Nota
In questa ultima parte della nostra brevissima storia riportiamo solo alcuni punti dove le vicende piemontesi assumono particolari caratteristiche rispetto a quelle del resto d'Italia, caratteristiche che spesso sono dimenticate. Inoltre, poiché le vicende che vanno dalla fine della seconda guerra mondiale in avanti sono state vissute dallo scrivente (nato pochi giorni prima la caduta e l'arresto di Mussolini il 25 luglio 1943) e dunque sono viste dal suo punto di vista e secondo la sua esperienza, non vengono riportate, perchè è bene che la storia si basi su documenti e fatti oggettivi, che sono valutabili con serenità solo successivamente. Solo in questo modo si riescono a capire dove sono le falsità e le forzature. Le menzogne impiegano, a volte, tempo ad emergere, e di solito lo fanno solo dopo che le situazioni sono cambiate, e diventano accessibili documenti prima non noti. Ovviamente questo non significa che si sappia tutto e con certezza di ciò che è successo prima. Nuovi reperti e nuovi documenti che possono essere trovati possono aggiungere o modificare informazioni su ciò che si sarebbe potuto ritenere consolidato.
A motivo dell'impostazione detta, questa parte risulta particolarmente breve, e questo aumenta la probabilità di imprecisioni, ed anche di errori. Vale la raccomandazione generale fatta per il contenuto di questo sito.
Dall'unità alla fine del secolo XIX
Nei primi decenni dopo l'unità il Piemonte, che parte da una situazione di vantaggio rispetto a tutte le altre regioni italiane, (quantomeno il reddito della regione è decisamente superiore a quello di tutte le altre), deve affrontare un notevole declino, dato dalla perdita di tutti gli apparati statali, al quale si aggiunge l'ostilità antipiemontese a cui abbiamo già accennato (Massimo d'Azeglio scrive che ai piemontesi spetta il merito di aver iniziato l'emancipazione dell'Italia e che come compenso "sono venuti in tasca a tutti gli italiani").
L'agricoltura piemontese continua a presentare una moltitudine di piccoli proprietari che continua a crescere e consolidarsi, mentre le grandi aziende agricole, nell'area vercellese, sono poche e producono essenzialmente riso. L'area piemontese poi è la più industrializzata d'Italia, e l'industria di punta è quella del cotone, mentre rimane importante l'industria della seta e quindi quella della lana. Il comparto tessile è dunque il principale settore industriale. Segue una fiorente industria alimantare, prima in Italia a produrre cibi in scatola, a cui si aggiungeranno in seguito gli impianti per la brillatura del riso e la produzione di vermout e spumanti. L'industria metalmaccanica è al terzo posto, e nel periodo lavora essenzialmente per l'esercito e per le ferrovie.
Con l'unità i Piemontesi lamentano che gli interessi della regione siano sistematicamente trascurati dal governo di Roma, e che gli investimenti siano tutti diretti altrove. Lo sviluppo industriale è frenato dall'alto prezzo del carbone, che continua a rendere economico l'uso dell'energia idrica, che però fornisce potenza limitata e non disponibile ovunque. Solo nel 1871, con l'apertura della galleria del Frejus, si rende disponibile carbone a prezzo un pò più economico, ma ancora si usa come combustibile anche il legno, e questo porta alla perdita di una quota non piccola di patrimonio boschivo. La politica liberale del governo, indirizzata al libero scambio, mette in crisi le aziende, che chiedono misure di protezione dei prodotti. L'elettorato piemontese (che a quel tempo non ha una larga base) comincia a spostarsi verso sinistra, che comunque a quei tempi è ancora piuttosto moderata.
I settori in cui opera l'industria piemontese sono molteplici, e finalmente, verso il 1880 , si registra una forte espansione industriale, ed il consolidamento di una classe operaia compatta, la cui organizzazione comincia a destare preoccupazioni nel mondo degli imprenditori. Particolarmente agguerrite sono le organizzazioni operaie della zona del biellese, ove i lavoratori rimangono in gran parte anche contadini, con una notevole capacità di resistenza nelle rivendicazioni, che vengono portate avanti con grande determinazione.
Alla fine del XIX secolo si profila e prende corpo una notevole crisi agricola, causata dall'arrivo di grano nordamericano, di carne argentina e di riso cinese. Da questa crisi sono particolarmente colpite le grandi aziende agricole, che cominciano a lasciare molti braccianti senza lavoro. Le piccole aziende, in particolare quelle che producono vino, risentono meno di questa crisi, mentre i braccianti delle risaie si trovano ormai senza potere contrattuale, sostituiti da braccianti stagionali, essenzialmente provenienti dal Veneto, che si accontentano di lavorare a qualunque condizione. Ma anche la produzione di vino, che sembrava remunerativa, diventa eccassiva, con conseguente crollo di prezzi. Di questo approfittano le nascenti aziende produttrici di vermout e spumanti (incredibilmente molto apprezzati in Francia), mentre la crisi raggiunge anche i piccoli proprietari. In questo periodo, senza investimenti statali che prendono altre strade, il Piemonte perde il suo primato agricolo sul resto del nord Italia. Più che in altre parti d'Italia, nascono in Piemonte forme di cooperazione e di Mutuo Soccorso, spesso suggerite e favorite dal clero delle parrocchie, mentre una fitta rete di Casse di Risparmio e Casse Rurali sostengono le piccole aziende agricole.
Ma la crisi raggiunge anche i settori industriali, con una catena di fallimenti che provocano un gran numero di disoccupati, e la povertà porta alla crescita della delinquenza nelle città. La situazione è descritta bene dalla letteratura in piemontese del periodo, nota ora a pochi, proprio perchè in Piemontese (vedasi la parte di storia della letteratura piemontese). La situazione è aggravata dal fatto che il governo centrale trasferisce da Torino a Milano le fabbriche di materiale militare e le officine ferroviarie. L'industria metalmeccanica piemontese sopravvive soprattutto grazie ai macchinari che l'industria tessile comincia a richiedere, ma anche la meccanizzazione di questa industria provoca nuovi disoccupati.
In questo periodo l'emigrazione di piemontesi all'estero diventa molto alta, ma occorre attenzione nel leggere le statistiche, che spesso non distinguono tra emigrazione temporanea ed emigrazione permanente. È già da molto tempo che i montanari, quando in inverno il lavoro sulla montagna si riduce, mandano qualche membro della famiglia a lavorare in Francia, nelle fabbriche di Marsiglia. Questi lavoratori, in primavera, riprendono la via dei loro monti. Questo tipo di emigrazione favorisce gli scambi di cultura e conoscenza tra Piemontesi e Francesi, che in effetti non si sentono "stranieri" gli uni agli altri. Questa emigrazione stagionale e a tempo limitato, infatti, provoca lo stabilirsi di stretti legami tra Piemonte e Francia, spesso rafforzati da matrimoni, e dunque spesso i legami diventano anche di parentela. Nelle vallate alpine il Francese è conosciuto almeno quanto l'Italiano (e forse meglio), mentre sono correntemente parlati tanto il Piemontese come l'Occitano.In questo periodo poi, molti emigranti partono per rimanere fuori, di solito in Francia e comunque in Europa, per un paio di anni, per poi rientrare in Piemonte, oppure si trasferiscono in Francia in modo definitivo, ma non rompono i rapporti con i loro paesi, data la relativa vicinanza, e tornano spesso per la pausa estiva e per le feste principali, magari con i nuovi parenti acquisiti i Francia. Altri invece partono per le Americhe, dove si stabiliscono, senza più la possibilità di mantenere rapporti con la loro terra.
Intanto si rende disponibile una nuova risorsa: si tratta dell'energia elettrica, ed il Piemonte è certo favorito nella sua produzione dalla sua situazione idro-geologica. Da questo nascerà uno dei colossi industriali piemontesi.
L'organizzazione degli operai in Piemonte.
Per inquadrare l'argomento ed avere una idea delle condizioni di lavoro dell'epoca, si rimanda a quanto detto nella terza parte di queste brevi note della storia del Piemonte. In Piemonte un movimento operaio nasce molto precocemente, ma rimane a lungo sotto la "protezione paternalistica " della borghesia, grazie al fatto che non vi sono grosse concentrazioni operaie, e la forza della borghesia, appoggiata dalle forze dell'ordine, è molto alta. Solo gli operai del distretto di Biella, di cui molti sono anche contadini o appartengono a famiglie contadine, hanno una notevole capacità contrattuale, che deriva dalla loro possibilità di sostenere una lotta per lungo tempo. Già nel 1864 gli operai biellesi hanno successo nell'effettuare uno sciopero generale ad oltranza, che costringe gli imprenditori a modificare i disumani regolamenti interni alle fabbriche, ottenendo così il primo contratto collettivo di lavoro in Italia. Anche un successivo sciopero, nel 1877 ha successo dopo essere stato sostenuto per tre mesi e mezzo. La meccanizzazione delle aziende, con la notevole riduzione del personale, porta inevitabilmente ad una forte riduzione del potere contrattuale nel settore.
In genere, tutti gli scioperi che nascono da organizzazioni corporative sono, in quel periodo, brutalmente repressi dalla polizia, ma non ostante questo, o forse proprio per questo, l'antagonismo della classe operaia comincia a crescere. Quando poi gli effetti della crisi nel settore metalmeccanico cominciano a farsi sentire, allora il movimento operaio inizia ad assumere una connotazione politica. Nasce la consapevolezza della necessità di investimenti in Piemonte. Gli operai si organizzano in comitati di lotta, ed assieme ai deputati piemontesi cominciano a chiedere investimenti al governo. Il municipio di Torino favorisce la costituzione di una Camera del Lavoro, mentre da parte governativa (specialmente con il governo Crispi) continua la repressione. Vengono chiusi e sequestrati molti giornali di ispirazione socialista, che stanno nascendo un po' ovunque in Piemonte.
Il movimento socialista stà assumendo sempre più importanza, ed alle lotte operaie cominciano ad avvicinarsi anche gli intellettuali (De Amicis, Lombroso). Nelle elezioni del 1897 il Piemonte, primo in Italia, manda a Roma due deputati socialisti. Nelle elezioni comunali del 1899, a Torino i socialisti hanno 17 eletti su 40, mentre ad Alessandria viene eletto il primo sindaco socialista.
Dal 1900 alla prima guerra mondiale
Questo è il periodo della nascita della grande industria in Piemonte. La FIAT è fondata a Torino nel 1899, e trova un fitto tessuto di aziende metalmeccaniche, dove risiedono notevoli competenze nel campo. Si tratta, all'inizio, di una piccola azienda che inizia la sua espansione quando Giovanni Agnelli riesce a rastrellare notevoli capitali sul mercato azionario, assicurandosi anche il controllo dell'azienda stessa. Vengono municipalizzate le aziende di servizio, e fra queste l'azienda elettrica, che così assicura elettricità al costo di produzione. Questo fattore favorisce moltissimo la sviluppo industriale.
Nel 1906 viene istituito il Politecnico di Torino, che diventa subito la principale Università tecnica italiana, in grado di fornire ingegneri molto qualificati. La città si espande rapidamente, in particolare per l'immigrazione dalle campagne, e nasce il quartiere operaio di Borgo San Paolo, che affianca quelli già esistenti di Borgo Dora, San Donato e Vanchiglia. Poi l'espansione prosegue verso le aree delle Molinette, Lingotto, Martinetto, Barriera di Lanzo e Barriera di Milano (sono così chiamate le aree attorno ai caselli daziari della città sulle strade di Lanzo e di Milano).
Nel periodo dei governi Giolitti, il Piemonte si sviluppa fino a ritornare la prima regione italiana per reddito. Nascono altre importanti attività industriale come l'Olivetti ad Ivrea, la RIV a Villar Perosa, l'azienda Borsalino ad Alessandria, le Cartiere Burgo a Verzuolo, e poi ancora a Torino la Lancia, la Michelin, la Nebiolo, la Venchi e la Talmone. Nel vercellese si sviluppa l'industria della brillatura del riso, mentre le industrie tessili crescono in varie parti del Piemonte. A Torino inizia la produzione cinematografica italiana, ed ancora piemontesi sono le prime squadre di calcio, come Torino, Juventus, Pro Vercelli.
Mentre la città cresce rapidamente, ricomincia invece ad avere problemi l'agricoltura, dove si fanno sentire gli inconvenienti associati alla piccola dimensione di moltissime aziende, che non hanno i mezzi per procedere alle necessarie innovazioni, ed opporsi efficacemente al diffondersi della peronospera e della fillossera che danneggiano gravemente le viti, principale risorsa di vaste aree della regione . In questo modo viene favorito l'esodo verso le città, dove vi è richiesta di manodopera, ma vi sono problemi nel sistemare la nuova popolazione, in quartieri non sempre curati a sufficienza e sostanzialmente poveri. In questo contesto riprende anche l'emigrazione.
Le lotte sindacali
La società di Mutuo Soccorso, che nel periodo sono diffuse non solo tra gli operai, hanno ancora una certa importanza, ma fra gli operai si stà costituendo una organizzazione sindacale sempre più moderna, sostenuta da una sempre più incisiva politicizzazione della classe operaia. Sul fronte opposto gli imprenditori formano una lega, che è la prima in Italia, e che si può considerare la progenitrice dell'attuale Confindustria. I metalmeccanici torinesi sono la parte più politicizzata del movimento operaio, e sono organizzati in due sindac ati, la FIOM di ispirazione più moderata ed un sindacato autonomo di carattere rivoluzionario.
All'inizio del secolo si ha una serie di scioperi, che nel 1907 porta ad ottenere, quasi ovunque in Piemonte, la giornata lavorativa di 10 ore, l'obbligo di preavviso per i licenziamenti ed il riconoscimento delle commissioni interne. Una successiva crisi del settore industriale provoca un certo arretramento, dovuto all'aumentato potere di ricatto dei padroni, ma subito dopo le rivendicazioni tornano ad essere portate avanti con forza. Negli anni 1912 e 1913 si hanno scioperi che durano anche dei mesi. La maggior parte del padronato, ed in particolare quello delle piccole aziende, si schiera su di una posizione intransigente, mentre invece Agnelli assume una posizione più moderata, che permette alla FIAT un più facile rapporto con il governo, anch'esso su posizioni moderate. Lo stesso Giolitti accusa la parte intransigente degli imprenditori di costituire un pericolo per l'ordine pubblico. Si giunge così a nuovi contratti, che prevedono l'introduzione dell'orario a 57 ore settimanali.
Mentre alla fine del XIX secolo gli operai del settore tessile riuscivano ad essere molto incisivi nelle loro lotte, con la meccanizzazione del settore essi perdono molto della loro capacità contrattuale, ed i sindacati più significativi diventano quelli metalmeccanici, che rimarranno tali per un lungo periodo.
Con l'introduzione del suffragio universale maschile, la rappresentanza dei socialisti piemontesi cresce nel Parlamento. In fabbrica si comincia ad introdurre metodi di lavoro scientificamente studiati per aumentare la produzione, naturalmente pregiudicando le condizioni di lavoro degli operai, che peggiorano, mentre la produzione inizia a crescere. La reazione operaia viene vanificata dall'ingresso in guerra dell'Italia.
La prima guerra mondiale
Nel periodo in cui l'Italia rimane neutrale, gli industriali hanno l'opportunità di aumentare le loro esportazioni verso i paesi in guerra, ma subito dopo giungono anche importanti commesse militari, e così gli industriali cominciano ad essere favorevoli all'intervento in guerra. Al di là di questo gruppo, in Piemonte gli interventisti sono pochi ed isolati. La politica giolittiana ha infatti ancora un largo seguito nella regione. Unica città in Italia, a Torino la dichiarazione di guerra provoca uno sciopero generale di protesta. L'arruolamento colpisce pesantemente le campagne e la loro economia, mentre nelle città industriali gli operai ed impiegati direttamente addetti alla produzione bellica sono esonerati dal servizio militare, ma militarizzati nelle fabbriche, e dunque sottoposti al codice militare di guerra. Questo cancella, in pratica, ogni diritto raggiunto con le precedenti lotte.
Moltissimi sono i caduti piemontesi, per la maggior parte arruolati nelle truppe alpine, a causa dell'impiego a volte scriteriato, proprio degli Alpini. La provincia di Cuneo sarà, alla fine della guerra, quella con il maggior numero percentuale di caduti, fra tutte le province italiane.
Nel 1917 cominciano a giungere dalla Russia le notizie sulla rivoluzione, che fanno molta presa sugli operai. Cominciano agitazioni in cui si parla chiaramente di Rivoluzione e di fine della guerra a tutti i costi. Nell'agosto dello stesso anno a Torino si ha una improvvisa mancanza di pane, e questo scatena la tensione che intanto è stata accumulata. Si ha la più violenta manifestazione che ci sia stata in Italia nel periodo, con scontri violenti, saccheggi e barricate nelle strade. Si tratta di una manifestazione spontanea, sfuggita al controllo dei sindacati e dei socialisti, che non sono in grado di fermarla. Viene repressa con carri armati e mitragliatrici, che fanno 41 morti. Le autorità di polizia prendono lo spunto da questa manifestazione per cercare di eliminare i vertici sindacali e socialisti. I fautori della guerra, in Piemonte, sono una minoranza isolata, ma molto insolente e denigratoria. In Italia gli interventisti ne approfittano per lanciare l'ennesima campagna antipiemontese ed antitorinese.
Alla fine della guerra, cessata la produzione bellica, l'industria subisce una contrazione inevitabile, e la sola FIAT licenzia 8000 operai. Nel frattempo, però, gli industriali si sono enormemente arricchiti. A questo si aggiunge il ritorno dei soldati, che spesso non trovano lavoro, ed infine l'epidemia di influenza "spagnola" che nella sola Torino provoca 3000 morti.
Alla fine della guerra, comunque, la città si è molto modernizzata, e l'industria è molto cresciuta. La FIAT di Agnelli ha assunto una posizione di predominio e di notevole forza. Il crescere della disoccupazione porta come conseguenza una forte affermazione dei socialisti in Piemonte.
La nascita del fascismo
La situazione del dopoguerra è pesante, e le rivendicazioni spontanee scavalcano anche i sindacati ed il partito socialista, mentre il braccio di ferro fra padroni e lavoratori si fà durissimo. Gli industriali infatti non intendono rinunciare a quelle norme di guerra che hanno loro permesso un grande arricchimento, mentre dall'altra parte la rivoluzione russa è uno stimolo a superare anche sindacati e partiti. A questo braccio di ferro non partecipa la FIAT di Agnelli. Questi cerca di evitare l'urto frontale ed intravede più opportunità nel mantenere l'azienda fuori dallo scontro politico, per quanto possibile.
Negli anni che seguono la guerra, in Piemonte il movimento operaio si fà sempre più rivoluzionario, anche scavalcando il partito socialista ed i sindacati. Nelle elezioni del 1919 i socialisti si affermano in tutta Italia e trionfano in Piemonte. Lo stesso partito socialista si stà spostando più a sinistra, con l'ingresso nel partito di Gramsci, Togliatti, Terracini, che sono in opposizione all'ala riformista del partito. Il successo elettorale spinge gli operai ad istituire "consigli di fabbrica" che provocano una violenta reazione del padronato. Si arriva ad uno sciopero generale (1920) che riesce in Piemonte ma fallisce in Italia, osteggiato dagli stessi sindacati e socialisti. I padroni irrigidiscono le loro posizioni, e lo scontro si inasprisce.
I padroni, per contrastare ed intimidire gli operai, cominciano a servirsi di squadre di picchiatori, che si stanno formando a lato del movimento fascista. Le violenze si susseguono e restano di solito impunite, e questo accresce l'arroganza degli squadristi. Il movimento fascista, che in altre parti d'Italia riesce a coagulare, in chiave nazionalista, il generale malcontento post bellico, in Piemonte non ha molto seguito, limitato a qualche ex combattente (di solito ufficiale) della grande guerra, ma aggregando elementi teppistici risulta estremamente violento ed arrogante. Non risulta che queste violenze si verifichino da ambo le parti, ma certo la risposta difensiva degli operai è estremamente efficiente, e così si verificano morti da ambo le parti (e comunque ben più operai). Nel 1922 queste squadracce sono tutte inquadrate nel movimento fascista, le violenze diventano continue e culminano con la marcia su Roma, e la presa del potere da parte di Mussolini.
Il Piemonte, in genere, è ostile al fascismo. mentre in Lombardia gli iscritti al partito a metà 1922 sono oltre 80000, in Piemonte sono circa 15000. Dopo la presa del potere, in Piemonte si assiste ad un regolamento di conti interno al partito, e quindi un tentativo di normalizzazione e di guadagno di consenso. Una situazione difficile per il fascismo in Piemonte è data dai rapporti con gli industriali, che non si allineano alle direttive del partito. In particolare Agnelli ha un potere sufficiente a scavalcare le gerarchie locali e a trattare direttamente con Roma, e da una posizione di forza. Riesce persino a far trasferire in Somalia il quadrumviro De Vecchi. Agnelli è comproprietario del giornale cittadino La Stampa, il cui direttore è il cattolico Frassati, ed il giornale, non allineato, è il più diffuso in città. Il partito cerca di far mettere un fascista alla direzione del giornale. Quando finalmente arriva il primo, questo non può lavorare, ed alla prima occasione è licenziato in tronco da Agnelli, che nel frattempo ha preso la proprietà completa del giornale, aumentando la sua influenza in città.
Tra poteri forti della città e partito fascista si giunge ad una certa normalizzazione dei rapporti dopo la crisi del 1929, con le misure messe in campo dal governo per l'assorbimento della grossa disoccupazione che si è prodotta. Permane una lotta sotterranea fra i principali esponenti del fascismo piemontese.
Lo sviluppo economico
Il fascismo ha eliminato l'opposizione socialista e sindacale, e così gli industriali hanno modo di introdurre quei metodi di lavoro e sfruttamento scientifico, fra cui la catena di montaggio, che a scapito delle condizioni di lavoro degli operai porta subito aumento della produzione e ricchezza per i padroni, non più contrastati dalle rivendicazioni operaie, data la quasi inutilità (o quantomeno l'impotenza) del sindacato fascista (Agnelli, comunque, continua a difendere il suo diritto di trattare direttamente con le commissioni interne, finché queste vengono eliminate del tutto).
Questo è il periodo di una notevole immigrazione in Torino da altre regioni, ed in particolare dal Veneto. Nel 1931 la città raggiunge i 600'000 abitanti, di cui almeno un quarto sono immigrati. Quello che continua a non svilupparsi è quella parte del mondo agricolo fatta da piccole aziende, che in Piemonte sono molto numerose. La montagna comincia a spopolarsi. In ogni caso, alle soglie della seconda guerra mondiale il Piemonte è ritornato ad essere la regione italiana a più alto reddito, superando di un buon 10% anche la Lombardia.
Il fascismo in Piemonte
Il fascismo fà poca strada fra i Piemontesi, ed i rapporti inviati a Roma dai gerarchi piemontesi parlano chiaramente di un Piemonte antifascista, con industriali che non si piegano alle direttive del partito ed una classe operaia, già molto agguerrita, che ora cova in silenzio una forte ostilità. Con gli interventi successivi alla crisi del 1929 e gli investimenti a sostegno dell'industria ed in campo sociale, diminuisce l'ostilità, che però non viene sostituita dal consenso, ma da una certa accettazione senza convincimento, come dicono i rapporti mandati a Roma, che parlano di un Piemonte non effettivamente antifascista, ma nemmeno fascista. Questa parziale accettazione comincia a ridursi con le avventure coloniali e spagnola e crolla con la campagna antifrancese e quella antiebraica. I rapporti tra Piemontesi e Francesi sono diventati molto stretti (ed a volte, come abbiamo visto, sono anche rapporti di parentela) e davvero i Piemontesi non vedono minacce nella Francia. I cattolici piemontesi, poi, condannano apertamente gli atteggiamenti ed i provvedimenti antiebraici. Si aggiunga che in Piemonte vi è più di una riserva sul nuovo alleato Tedesco, per nulla gradito, contro il quale molti hanno combattuto nella grande guerra. Poiché vi sono limitazioni varie per i non tesserati fascisti, ed a volte anche dei seri problemi, alcuni si iscrivono al partito, rimarcando fra gli amici che la sigla PNF (Partito Nazionale Fascista) per loro suona Per Necessità Familiari.
La guerra
L'entrata in guerra porta subito (due giorni dopo) un bombardamento su Torino, con morti e feriti, mentre la seguente campagna contro la Francia è disastrosa, con moltissimi morti, feriti, congelati in pochi giorni. I Piemontesi, che sono immediatamente dietro il fronte, non accettano questa guerra contro un paese che sentono fratello. Dal punto di vista militare, poi, la campagna appare del tutto inutile, scriteriata ed inconcludente. La residua accettazione del fascismo crolla completamente, e restano pochi ed isolati i fascisti in regione, qualcuno anche in buona fede.
Anche gli industriali non gradiscono l'entrata in guerra. A differenza della prima guerra mondiale, questa volta non vi sono commesse militari particolarmente rilevanti, mentre ora il rischio per gli stabilimenti rappresentato dai bombardamenti è molto alto. Il tutto è associato ad un blocco delle esportazioni, o per lo meno ad una loro drastica riduzione. Infatti il Piemonte ed in particolare Torino sono oggetto di pesanti bombardamenti, che portano complessivamente a 2500 morti in città. Il 40% delle case è danneggiato o abbattuto. L'ostilità al fascismo cresce di giorno in giorno, e gli operai riprendono le agitazioni e gli scioperi, nonostante la violenta repressione, gli arresti ed i deferimenti ai tribunali speciali. In nessuna altra regione italiana l'opposizione al fascismo diventa così violenta e palese.
La disastrosa campagna di Russia, con la distruzione della divisione alpina Cuneense, è un altro tassello del crescente antifascismo piemontese. Pesanti bombardamenti su Torino provocano lo sfollamento di gran parte della popolazione. ( Lo scrivente è nato in montagna grazie a questo sfollamento).
La caduta del governo fascista, il 25 luglio 1943, con l'arresto di Mussolini, è salutato con euforia in Piemonte, come in varie altre parti d'Italia. Vengono saccheggiate le sedi delle organizzazioni fasciste, qualche fascista è bastonato e qualcun altro giustiziato dalla gente.
La guerra partigiana e la Liberazione
L'armistizio dell'8 settembre porta in Piemonte gli sbandati della Quarta armata di stanza nella Francia meridionale, e l'immediata formazione di gruppi partigiani in opposizione a quella che diventa l'occupazione tedesca del territorio. Con la liberazione di Mussolini si forma in Nord Italia la Repubblica fascista di Salò che appoggia i Tedeschi e che recluta il suo esercito di brigatisti neri (reclutamento che ha scarsissimo successo in Piemonte). Anche in altre regioni si ha la formazione di gruppi partigiani, ma in Piemonte le caratteristiche sono diverse. Innanzitutto queste formazioni in pochi giorni sono già consistenti, e costituiranno poi più della metà di tutti i partigiani operanti in Italia. In secondo luogo in Piemonte è molto alto l'apporto alle formazioni di soldati ed ufficiali, in massima parte Alpini, molti provenienti dalle stesse vallate in cui operano. Infine i partigiani piemontesi hanno subito una struttura organizzativa eccezionalmente efficente fin dall'inizio, che fa capo (ed in pratica costituisce) il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI). Una notevole integrazione delle file partigiane si ha dai giovani che rifiutano di presentarsi alla chiamata di leva della Repubblica Sociale e vanno in momtagna. In Piemonte, infatti, la risposta alla leva repubblichina è addirittura irrisoria, a differenza di quanto accade nelle altre regioni, al punto che per le azioni contro i partigiani devono partecipare, oltre ai tedeschi, le brigate nere lombarde.
Ai combattimenti nelle vallate alpine, dove i partigiani tagliano le vie di comunicazione e tengono impegnate ben quattro divisioni tedesche, corrispondono scioperi degli operai nelle città, che si dimostrano altrettanto pericolosi, con alcuni operai che perdono la vita ed altri che sono deportati in Germania. Anche gli industriali, o almeno i maggiori, cominciano a prendere le distanze dal fascismo e a cercare contatti con la Resistenza e (probabilmente) anche con gli Alleati. Operai ed industriali collaborano nel boicottare i piani tedeschi di trasferimento degli impianti. Agnelli e Valletta ristabiliscono le commissioni interne, riconosciute come luogo dei veri interlocutori. Nei rapporti fatti a Mussolini dai gerarchi piemontesi si parla di un Piemonte fortemente antifascista, che stà sfuggendo di mano.
Nonostante le feroci rappresaglie contro la popolazione civile, e con comprensibili momenti di paura ed incertezza, non manca mai ai partigiani piemontesi, l'appoggio almeno passivo delle popolazioni, ma spesso essi possono contare su un supporto attivo. Grazie anche ad una certa retorica militarista e risorgimentale ancora legata alla casa Savoia, i Piemontesi sono portati a considerare i partigiani, che combattono in divisa alpina nelle loro valli, come gli unici soldati legittimi della loro nazione, mentre i repubblichini sono usurpatori volgari e feroci ed i tedeschi feroci invasori. Questo è in fondo vero, poiché il Re ha destituito Mussolini ed ha fatto un armistizio con gli alleati, ordinando ai militari di difendere la Nazione da chiunque l'avesse attaccata, cosa che è successa da parte dei Tedeschi e di Mussolini.
I partigiani cominciano a controllare, per periodi più o meno lungo, larghe parti di territorio, con grande preoccupazione dei gerarchi di Milano, che ormai si rendono conto che i partigiani, in Piemonte, sono in grado di interrompere ogni comunicazione. Quando gli alleati sbarcano in Francia meridionale, le azioni partigiane sulle Alpi producono ai Tedeschi, che hanno necessità di spostare rapidamente forze, non pochi problemi.
In Piemonte operano, come blocchi principali, formazioni delle brigate Garibaldi, di ispirazione comunista, le formazioni di "Giustizia e Libertà " di ispirazione liberale, formazioni Autonome, composte da molti militari guidati da ufficiali anche di carriera, di ispirazione che và dal monarchico al cattolico, e con una impostazione molto miltaresca ed anche un po' formale. Pur con qualche contrasto, sporadicamente anche grave, la collaborazione in Piemonte è buona, ben coordinata dal CLN.
Quando ormai la guerra stà finendo i Partigiani si preparano ad occupare le città, e cercano di farlo prima delle truppe alleate, cosa che oltre ad impegnare forze tedesche portando anche alla cattura ed il disarmo di molte unità, salverà il salvabile dell'onore della Nazione. Gli operai si barricano nelle fabbriche per impedire atti di sabotaggio da parte dei Tedeschi in ritirata, mentre le formazioni partigiane garantiscono la sorveglianza degli impianti idroelettrici in montagna. Quindi inizia l'attacco alle città. In quel momento i Partigiani piemontesi sono circa 30'000. Poiche in Lombardia vi sono solo 9000 partigiani, le formazioni delle valli del Sesia e dell'Ossola attaccano e liberano Milano.
I partigiani piemontesi caduti risultano alla fine 5800.
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