poteva essere
rappresentato con delle immagini che erano legate alla materia che a sua
volta era connessa all'uomo e più in generale al peccato. Già gli
egiziani 4000 anni fa rappresentarono una figura simile alla Madonna
della Petrara: la dea Hathor, "la grande vacca", che allatta Horus
tenendolo in braccio. Poi si osserva la mano protesa in avanti nel cui
palmo è posto "lu cr'scend'", parola traducibile in italiano con il
gerundio "crescendo", cioè "che cresce" che indica una azione in
svolgimento. Questo elemento è stato identificato con il lievito, oppure
potrebbe essere inteso più correttamente come la pasta per fare il pane.
La mano della statua era protesa in avanti nell'atto di donare
quell'oggetto al fedele e simbolicamente possiamo assumere questo gesto
come il dono della grazia e proprio la figura del lievito, ingrediente
fondamentale per far crescere la pasta può essere visto come segno di
crescita spirituale, nel senso che la grazia ricevuta fa crescere la
fede nell'uomo. Ma a qual fine è stata concessa questa graziai
Considerando che si tratta di una "Madonna delle colture", assimilabile
ad una Cerere latina od una Demetra greca, entrambe dee dell'agricoltura
e della fertilità della terra, si invocava la Madonna evidentemente per
la buona riuscita dei raccolti, l'abbondanza, per evitare la moria del
bestiame ecc., tutte richieste quindi connesse alle necessità del mondo
contadino. Probabilmente essa venne portata in questo territorio da dei
monaci brasiliani, ordine monastico fondato da San Basilio in oriente
nelle terre possedute dall'impero bizantino.Questi monaci brasiliani
costruivano le proprie strutture templari sui templi pagani,oppure
installavano delle "laure" presso grotte e luoghi immersi nella natura
impervia, od ancora essi costruivano delle chiesette campestri sperdute
nella campagna e per le montagne. Questi monaci si diffusero anche in
Sicilia ed in Italia meridionale evangelizzando queste terre. Poi notiamo ancora "la bardascella", il bimbo in piedi sulle cosce della Madonna rivestito da una tunichetta che poi è stato identificato come il Cristo Bambino. Sul simbolo che esso rappresenta non posso pronunciarmi più di tanto: nonostante siano 5 anni che lavori segretamente a questo articolo non mi è mai riuscito di identificare il bambino in una sfera semantica particolare se non quello di identificarlo con un dio pagano. Se consideriamo per esempio che la statua possa essere la dea Era, allora egli è Ares dio della guerra ed unico figlio che Zeus, il padre degli dei, ha avuto con questa dea. Se invece consideriamo la statua una Cerere o Demetra (sono i nomi della stessa divinità) allora il bimbo diventa una bimba cioè Persefone dea della primavera e connessa anch'ella al culto della madre terra e della prosperità dei raccolti. Comunque queste sono solo supposizioni senza prove che si sarebbero potute dimostrare se solo i parroci di Castelnuovo avessero permesso, a chi era interessato di vederla da vicino e studiarla. 3)La Madonna della Petrara oggi: Ora avendo esposto in maniera alquanto succinta, per motivi di spazio, la storia e la simbologia rappresentata dalla figura Madonna della Petrara in una nuova versione, sulla base delle narrazioni fatte da parenti e compaesani vediamo oggi essa cosa rappresenta, nonostante la sua assenza. Essa nell'immaginario collettivo di coloro i quali la venerarono e la venerano resta ancora nel cuore e nella memoria. "Chissà" -ci si chiede-"che fine avrà fatto?". Sarà finita tra le macerie a chian' Vuglin' ? Sarà stata rubata? Non possiamo rispondere a queste domande con sicurezza in quanto non abbiamo fatti da cui trarre delle risposte. La sua figura fu grandemente venerata, anche se credo sia stata venerata molto di più anticamente, che in tempi recenti in quanto fino ad un secolo fa l'unica fonte di sostentamento erano i frutti della terra ed il bestiame. Oggi a distanza di 30 anni molte persone, che le erano fedeli e che a distanza di tanto tempo continuarono a cercare il suo volto, sono morte. Desiderio di mio padre era quello di far riprodurre le fattezze di una statua di cui io feci una foto dietro l'altare della grotta di San Michele Arcangelo sul Gargano che le somiglia molto e si potrebbe cercare di modificarla facendole assumere le sembianze della Madonna della Petrara. Chiedo a tutti coloro i quali l'hanno vista prima del terremoto di osservare bene la foto che allego qui di seguito e di vedere bene se sia simile o meno. Questo non perché io voglia realizzare uno delle centinaia di desideri di mio padre e voglia rendere grande il mio ed il suo nome, ma perché da lui, tra i tanti difetti, ho ereditato un gene: quello dell'amore per Castelnuovo. SANT´ILARIONE (TORRICELLA)
CENA ESTATE 2003 - 2004 - 2005
L'AMICIZIA M. ALVAREZ Beati coloro che hanno degli amici senza avere chiesto di averli, perché gli amici non si comprano, non si vendono, non si permutano. Amici ci ci sente! Beati coloro che soffrono per i propri amici, Coloro che riescono a comunicarsi in uno sguardo. Perché l’amico tace, non questione, non si arrende. L’amico ti capisce! Beati coloro che conservano le amicizie, Coloro che offrono la spalla per piangere. Perché l’amico soffre e piange. E per loro non esiste un’ora esatta per consolare! Beati gli amici che credono nella tua verità E che ti fa vedere la tua realtà. Perché l’amico è la direzione, è la base quando viene a mancare l’appoggio. Che siano beati tutti gli amici, perché gli amici sono eredi della reale saggezza. Avere amici è la migliore complicità! Bisogna essere felici di nulla, di una goccia d’acqua oppure di un filo di vento. Di una coccinella che si posa sul tuo braccio o del profumo che viene dal giardino. Bisogna camminare su questa terra con le braccia tese verso qualcosa che verrà e avere occhi sereni per tutte le incertezze del destino. Bisogna saper contare le stelle, mare tutti i palpiti del cielo e ricordarsi sempre di chi ti vuole bene. Solo così il tempo passerà senza rimpianti e un giorno potremo raccontare di avere avuto tanto dalla vita.
DORIS LESSING Pensa in modo sbagliato, se vuoi, ma in ogni caso pensa con la tua testa.
KIERKEGAARD La grandezza non consiste nell’essere questo e quello, ma nell’essere se stessi; e questo ciascuno lo può, se lo vuole.
Letture consigliate
FOTO RICORDO Coppia di Castelnovesi (Mr. & Mrs. MEOLA) emigrati in U.S.A., nel periodo del dopoguerra, e tuttora residenti nello stato della Florida, in visita a Castelnuovo di Conza. Luglio 2005.
SQUADRA DI CALCIO E CAMPO SPORTIVO
INAUGURAZIONE MONUMENTO DEDICATO A “ SAN PADRE PIO” (Viale XXIII Novembre)
============================================= Cinquecentesca Croce in Pietra reperto scavi Chiesa Santa Maria della Petrara
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CROC´ P´TREDDHA
(senza foto) BOSCO DIDATTICO “AIA DELLE CHIANGHE”
SCAVI NEL CENTRO STORICO, NEI PRESSI DEL SITO DEL CASTELLO
================================================================ RITROVAMENTO MATERIALE NEGLI INSEDIAMENTI SANNITICI, LOCALITA’ CUPONE E SANT’ILARIONE.
================================================= TORRICELLA DI SAN NICOLA Il nome “TORRICELLA” vive nella memoria dei castelnovesi meno giovani che lo ricordano visualizzato in una emitorre cilindrica svettante accanto alla Chiesa San Nicola e sovrastante la Fontana del “Chianiello”. Essa faceva parte della cinta muraria dell’antico borgo della “Terra Castrinovi Valli Comptiae”, baluardo della Civitas Compsana. CHIESA E CAMPANILE SAN NICOLA - PIAZZA UMBERTO I° - PRIMA DEL SISMA
IL CAMPANILE DELLA NUOVA CHIESA “SANTA MARIA DELLA PETRARA” ALLE SPALLE IL GRUPPO APPENINICO CON LA VETTA DEL “CERVIALTO”
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MONUMENTO AI CADUTI IN GUERRA (Località Giardino) (Com’è) (Com’era)
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MONUMENTO DEDICATO AGLI EMIGRANTI (PIAZZA DELL’EMIGRANTE)
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MOMUMENTO INGRESSO CIMITERO “AIA DELLE CHIANGHE” Realizzato da Gelsomina CASULA – scultore – Gelsomino Casula, nato a Uta, in Provincia di Cagliari, vive ad Altavilla Silentina e presta la sua opera in tutta la Regione. Le sue opere sono esposte in musei, gallerie e collezioni private in Italia e all’estero. Non è solo la pietra il materiale preferito, ma anche il legno, con cui realizza altre importanti sculture. Tel. Cell. 3381974072 ; e-mail: casula.scultore@virgilio.it;
IL PARCO EOLICO CRESTA CESINA
LE FONTANE (Foto: Fontana dell’asilo – Fontana Acqua Fetida – Fontana Serrone)
I MULINI AD ACCOV´TA
Resti di manufatti risalenti all´800,
che, costruiti lungo il corso di un torrente, sfruttavano le pendenze
del suolo per consentire il recupero dell´acqua per svariati usi. Molto
interessanti sotto l´aspetto storico-antropologico. RESTI MANUFATTI RISALENTI ALL'800 CHE COSTRUITI LUNGO IL CORSO DEL TORRENTE PISCILO, LO SPACCONE, SFRUTTAVANO LE PENDENZE DEL SUOLO PER CONSENTIRE IL RECUPERO DELL'ACQUA PER SVARIATI USI. PRINCIPALMENTE LA PRODUZIONE DELLA FARINA ED ALTRO MOLTO INTERESSANTI SOTTO L'ASPETTO STORICO - ANTROPOLOGICO. I MULINI
Il mulino ad energia idraulica era
azionato, come tutte le altre macchine idrauliche, da un corso d’acqua
situato sempre a monte del mulino stesso, in posizione relativamente
alta per consentire all’acqua d’imprimere la forza sufficiente a far
ruotare la macina. Le acque del canale di alimentazione non cadono
direttamente sulle massicce pale di legno collegate trasversalmente
all’asse della pesante ruota di pietra mediante una coppia di ingranaggi
rudimentali in legno duro, ma si versano prima in un deposito, detto
anche camera, torre o torretta. La macchina del Mulino è composta da due
grosse ruote di pietra, dette palmenti, le quali sono montate l’una
sull’altra. La ruota di sotto è fissa, mentre l’altra è mobile e riceve
il movimento delle pale che, secondo il loro orientamento, fanno
spostare la mola (palmento) in senso destroso o sinistroso intorno al
proprio asse. CAPPELLA “ LA MADONNINA” – BIVIO QUERCIA - STATUA GESU' SCORZO
LA GROTTICELLA – LOCALITA’ CESINA Come da racconti dei nonni era un covo di briganti ed aveva un’altra uscita nella località “Vallone mia Campagna”.
PERICOLI: del territorio · Nei boschi tra i funghi (abbondanti) commestibili si trovano anche quelli tossici e velenosi (mortali).
LA RICERCA DEI FUNGHI
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ENZO DI RUGGIERO - Relazione prof. W. Johannowski
Nel
gennaio 1984 il prof. W. Johannowskj, allora sopraintendente per BN. AV.
SA,, su nostra espressa richiesta, una ricognizione sul territorio di
Castelnuovo di Conza, contrada “S. Ilarione”.
Il risultato fù più che soddisfacente (si rinvennero
reperti di superficie datati IV sec. A. C.) ed il prof. W. Johannowskj
promise un saggio di scavi in loco. Passarono due anni, durante i quali
i finanziamenti richiesti, su perizia del Soprintendente, con delibera
del Comune di Castelnuovo di Conza, non furono erogati. Nei primi mesi
del 1986, il Soprintendete, nonostante il mancato finanziamento mantenne
la promessa fatta e praticò un saggio di scavo in Contrada “S. Ilarione”.
Vennero alla luce mura ciclopiche ed innumerevoli
tegole frantumate raccolte su un piano stratigrafico che, in alcuni
punti, presentava terreno bruciato. Altro scavo fu intrapreso, sempre
sul territorio di Castelnuovo di Conza, in contrada "Cupone"; dove, da
anni. il dott. Gennaro Venutolo Campiglio andava raccogliendo tracce
ceramiche di superficie. Ancora una volta i finanziamenti richiesti, ad
integrazione dei precedenti, (per un totale di circa L. 170.000.000)
data I'imponanza e l'estensione dello scavo ad altro sito, rimasero
inevasi. Attualmente, per interessamento
personale dell'onorevole Ciriaco De Mita, prontamente intervenuto, su
nostra sollecitazione, presso il Ministero competente. la sofferta
vicenda culturale castelnovese sembra risolversi promettendo buoni
risultati. Intanto la sede di Castelnuovo di
Conza dell'Archeoclub di Italia, Civiltà Alto Temete, opportunamente
sensibilizzata, non ha ritenuto di attendere ulteriormente gli eventi ed
ha chiesto ed ottenuto un campo di ricerca per l'estate 1988.
Dopo questo breve ma, riteniamo, utile preambolo,
affrontiamo. nel merito, il tema che ci siamo proposto:
"Un'ipotesi di ricostruzione storica".
Le ricognizioni del prof. W. Johannowskj alla
contrada S. Ilarione c'indusse ad includere in una nostra breve opera,
un quadro storico, ab origine, di quel territorio che si estende a
cavallo del "Vardo del Temete" e precisamente nell’alte valle del fiume
dal quale lo stesso varco prende nome (Enzo di Ruggiero, Conza Romana ed
il varco del Temete). Al Convegno, tenutosi a
Castelnuovo di Conza jl 12.07.1986, ipotizzammo una ricostruzione
storica dell’insediamento pre-romana di S. Ilarione.
In questa sede, pur riportandoci a quanto illustrato
negli scritti citati abbiamo ritenuto opportuno rielaborare un quadro
storico che tenga conto dell’ intervento del prof. W. Johannowskj al
Convegno sopra ricordato. Le strutture,
emerse dagli scavi effettuati sul territorio di Castelnuovo di Conza (S.
Ilarone e "Cupone"), probabilmente appartengono ad un insediamento
paganico, il pagus era un'unità territoriale costituita da vici ossia da
un insieme di fattore sparse sorto ai bordi di un antico tratturo che
noi Identificheremo nella "Solofrana", antica via che correva da ovest
ad est, tra le "Cesine" ed il paese di Castelnuovo di Conza.
Non e da escludere che uno o più oppidi (centri
fortificati) completassero la configurazione di quest’insediamento. Non
abbiamo, a tutt'oggi, la datazione precisa della distruzione.
Possiamo però collocarla in un arco temporale che va dal 296 a.C. alla
conquista di Conza nel 215 a.C. Nel 296 a.C,,
durante la campagna in cui Q. Fabio Massimo e P. Decio Mure,
conquistarono Morgantia, Romulea e Ferentino; furono occupati
quarantacinque oppidi irpini, lasciando dappertutto i segni della più
tremenda ferocia. (Livio, X.I 1,12.15,17,2,40).
In occasione della guerra contro Pirro, durante la
battaglia di Ausculum, secondo Dionigi di Alicarnasso, i Sanniti
avrebbero costituito l’ala sinistra dell'esercito e fornito buona parte
della cavalleria. Dopo la partenza di Pirro
dall'ltalia, i Romani, con la stessa metodicità impiegata nelle fasi
conclusive della terza guerra sannita, annientarono le tribù sannitiche.
Il 215 a.C., con la riconquista di due piccoli.
oscuri villaggi. Vescellium (Vercellium) e Sicilinum da parte del
pretore peregrinus M. Valerio Levino e l’anno successivo, durante il
consolato di Marcello e Fabio con la ripresa della irpina Compsa. dello
sconosciuto oppidum Orbtanium e di una città di nome Fugifulae (le
ultime due possono essere state lucane più che sannite), si chiude. a
nostro modesto avviso, il periodo in cui le distruzioni operate dai
Romani possono averci conservato le vestigia sannite sul nostro
territorio.
L'alta datazione della ceramica rinvenuta (IV, III
sec.C.) esclude I'ipotesi dell'evento catastrofico in relazione all
'occupazione di Conza da parte di Silla nel I sec. A.C.
Chi erano gli abitanti che vissero in queste
strutture? Potremmo identificarli nei Dirini,
tribù stanziatasi nell'alta valle dell’'Ofanto (i Dhyrini) o nei
Compsani. La radice Dhir è osca.
Ciò comporta è una riflessione etnologica.
Secondo gli studiosi moderni gli Opici, di origine
transadriatica, occuparono il territorio stiamo prendendo in esame
espandendosi a raggiera in direzione est-ovest.
Essi si attestarono su uno strato siculo, (genti
appenniniche della tarda età dei bronzo).
Abbiamo, d’ altro canto, relitti linguistici, iscrizioni isolate
risalenti al VI-V sec. a. C., a Rimini e a Novilara sul versante
adriatico, a Vico Equense e a Nocera in Campania, che ci rivelano
tradizioni scrittorie peculiari, di cui si vanno seguendo gli sviluppi.
Successivamente i Sabelli, nelle loro migrazioni dal
nord verso il sud si affiancarono e sovrapposero gli Opici "oscizzandoli".
Gli Osci s’ ibridarono, a loro volta, con i
sopraggiunti Irpini (cfr G Devoto in Enciclopedia italiana Treccani. s.
v. Oschi). Secondo la relazione tenuta dal
prof. w. Johannowskj al Convegno di Castelnuovo di Conza del 12.7.1986,
nel Vll-VI e V sec. a.C , abbiamo tracce archeologiche della facies
culturale cosiddetta di Cairano-Oliveto Citra.
A Conza, infatti, si sono scavate tombe del VII. VI,
V sec. a.C. Nel VI sec, a.C.. si rivela una
realtà, di quella che sarà la Lucania, diversa da quella sannita. una
società molto più articolata; nel V - VI sec a C, inoltre, per l’Alta
Valle del Sele si riscontra un accentuate influsso sannita mentre per la
Lucani vi sono chiari segni di legami con i Campani.
Si ha una continuità della facies Oliveto Citra -
Cairano sino al 280 a C. Non abbiamo tracce
sannitiche ed ignoriamo il confine tra i Sanniti ed i Lucani.
Insediamenti Romani si avvicendano sul territorio degli Opici.
Nella seconda metà del V sec. a.C. tribù Sannitiche
penetrano in quella che poi sarà chiamata la Lucania. L'esposizione del
prof. W. Johannowskj porta alle seguenti considerazioni.
Ad una frequentazione opicia che perdurerà sino al
280 a.C., su una direttrice est - ovest, nella media ed Alta Valle dell’Ofanto,
subentra una presenza romana non intermediata da insediamenti sanniti.
La data "dies post quem non", ci riporta ai deleteri
effetti dalla quarta guerra sannitica (guerra di Pirro) sulle
popolazioni locali. Inoltre dobbiamo ritenere
che, sino a questa data (280 a.C ) gli Opici coesistevano con i
misteriosi abitanti degli insediamenti di “S. Ilarione” e “Cupone”.
Nella seconda meta del V sec. a,C. le tribù
sannitiche penetrarono in quella che poi sarà chiamata Lucania.
Ma noi non conosciamo ancora i suoi confini
settentrionali, quindi, e qui l’importanza degli scavi di Castelnuovo di
Conza, dobbiamo ritenere che questi misteriosi abitanti non siano poi
tanto misteriosi e si possano identificare con i Dirini della "Historia
Naturalis" di Plinio. Su quali insediamenti o
strato etnico precedente si immisero gli eli Irpini (Dirini)?
Ipotizziamo, lo scavo potrebbe verificarlo, che
questo strato sia quello appenninico.
Dal’altro canto sulla stessa direttrice nord- sud. in località
Montenuovo, vicino Castelgrande, sono in corso scavi della
Soprintendenza di Potenza che riesumano queste culture protoitaliche.
"Tratto dalla rivista LA TORRICELLA"
VITTIME DEL DISASTROSO SISMA DEL 23 NOVEMBRE 1980
NESSUNO MANCA NEI RICORDI
Annicchiarico Francesco 14.04.1972 Annicchiarico Michele 04.10.1939 Carlucci Rosina 20.04.1904 Chirichella Rosa 18.06.1911 Colatrella Maria Nicola 03.11.1960 Colatrella Nicola 25.10.1978 Cordasco Vito 28.05.1925 Custode Maria 03.05.1901 Custode Pietro 29.06.1906 D’Amato Maria 10.08.1924 D’Ambrosia Maria Rosaria 26.04.1957 D’AmbrosioVito 03.10.1927 Del Buono Filomena 19.12.1921 Del Vecchio Antonietta 09.09.1920 Del Vecchio Giovanna 16.06.1931 Del Vecchio Michele 06.06.1921 Del Vecchio Pasqualina 11.04.1921 Del Vecchio Rosa 05.06.1902 Del Vecchio Vito 19.09.1980 Del Vecchio Vito 28.07.1901 Di Filippo Eva 07.08.1925 Drappa Donato 10.03.1977 Drappa Gerardina 03.12.1978 Drappa Luciano 08.02.1972 Esposito Carlo 30.05.1970 Esposito Mauro 17.01.1939 Esposito Vincenzo 13.07.1971 Figurelli Angela Maria 24.01.1901 Figurelli Maria 12.03.1938 Gaudiosi Grazia 15.11.1915 Guarino Antonio 22.09.1924 Guarino Cinzia 15.06.1980 Guarino Francesco 31.07.1912 Guarino Pietro 16.04.1900 Iannuzzelli Vincenzo 24.01.1928 Imbrenda Garibaldi Gerardo 11.09.1957 La Morte Giuseppina 22.07.1954 Luongo Maria 24.01.1924 Luongo Mario 01.01.1957 Luongo Nicola 15.09.1971 Luongo Rosa 06.08.1952 Luongo Vito 27.12.1975 Megaro Angelomaria 07.10.1925
|
Megaro Angiolina 02.07.1953 Megaro Anna 01.10.1932 Megaro Giuseppina 10.08.1962 Megaro Maria Assunta 15.08.1965 Melillo Antonio 28.07.1930 Melillo Maria 11.10.1911 Melillo Teresa 17.05.1965 Pezzuto Giuseppe 09.04.1914 Piccolo Rosa 08.07.1904 Porreca Filomena 22.07.1976 Porreca Gerardo Vittorio 19.09.1980 Porreca Giuseppe 28.02.1950 Porreca Giuseppina 01.10.1957 Porreca Guglielmina 05.05.1945 Porreca Maria Grazia 10.06.1978 Pugliese Maria Felicia 24.10.1889 Racioppi Antonia 17.11.1936 Rosamilia Carmela 21.10.1952 Rosamilia Salvatore 04.02.1898 Salandra Sinfarosa 19.01.1897 Salvatore Immacolata 29.02.1956 Salvatore Lina 13.11.1960 Sasso Antonio 09.03.1909 Sasso Giuseppe 20.09.1934 Savarese Amalia 16.01.1925 Sessa Rosaria 30.04.1911 Sibilia Angela Maria 01.12.1933 Sibilia Felice 08.02.1899 Sibilia Gerardina 20.09.1966 Sibilia Pasquale 05.10.1964 Sibilia Rosetta 11.09.1969 Sibilia Teresa 23.01.1929 Spatola Serafino 10.11.1888 Spatola Vincenzo 21.02.1923 Strolli Giovanna 24.06.1925 Strollo Mario 10.01.1969 Strollo Michele 18.12.1924 Strollo Orazio 07.02.1921 Torsiello Gaetana 11.10.1923
Venutolo Angiola
28.07.1909 Zoppi Maria 01.02.1933
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RACCOLTA FOTO CASTELNUOVO DI CONZA - SISMA DEL 23 NOVEMBRE 1980
PIER DONATO IANNUZZELLI
Via Risorgimento, a
sinistra è la lunga scalinata che porta alla Torricella e più avanti la parete
nord della chiesa di San Nicola che poggia su una vistosa roccia muscosa; a
destra qualche negozio e qualche altra casa.
Poi, dopo un breve tratto in salita, i pochi scalini verso il forno.
Un forno di pietre mal messe ed annerite dal tempo e dal fumo, ma tanto profumo
di pane fresco che da lontano mi sembra di sentire ancora.
…Ora non c’è più
Sopra il forno, delle case, e fra queste quella di Rosina; una donna
instancabile. Chissà quanti barili di acqua ha portato nelle case!E quante ore
di attesa per riempirli sotto il misero getto, quasi gocciolante dell'unico
rubinetto alla “Fontana”!
La rividi un anno fa; il suo viso rugoso e lo sguardo serio erano rimasti
uguali; solo dalla lenta camminatura capii che i suoi anni non erano più gli
stessi.
…Ora non c’è più
Dalla piazza, dopo pochi scalini in giù, a due passi uno dall'altro, ed il
passaggio sotto l'arco, è già via Roma.
Da un lato una strettoia verso la Torricella e case alte, dall'altro, un po più
avanti, l'inizio di via Pennino e la casa di zia Rosa. Il portone, due battenti
blu, non ne ricordo altri di quel colore, sempre aperti e sostituiti, nei
periodi freddi, da due porticelle vetrate.
Rosinella, come tutti la chiamano, è viva per miracolo; lei stessa mi dice: “Ho
cercato di mettere in salvo solo la mia anima affidandola al Signore, quando mi
è sembrato che era la fine”.
Continuando si arriva alla farmacia, dove era una volta, poi si passa davanti ad
altre case e portoni vari ed a l'arco di Tavarone, attraverso il quale si
scorge, verso valle, il ponte del Pennino.
Più avanti la casa di Ruccia. Ruccia una donna inconfondibile, dalla riccia
capigliatura, dallo sguardo sereno e dal viso sorridente.
...Ora non c'è
più
Subito dopo è la
nostra casa; qui, mi dicono, sono nato.
Tre camere e tre finestre che si aprono sugli orti con i mandorli, i primi a
fiorire con il ritorno della primavera.
Più in giù, il vallone con i resti di un vecchio mulino, la strada per
Santomenna che scompare dopo un'ampia curva e più lontano, di fronte, la
montagna di Laviano, la prima ad imbiancarsi con l'avvicinarsi dell'inverno. Ai
suoi piedi, verso ponente, la vetta della torre con l'orologio ed i pochi tetti
delle case più alte che affiorano dalle cime degli alberi e più in là un'ampia
gola con il monte Cervialto. E' l'alta valle del Sele.
Che spettacolo da quelle finestre! Quanti canti melodiosi di uccelli! Quanto
sole! Quanta aria buona! Quante corse per quelle campagne! E quanti ricordi
di quella nostra casa!
Un'ampia cucina con il camino di pietre scolpite, dove i ceppi, accostati uno a
l'altro, ardevano, con noi intorno, fino a notte nelle giornate rigide. La
sala, con il tavolo nel mezzo e la libreria stile “800”.
E poi, tante, tante indimenticabili altre cose di quella casa!
...Ora non c'è
più
Quasi attaccata
alla nostra, la casa dello zio “Cavaliere”. Pavimenti
piastrellati, scale di marmo, pareti decorate a bassorilievo ed una grande
veranda, sono le cose che spesso ricordo.
...Ora non c'è più
Poi, via Roma ,
la strada principale che dalla piazza va fino alla chiesa Madre passando in
mezzo al paese, continua e comincia a scendere.
Le due lunghe file di case, da un lato e dall'altro, sono interrotte ogni tanto
da gradinate che salgono o che scendono.
E' la strada più lunga, è la più percorsa, è la strada degli incontri e dei
giuochi dei ragazzi, è la strada dove gli anziani, seduti sull'uscio, prendono i
caldi raggi del sole nelle giornate fredde.
...Ora non c'è più
Dalla via Roma, verso il castello, ancora strade e tante case, tutte unite tra
esse; chi basse e chi alte, chi con balcone e chi senza; sono le case che in
cartolina emergono e formano il profilo del paese.
Le ricordo quasi tutte e la gente in esse, come pure quella nelle case di via
Roma.
Tanta gente semplice! Tanta gente buona! E tanta, tanta...
...Ora non c'è più
Tratto da: Ora non c'è più, pensieri scritti da Pier Donato Iannuzzelli dopo il terremoto del 23 novembre 1980.
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23.11.2010 ORE 19,30 SCOPERTO E BENEDETTO MONUMENTO ALLE VITTIME DEL TERREMOTO 80
Storia e tradizioni popolari, tratto da il Giornalino Lu Chianiedd’ – Settembre/ottobre 2010
Il santuario di Giove Vicilino
Antonio PUGLIESE di Sant’Andrea di Conza AV
Qualche tempo fa un giovane specializzando in Archeologia di sant'Andrea di Conza AV, Antonio Pugliese, ci ha contattati in cerca di materiale sulla storia del nostro territorio. Era infatti intenzionato a presentare come tesi di specializzazione un lavoro sul santuario di Giove Vicilino, che molti ritengono sorgesse tra Sant'Ilarione e Piano Voglino. Oggi, terminata la ricerca, Antonio ce ne ha inviato un estratto. Ritenendo molto interessante il lavoro, abbiamo voluto dedicargli largo spazio in questo numero de Lu Chianiedd'. Ad Antonio va la nostra stima e un ringraziamento per aver profuso le proprie energie e competenze nello studio del nostro territorio.
Il presente lavoro ha come oggetto lo studio e l'indagine topografica del comprensorio tra le alte valli dei fiumi Sele ed Ofanto, al fine di ricostruire e fornire indicazioni utili circa l'esatta ubicazione del tempio di Giove Vicilino. L'esistenza di tale santuario è testimoniata dalle fonti storiche, in particolare da Tito Livio, il quale ci informa dell'esistenza nel territorio di Compsa di un tempio dedicato a lovis Vidimi in cui, fra i tanti prodigi accaduti durante la guerra annibalica, fu udito un notturno strepitio d'armi. L'episodio si colloca più precisamente nell'ambito della seconda guerra punica, in cui certamente il centro di Compsa dovette assumere un ruolo non secondario.
Il culto di Giove rivestiva certamente una posizione primaria nell'ambito del
pantheon italico.
Come è noto, l'unico nome divino per cui la comparazione linguistica indoeuropea
può dimostrare
una diffusione che va dall'uno all'altro capo dell'area occupata dai diversi
ceppi italici è appunto quella che ha dato come esito Giove in latino e nelle
lingue italiche (rispettivamente Iup(p)iter,
Diespiter, lupater);
ciò vale quindi anche per Vethnos osco-sabello, che è quello che riguarda
l'area di pertinenza dell'oggetto di questa trattazione. La valenza uranica del
dio Giove eccelle
certamente a Roma, e la sua qualità politica sarebbe espressa dai suoi attributi
optimus maximus\
la dimensione urania della divinità, che lo rende più simile al corrispettivo
delle religioni classiche,
comprende però, in ambito italico, anche la sfera guerriera. A questo sistema
principale comune
a tutta l'area umbro-sannita, si affiancano alcune caratteristiche tipiche
dell'area osco-campana. Molto legato al mondo della fertilità è, ad esempio, il
Giove osco-sabellico, come risulta anche
dalle tavole di Agnone. Altro dato da rilevare, inoltre, sulla base dell'
analisi del maggior complesso
di iscrizioni sacre in osco rappresentato dalle iuvilas capuane, è la
presenza di Giove nella sfera
delle attività infere.
Per quanto riguarda più precisamente la Campania interna, sempre Livio ci
informa che la principale
divinità del popolo abitante il Sannio in generale, era Giove, adorato fin da
tempi remotissimi. La
sua importanza in Campania sembra sia andata aumentando dopo l'arrivo dei
Sabelli che,
ugualmente ai Romani, consideravano le Idi il giorno dedicato in particolare a
questa divinità,
come mostrano le lovilae. La divinità, in base alle iscrizioni attestate,
sembra essere caratterizzata
da
diversi epiteti, che si legano al nome del dio nella formula del nome doppio.
Generalmente
l'epiteto serve ad evocare
l'orizzonte di attività di
un dio di valenza più vasta, o si riferisce
ad un'attività di rilevanza divina
ma non effettivamente collegata
alla personalità della divinità. Il
Radke aggiunge una terza
possibilità, quella per cui la
funzione, espressa dal secondo nome,
sia indicata da un nomen
agentis: esemplificativi in tal
senso sono gli epiteti Versar,
Statar, Regator, Pistus, Flagius,
che in
alcuni casi contraddistinguono il dio Giove. Il secondo nome,
inoltre, non indica sempre
soltanto una generica funzione,
o
l'attuazione di questa nel
presente, ma, talora, una sua
attuazione determinata nel tempo,
quindi il riferimento a una precisa
e
particolare "prestazione" divina realizzatasi in un
determinato momento, oppure il
riferimento al desiderio di una
"prestazione" da
realizzare. In Campania abbiamo attestazioni
riferibili al culto di Giove Plagio,
testimoniato sia a Cuma che a Capua (iùveiflagiùì], trasformato
poi successivamente in Flazzus in età
romana; questo termine starebbe ad indicare una valenza
più che urania, di divinità legata alla luce
o a fenomeni naturali, assimilabile probabilmente al
Tinta
etrusco. Le altre attestazioni riguardano il culto di Giove optimus
maximus, riscontrato ad Abella,
Capua, Pozzuoli e Trebula, quello di Giove Liber sempre a Capua, o ancora
quello di Giove Striganus a
Misene. Recentemente si è proposto di inserire tra le caratteristiche di questo
Giove italico, che a Capua sembra cogliersi meglio rispetto agli altri centri,
un aspetto ctonio ma di matrice greca,
rappresentato dal Giove Meilichio di Pompei.
Per quanto riguarda Giove Vicilino, il culto sembra essere attestato solamente a
Compsa, e
potrebbe essere messo in relazione con il luppiter Vesuvius o ancora con
Giove Tifatinus;
probabilmente l'analogia non è così stringente, anche se i culti di Giove in cui
il nome del dio è
accompagnato da un epiclesi che lo collega ad elementi naturali o insediativi
del territorio potrebbero
nascondere culti di notevole antichità legati a forme di religiosità
"primitiva". L'epiteto Vicilinus
rimanda chiaramente a vicus ed indicherebbe un aspetto della divinità
esclusivamente locale; era direttamente il vicus, o anche più vici
insieme, a prendersi cura di questo genere di santuari, che avevano
evidentemente una connotazione territoriale corporativa.Il santuario di Giove Vicilino ha suscitato l'interesse degli studiosi già a
partire dalla metà del
1800,
quando Federico Cassitto identificò il sito di questo tempio dedicato a Giove
nell'ex feudo di Sant'Ilarione, in territorio
di Castelnuovo di Conza, una località che tuttora è denominata
Temete, confinante con un pianoro detto
Voghino, in cui lo stesso Cassitto ravvisò le rovine e i
resti di un antico edificio. Molti storici e studiosi che scrissero
prima o dopo il Cassitto ammettono la
stessa ipotesi, altri invece, come il Laviano, tendono a confutarla.
Il Cassitto riconobbe i resti del tempio a valle di un complesso collinare
fittamente arborato,
situato esattamente al centro della valle denominata Temete, da cui era
possibile dominare sia
l'accesso alla valle del Sele che quello al valico appenninico di Gonza, oltre
alla stretta valle che
da Laviano, aggirando il massiccio del monte Marzano, conduce a Muro Lucano.
L'ubicazione
del tempio a valle sembra essere confermata anche da altri studiosi. Il Grisi
colloca gli avanzi del
tempio
alla destra del torrente Temete, poco a ridosso della odierna strada nazionale,
ad un centinaio di metri dal ponte che segna il bivio per Laviano e per Valva.
Questo dato è confermato anche dal De
Ruggiero il quale indica che lungo la S.S. 91 della valle del Sele, poco prima
dell'incrocio Castelnuovo di
Conza-Laviano, immediatamente a monte della stazione di servizio
della Agip, sul tracciato di un'antica
mulattiera che conduce al piano detto Voglino, si rinvengono
tracce di antiche mura e di tegoloni di età
romana, in tale quantità, da essere state utilizzate per
una costruzione sorta nelle immediate
vicinanze.
Sarebbe
tuttavia preferibile, o almeno da prendere in considerazione, la possibilità di
una sistemazione del tempio più a monte del
colle, in prossimità della località Bosco Torretta, sul
declivio collinare opposto, quello che
degrada più dolcemente verso N, in cui forma un piccolo
pianoro orientato in senso S-N: si tratta, per l'appunto, del pianoro
detto Vuglino . In genere, infatti, i santuari risalenti ad età sannitica, sia
di grandi che di piccole dimensioni, sorgono
all'interno di aree sacre disposte su terrazze pianeggianti situate o
ricavate lungo il pendio di un colle o
di un monte generalmente non troppo impervio, nelle vicinanze di sorgenti e
delle principali vie di comunicazione;
le terrazze sono poi, nella maggior parte dei casi, costruite e/o protette da
muraglioni per lo più in opera poligonale. Una collocazione a monte
risponderebbe bene a queste caratteristiche,
oltre a permettere una visuale ottimale sulla vallata sottostante. In questo
modo il tempio si sarebbe andato a
collocare in una posizione strategica fondamentale, nelle
immediate vicinanze del valico della Sella
di Gonza, punto stradale nevralgico di grande importanza
perché unico a permettere un agevole
passaggio dalle coste adriatiche a quelle tirreniche, e frequentato già a
partire dall'Età del Ferro, come documentano gli scavi di Oliveto, Buccino e
Cairano.
Come nella maggior parte dei santuari di età sannitica, è molto probabile che
anche quello di
Giove Vicilino abbia mantenuto per molto tempo il carattere di luogo di culto
all'aperto, connesso
alla presenza di acque sorgive, che certo non mancano in prossimità del monte su
cui il tempio
era probabilmente ubicato. La monumentalizzazione del santuario potrebbe essere
avvenuta alla
fine del III secolo a.C., all'indomani delle distruzioni apportate dalle guerre
annibaliche; è in questa fase, soprattutto in Campania, che si registra una vera
e propria fioritura dell'edilizia
templare, volta soprattutto alla ristrutturazione e alla monumentalizzazione di
luoghi ed edifici di
culto preesistenti o alla costruzione di nuovi; essa si concretizza, tra la fine
del III e gli inizi del I secolo a.C., nell’erezione di templi e complessi
dall’impianto anche scenografico e dalle raffinate architetture di ispirazione
ellenistica, realizzati da maestranze specializzate, probabilmente organizzate
in imprese itineranti. Abbiamo già considerato, precedentemente, come l’epiteto
V i c i l i n u s, implicherebbe la cura e la
custodia del santuario da parte di uno o più vici. È evidente che un
luogo di culto del genere
abbia avuto, almeno inizialmente, una dimensione "paganico-vicana", fungendo
cioè da polo di
aggregazione per le popolazioni rurali del distretto territoriale o del singolo
insediamento. Ma quali potrebbero essere i vici dislocati nelle vicinanze
addetti alla manutenzione del santuario?
Effettivamente, a poca distanza dal pianoro detto Voghino, in direzione N verso
la Sella di
Gonza, in località S. Ilarione, saggi di scavo compiuti dallo Johannowsky hanno
messo in evidenza
resti di un circuito murario con andamento curvilineo ricoperto di tegole
frantumate. Detto muro,
affiorato a circa 60 cm. di profondità dal piano di campagna si presentava in
stato di crollo ed il
terreno intorno ad esso, per un certo tratto, presentava chiari segni di
combustione; reperti
ceramici
rinvenuti in superficie permettono di datare il sito al IV sec. a.C.. A tal
proposito occorre ricordare come sempre il
Cassitto identifica a S. Ilarione il vicus di Vercellio che,
insieme a quelli di Sicilio e
Vescellio, sono ricordati da Tito Livio come tre oppidi irpini
riconquistati durante la seconda guerra punica da Marco Valerio Levino.
L'individuazione di Vercellio in
territorio di Compsa è confermata anche dal Passare, il quale
fornisce indicazioni in merito
all'esatta ubicazione degli oppida irpini riconquistati.
Oltre all'insediamento di località S. Ilarione, sempre nell'ambito del
territorio pertinente al comune
di Castelnuovo di Gonza, le indagini hanno messo in evidenza anche altre
strutture ed evidenze
risalenti ad età sannitica. In località Cupone, ad esempio, in una zona situata
a ridosso dello
spartiacque tra le valli del Sele e dell'Ofanto, saggi di scavo hanno riportato
alla luce, oltre a vari
frammenti
di ceramica acroma ed a vernice nera, anche una struttura costituita da ciottoli
sovrapposti senza malta sicuramente
pertinenti ad un circuito murario, tra cui figuravano anche
frammenti di tegole;
l'insediamento, anche in
questo caso, è databile ad un
periodo compreso tra la fine
del V e il IV secolo a.C..
Ricognizioni di superficie
hanno riguardato, invece,
contrada Serroni, località
situata a nord del paese di Castelnuovo e
da esso distante circa m. 700.
Anche in questo caso il sito ha
restituito oltre a vari
frammenti di ceramica acroma e a vernice nera, anche
numerosi resti riconducibili a
pithoi
e a tegoloni; si tratta di
materiali che certamente
denotano un'unità abitativa II
sito di contrada Serroni presenta caratteristiche simili a quelle riscontrate
nella vicina contrada Aulecina,
in territorio di Santomenna, da cui è separata dal torrente Redèta, una sorgente
perenne delle cui acque
usufruirono certamente entrambi gli insediamenti, situati a poca distanza l'uno
dall'altro.
L'esame degli insediamenti permette certamente di fare qualche considerazione
circa le modalità
insediative nell'alta valle del Sele in questa porzione di territorio .
Procedendo da ovest, cioè da S. Ilarione, verso nord-ovest, per il passo di
Gonza e quindi per località Cupone fino ad arrivare
ad est alle contrade Serroni e Aulecina, i siti sembrano essere disposti ad arco
sul declivio
collinare, rivolti verso il fondo della valle. Questa disposizione è
strettamente dipendente dalla
presenza nelle vicinanze di ciascun insediamento di sorgenti perenni di acqua e
di torrenti e
valloncelli con regime idrico a carattere torrentizio. La cresta spartiacque
della Sella di Gonza,
che dalla parte opposta è rivolta verso la valle dell'Ofanto, è come la parte
più alta della cavea di
un teatro antico, le cui gradinate sono rappresentate dai declivi della estrema
alta valle del Sele
che degradano a valle fino al Temete.
Risulta essere molto probabile che questi insediamenti, risalenti ad età
sannitica, erano pertinenti
ad un
pagus o costituivano vici disseminati nel territorio di Compsa.
Il santuario di Giove Vicilino, sito a poca distanza, doveva rappresentare un centro di
aggregazione di queste comunità,
nonché la loro sede amministrativa, in cui si riuniva l'assemblea popolare e il
consiglio. Questa funzione potrebbe essere stata mantenuta dal santuario anche
dopo la scomparsa delle strutture
amministrative autonome di pagi e vici', a questa vitalità
potrebbero aver contribuito diversi fattori, come il permanere della funzione di
sede di fiere e mercati in occasione di ricorrenze
religiose, o la sua dislocazione lungo
importanti arterie stradali.
Se le ipotesi fin qui formulate colgono nel segno, la distanza del santuario dal
centro di Compsa,
circa 6 km., indurrebbe comunque a considerare come la cura e la manutenzione
del tempio,
oltre naturalmente alla sua frequentazione, non fosse esclusivamente riservata
ai pagi e ai vici
pertinenti al territorio del centro irpino. In seguito al processo di
romanizzazione del comprensorio
dell'alta valle del Sele, concretizzatosi solo intorno alla fine del III secolo
a.C., in concomitanza
con la fine della seconda guerra punica, il territorio venne ripartito tra i
municipia contigui di
Compsa, Volcei e, in parte anche Eburum ; l'orientamento prevalente assegna il
territorio ad O del primo corso del Sele all'ager eburinus, quello ad E in parte
a Buccino in parte a Gonza. La
linea di confine tra queste ultime viene individuata all'altezza del massiccio
del monte Marzano; è
significativo il rinvenimento di un'iscrizione, nei pressi di Colliano alle
pendici del monte, che
menziona un magistrato il quale ricoprì la carica di edile sia a Volcei che a
Compsa; con il meno
elevato monte di Valva, situato immediatamente a N, a ridosso dell'omonimo
paese, si deve identificare il Mons Balabo della Tabula Peutingeriana.
In questa fase è verosimile che l'area sacra abbia assunto le caratteristiche di
un santuario
extraurbano di confine, la cui vitalità e frequentazione dovette essere
garantita anche da un raccordo viario secondario, il cosiddetto collegamento
Volcei-Compsa. Come rappresentato
nella Tabula Peuntigeriana, si tratta di una bretella viaria che distaccandosi
dalla Regio-Capuam
(via Popilia) all'altezza di Acerronia, si collegava all'asse
Beneventum-Potentiam passando nei
pressi del già ricordato Mons Balabo; tale collegamento può essere considerato
il più importante
dell'alta valle del Sele. L'arteria stradale si snodava a valle del massiccio
del monte Marzano,
provenendo dalla zona dell'aver volceianus corrispondente all'attuale territorio
di San Gregorio
Magno, e prima ancora da Potentia. Da San Gregorio Magno la strada proseguiva in
direzione
N-O, attraversando il vallone Traiano, fino a giungere alla punta di S. Vittore,
in territorio di
Colliano. Continuando verso N la strada toccava le località San Vito, Pazzano,
San Leonardo, Salitto, giungendo ai confini attuali con Valva, in località San
Prisco. Di qui continuava per
località Fabbrica e Serra Casigliana, giungendo all'altezza del Monte di Valva (Balabus);
proseguiva
quindi, varcato il Temete, verso il varco appenninico, in direzione di Gonza.
Infine, un ramo
molto importante della Volcei-Compsa, dalla valle del Temete passando per
Laviano, compiva
l'aggiramento del massiccio del monte Marzano, collegandosi a Muro Lucano (Pantica
Numistró),
attraverso due tracciati che già avevano costituito antichi tratturi utilizzati
per la transumanza, dei
quali uno, proveniente dalla valle dell'Ofanto, prende il nome di Solofrana;
l'altro, che prosegue
dalla valle del Temete verso Potenza, e denominato via della Seta. È importante
ricordare, inoltre,
come la stessa Compsa dovette certamente essere interessata da un importante
rete di collegamenti
stradali; un diverticolo doveva mettere in comunicazione il centro irpino con la
stessa via Appia,
alla quale si ricongiungeva presso la statio di Subromula .
Grazie a questa concentrazione di arterie stradali il tempio di Giove Vicilino
continuò, anche in
età romana, ad essere un punto di riferimento importante per l'intero
territorio, luogo di incontro
e di scambio per una serie di momenti di carattere collettivo e sociale che nei
centri urbani
avevano ormai spazi e sedi specifiche.
In conclusione, è ovvio che le idee e le ipotesi presentate delineano un quadro
che necessita, a
proposito
di alcuni punti, di un riscontro diretto sul terreno. Non potrà allora che
essere il piccone, per citare e riprendere
una frase del valente e compianto archeologo Werner Johannowsky,
a determinare e a fornire le risposte alle
domande che ci siamo posti.
Antonio Pugliese
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Copia atto di donazione beni ANTONIO MEOLA
Notaio MARIO GENTILE
C.so Garibaldi, 18
Salerno
Al Molto Rev.do
Parroco di Castelnuovo di Conza
C O P I A
ATTO DI DONAZIONE – Senza l’intervento del Donatario.- L’anno millenovecentosessantatre, addì ventidue del mese di ottobre, nella città di Newark, Contea di Esser, Stato di New Jersey, Stati Uniti d’America del Nord.- Avanti di me Donato Colavita, Notaio Pubblico nella città di Newark, New Jersey, e nel mio studio sito al n. 23,1/2 W.Market street, si è personalmente presentato il Signor ANTONIO MEOLA fu Vincenzo, nato a Castelnuovo di Conza, Provincia di Salerno, Italia il 27 novembre 1924, ed attualmente residente al n. 314 Indiana Street, in Union, New Jersey ed alla presenza dei due sottoscritti idonei testimoni, cognati dello stesso ed a me notaio, mi ha richiesto di far constatare per atto pubblico della donazione come segue: Antonio Meola fu Vincenzo dona la sua proprietà al BENEFICIO PARROCCHIALE di Castelnuovo di Conza, PER LA MANUTENZIONE DELLA CHIESA PARROCCHIALE, tutta in agro ed abitato di Castelnuovo di Conza e cioè: - A) Casa di due vani ed una rimessa, sita in Castelnuovo di Conza, in Via San Nicola, confinante con beni Michele Pugliese, strada pubblica e beni di Annina De Ruggiero. In catasto urbano alla partita 1034, foglio 13, rurale, Arco di Basso, era san Nicola, partita 1139 foglio 13, n.9, rurale. Casa di un solo vano sita in Via San Nicola, confinata con eredi Di Donato, con beni di Giuseppe Di Geronimo e strada pubblica. Partita 906, foglio 13, n. 265/1, casa terrano 1, San Nicola. Cantina sita in Via San Angelo, strada carrozzabile, confinante con beni di Giuseppe Sasso, Iannuzzelli Alfonso, e strada carrozzabile, omessa in catasto. Casa diruta o della pittatamin Via san Angelo inabitabile, strada carrozzabile, confinante beni di Maria Berardinelli, e strada carrozzabile. Attualmente esistono solo le mura in parte, ridotta pertanto al suolo. Alla Partita terreni n. 827, intestata a Meola Vincenzo per 7/32, foglio 13, n. 326/5, fabbricato rurale. Orto in Castelnuovo di Conza confinante con beni di Cristoforo Annicchiarico, con Vitalo Del vecchio, e strada carrozzabile. Terreno in tenimento di Castelnuovo di Conza, in Contrada Marzi, confinato con beni di Vito Antonio Meola, con Antonio Rosania e Antonio Conte. Terreno in Contrada Fontanella, parte seminativo, parte ad Oliveto e parte a ginestre, confinato con strada carrozzabile, da altri due lati con corte di ginestre di proprietà del Comune di Castelnuovo di Conza. In catasto alla partita 1307, Meola Vincenzo fu Vito, livellario al Comune di Castelnuovo di Conza, foglio, n. 72, seminativo are 40,00, L.16,80, n.75, seminativo, 30.40, L.12.77, n.73, seminativo alberato, are 26.80, L.33.50, n. 74, seminativo alberato, L.13.78 – Partita 827, Meola Vincenzo per 17/32, e Nicola, Giuseppe e Mariantonia per 15/32, Vito, foglio 3, n. 142, seminativo, are 69,41, L.69,41 n. 141, seminativo, are 33.85, L.14.22, seminativo, are 01,93, L.3,66. La presente donazione è fatta ai seguenti patti e condizioni. Il Signor Antonio Meola fu Vincenzo vuole che i detti beni immobili donati non vengano mai venduti, né coltivati, né affittati al Sig. Francesco Rotondo di Angelo, né ai suoi discendenti. A regolare la tassa di registro si dichiara che i beni immobili donati è del valore di L.2.000.000 (duemilioni) interamente pagata. Le spese del presente atto e relative si dichiarano ad esclusivo carico del donatario. Per l’esecuzione di quest’atto il donante elegge domicilio in Castelnuovo di Conza presso il Reverendo Don Franco di Stasio. Io notaio ho redatto questo atto di donazione che dietro lettura e conferma, nella presenza dei testimoni, viene sottoscritto dal costituito, dai testimoni, e da me Notaio.- (Mario Gentile)
GIUNTA COMUNALE N. 28 DEL 12 Aprile 2011
OGGETTO: Acquisizione al patrimonio della Croce di ferro battuto, dono del Sig. Antonio Meola al Comune di Castelnuovo di Conza.
LA GIUNTA COMUNALE
Su proposta e relazione del Sindaco
Arch. Francesco Custode;
Premesso che:
· in data 05.04.2011, il Sig. Antonio Meola, ha comunicato con nota prot. 1399 di voler donare alla popolazione di Castelnuovo di Conza una croce in ferro battuto da collocare in località Quercia Madonnina su suolo comunale e precisamente sul lato sinistro della cappella della Madonnina.
· questa Amministrazione onorata di ricevere il dono e ringraziare il Signor Antonio Meola per la sua generosità;
· L’opera artistica il dono di un castelnovese che pur vivendo dall’et. di 12 anni in America porta in cuore forte il ricordo del suo Paese e della sua terra.
· Sono questi piccoli gesti che dimostrano l’amore di Antonio Meola per la sua gente.
· L’Amministrazione certa di poter interpretare la riconoscenza della gente di castelnuovo dicendo “grazie zio Antonio”.Considerato, pertanto, necessario acquisire questo dono al patrimonio comunale, affinché rimanga imperitura memoria di tale attaccamento alla propria terra di origine;
DELIBERA
la premessa costituisce parte
integrante e sostanziale della presente;
di accettare ed acquisire il dono fatto dal Sig. Antonio Meola,
residente nello Stato della Florida U.S.A., al patrimonio del Comune di
Castelnuovo di Conza;
di incaricare il responsabile del servizio patrimonio di inviare copia
della presente deliberazione
al Sig. Antonio MEOLA.
LE FOTO AL MOMENTO DELL'INSTALLAZIONE DELLA CROCE, GRAZIE! ZIO ANTONIo
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L A L U N A 19 MARZO 2011
La Luna è
sempre stata fonte di ispirazione: mostra solo un lato, per questo è considerata
misteriosa.
Stasera sarà visibile come non accadeva da 18 anni, proprio perché interessata
da un perigeo lunare. Si troverà alla minima distanza possibile dalla terra, e
così cadrà sulle nostre teste. Con il cielo terso, trasmetterà ia maggior
quantità di riflesso possibile, accendendo la notte. Oggi
19 marzo 2011: stanotte la nostra volta stellata sarà interessata dal
perigeo
lunare. La luna si troverà alla
minima
distanza possibile dalla terra dando vita a quella che è già
stata ribattezzata la
“super luna.”
Il satellite sembrerà molto
più grande
del solito e, trattandosi di luna
piena, l'effetto sarà ancora più vistoso.
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SEDUTA CONSILIARE DEL 22.03.2011, PUNTO 7, INTERVENTO DEL PROF. FRANCESCO DI GERONIMO E DEL SINDACO A RIGUARDO LA MORTE DI DUE CASTELNOVESI AFFONDATI CON IL PIROSCAFO "ERCOLE".- <1861><2011> 150° Anniversario Unità d'Italia - La Storia siamo (anche) noi - Il contributo di Castelnuovo di Conza al Risorgimento e all'unità d'Italia - Francesco Turi e Vito Pezzuto morti il 4 marzo 1861.
Sindaco Francesco Custode:
Signori Consiglieri ed Assessori comunali, come già vi e noto, giovedì 17 marzo u.s. in questa Aula consiliare abbiamo svolto una riflessione pubblica e celebrato il 150° anniversario dell'Unita d'ltalia. E però abbiamo ritenuto doveroso, in occasione della prima seduta del Consiglio comunale di Castelnuovo di Conza, avere anche e principalmente nella sede più alta della rappresentanza democratica cittadina un ulteriore momento di riflessione e di celebrazione dell'evento.
E doveroso non far passare sotto silenzio, come pure alcuni avrebbero preferito, questo traguardo che la nostra Bella Italia ha raggiunto grazie a quanti ci hanno portato prima all'unificazione e poi, a partire dal 1861, hanno costruito il nostro Paese. Le istituzioni sono chiamate a celebrare questa ricorrenza per onorare lo spirito italiano che ci unisce tutti; I'ltalia non è certamente solo unita geografica ma e una nazione unita nella condivisione di valori che ci accomunano, dai piccoli centri alle grandi città, dal sud al nord.
Molte cose ci rendono orgogliosi di essere italiani: il nostro patrimonio artistico e culturale, la bellezza del nostro territorio, la cucina e i prodotti alimentari, ascoltare I'inno di Mameli, veder sventolare la bandiera tricolore, il Risorgimento, la Resistenza, la nostra bella Costituzione, la moda e lo stile, la musica, il livello dello sport e dei campioni, il cinema con gli attori e i registi, gli scrittori ... la Ferrari.
La costruzione di un Paese e la sommatoria del lavoro di ogni cittadino, di piccoli gesti quotidiani, del senso civico e del senso di responsabilità rispetto ad un unico grande progetto.
La nostra giovane Amministrazione municipale di Castelnuovo di Conza si sente parte attiva di questo processo di costruzione. Questo ce lo insegna la storia, perche la storia siamo noi e in questa particolare occasione di commemorazione del 1861 possiamo ben dire che la storia siamo anche noi.
Oggi, infatti, vogliamo onorare il sacrificio di due castelnovesi, Francesco Turi e Vito Pezzuto, commercianti corallieri, che nella notte tra il 4 e il 5 marzo persero la vita nell'affondamento dell'Ercole, piroscafo sul quale viaggiava lo scrittore garibaldino, contabile della spedizione dei Mille, il colonnello Ippolito Nievo.
Si tratto di un evento tragico che gia all'epoca desto non pochi sospetti, per le tensioni di quei giorni in merito a carteggi che Ippolito Nievo portava con se da Palermo verso Napoli. La tragedia che vide coinvolti i nostri concittadini, secondo alcuni studiosi, da Pier Paolo Pasolini a Stanislao Nievo, può essere definita la prima strage di stato.
La ricerca storica e I'analisi dei documenti trovati presso I'archivio di questo comune è stata condotta dal professore Francesco Di Geronimo, all'interno di un lavoro che da tempo, con passione e tenacia, sta conducendo su quanti hanno fatto la storia di Castelnuovo di Conza.
A lui passo la parola per I' illustre contributo.
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Intervento del Prof. Francesco Di Geronimo
Signor Sindaco, signori Consiglieri ed Assessori del Comune di
Castelnuovo di Conza, desidero innanzitutto ringraziarVi per il gradito invito
che mi dà l’occasione di prendere la parola in un consesso civico ricco di
storia, e che ha visto i nostri antenati protagonisti di dibattiti e decisioni
che hanno segnato il percorso della comunità.
Come ha ricordato il sindaco, arch. Francesco Custode, il giorno 17 marzo u.s.
si è tenuta a Castelnuovo, in questa stessa aula consiliare una riflessione sul
150° anniversario della nascita ufficiale dello stato unitario italiano.
Per preparare degnamente questa celebrazione il sindaco Custode ha voluto dar
vita ad una ricerca storica sul 1861 a Castelnuovo e perciò mi ha chiesto una
collaborazione. Insieme abbiamo cercato tra le carte dell’archivio comunale
prima di tutto le delibere di quel periodo.
Sfortunatamente, di atti deliberativi dell’epoca nessuna traccia: secondo il
racconto di Antonio Iannuzzelli un gran mucchio di carte “vecchie” del municipio
sarebbero state bruciate in occasione di un incendio avvenuto quando la sede
comunale era in Via Serrone. Tra le carte perdute, anche le delibere comunali
dell’ottocento.
Sapevo, però, che a Castelnuovo è molto ben conservato l’archivio dello stato
civile. A partire dalla sua istituzione nel 1809.
E così con il sindaco Custode siamo passati a dare un’occhiata ai registri del
1861 e 1862. Qui abbiamo trovato questo documento:
Provincia di Principato Citeriore - Comune di Castelnuovo di Conza
Atto di morte di Francesco Turi
L’anno milleottocentosessantadue, il dì ventotto del mese di marzo, alle ore
sedici
Noi Giuseppe Nicola Di Donato Sindaco ed Uffiziale dello stato civile del
suddetto Comune, Distretto di Campagna, dichiariamo che Francesco Turi figlio
del fu Luca Turi di anni cinquanta di professione coralliere
domiciliato in Castelnuovo si moriva nel mese di marzo milleottocentosessantuno
pel naufragio del Piroscafo l’Ercole giusta la decisione del Tribunale civile
sedente in Salerno in data del ventisei febbraio corrente anno
milleottocentosessantadue, registrata a Salerno li ventisette detto mese ed anno
al libro terzo volume quattrocentottantaquattro folio novantanove casella
seconda numero duemilasettecentoventicinque Buonopane.
Epperò abbiamo inscritto l’atto di morte di Francesco Turi fu Luca ne’ presenti
registri per disposizione del Tribunale civile contenuta nella sù citata
disposizione..
Subito siamo andati col pensiero a quei coraggiosi castelnuovesi
commercianti di corallo richiamati nell’articolo sul fenomeno commerciale di
Castelnuovo pubblicato nel 1901 sul Bollettino della Società Africana d’Italia.
Questo articolo, di cui si era perduta la memoria e che sono recentemente
riuscito a ritrovare, è ampiamente riportato nel libro “Oi Castelnuov’ mij,
aria g’ntil…” (MMMAC, 2010), dove a pag. 154 si può leggere:“I
primi negozianti di corallo di Castelnuovo furono Francesco Turi e
Vito Pezzuti che nel 1862 morirono miseramente annegati nella traversata da
Palermo a Napoli”.
Ora però, con in mano il documento trovato nell’archivio del comune di
Castelnuovo, avevamo due informazioni in più:
Ma l’Ercole
era anche il piroscafo sul quale a Palermo il 4 marzo 1861 si imbarcò per Napoli
lo scrittore e poeta Ippolito Nievo, che aveva partecipato al seguito di
Garibaldi alla spedizione dei Mille con il ruolo di vice intendente (colui cioè
che teneva i conti economici dell’impresa).
Ippolito Nievo portava con sé una cassa di documenti che ricostruivano tutti i
passaggi di denaro e che gli erano stati richiesti dal governo piemontese,
presumibilmente per porre freno alle polemiche insorte tra i seguaci di Cavour e
quelli di Garibaldi sul costo ed i finanziamenti della spedizione.
Come è noto Ippolito Nievo ed i suoi documenti non arrivarono mai a Torino
perché l’Ercole nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, dodici giorni prima
della nascita ufficiale del Regno d’Italia, scomparve prima di arrivare a Napoli
con tutti gli uomini a bordo, una ventina di marinai ed una sessantina di
passeggeri.
Compresi i due commercianti di corallo di Castelnuovo Francesco Turi e Vito
Pezzuto.
Stranamente passarono undici giorni prima che partissero le ricerche del
piroscafo e soltanto il 17 marzo 1861 venne data la notizia sul giornale
Omnibus: “L'Ercole, battello a vapore della Compagnia Calabro-Sicula, è
affondato a mezzavia tra Palermo e Napoli per un colpo di mare. Incerto il
numero dei naufraghi”. Le ricerche non diedero esito alcuno: non si trovò
niente, nessun relitto, nessun corpo.
Il tragico episodio del misterioso naufragio dell’Ercole viene evocato
nell’ultimo libro di Umberto Eco, Il cimitero di Praga.
Nel capitolo otto del romanzo, Eco riprende e rappresenta in forma romanzata una
lettura in chiave complottista dell’evento, che è avanzata da un filone della
storiografia risorgimentale: il naufragio del piroscafo Ercole non sarebbe un
incidente dovuto a fattori naturali, ma sarebbe stato provocato ad arte per far
scomparire la contabilità dell’onesto ed ingenuo poeta padovano, contabilità che
avrebbe dimostrato come la sconfitta dell’esercito borbonico fosse stata
ampiamente “agevolata” da consistenti elargizioni di denaro ai generali
traditori di Francesco II, denaro peraltro proveniente da ambienti massonici
dell’Inghilterra.
In buona sostanza l’affondamento doloso dell’Ercole sarebbe, secondo questa
lettura, la prima strage di stato del nascente regno d’Italia.
Ovviamente non è questa la sede per affrontare il merito del tragico evento di
or sono centocinquanta anni.
Dobbiamo solo far presente, per chi volesse approfondire la questione, che
critiche alla versione ufficiale vennero avanzate dal pronipote del poeta,
Stanislao Nievo nel libro “Il prato in fondo al mare” che, nel 1975, fece
dire a
Pier
Paolo Pasolini: “Si trattò di un giallo politico, cioè della storia della
prima, sospetta, “strage” decisa e attuata dagli uomini del potere: “strage” con
cui si sarebbe aperta la storia dello Stato italiano”.
Ancora, è da segnalare il libro di Cesaremaria Glori La tragica morte di
Ippolito Nievo – Il naufragio doloso del piroscafo Ercole, edito nel
2010, nel quale l’autore sviluppa la tesi dell’attentato, come anche la bella
puntata del 4 marzo 2011 della trasmissione televisiva di Giovanni Minoli
La storia siamo noi dedicata al mistero del piroscafo scomparso, e che è
stata integralmente riproposta in quest’aula il 17 marzo scorso.
Quale che sia la verità sull’affondamento dell’Ercole, i due commercianti che da Castelnuovo si erano avventurati per mare a comprare e vendere coralli non
tornarono più alle loro case e ai loro affetti.
Fecero una parte del viaggio insieme al colonnello Ippolito Nievo e agli altri
garibaldini che lo accompagnavano nell’ultima sfortunata missione.
Possiamo anche immaginare che il poeta abbia parlato con i due avventurosi
castelnuovesi, forse per avere notizie della parte più interna del regno delle
Due Sicilie, e possiamo credere che Francesco e Vito gli abbiano raccontato il
fascino di un piccolo paese piantato nella roccia intorno al castello, a guardia
della strada che dal mar Tirreno porta al mare Adriatico.
Possiamo credere che gli abbiano detto della durezza della vita e delle ripetute
cause civili intentate dal Comune di Castelnuovo di Conza per far valere il
diritto della comunità a raccogliere legna nei boschi di Buoninventre e di S.
Ilarione.
Possiamo credere che abbiano raccontato a Ippolito Nievo di quando, nel 1848, i
castelnuovesi con il sindaco facente funzioni ed i sacerdoti alla testa andarono
a far valere i diritti della comunità sulle terre degli ex feudatari, e di come
poi furono arrestati e portati in catene a Salerno Gerardantonio Pugliese,
Francesco e Donato Di Donato, Fedele Pugliese, Michele e Pasquale Turi, Michele
Pezzuto, Michele Tavarone, Donato, Giuseppe e Vincenzo Di Domenico.
(A tal proposito desidero leggere al Consiglio Comunale alcuni stralci di
documenti dell’epoca che descrivono gli avvenimenti con il linguaggio e lo
spirito dell’apparato repressivo borbonico:
Buona parte della popolazione di Castelnuovo in Provincia di Principato Citeriore, a questo Comune limitrofo, guidata da circa quaranta persone armate di fucili disarmarono e maltrattarono gravemente i Guardaboschi di Don Giovanni Cassitto di qui che custodivano la di costui estesa proprietà boschiva denominata S. Ilarione. Commisero molti guasti al fabbricato ed alle piante ed abusando della forza cercarono per via di fatto prender possesso de’ dritti comunali che essi asseriscono senza alcun fondamento vantare sulla proprietà medesima.
Eccellenza, dal rapporto del dì 13 andante direttomi dal Procuratore Generale Criminale in Salerno e che trascrivo all’E.V. rileverà quanto ha avuto luogo in Castelnuovo di Conza per opera di Don Francesco Di Donato 2° Eletto e Capo di quella Guardia Nazionale.
“Eccellenza, certo Don Francesco Di Donato 2° Eletto ed anche Capo della Guardia Nazionale di Castelnuovo di Conza nel giorno 2 di questo mese, alla testa di molta gente armata impadronivasi di due muli carichi di legna raccolta in un bosco posseduto da Don Giovanni Cassitti di Teora, pel quale vanta de’ dritti lo Comune di Laviano, e dopo di aver sbaragliato e percosso coloro che qui avevano gli animali concertarono di commuovere l’indomani l’intera popolazione ad impadronirsi violentemente tanto del predetto bosco, quanto di un altro denominato S. Ilarione; all’uopo s’introdusse colla medesima comitiva nella Chiesa dove fece predicare dal Sacerdote Don Vincenzo Di Domenico che nel mattino appresso la popolazione era invitata a prendere possesso degli indicati boschi. In effetti nel giorno seguente il suono delle campane a stormo fece insorgere gli abitanti, che armati di ogni specie di armi proprie ed improprie e sempre sotto la direzione del 2° Eletto Capo della Guardia Nazionale Don Francesco Di Donato irruppero nei boschi controversi disarmando i Guardia Forestali, respinsero Guardiani, Coloni, ed ogni altro oppositore, s’impossessarono de’ boschi, devastarono le terre, radendo alberi, disperdendo un gregge di circa mille pecore, e spararono circa 400 fucilate piuttosto a spavento, incluse quelle sparate dagli aggressori.
“Informato di tale vandalismo il supplente di Laviano Don Felice De Chiara, fu sollecito di dar mano alle prime indagini, dirigendo un uffizio per taluni testimonij al Sindaco di Castelnuovo, il quale uffizio cadde sventuratamente nelle mani del principale colpevole Don Francesco Di Donato, che nella qualità di 2° Eletto funzionante da Sindaco, o piuttosto funzionar volle appunto col proponimento di offendere con la risposta il Supplente di Laviano. Ecco di fatti in quai termini è conceputa la risposta offiziale di quell’insolente:
Amministazione Comunale Castelnuovo di Conza – senza data
Al Signor Supplente anticostituzionale
di Laviano
Signore, Francesco Sibilia è ammalato e Vincenzo Pacillo è impedito, qual servente di affari pubblici, ma senza che s’incomodi di esaminarli, gli dico io l’avverantesi, io il Sindaco fummo quelli che fecimo emanare bandi, perché questi cittadini si avessero andati a prendere le legna del cerro tagliato nel bosco di basso, ch’è di proprietà del Comune, come da sentenza diffinitiva del Tribunale, e che (fu) reciso da Santomennesi senza alcun diritto. Egli intanto come persecutore di Carbonari e Patriotti, per cui anticostituzionale, non sarà più inteso.
Pel Sindaco assente – Il 2° Eletto
Francesco Di Donato”)
Possiamo
anche credere che Francesco Turi e Vito Pezzuto abbiano riferito al colonnello
Nievo di altri fatti che avevano sentito raccontare in paese e che riguardavano
l’arresto nel 1821 e la carcerazione per molti anni di Vitantonio Di Geronimo,
Vincenzo Di Donato e Vincenzo Robertiello, accusati di appartenere ad una
società segreta antiborbonica capeggiata dal notaio di Laviano Ruggiero Gibboni.
Possiamo credere che abbiano chiesto essi, Francesco e Vito, al colonnello Nievo
se adesso, con la vittoria di Garibaldi e l’annessione al Piemonte, le cose
sarebbero cambiate e come.
Possiamo credere che...
Possiamo credere, ma non sapremo mai com’è andata.
Una cosa però è certa: naufragio “naturale” o prima “stage di stato”
che sia, vittime innocenti degli elementi o di un oscuro, diabolico disegno,
Francesco Turi e Vito Pezzuto, commercianti di corallo di Castelnuovo di Conza,
affondati con il piroscafo Ercole e con il garibaldino Ippolito Nievo, un
piccolo contributo all’unità d’Italia lo hanno dato anche loro.
E ci sembra giusto, a centocinquanta anni dalla loro tragica morte, nel
festeggiare il compleanno della nostra Patria, ricordare alla comunità di
Castelnuovo di Conza, all’intera provincia di Salerno, e, in particolare, alle
giovani generazioni Francesco Turi e Vito Pezzuto, ed insieme a
loro il sindaco facente funzioni di Castelnuovo, Francesco Di Donato, il
sacerdote Vincenzo Di Domenico e Gerardantonio Pugliese, Donato
Di Donato, Fedele Pugliese, Michele e Pasquale Turi,
Michele Pezzuto, Michele Tavarone, Donato e
Giuseppe Di
Domenico, che guidarono la popolazione nell’occupazione delle terre del
1848, e Vitantonio Di Geronimo, Vincenzo Di Donato e Vincenzo
Robertiello che nel 1821 conobbero la durezza delle carceri borboniche per
affermare l’insopprimibile diritto alla libertà ed alla dignità di tutti.
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È
Lucania anche questa: Castelnuovo di Conza, Santomenna, Laviano
A Castelnuovo di Conza la pena di un paese ricostruito e già in
rovina prima di essere abitato. A Laviano la pena e il disgusto per il lavoro
degli architetti. Poi il colpo d'ala, la visita a un contadino che conosco.
Siamo rimasti due ore noi a fare fotografie alla bella famiglia e alle vacche
loro a offrirci il meglio dei loro prodotti. A un certo punto sembrava uno di
quegli incontri umani che si facevano una volta. erano tutti felici. Io no, ero
immerso nella mia stanchezza. alla fine per qualche motivo non mi trovo mai a
tempo con gli appuntamenti della vita. E in questo caso neppure all'appuntamento
con la poesia.
Il racconto del viaggio di oggi potrebbe finire qui, in questo veloce riassunto.
Ma ricomincio daccapo, frugo nei dettagli, magari è da lì che si apre qualche
spiraglio.
Siamo in provincia di Salerno, ma non è il Cilento e neppure la costiera. Siamo
molto vicini all’Irpinia d’oriente e alla Lucania. Tre paesi che nessuno aveva
mai sentito nominare prima del terremoto dell’ottanta. Il vecchio oblio
lentamente sta tornando. Io però ci torno almeno una volta all’anno, sono
affezionato a questi tre paesi, sono tra quelli che mi sono più cari. Per i
luoghi esistono simpatie e antipatie, come per le persone.
Oggi sono qui coi fotografi della terra dell’osso. Li porto nei paesi, poi
ognuno fa quello che vuole.
Prima tappa a Castelnuovo. Andiamo nella piazzetta che una volta era il cuore
del paese e ora è un bel cerchio di case vuote, a parte la casa del sindaco. Il
baricentro del paese si è spostato più giù, il baricentro è nelle case sparse.
Salendo più in alto il senso di sgomento cresce. Non solo non abita nessuno, ma
colpisce la grandezza delle case, tutte ricostruite e tutte vuote. Forse in
nessun posto in Italia si può vedere una cosa del genere, un patrimonio
urbanistico di un certo pregio completamente abbandonato.
Andiamo al Comune voglio parlare con il sindaco. Tempo fa, quando sindaco non
era, mi invitò qui a presentare un mio libro. Mi parve una persona buona,
garbata, vogliosa di fare del bene al suo paese. Poi un paio di anni fa è stato
eletto sindaco. Mi sarei aspettato che si facesse vivo, magari semplicemente per
fare quella chiacchierata con me che in effetti ci stiamo facendo oggi. Mi dice
che è preso da mille problemi. Fin qui è la solita storia di tutti i sindaci dei
piccoli paesi alle prese con problemi oggettivamente enormi. A partire dal fatto
che ogni giorno ci sono persone che vanno al Comune per illustrare problemi che
prima magari raccontavano al prete o altre figure che nei paesi non hanno più il
ruolo di un tempo. Faccio notare lo stato di degrado del centro storico. Magari
si potrebbe imitare il sindaco di un paese calabrese che ha messo su internet
tutte le case in vendita. Mi risponde che la situazione è complicata per il
fatto che molti paesani proprietari delle case sono in Sud America. Spesso è
difficile rintracciarli ed essendo quasi sempre persone benestanti non è che
hanno interesse a vendere la casa. Poi c’è il fatto che il Comune ha completato
una serie di alloggi ma non li ha ancora assegnati agli aventi diritto per
cavilli burocratici. Insomma qui i problemi legati alla ricostruzione
post-terremoto non sono finiti.
La discussione mi conferma che il sindaco è una brava persona, intellettualmente
onesta, ma forse gli manca quel pizzico di spregiudicatezza che forse serve per
amministrare un paese che ha ormai meno di cinquecento anime. Mi accenna ai
tanti problemi pratici che ci sono ogni giorno. Gli credo, e forse in un paese
tanto piccolo è anche difficile che possa disporre di collaboratori adeguati.
Rimane il fatto che qui accade qualcosa di scandaloso. Adesso è tornato in
funzione un impianto di compostaggio. Oggi c’è un vento che non porta la puzza,
ma quando ci andiamo vicino si sente il tipico olezzo dolciastro dei rifiuti
messi a macerare senza una tecnologia adeguata per impianti del genere. Il
sindaco si lamenta che è previsto solo un controllo all’anno. In passato la
struttura fu chiusa perché smaltiva fanghi tossici. Mi dice che hanno provato a
ottenere la gestione diretta, ma l’impianto è stato affidato a dei privati ed è
immaginabile che le leggi del profitto siano più forti di quelle della morale.
Tra l’altro nella struttura ci lavorano alcune persone del posto e ogni azione
contro la puzza viene vista come un’azione che può togliere lavoro a dei
concittadini. Comunque la conversazione col sindaco è abbastanza disperante: se
non succede nulla di buono neppure le poche volte che arrivano ad amministrarli
persone oneste e volenterose vuol dire che il rischio di estinzione in paesi
come questo è davvero alto. Se il calo demografico è di cerca 200 persone ogni
dieci anni e se adesso i residenti effettivi sono quattrocento, si può
facilmente fare il mesto calcolo.
È ora di passare per Laviano. Subito dopo lo svincolo, ci fermiamo a un
villaggio di baracche in legno che assicurò ospitalità alle persone dopo la fase
delle roulotte e prima dell’arrivo della grande colata di cemento con cui hanno
fatto migliaia di case. Adesso il luogo si presenta con il nome di “villaggio
antistress.” Le baracche si possono fittare al modico prezzo di settanta-ottanta
euro al mese. Hanno risposto all’appello molti del salernitano e del
napoletano. Il sindaco di Laviano è un’altra persona di valore. In passato si
era inventato anche un contributo di diecimila euro per ogni bambino nato. Lui
non è responsabile dell’orrenda ricostruzione ed ora si trova a gestire un paese
che istiga i nervi solo ad attraversarlo. Il paesaggio intorno è meraviglioso e
questo fa venire voglia di andare a cercare gli architetti che hanno lavorato
qui per dire loro che meriterebbero
un poco di galera. Per la verità un mio
amico sostiene che gli architetti dopo la laurea dovrebbero fare un paio d’anni
di carcere preventivo, giusto per essere più prudenti quando cominciano a
lavorare.
Lasciamo il villaggio e proviamo a trovare la piazza del paese. Niente, non si
trova. Finiamo in una zona più periferica dove c’è un grosso complesso abitativo
da cui si entra solo da due parti. Questo spazio sarebbe un ideale campo da
giochi per bambini, se ce ne fossero, invece ci hanno messo, al centro, sei
panchine dove non si sarà mai seduto nessuno. Sarebbe il caso di togliere le
marmette e riportare fuori un po’ di terra buona per fare qualche orto, se ci
fosse qualcuno a prendersene cura. I miei amici fotografi sembrano piuttosto
delusi e direi anche indignati dai posti che hanno visto oggi. Io sono troppo
stanco, mi trascino pensando solo al fatto che la giornata a un certo punto
arriverà alla sua fine. Ho contato almeno una cinquantina di panchine e nessuna
persone seduta: Laviano potrebbe essere definito il paese delle panchine
disoccupate. Il comune e la chiesa sono lontani dalla piazza e questa è una
delle tante scelte urbanistiche illogiche. Una mia amica di Brescia non riesce a
capacitarsi del fatto che ci siano tante case per un numero di abitanti molto
piccolo. Io non ho voglia di spiegare i meccanismi che hanno portato allo
scenario che teniamo davanti. Mi limito a far girare la compagnia e adesso so
che li porterò in un posto in cui tutti si rinfrancheranno. Saliamo verso la
montagna dove almeno potremo comprare un buonissimo caciocavallo. Mente
procediamo agli acquisti si sviluppa un clima di simpatia. Si comincia con
l’assaggio di vari formaggi, poi si passa al salame. Gli amici fotografi
scattano e il contadino e la sua famiglia sono contenti. Una bella famiglia
meridionale. I ragazzi hanno un fisico assai diverso dagli adolescenti catodici
lontani dalla vita all’aria aperta e dal lavoro manuale.
Adesso viene fuori uno straordinario limoncello. Ne bevo quattro bicchierini. Mi
cresce un leggero mal di testa, ma il mangiare mi sostiene un poco. Non è una
giornata facile. Mi sono svegliato alle quattro e ho lavorato al libro fino alle
otto e mezza. Adesso sono sicuramente il meno allegro della compagnia. I
contadini ci mostrano in diretta come vengono fuori i caciocavalli. Arriva altra
roba da mangiare e arrivano anche parenti e amici di famiglia. I fotografi, a
cui si son aggiunte tre persone della comunità provvisoria, sono molto contenti.
Invito tutti ad alzarsi, c’è ancora Santomenna che ci aspetta. È un paese
vicinissimo a Castelnuovo, ma ancora più piccolo. Non ci sono neppure le scuole
elementari e la media. Arriviamo che c’è una bella luce. Le case qui sono più
sobrie. Sembrano attaccate alla montagna giusto per dare l’idea che il paese
ancora c’è. E invece tutto si svolge dove passa la strada, in uno slargo in
basso tra la chiesa e il Comune. Ritrovo un anziano presente nelle riprese che
facemmo per il documentario
Di
mestiere faccio il paesologo.
Santomenna ha un’ aria diversa sia da Laviano che da Castelnuovo. Il paese è
veramente ridotto all’osso. 5.4.40Non a caso questa esperienza coi fotografi si chiama
proprio:
Viaggio nella terra dell’osso.
Risposta del Sindaco Custode Francesco
Grazie Franco per essere stato a Castelnuovo, la tua poesia
aggiunge poesia al nostro paese.
I tuoi scritti lasciano turbati. Mi fanno riflettere sulle notti, spesso passate
insonni alla ricerca di soluzioni a volte impossibili. I miei due anni di
mandato da sindaco mi hanno fatto combattere" con i problemi del quotidiano,
quelli che... vivo giorno per giorno con miei concittadini.
Raggiungere buoni livelli di raccolta differenziata dei rifiuti (67%), garantire
servizi efficienti (scuola, servizi idrici, pubblica illuminazione e
quant'altro) non è semplice con le poche risorse disponibili. Bisogna avere idee
anche per pensare a chi muore, come costruire nuovi loculi quando non ci sono
risorse finanziarie.
Il primo grosso impegno è stato cercare risorse e promuovere un’azione di
risanamento del bilancio comunale, (obiettivo che ritengo di aver raggiunto in
buona parte) ma ciò un visitatore non lo può certamente percepire, e spesso
neanche tutti i cittadini.
Non abbiamo perso di vista però la crescita del paese e abbiamo messo in campo
progetti e lavori che presto si avvieranno per la riqualificazione e la
valorizzazione del centro storico e che rimuoveranno il senso di abbandono che
tu descrivi.
Altre iniziative abbiamo intrapreso: la realizzazione di mostre fotografiche sul
paese di prima del sisma, la presentazione di un libro sui canti popolari di
Castelnuovo nella piazza del centro storico, la collocazione, in occasione del
30° anniversario del terremoto, di una scultura di Pietro Lista, noto artista
contemporaneo. Questo evento è stato ripreso in TV e trasmesso in eurovisione.
Si tratta di iniziative che dimostrano che il paese che amo, o meglio che ancora
amiamo, è vivo e vuole continuare ad essere vivo.
I cavilli burocratici che spesso si frappongono alla realizzazione delle idee,
che non mancano, sono molteplici in questa Bella Italia. Come sai anche tu,
essere dentro ai problemi quotidiani della nostra gente è un compito arduo e
difficile, soprattutto quando le istituzioni ci abbandonano.
Molto si sta facendo e tanto altro cerchere...mo di fare per non far morire i
nostri piccoli paesi, ma ci dobbiamo armare di tanto coraggio e buona volontà.
Tante volte ci prende lo sconforto, spesso una parola ci aiuta a rialzarci ma
qualche altra potrebbe metterci in crisi.
La forza resta e sta solo nell'amore verso la nostra terra.
Un abbraccio, e ti aspetto a Castelnuovo
Francesco
Don Angelomaria Adesso - l e t t e r a a p e r t a a i C a s t e l n o v e s i
Ai
fedeli di Castelnuovo di Conza
Visto il mio ultimo scritto, ci tengo ad avvisarvi subito che questa mia
lettera non è sullo stesso tono della precedente! È solo una mia
riflessione a sei mesi dall'apertura del nuovo tempio del Signore a
Castelnuovo di Conza e durante i miei Esercizi Spirituali.
Il 31-10-02 iniziava la mia
missione sacerdotale li tra voi, fiero della giovane età e pieno di
buoni propositi inculcati presso il seminario, dalla formazione
teologica, dalle esperienze in varie comunità che avevo vissuto (Caggiano,
Bivio Pratole, Olivete Citra, Puglietta, Stoccarda, New York). Come
prima esperienza di parrocato ho avuto voi di Castelnuovo di Conza.
Appena arrivato trovo una comunità ben formata e attenta ai momenti
liturgici, con una fede semplice ma anche matura, attaccata al culto
Eucaristico e Mariano, alla Santa Messa festiva e feriale, amante del
bello, del sacro, del pulito, dell'ordinato e della devozione ai Santi
Partoni e alla Vergine Maria.
Questo è merito senz'altro dei
sacerdoti miei predecessori: don Nicola d'Acunto, don Franco Di Stasio,
don Giovanni Gaudiosi, don Domenico Cruoglio che raccomando in modo
specialissimo alle vostre preghiere, per le sofferenze a cui è
sottoposto in questo periodo. Non di meno vanno ricordate le suore con
la loro opera di educatrici alla fede e al vivere umano e sociale,
attraverso l'opera dell'asilo e dell' apostolato in parrocchia. La loro
assenza è una vera perdita, tanto per voi quanto per me. Ma i meriti
restano e si toccano con mano: la presenza di numerose suore originarie
di Castelnuovo di Conza e di Giuseppe Bagarozza, finalmente deciso alla
strada del sacerdozio, sono il frutto prezioso di un' opera svolta e
della santità di sacerdoti e suore succedutisi a Castelnuovo di Conza.
Un ulteriore evento di grazia sta fortificando nella fede la nostra
comunità parrocchiale: il Nuovo Tempio del Signore. Lungi dall'antico
splendore dell'antica chiesa Santa Maria della Petrara, ha anche essa il
suo fascino e svolge anche essa il suo ruolo di casa del Signore. La
stiamo "vivendo" da quel pomeriggio del 25-07-09 e ogni giorno che
passa, la sentiamo sempre più nostra, accogliente, bella, spaziosa,
raccolta e idonea all'incontro tra il Divino e l'umano.
Certo, per voi
fedeli di una certa età resta impresso lo splendore dell'antica chiesa,
ma sia per voi che per le nuove generazioni questa è la casa del
Signore: il meglio che la sua divina provvidenza, la sua bontà infinita,
la sua misericordia e la sua grazia hanno scelto per noi. Sentiamo ogni
giorno di più il gusto della preghiera nel tempio del Signore, luogo
intorno ai quale cresce i! nostro tessuto sociale e aggregativo e nel
quale ogni giorno si irrobustisce la nostra fede. Un pensiero va a
quanti hanno profuso le loro energie nel realizzarla, e un pensiero
specialissimo va a quanti non l'hanno mai vista realizzata, dalle
vittime del terremoto, a Salvatore Bagarozza, alla mamma dì don Peppino
Zarra che proprio nel giorno dell'inaugurazione tornava alla casa del
padre. Il mio è un auspicio espresso già il giorno dell'inaugurazione
che voglio ribadire in questa circostanza a chiare lettere: la nuova
chiesa deve diventare il centro propulsore di una rinnovata vita di
fede, sociale, civile e aggregativa del nostro paese.
Troppo spesso,
voi, popolo di Castelnuovo di Conza, vi fate prendere dallo
scoraggiamento. Lo capisco: il colpo inflitto dal terremoto è stato
molto duro; e poi dal terremoto altre afflizioni si sono abbattute sulla
vostra comunità: II calo demografico, l'economia cangiata, la mancanza
di lavoro, la chiusura di parte delle scuole, l'emigrazione continua e
massiccia nelle sue percentuali. Tutto questo tende a far pensare in
negativo, in modo pessimistico. Ma come insegna la psicologia, se
guardiamo solo le difficoltà, queste si ingigantiscono, ci offuscano la
mente e ci gelano il cuore. Non esiste solo questo: se siamo ancora
cittadini di Castelnuovo di Gonza ci sarà un perché. "Alziamo il nostro
sguardo e contempliamo la nostra liberazione e salvezza" (come abbiamo
cantato nelle appena trascorse feste natalizie).
La nuova chiesa,
le pulite, restaurate e nuove suppellettili sacre, il gusto del bello
che intorno al Tempio si sta manifestando, possa essere foriero di
quello che c'è nel cuore dell'uomo. Gesù spesso ammonisce "a che serve
pulire l'esterno quando l'interno è marcio?" (Mt. 23,25).
Riprendiamo
energie, vigore e slancio per un rinnovamento dei costumi, della fede,
della società civile di Castelnuovo di Conza. Non lasciamoci vincere dal
male, dal negativo, dal pessimismo. Ritroviamo le motivazioni dentro di
noi per non cedere, non mollare ma risalire verso quei valori autentici
inscritti in ciascuno di noi: le persone anziane continuino ad essere
fonte di saggezza per le nuove generazioni che ha il dovere di reggere
la propria famiglia, il vivere sociale e religioso, lo faccia con
l'orgoglio "buono" e "proprio" di chi sa di avere un compito arduo, con
dignità e fierezza. Chi sta crescendo in età, lo faccia come Gesù, anche
in "sapienza e grazia", rubando i segreti della fede e del vivere umano
agli adulti e sottomettendosi alla legge di Dio e degli uomini pii.
Vi invito a
leggere i segnali positivi che vengono dai vivere comune e ordinario qui
a Castelnuovo di Conza. Voglio portarvi alcuni esempi che mi vengono in
mente e che possono essere utili per tutti: Ugo "la guardia" con zelo,
passione e grande interessamento ed impiego di risorse economiche e di
tempo ha tirato a lustro la cappellina della Madonna in loc. Cerza. A
lui il mio pubblico grazie. Antonella Sepe con crescente fervore, grinta
e buona volontà segue la questione della ricerca AIL, e inoltre con
spirito materno aggrega e favorisce i più piccoli della comunità. Tanti
giovani hanno toccato il traguardo della laurea e dell'affermazione nel
lavoro e nella famiglia. Uno su tutti, il caro Giovanni de Matteo.
Alcuni altri esempi più strettamente legati alla vita della parrocchia:
Giuseppe Bagarozza, che vogliamo continuare a seguire nel suo
discernimento vocazionaie con la preghiera e l'affetto; Pasquale che
ormai da anni svolge la sua missione di moderatore nella parrocchia e
con diligenza assolve ai suoi compiti di sacrista, accolito, lettore,
membro del coro... e pulisce pure la Chiesa e altro!!! (e speriamo che
presto prenda pure la patente!!!); le ragazze del coro che da anni con
tenacia, diligenza, perseveranza, entusiasmo e autonomia svolgono la
loro missione di animatrici della liturgia domenicale e festiva sotto la
guida di Emanuela e di Oscar (le porto nel cuore tutte senza bisogno che
scriva qui i loro nomi!). I ministri straordinari dell'Eucarestia,
Pompeo, Teresina e Rosetta, che tanto bene fanno ai nostri fratelli più
bisognosi e ammalati, non solo con la Santa Comunione settimanale a
turno, con la preghiera per loro e con il loro servizio in chiesa nei
giorni di maggiore affluenza; i catechisti che dalla settimana prossima
riprenderanno il catechismo con slancio, fede e buona volontà (anche
questi li ricordo ad uno ad uno!). Questi sono solo alcuni esempi che mi
vengono in mente, ma certamente ce ne saranno altri che non ricordo. Ma
voi certamente avete in mente persone ed eventi che richiamano questo
spirito di cui sopra.
Per concludere: nulla
ha di meno o di più Castelnuovo di Conza degli altri popoli e paesi! A
te castelnovese di qualsiasi età e qualsiasi responsabilità tu abbia
dico: "svegliati dal torpore, riacquista nuovo vigore, slancio e
soprattutto rinnova la tua fede, perché nulla ti turbi, nulla ti
spaventi, solo Dio basta". La Vergine Benedetta vegli su di noi, ci
illumini, ci protegga e ci conduca al cuore di Cristo. Auguri di un
sereno cammino ancora insieme.
INVENTA CON IL
TUO Dio IL FUTURO CHE EGLI TI DONA;
INVENTA CON IL
TUO DIO TUTTO UN MONDO PIÙ BELLO"
(p. Rimaud s.j.)
Matera, Esercizi spirituali 13- 01-10
il vostro parroco
don
Angelo
1 luglio 2011
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ARTICOLO DI LUCA ZARRA, TRATTO DAL GIORNALINO "LU CHIANIEDDH" - Bimestrale Marzo - Aprile 2011 - n. 6
IL MITICO CAMPO DI CALCIO, "AIA DELLE CHIANCHE": LA FELICITA' CALCIANDO UN PALLONE
Alle due di
pomeriggio, in piena estate, il sole si impigliava per un momento dentro
la rete della porta. La rete non era tutta a strappi, perché non si
sapeva nemmeno cosa fosse! La porta era formata da due pali laterali che
altro non erano che travi da cantiere, magari rubati nel solo ed unico
cantiere esistente a Castelnuovo. Il cantiere non era certo un lavoro
pubblico, ma qualche riparazione di fabbricato fatiscente che gli
emigranti si apprestavano a sistemare per poter loro accoglierli.
Noi rubavamo le traverse e a loro volta, esse venivano rimosse dai
contadini per farne buon uso in campagna soprattutto nel periodo in cui
bisognava realizzare la bica (lu pignon o la ped’na).
Se calciavi di collo piede, o magari una ottima punizione “a foglia
morta”, cosidetta alla “Corso” (calciatore degli anni 70), non
sapevi mai come sarebbe stata la reazione del pallone, se si fosse
imbattuto sulla traversa, perché ella non esisteva per niente. In
sostituzione veniva messa una corda di canapa (una zoca), anch’essa
rubata a qualche “ciuccio” in qualche posto. Era piacevole giocarci
sull’ ”Aia delle Chianche” perché per noi rappresentava il mitico San
Siro o il Bernabeu, perché ognuno di noi, calpestando quel suolo, si
sentiva un Mazzola o un Rivera, un Facchetti o un Bekembauer, un Cruiff,
un Sivori, un Pelè. Era talmente bello, che ti faceva piacere anche
quando qualche compagno della squadra avversaria ti sgambettava, e
cadendo a terra accarezzavi un letto di piume o di erba verde
freschissima, solamente che il tutto era rappresentato da tante pietre
sporgenti (chianche app’zzute) sorte dal terreno arenario (noi
lo chiamavamo tasso) che l’acqua piovana si divertiva continuamente
a dilavare e scavare ad ogni scroscio.
Il tasso veniva prelevato dalla zona circostante il campo; Tutti,
proprio tutti, eravamo tante formiche, partecipi di un lavoro
straordinario collettivo che solo la forza e l’entusiasmo dei giovani di
una volta sapeva dare. Lo scopo di mettere la terra (tasso) sul
campo era non solo quello di poter far giocare meglio i vari Pelè,
Cruiff e compagnia bella ma anche, e forse soprattutto, di coprire quel
manto pieno di pietre, pronte ad aspettarci ogni domenica come i Sanniti
aspettarono i Romani facendoli passare sotto “le forche Caudine”.
Per alleviare i dolori dei portieri, e di portieri ce n’erano a bizzeffe
tanti quanti i calciatori, ci munivamo di segatura dall’unico falegname
“Nandino” (Ricciulli Ferdinando), per posarla nella piccolissima
area di rigore. Questo faceva molto effetto perché i vari Carm’nucc’
(Carmine Grasso), Ciccillo (Francesco Greco), Gerard Foriù
(Gerardo Melillo), Salicone (Lorenzo Colatrella) Ciuccio P’tr’con
(Angelo Porreca), Orazio Guarino, Mario Strollo, ecc., si divertivano ad
emulare gli Albertosi, i Zoff e i Pizzaballa.
Per alcuni di loro però la segatura non bastava e si coprivano il corpo
di ginocchiere, gomitiere, pantaloni, maglie imbottite, e chi ne ha più
ne metta, una vera e propria armatura quasi sembrassero i cavalieri
della tavola rotonda.
Anche noi abbiamo avuto i nostri “campioni”, hanno calpestato il mitico
“Aia delle Chianche” i vari Basilio (Desiderio), Franceschino Don
G’lard (Francesco Iannuzzelli), Lu gatt’ (Mario Porreca),
Emilio Fausto, Francesco la Mazza (Francesco Di Ruggiero),
Vituccio Sibilia (Vito Sibilia), Rocchin d’Giulinella (Rocco
Colatrella), Tonin Mancinella (Tonino La Morte) e tanti altri
come me che più tanto giovani non sono.
Il campo di calcio era talmente grande che il pallone calciato da
Franschin Don G’lard (Francesco Iannuzzelli), dall’area di rigore
della propria porta arrivasse nella porta altrui facendo goal, facendolo
sembrare il “Sinistro di Dio” di Gigi Riva. Si, il campo era talmente
grande quanto poco più di un orto di pomodori.
Non esistendo un campionato vero e proprio (si ignorava persino
l’esistenza di un campionato di terza categoria), si organizzavano
partite di domenica in domenica; Pecorino (Donato Megaro)
chiamato calcisticamente “La Ruspa”, con passione, dedizione e
abnegazione, si recava, con il suo indimenticabile moto Morini,
alimentato con benzina “Super”, in ogni paese per chiedere la loro
disponibilità affinchè potessimo ospitarli.
Anche lui era stato inglobato dallo sviluppo economico degli anni
settanta; Eh si! Perché prima del Morini si recava ad invitare le
squadre dei paesi limitrofi con una pesantissima bicicletta.
Il pubblico delle domeniche calcistiche era quello delle grandi
occasioni, piccoli e grandi, maschi e femmine, anziani claudicanti,
anche quelli che potevano solo respirare si recavano per inebriarsi
dell’aria dei grandi eventi; Ogni partita era una finale di “coppa del
mondo”. Il pubblico si accomodava in tribuna Vip, sugli spalti comodi e
confortevoli come quelli dei moderni stadi inglesi, poltrone
lussureggianti! peccato però che ad aspettarli ci fossero solo le rocce
circostanti dove si assiepavano i migliori tifosi di questo mondo.
Durante il riposo, tra primo e secondo tempo, lo stadio moderno di
ultima generazione “Aia delle Chianche” offriva ogni comfort. Le bibite
erano assicurate dal barista Faust (Gerardo Fausto) che con il
suo tre ruote, un furgoncino giallo (Ape Piaggio), stazionava
ogni domenica dietro la porta. Ognuno si rifocillava per dissetarsi da
quelle calde stagioni estive.
Nei giorni infrasettimanali, in mancanza, quando il pubblico non c’era,
vi era una sorgente (acqua chi nasc’) che usciva dalle rocce
circostanti.
Le partite di pallone duravano sempre due ore, perché il recupero era
così tanto quanto il tempo necessario per andare a raccattare il
pallone, anche perchè per coloro che giocavano era l’unica occasione per
mettersi in evidenza.
Esso usciva continuamente dal rettangolo di gioco e finiva
irrimediabilmente nella parte a valle del paese.
Mi ricordo della prima ed unica “divisa di pallone”, arrivata a
Castelnuovo, era bellissima, di colore rosa come quella del Palermo, era
di pura lana merinos, caldissima soprattutto d’estate ed era così
pesante sulle spalle dei calciatori come un macigno, ma diveniva leggera
e fresca per la gioia di chi la indossava : “Castelnuovo era la nostra
nazionale”.
Le scarpette, erano monocolore, tutte nere, con le stringhe lunghe : si
giravano almeno due volte sotto le suole.
Il pallone di cuoio era leggerissimo, di piuma, pesava a dir poco
qualche chilo; quando scendeva eravamo già tutti preparati, la valvola
per gonfiarlo o quel taglio in cui si inseriva la camera d’aria (cambredaria),
cucita con filo di cuoio, facevano molto male e perciò si andava decisi
di testa.
Il pallone, cucito rigorosamente a mano, veniva portato, e questo
accadeva sovente, da Zi Pepp Mastattorr (Giuseppe Bagarozza), il
calzolaio del paese, (lu scarpar) per ripararlo e farlo ritornare
a nuovo, bello, sgargiante (veniva passato anche il grasso), pronto per
nuovi successi.
Anche lui, grande partecipe del tifo nostrano, si prestava con
generosità. Forse questo accadeva non solo per il fatto che eravamo dei
ragazzi ma forse anche nella speranza che quel pallone entrasse nelle
porte avversarie come una saetta.
Anche noi abbiamo avuto il nostro “Valcareggi”, tanto tattico che famosa
è rimasta nel tempo la sua frase, il suo motto : “Marcamento a uomo e
lancio in zona morta e pedalare”. Era il grande Tonino Concilio
alias “Pargoletto”.
Lui portò il senso e l’ordine delle grandi società come la Juventus ,
l’Inter e il Milan; Alle partite di calcio che si giocavano a
Castelnuovo la squadra si presentava con pantaloni e giacche alla
beat, quasi tutte eguali. Il bellissimo spogliatoio comodo, fatto di
poltrone, docce, sala massaggio, ecc., sembrava quasi di non aspettare
altro che questa grande Castelnovese. Si, però lo spogliatoio non era
altro che un grosso masso piatto (chianca) posto al bordo del
sassoso campo.
Su quel campo le ore non passavano mai, soprattutto d’estate, si
iniziava al nascere del sole, pausa pranzo, poi di nuovo il pomeriggio e
ci si ritirava dalla battaglia solo al calar del sole; Sembrava che il
tempo si fermasse proprio per far giocare quei ragazzi pieni di vita.
Tutto è cambiato, il sole non si impiglia più in quella rete virtuale,
il campo non sa più di pietre, ma forte rimane il ricordo di quelle
estati vissute all’insegna della felicità.
Un’ultima considerazione : che differenza tra allora ed oggi, quel
piccolo spazio “Aia delle Chianche” brulicava sempre di gioventù
vogliosa di divertirsi mentre oggi, con uno stadio a disposizione con
tutti i compfort, vi è il deserto. (Luca ZARRA).
LU CHIANIEDD' - Bimestrale Maggio - Giugno 2011 - Anno VIII n. 1 - Il Museo Archeologico Nazionale di Volcei " Marcello Gigante" - Articolo ONIDIA CIRIELLO
- Il museo archeologico dedicato a Marcello Gigante di Buccino ha una grande importanza per il territorio di tutta l'alta Valle del sele. Nella splendida struttura del Chiostro degli Eremitani di sant'Agostino, circa 1600 mq di esposizione su quattro livelli, raccontano e ricostruiscono la storia del nostro territorio dalla preistoria fino al II secolo a.C. in piena età romana, quando Volcei era il centro amministrativo di un vasto comprensorio territoriale. Nelle sale del rimo livello, reperti archeologici dell'Eneolitico e ricostruzioni virtuali e filmati ci fanno rivivere le esperienze dei nostri antenati e delle popolazioni che nei secoli hanno abitato e vissuto le nostre terre e ci ripropongono il fascino di quei paesaggi preistorici. Nel Piano superiore i ritrovamenti archeologici di necropoli che risalgono ad un periodo compreso fra l'VIII fino al IV secolo a.c. testimoniano la ricchezza di popolazioni colte e raffinate. I Volceientes erano una sorta di enclave etnicamente differenziata dai Lucani e presente certamente in tutto il territorio contermine. Vasi, suppellettili, gioielli, monili, ritrovamenti di eccezionale valore documentario e artistico ci parlano della nostra cultura passata. Monili d'oro, gioielli che testomoniano la perizia di artisti orafi, provengono dalla "Tomba dei Ori", la sepoltura, risalente al IV secolo a.C. di una giovane donna. Il mosaico della "sala da Banchetto" del santuario extra urbano in località Santo Stefano, la più antica opera musiva dell'Italia continentale occupa una stanza ricostruita per l'esposizione e arricchita da una suggestiva animazione multimediale. Ancora il "Vaso di Assteas", un 'hydria' opera dell'omonimo ceramografo attivo nella vicina Paestum, proviene da una tomba maschile risalente al IV secolo a. C. precedentemente conservato dal Museo "Villa Giulia" di Roma. A conclusione del percorso all'interno del museo, viene presentata una ricostruzione dell'antica città Volcei, attraverso plastici animati dalle suppellettili di uso quotidiano, dalle statue marmoree e da iscrizioni commemorative o celebrative. Un patrimonio archeologico questo, ricomposto grazie ad attività ultraventennali di scavo, restauro, tutela e valorizzazione delle risorse archeologiche e venuto alla luce in seguito al terremoto del 1980, che arricchisce il nostro territorio di un bene di grande valore. Arch. Onidia CIRIELLO
Iannuzzelli Pier Donato ha vinto la Mezzamaratona di Livorno per la
categoria MM... 75.
Iannuzzelli Pier Donato è atleta della Mario Tosi, Campione Italiano
U.N.V.S. per la sezione di Tarvisio - Anno 2011 (Autore
della poesia Ora non c'è più)
Raffaele URCIOLO,
nato a Salerno, si reca all'età di otto anni negli Sati Uniti. Tornato
successivamente in Italia nel 1933 dove consegue il dottorato in Lettere
all'Università di Roma, studiando Diritto Romano con il celebre Professore
Riccobono.
Il Dott. Urciolo approfondisce
successivamente i suoi studi conseguendo due lauree in giurisprudenza, di
cui una dalla George Washington Law School oltre a un dottorato in
Filosofia all'Università Cattolica.
Il dott. Urciolo ha inoltre
ricoperto la cattedra di Lingua francese al D.C. Teacher's College di
Washington e ha insegnato con diversi titoli nelle scuole pubbliche, alla
Università Cattolica, alla Howard University nonché alla John Hopkins
university.
Le materie da egli insegnate
sono altrettanto varie e includono la lingua Italiana, il Francese, il
Tedesco, il Latino, lo Spagnolo Classico, Corsi di Letteratura, nonché
Diritto Immobiliare e tutti gli aspetti delle Leggi che regolano il
commercio.
Egli ha svolto un ruolo attivo
anche nell'ambito della società civile come membro di numerose associazioni
tra cui il "Garibaldi-Columbia Club" la "Roma lodges" dell'ordine dei "Sons
of Italy", la "San Gerardo Society", "Lido Civic Club", la "Italian Cultural
Society" e la "Italian Executives of America".
Il dott. Urciolo è stato anche
un membro della Chiesa di "Holy Rosary Church" di Washington. Tra le
numerose associazioni in cui è stato coinvolto vi sono anche l'Associazione
degli Avvocati del District of Columbia e del Club della Linguistica di
Washington.
Raffaele Urciolo è stato
co-autore di un Dizionario Etimologico in tre volumi della lingua Sarda, un
opera a cui si è dedicato per oltre 14 anni. A questa opera ha aggiunto
altre pubblicazioni minori e traduzioni in varie lingue latine, tra le altre
la "Geografia Linguistica della Città di Napoli e della Sardegna" e
ancora "Le 10.000 parole Italiane in uso nella Lingua Inglese".
Raffaele Urciolo è stato sposato
con Florence sari con la quale ha avuto tre figli e un nipote.
Come membro del Foro del
distretto di washington, il nome del Dott. urciolo è scritto per sempre
negli annali della Corte suprema degli Stati Uniti. I suoi sforzi nel
campo del riconoscimento dei diritti dei cittadini di tutte le razze e
origini nel contesto del Diritto Immobiliare, hanno portato alle storiche
decisioni della corte Suprema del 1948 che proibiscono qualsiasi tipo di
discriminazione basata sulla razza o origine etnica. il suo credo personale
basato sulla fratellanza universale, non gli hanno mai permesso di scendere
a compromessi con alcun tipo di razzismo o tentativo di discriminazione e
segregazione di un essere umano.
Egli ha personalmente finanziato
almeno sei processi che sono arrivati fino alla Corte Suprema. In alcune di
queste battaglie legali ha difeso se stesso dichiarando che non si sarebbe
mai accontentato di una vittoria risicata, sicuro che in appello la giuria
avrebbe votato in suo favore all'unanimità. Gli eventi successivi gli hanno
dato ragione ed è per questo che l'Associazione Nazionale Forense degli
Stati Uniti, nella sede di Atlanta in Georgia, il 17 settembre del 1948 ha
elargito al Dott. Urciolo un riconoscimento ufficiale per merito.
Per questo e per tutti gli altri
meriti accumulati da questo illustre membro della società civile, il
Primo Premio " Angelo Musumano" dell'Associazione del "Italian Executives of
America" è andato al Dott. Raffaele Urciolo. Infatti come il suo
predecessore il Giudice Musumanno, anche il Dott. Urciolo si è battuto per
la giustizia e contro tutti i tipi di discriminazione, molto prima che fare
ciò fosse diffuso o "alla moda" e ha combattuto tutta la vita in difesa dei
deboli e degli oppressi.
ELIO VENUTOLO - ARTICOLO TRATTO DAL SUO BLOG - IL CASTELLO DI CASTELNUOVO DI CONZA
Ecco un altro argomento oscuro,su cui mai
nessuno,probabilmente,farà mai luce.L'argomento è altresì
doloroso,altresì,poichè i castelnovesi che hanno vissuto circa 2
secoli prima dinoi hanno distrutto il castellomaon biasimiamoli
per favore,a quei tempi non esisteva una mentalità di
"salvaguardia dei beni culturali",se così la
possiamo,scherzosamente,definire.
Mi sono chiesto per anni come fosse fatto il castello del nostro
ameno paesino.
Qualcuno poterbbe chiedersi:-"Ma tutti parlano di questo
castello,ma siamo sicuri che sia davvero esistito?"-sarebbe in
verità una domanda retorica a parere di molti,per vari motivi:
a)Il nome del nostro Paese è "Castelnuovo",il che la dice lunga
anche perchè Castello deriva dal latino "castrum" (so' a che
cosa pensate maliziosi!! :) :) ),che significa al singolare
"accampamento,fortezza,o accampamento fortificato";
b)i più anziani hanno memoria dei racconti di coloro i quali
sono vissuti prima di loro e che ad essi,che erano allora
giovani,si è trasmessa la testimonianza orale dell'esistenza di
una fortezza,o meglio "d' lu Castieddh'";
c)Nella Cronista Conzana nel capitolo riferito a Castelnuovo è
presente la frase:-"...e il castello è munito di forte
torre...";
Dai precedenti motivi molti ritengono di considerare veritiera
l'affermazione che a Castelnuovo esisteva un Castello.
Ma vediamo un pò in dettaglio quali sono i documenti che mi
permettono di affermare quanto scritto.
Nell'anno 2005,a 15 anni,mi trovavo a rovistare nella sconfinata
biblioteca di mio padre e mi capitò di trovare un libro
intitolato "Tiempos des Olympia" (mi pare!!),il quale parlava di
come un castelnovese agli inizi del '900 portò il cinema in
Colombia,inaugurando una delle sale da cinema più grandi del
mondo (oltre 5000 posti a sedere!!),e nel testo,da me
indecifrabile perchè in spagnolo,si parlava anche delle origini
di quei Castelnovesi (che di cognome facevano Di
Domenico).Sfogliando le pagine a caso,mi imbattei in una
fotografia di inizio '900 che ritraeva via Roma vista da
Santomenna e mi parve di intuire nelle scale cromatiche di grigi
della foto la forma di una torre che evidenziai a
matita.Entusiasta e desideroso di gloria,corsi a casa del signor
Emidio Liloia,e gli chiesi di scannerizzare la foto (e a dire il
vero anche lui fremeva,perchè io ero arrivato agitatissimo come
se avessi scoperto la cura per l'AIDS).Ma purtroppo,nella foto
non intravedemmo nulla,e inoltre a spegnere le mie speranze
contribuì anche il prof. Francesco Di Geronimo,il quale si
precipitò a casa per vedere,ma per poco non mi prese a schiaffi
:-) ....
Oggi,con il senno di poi,posso assicurare che non esistono ne
resti delle vestigia del castello nè immagini che documentino la
sua esistenza.
In mancanza delle immmagini però,esistono fonti scritte che
accertano l'esistenza del castello e magari ci può ispirare una
sua immagine ideale.
A pagina 508 della Cronista di Conza,capitolo XXI (leggi
capitolo ventuno),leggiamo che:-"[...]In dicta Terra vi è comodo
e forte Castello posto in luogo ameno per uso del barone di
dicta Terra ed è munito di forte torre[...]"-ancora apprendiamo
che-"[...]La Chiesa Maggiore è sotto il titolo di Madonna della
Petrara[...]" la quale sembra si trovasse entro le mura del
Castello ed inoltre-"[...]v'è un semplice beneficio sotto il
titolo di San Giovanni Battista,jus potrando del Signor Barone
[...] e sta' posto nel cortile del Castello[...]".
Poco possiamo apprendere dalle fonti scritte,ma "poco è meglio
che niente".
Un castello sfrutta una forte torre per compiti militari quali
la ricognizione e la vedetta sulla lunga distanza,cosa utile
all'individuazione del nemico che avanzava a piedi o a cavallo
lungo la pianura sottostante.Doveva trovarsi probabilmente sulla
punta estrema della parte oggi scavata dagli operai (io ci sono
salito con dei miei amici e v'assicuro che da là,già senza
torre, si vede tutta la valle:terre e terre a perdita
d'occhio,se c'andate da soli però è meglio,specialmente d'estate
vi godete il sole sulla faccia,il silenzio e la vista da urlo
che si gode da lassù:ah,che pace!!!).
I bastioni esterni (cioè le mura principali),secondo me dovevano
coprire una buona area di quella zona,che va' dalla chiesa di
San Nicola,e continuando in alto le mura si estendevano fino
alla Chiesa della Madonna della Petrara,che come edificio
risaliva al '300.
Immaginando il terreno scosceso di quell'area deduciamo che le
mura dovevano essere estese e dovevano essere anch'esse "forti"
come la torre,o almeno adeguate ed efficaci per la difesa da un
nemico.
Non si può azzardare nessuna ipotesi sul periodo di edificazione
del castello,e non oso farlo.Ma i più dicono che il castello
potrebbe essere stato edificato intorno al periodo della terza
Crociata tra il 1100 d.C. e il 1090 d.C.
Mio padre riteneva addirittura anteriore la sua origine:faceva
risalire l'edificazione del castello all'età delle invasione
Normanna dell'Italia Meridionale.Io,contro tutto e
tutti,preferisco credere che non bisogni soltanto pensare al
periodo di edificazione del castello stesso,ma pensare alle
tappe che hanno portato alla evoluzione del fantomatico castello
di cui tanto si parla nella tradizione orale.
Prima un -:"[...] propugnaculum Imperii[...]"-come diceva
Cicerone(De Leg. Agr. II,27,B),infatti fu ritovato in località
Serrone,negli anni '60 da un Gennaro studente al secondo/terzo
anno di medicina,un pezzo di un laterizio romano (cioè un
mattone piatto utilizzato dai romani per fare edifici "opus
latericium" e strade ) che riportava il marchio da bollo romano
con la scritta frammentaria "GLUS".In base ad una legge romana
dell'anno 110 tutti i laterizi prodotti dalle fornaci dovevano
avere "il marchio DOC" altrimenti non potevano essere
venduti.Pertanto da questo ritrovamento potremmo pensare che
ancor prima dell'età cristiana a castenuovo ci fosse una vedetta
di Roma a guardia degli "oppida" nemici,cioè le città ed i
villaggi (i pagus) appartenenti all'etnia sannitica degli Irpini.
Questa fortezza seguì poi,a mio parere,le tappe normali di
evoluzione del Castello,dalla "Motta" fino al "Castellum" vero e
proprio.
Concludendo una cosa è certa:da dei documenti raccolti da un
impiegato municipale Castelnovese,tal Alessio Di Majo,siamo
sicuri che il castello fu demolito nell'anno 1722.
I pezzi di muro rimasti furono definitivamente distrutti negli
anni '50/'60 dal Sindaco "Matucc' Sandor'",ovvero Amato Santoro.
Ma il nome "Lu Castieddh'" rimane ancora oggi nella memoria di
chi visse "a lu Paes' Viecchij'" ed infatti a volte sentiamo
dire frasi del tipo:-"La bonan'ma d' XXX ab'tava 'ngoppa a lu
Castieddh'.
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Salerno: medaglia e logo d’oro per 80 medici
Si terrà sabato 8 maggio alle 11, nella Sala Convegni dell’Ordine dei Medici di Salerno, in via Santi Martiri, 31, la cerimonia di premiazione dei medici che hanno raggiunto il traguardo dei 40 e 50 anni dalla laurea. I primi riceveranno una medaglia d’oro e i secondi il logo dell’Ordine in oro. In tutto sono 80 medici. Ecco i nomi degli aventi diritto: 40 anni: 54 i laureati nel 1970 Ermanno Albano, Marcello Alfinito, Giuseppe Andreola, Ciro Autieri, Alfonso Bambacaro, Biagio Bianco, Vilfredo Nicolò Budetta, Emiddio Carbone, Salvatore Cariello, Renato Cascone, Gerardo Citro, Guglielmo Crudele, Antonio Cuomo, Gaetano D’Ambrosio, Felice D’Amico, Gaetano De Maio, Carlo De Pascale, Alfonso Della Corte, Mario Di Concilio, Giuseppe Di Domenico, Rosario Di Landro, Aniello Ferrucci, Vincenzo Fulgione, Enrico Gambino, Salvatore Gatto, Raffaele Giallauria, Antonio Gibboni, Angelo Giordano, Arturo Guerrazzi, Pasquale Iadanza, Luigi Indinnimeo, Vincenzo Ippoliti, Alfredo Izzo, Anna Lombardo, Antonio Lovito, Italo Mastrangelo, Vincenzo Mazzeo, Gregorio Medugno, Paolo Morrone, Aurelio Michele Novarese, Angelo Petraglia, Enrico Pinto, Giovanni Pisani, Adelio Privitera, Peppino Sabatella, Pietro Smaldone, Raffaele Smaldone, Oliva Tarantino, Bruno Terrinoni, Maria Aolide Tonin, Mario Traversi, Pompeo Trivelli, Gennaro Urti, Gaetano Vitagliano. 50 anni: 26 i laureati nel 1960: Immacolata Alfieri, Domenico Aversa, Alberto Brescia Morra, Salvatore Caiazzo, Giuseppe Cesareo, Cristoforo Cobucci, Giovanni Conti, Alfonso D’Amato, Ciro D’Elia, Mario D’Oro, Amedeo Del Prete, Domenico Di Stasi, Filippo Giannattasio, Andrea Melella, Arturo Napoli, Pietro Niglio, Elio Pepe, Marcello Pinto, Antonio Profice, Giuseppe Santoro, Renato Sicuranza, Giuseppe Siniscalchi, Francesco Tancredi, Alberto Venutolo, Antonio Vetrano, Giacomo Zilli.
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13 MAGGIO 2012 GIORNATA NAZIONALE DELLA BICICLETTA A CASTELNUOVO DI CONZA SALERNO
IL COMUNE DI CASTELNUOVO
DI CONZA PARTECIPA ALLA 3° GIORNATA NAZIONALE DELLA BICICLETTA
IL 13 MAGGIO 2012
LA BICI MOBILITA'
L'UOMO - INIZIATIVA SOSTENUTA DA LEGAMBIENTE, MINISTERO
DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL
TERRITORIO E DEL MARE, EDISON E SORGENIA - ENERGIA
SENSIBILE - U'OCCASIONE
PER IMMERGERSI NELLA NATURA
Insieme in bici con il Sindaco Francesco Custode, il Presidente
di Legambiente Campania Michele Buonomo e con LA SPECIALE
PARTECIPAZIONE DEL GIORNALISTA MAURIZDomeninaIO GUAGNETTI DI
RADIO BICI (www.radiobici.it).-
Il percorso di circa 6,4 Km. individuato è: "Via della seta per Sant'Andrea di Conza e strada Solofrana. La manifestazione promuove le politiche di sviluppo sostenibile e le energie sostenibili e le energie rinnovabili che garantiscono la salvaguardia dell'ambiente in cui vive e opera l'uomo, a beneficio delle popolazioni presenti e future. Il Comune di Castelnuovo di Conza e Legambiente sostengono l'iniziata. La passeggiata in bici consentirà ammirare i nostri beni storici ambientali e paesaggistici. Il Centro Storico di Castelnuovo di Conza, varco appenninico con vista sull'OASI WWF Lago di Conza della Campania, insediamento archeologico del IV e V secolo a.c. "Fattoria di epoca Sannitica" unico in territorio Irpino ***; Parco eolico sella di Conza/Costa Cesina - esempio di energia rinnovabile.
Articolo del Giornale "La Città" del 12 maggio 2012 - "Radiobici"
visita l'impianto Sorgenia" Domenica prossima, 13 maggio, la
prima bicinchiesta italiana condotta dal giornalista Maurizio
Guagnetti arriva a Castelnuovo di Conza in occasione della
terza giornata della bicicletta organizzata dal Comune e
promossa dal Ministero dell'Ambiente. Il percorso in bici si
articola di circa 6,4 Km. attraverso il centro storico fino al
verco appenninico con vista sull'Oasi WWF Lago di Conza.
Radiobici intervisterà il sindaco e successivamente visiterà
l'impianto eolico di " Sorgenia" a Castelnuovo di Conza. (Link
della copia articolo su facebook)
-
Descrizione nel museo di Conza della Campania -
*** Il centro di
Castelnuovo è situato a pochi km ad Occidente di Conza, dalla parte
opposta del passo della Sella di Conza, sull’Alta Valle del Sele. Ci
troviamo in un’area culturalmente Irpinia, anche se di estrema
frontiera;
In età antica certamente si trattava di territorio controllato da
Compsani. La località Cupotii ( o Cupone, in alcuni documenti) è
sita a nord-ovest dell’abitato moderno,sulle pendici meridionali
della Cresta della Cesina. La prima parte dello scavo purtroppo è
stata eseguita con modalità non scientifiche,alla metà degli anni
80, da un gruppo di archeologi dilettanti, volenterosi ma poco
esperti, e proprio in quella occasione furono trovati materiali qui
esposti. Dopo quel primo intervento furono eseguite altre campagne
di scavo, questa volta sotto il controllo del competente ufficio
della Soprintendenza Archeologica, ma con scarsi risultati.L’unica
pianta che abbiamo, estremamente schematica,è stata pubblicata su
una rivista dattiloscritta, ed è la pianta che qui riproponiamo
elaborata. Si tratta di una struttura rustica posta su di un breve
terrazzo che incide in alto un pendio piuttosto scosceso nei pressi
di una fonte che forma un breve corso d’acqua sul lato meridionale
dell’insediamento.
Le strutture erano in pietre di calcare giustapposte di piatto e
allettate su strade di argilla.
Non è possibile stabilire se queste strutture fossero parte delle
mura dell’edificio, collassate oppure rappresentassero soltanto lo
zoccolo di base per un alzato di ligneo o di argilla cruda. La
copertura, molto probabilmente a doppio spiovente era realizzata con
tegole e coppi in terracotta. La struttura era probabilmente formata
da un solo edificio, probabilmente con più fasi costruttive,
gravitante attorno ad un focolare delimitato da pietre. L’edificio
sembra essere stato abbandonato in modo traumatico dopo un incendio,
alla fine del IV secolo avanti Cristo, o nei primi anni del secolo
successivo. I materiali rimanenti in buona stato di conservazione,
fatto non ordinario per materiale proveniente da abitato, solo
riferibili all’uso quotidiano degli abitanti dell’insediamento. La
ceramica a vernice nera, usata come ceramica da mersa, è
rappresentata da vari tipi di piatti e scodelle da boccali per bere
e da una grossa brocca. Si tratta, tranne in un caso di materiale
riferibile ad una solo area produttiva. Infatti tutti i pezzi sono
omogeneamente realizzati con argilla calcarea e sono ricoperti da
una caratteristica vernice matta o talvolta semilucida, poco
coprente. La cultura formata è vicina,da un lato,al mondo lucano,
dall’alto a quello più propriamente sannitico delle aree interne.
Allo stesso modo la grande olla, verosimilmente usata come
contenitore da dispensa,che originariamente era provvista di una
decorazione sub geometrica, con fasce, linee concentriche e
punti,ricorda sia oggetti simili rinvenuti in contesti lucani sia la
cosiddetta ceramica ellenica a bende prodotta dalla popolazioni
sannitiche dell’interno. Il
rinvenimento della fattoria di Cuponi a Castelnuovo è molto
importante perché rappresenta un raro esempio, l’unico in
territorio irpino di insediamento rurale, un tipo di insediamento
che pare fosse tipo del modo di abitare di questi popoli, che erano
“ usi vivere nelle campagne”,come ci informa alcuni autori antichi.
Questo sistema di insediamento sparso, noto nelle fonti, non ha
trovato sinora molti risconti diretti dal punto di vista
archeologico.
IL MANIFESTO SU FACEBOOK L'EVENTO SU FACEBOOK VIDEO DA CELLULARE CARICATO SU YOU TUBE SITO RADIOBICI MAURIZIO GUAGNETTI
VIDEO DELL'INTERVISTA AL SINDACO DA PARTE DEL GIORNALISTA MAURIZIO GUAGNETTI DI RADIO BICI
Questo quadro è la riproduzione del maestoso <<GESU' TRA I FANCIULLI>> che occupava la volta della navata centrale della Chiesa Madre "SANTA MARIA DELLA PETRARA" di Castelnuovo di Conza, donato dal Comm. Gennaro Barbirotti nel 1923. Durante il terremoto del 1980 andò distrutto con l'intera Chiesa. La famiglia BARBIROTTI dona questa copia alla nuova Chiesa del Paese. 12 settembre 2012 - Feste Patronali.
Un' articolo dell'epoca a riguardo l'autore
IL GIORNALE “RISVEGLIO” – Napoli, 5 luglio 1925 – Anno V
Articolo “R. ALBERGO DEI POVERI”
Opera d’arte del sordomuto Prof. N. Acocella “Gesù e i fanciulli”
<<Lasciate che i fanciulli venano a me>> E’ il sospiro di Gesù che i secoli ripetono alle genti con passione; sono le note di quella musica celeste di cui non sapremo mai cogliere abbastanza la melodia dolcissima.
Chi ascolta quella voce? Chi sente la magnificenza e l’intensità di quel palpito divino?
Oh come l’umanità sarebbe migliore se, provvedendo al suo vero bene, si arrendesse a quell’invito di Padre e di pastore e presentasse a quella fornace di amore i cuori innocenti, che si aprono alla vita come corolle profumate al bacio del sole nascente! Quanta gioia diffusa! Quanti delitti di meno! Quante carceri vuote! Quanta pace nelle famiglie! E quanto decoro e onestà nei rapporti sociali!
<<Lasciate che i fanciulli vengano a me, e non li impedite perché di questi è il regno di Dio>>. I fanciulli di Gesù non rimarranno fanciulli; ma portando nel cuore l’innocenza di quell’età, saranno gli uomini di domani, custodi e sacerdoti di sentimenti che la società presente sembra aver perduti di vista; saranno apostoli dell’idea che, mettendo in giusto valore gli interessi materiali, terrà sempre accesa la fiamma degli ideali purissimi, che, se non bella, rendono meno triste la vita.
Queste brevi ma profonde considerazioni facevamo l’altro giorno dinanzi a un quadro meraviglioso, venuto fuori dal pennello di un grande artista nostro, Prof. Nicola Acocella, sordomuto, discepolo diletto del sommo Morelli, abilitato all’insegnamento del bisogno nelle Scuole Medie della R. Accademia di Belle Arti in Napoli, il solo in Italia, o forse nel mondo, che abbia tale titolo. Fu già alunno ed ora è benemerito insegnante nel R. Istituto pei sordomuti, nel quale, con illuminata sapienza, l’illustre Direttore prof. Ernesto Scuri profonde tanti tesori di tenerezza paterna.
Il dipinto è stato eseguito su geniale idea e per commissione dell’ottimo Sig. Gennaro Barbirotti, che, a nome proprio e dei fratelli residenti nelle Americhe, con profondità di fede e altezza di sentimenti degni della nostra grande ammirazione, ne farà dono alla chiesa di Castelnuovo di Conza (Salerno). Possa il suo cuore di padre godere nei figli suoi quei frutti di virtù e di bene, che egli, con la scelta sapiente del soggetto, certamente desidera negli altri fanciulli; e gli siano sinceramente grati quanti, nella difficile missione di educare, godranno della visione di Gesù.
“Un lembo di cielo della Palestina; uno sfondo mirabile di monti, di boschi verdeggianti, e qualche casetta in lontananza, danno risalto a un gruppo meraviglioso, che attira tutta la nostra attenzione e conquide con la voce silenziosa, ma potente, del grande mistero. Presso una colonna siede Gesù, sulle sue ginocchia, innanzi e intorno a LUI, come per non separarsene mai più. E’ l’Agnello immacolato che pasce fra gigli; e i gigli dicono all’agnello: <<Signore, a chi andremo noi? Tu ha parole di vita eterna>>. Oh! Troppa gioia per quei piccoli essere con Gesù, che amorevolmente s’inchina verso di loro e con infinita bontà li guarda, quasi volesse ricondurre nel suo seno le sue creature, e alza le mani e benedice. La concezione non potrebbe essere più bella nelle sue linee magistrali, che fanno del dipinto un vero capolavoro , l’esecuzione non potrebbe presentare migliori caratteri di perfezione in tutti i suoi più minuti particolari; e l’armonia delle tinte è così bene distribuita in quel paesaggio orientale, che l’anima si sente veramente rapita a quella visione di cielo.
E’ un trionfo dell’arte, che trae le sue ispirazioni da orizzonti di luce e di amore.
Discorso del sindaco Francesco Custode in occasione del ritorno a Castelnuovo del quadro “Gesù e i fanciulli”
Grazie alla
Signora Bruna Barbirotti oggi Castelnuovo di Conza ritrova un pezzo
della sua storia e della sua cultura, che il terremoto del 23
novembre1980 ci aveva portato via insieme alla vita di ottantacinque
nostri concittadini.
Si tratta dell’opera dell’artista prof. Nicola Acocella “Gesù e i
fanciulli” che, nel lontano 1925 il padre della Signora Bruna, il
nostro concittadino Gennaro Barbirotti, volle donare, insieme ai
suoi fratelli emigrati nelle Americhe, alla Chiesa di Santa Maria
della Petrara.
Essa ritorna a Castelnuovo oggi in occasione della festa di Maria,
nella nuova Chiesa ricostruita ed aperta al culto da soli tre anni.
“Un lembo di cielo della Palestina; uno
sfondo mirabile di monti, di boschi verdeggianti, e qualche casetta
in lontananza, danno risalto a un gruppo meraviglioso, che attira
tutta la nostra attenzione (…) Presso una colonna siede Gesù, fra il
verde e le palme e i fiori del campo; e pare che da quelle creature
salga al loro Signore l’inno della loro adorazione. Fra le braccia
di Gesù, sulle sue ginocchia, innanzi e intorno a Lui sono dei
fanciulli, che hanno ascoltato la sua voce e sono rimasti attaccati
a Lui, come per non separarsene mai più”.
In questi termini veniva descritta l’opera commissionata da Gennaro
Barbirotti sul periodico “Risveglio”, pubblicato a
Napoli il 5 luglio 1925.
Molti dei presenti sicuramente ricordano l’affresco raffigurante
Gesù e i bambini sulla volta della nostra chiesa.
Io lo guardavo, con la testa all’insù, per lunghi minuti durante le
funzioni domenicali. Ero un bambino, e non potevo immaginare figura
più rassicurante e cara di quel Gesù con le braccia aperte ad
accogliere, nel suo amore infinito, non soltanto i piccoli ma
l’intera umanità.
Questo quadro che oggi torna a Castelnuovo, io ritengo, porta con sé
anche la speranza.
Speranza di pace e di serenità. Speranza di un futuro migliore per
Castelnuovo ed i suoi figli.
Grazie ancora a Bruna Barbirotti ed alla sua famiglia.
Castelnuovo di Conza, 12 settembre 2012
----- Il Sindaco ----- Arch.
Francesco Custode
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Scrivo per l'articolo pubblicato sull'Espresso di Saviano Emigranti del Sud tornate. Caro Roberto Saviano, il mio paese Castelnuovo di Conza (SA) raccontato da Franco Arminio, ha il triste primato di essere il primo comune in Italia per tasso di Emigrazione ( Venezuela, Salvador,Argentina, Brasile, Panama,Ecuador, Columbia, Canada, Stati Uiniti, Europa: svizzera Francia,Belgio Germania, Guadalupe, Martinica etc etc), per questo nel 2005 abbiamo scritto questo articolo e come te crediamo nei Capitali Perduti …
ALLA RICERCA DI CAPITALI PERDUTI
Francesco Custode Sindaco di Castelnuovo di Conza (SA) e Onidia
Ciriello
Articolo pubblicato su giornale locale Lu Chianieddh’ 2005
Vi racconto una storia bellissima che ha tutto il fascino e la magia
di una favola hollywoodiana. Circa quarant’anni fa con la sua
famiglia, Franco Dragone a 10 anni parte da Cairano verso La
Louvière, una piovosa cittadina industriale del Belgio, seguendo il
destino di migliaia di altre famiglie, di molti altri paesi del sud.
Il suo destino personale è forse un po’ più speciale: si dedica per
13 anni al Cirque du Soleil, il circo senza animali e lo fa
diventare la macchina da spettacolo più famosa nel mondo, mette su a
Las Vegas uno spettacolo grandioso tagliato su misura per Celin
Dion, è regista di Alegria un film del 1999 che ripropone uno degli
spettacoli del Cirque du Soleil, oggi a 48 anni è uno dei personaggi
più noti del mondo... ma non ha dimenticato il suo paese di origine.
Questa potrebbe sembrare una cosa estremamente banale, ognuno di noi
si porta dentro le proprie origini, e invece il caso di Franco
Dragone è speciale. Franco Dragone ha investito in questi anni nello
sviluppo di Cairano, uno sviluppo compatibile con i caratteri del
sito, in cui crede probabilmente grazie alla sua sensibilità di
artista, appoggia la Pro Loco, organizza manifestazioni di
animazione, promuove un progetto ambizioso, far diventare il centro
storico di Cairano un centro di formazione per giovani artisti
insomma, sostiene con la sua fortuna il patrimonio culturale della
sua gente.
Cairano non è certamente un caso isolato, mi viene in mente Andretta,
luogo di memoria, al quale si ispira per le sue melodie, come
esplicitamente e puntualmente confessato ai suoi concerti, Vinicio
Capossela, oggi presidente onorario della Pro Loco e se non altro
presente tutte le estati ad Andretta tappa fissa del suo Tour,
convogliando verso il paese natio migliaia di giovani fans.
Gli emigrati, famosi o non, che hanno investito all’estero portando
sviluppo, e che, legati ai loro paesi di origine in modo fattivo,
immigrano la loro esperienza, la propria cultura e nuovi stimoli
vivificatori, sono i capitali perduti e ritrovati.
Ma guardiamo alla nostra
realtà di Castelnuovo. Oggi a Castelnuovo dopo gli sconvolgimenti
economici e culturali degli anni ottanta, l’unica iniziativa
concreta, per molti è partire, andare via. I giovani non trovano
lavoro, non riescono a vedere evidentemente forme di sviluppo per il
paese e ... partono, investendo i propri capitali di energie lontano
da qui. Quelli che rimangono e che non hanno neppure preso
l’iniziativa di partire, sono rimasti con pochi riferimenti, quelli
che le iniziative le prendono o tentano, trovano grandissime
difficoltà perché devono lottare il doppio, anche per chi non c’è.
Questo meccanismo, nonostante l’impegno di chi è ancora presente,
porterà alla inevitabile morte fisiologica del paese.
Quando, chi è partito ritorna per trovare i propri luoghi natii e i
propri affetti e in sostanza torna in vacanza, non si ricrede forse
per la propria scelta (la partenza), perchè vede le cose come se non
fossero mai cambiate, vede il paese come l’ultimo approdo per la
pensione e la vecchiaia, e non intuisce che il cambiamento
infinitesimale che magari ha scorto è frutto di un impegno enorme,
(un pò come quello di Don Chisciotte contro i mulini a vento), e si
scoraggia pensando che non vale la pena di investire energie a
Castelnuovo di Conza; vede i Don Chisciotte, (faccio un nome per
tutti Eleonora Velasquez, che ha avuto il coraggio di emigrare a
Castelnuovo perché crede che qui si potrà realizzare come artista!),
e pensa che i Don Chisciotte stanno combattendo una battaglia persa.
Mi piace qui riportare il pensiero di Franco Dragone espresso nella
prefazione del libro di Paolo Speranza edito da Mephite
“Un’avventura neorealista: il film la donnaccia a Cairano” che
ripercorre la storia, attraverso foto e articoli di un film girato
nel 1963 (bella la coincidenza con la prima stesura della canzone
Bocca di Rosa di Fabrizio De Andrè) interamente a Cairano e che in
fondo parla della gente di Cairano. “ La cosa di cui adesso Cairano
ha bisogno” dice Franco Dragone, “è di passare dal mito alla memoria
e dalla memoria all’iniziativa. Ci sono tanti paesi nel mondo
diventati famosi per una piccola ma interessante iniziativa: [...]
Prima c’era soprattutto la festa del patrono, San Leone, ad agosto,
a costituire il principale momento connettivo e unificante dei
cairanesi, sia di quelli rimasti qui che dei tanti stabilitisi in
Belgio, a Torino, a New York, Philadelphia e in altre parti del
mondo.
Ora accanto a questa fondamentale ricorrenza di carattere religioso
anche l’esperienza collettiva del film la donnaccia, pur trattandosi
di una finzione cinematografica, può costituire un ulteriore momento
di attaccamento al paese, di unione, di identità per Cairano, nella
prospettiva di un futuro diverso e migliore per i giovani del paese:
io penso che essi debbano cercare di rimanere qui dove sono nati ed
è nostro compito quello di aiutarli a costruire un futuro possibile,
investendo soprattutto sulla cultura.”
E allora anche quei progetti di sviluppo del patrimonio sociale e
umano, che possono apparire utopici per il nostro paese, vanno
sostenuti, il nostro patrimonio di tradizioni e di cultura va
tutelato e incentivato da tutti, anche da chi se ne andato, perché
noi siamo le origini.
Dobbiamo sforzarci di non disperdere i nostri capitali se vogliamo
pensare ad uno sviluppo possibile, anzi il nostro sforzo deve essere
quello di recuperare i capitali perduti.
Mi piace tanto pensare e citare: “E’ un’ utopia, ma io ci credo”.
Francesco Custode e Onidia Ciriello
- Ringraziamo Luigi D’Angelis che ci ha raccontato la storia
bellissima di Franco Dragone e Cairano.
Ultimo aggiornamento: 25-09-12