LA CHIESA E GLI ERETICI







COLONNA E SOSTEGNO DELLA VERITÀ (1 TIMOTEO 3,9)



LA CHIESA E GLI ERETICI

 

 

TOLLERANZA ED INTOLLERANZA VERSO GLI ERETICI

CHIESA, NON VIOLENZA ED ERETICI NEI PRIMI SECOLI DEL CRISTIANESIMO

ERESIA ED INTOLLERANZA NEL PENSIERO MEDIEVALE

RIFLESSIONI LOGICHE NON SEMPRE COERENTI CON LO SPIRITO DEL VANGELO

 

 

 

 

 

 

1.           TOLLERANZA ED INTOLLERANZA VERSO GLI ERETICI

 

Nella chiesa cattolica sono sempre convissuti due atteggiamenti contrastanti nei confronti dell’eresia. Da un lato, soprattutto in passato, è infatti prevalso spesso un atteggiamento di drastica condanna, di persecuzione violenta e di repressione implacabile. Sul fronte opposto non sono però mai mancati i fautori della tolleranza, della carità e della mitezza. Le posizioni più intransigenti hanno tratto e traggono forza soprattutto da alcune pagine dell’Antico Testamento dove lo stesso Dio invita a votare allo sterminio i Cananei, gli Ittiti, gli Amorrei, gli Evei e i Gebusei  (Esodo 33,2 e Deuteronomio 7,2), si occupa personalmente di stroncare la ribellione di Core, Datan ed Abiran (Numeri 16) e sembra gradire i sentimenti di “odio perfetto” manifestati dal salmista nei confronti dei nemici di Dio (Salmo 139,21-22).  Gli atteggiamenti più tolleranti sono invece radicati soprattutto sull’insegnamento di Gesù Cristo, vittima egli stesso della persecuzione religiosa, timoroso di sradicare il buon grano con la zizzania (Matteo 13, 29) e sostenitore dell’amore verso i nemici (Matteo 5,44; Luca 6,27; Luca 6,35) ed i samaritani (Luca 10,33; Luca 17,6; Giovanni 4,9).

 

Qualunque cosa si possa pensare delle scelte operate in passato da alcuni uomini di chiesa (che renderanno evidentemente conto a Dio del proprio operato), sembra opportuno sottolineare che, alla luce degli insegnamenti biblici e in assenza di esplicite direttive provenienti dall’Onnipotente, i cristiani dovrebbero mantenere nei confronti degli eretici un atteggiamento estremamente prudente (Matteo 7,14-20; Romani 16,17; Tito 3,10), distinguendo tra i maestri e le vittime dell’errore, convincendo quelli che sono vacillanti, strappando dal fuoco alcuni ed avendo di altri compassione mista a timore (Giuda 22-23). La correzione, poi, per quanto energica e determinata, non dovrebbe mai giungere a forme di violenza estrema, considerata la maternità spirituale della Chiesa e visto che perfino i genitori carnali vengono ammoniti, già nel Vecchio Testamento, a non eccedere nell'uso dei mezzi correttivi. Sta infatti scritto: "Chi risparmia il bastone odia suo figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo" (Proverbi 13,24) ma anche "Correggi tuo figlio finché c'è speranza, ma non ti trasporti l'ira fino a ucciderlo" (Proverbi 19,18).

 

Occorre poi tener conto del fatto che spesso, nei primi secoli, le eresie nacquero non solo dalla malvagità dei superbi e dalla follia degli empi ma anche dall'incontro del cristianesimo con la cultura ebraica, greca e pagana. In seguito moltissime eresie fiorirono soprattutto come reazione alla corruzione della chiesa e, pur introducendo drammatiche divisioni e perniciosi errori, incorporarono spesso interessanti aneliti di riforma e lodevoli tentativi di ritornare alla semplicità evangelica. Oggi, fatta eccezione per coloro che tristemente apostano dalla verità per aderire a nuovi culti, quasi tutti gli acattolici sono nati fuori della Chiesa Cattolica ed hanno, senza colpa, ereditato scelte molto spesso compiute da progenitori lontani.

 

Non va infine dimenticato che, quantunque tutta la Bibbia ci metta continuamente in guardia dagli eretici, non tutti i nemici di Cristo sono fuori della Chiesa. Un cristiano dell'antichità (San Basilio, Lettera agli Occidentali, 263, 2), osservava acutamente che se gli ariani avevano rinnegato apertamente la verità seguendo scismi, dottrine perverse ed eresie, molti falsi dottori continuavano ad operare nell’ombra, mescolati al gregge e nascosti all’interno della Chiesa. In entrambi i casi si trattava di quei lupi vestiti da pecore e di quei demoni mascherati da angeli di luce (Matteo 7,15; Matteo 13,41; Matteo 18,7; 2 Corinzi 11,13-15; 1 Timoteo 5,24) di cui tutta la Scrittura ci parla.

 

 

 

 

2.           CHIESA, NON VIOLENZA ED ERETICI NEI PRIMI SECOLI DEL CRISTIANESIMO

 

Nei primi secoli i Padri Apostolici ed i Padri della Chiesa combatterono le eresie con determinazione e vigore. La confutazione degli errori fu fatta utilizzando ammonizioni, esortazioni, sermoni, studi, libri e libelli. Nessun eretico, però, fu mai punito violentemente e corporalmente fino alla fine del IV secolo. Con l’editto di Teodosio (380 d.C.) il cattolicesimo diventò religione di stato ed il potere civile e religioso si sentì autorizzato a perseguitare gli oppositori, i devianti ed i dissidenti (cioè gli apostati, gli scismatici, gli eretici, gli ebrei ed i pagani). Il primo caso di condanna a morte per “eresia” e "magia delittuosa" fu Priscilliano. San Girolamo ricorda come Priscilliano fosse stato vescovo di Avila ed avesse subito il martirio a Treviri sotto il tiranno Massimo verso la fine del IV secolo. Sempre secondo Girolamo, Priscilliano fu solo da alcuni incolpato di magia ed eresia gnostica. Molti sostennero invece che non avesse mai condiviso né gli errori né le pratiche magiche di cui era stato accusato. (Gerolamo, Gli uomini illustri, CXXI). I testi riportati testimoniano come, per almeno tre secoli, ad una dura condanna delle eresie e degli eretici non siano mai corrisposti atteggiamenti violenti e persecutori da parte della chiesa cattolica.

 

Il metodo della non violenza

Non è necessario adoperare la violenza e le ingiurie, poiché la religione non può essere imposta: occorre cercare di raggiungere lo scopo con la persuasione piuttosto che con le percosse, in modo che l’adesione sia volontaria. […] La religione deve essere difesa non uccidendo ma morendo, non con la violenza ma con la costanza, non con la scelleratezza ma con la fedeltà […]. Nulla è così volontario come la religione: essa, se l’animo di chi compie un sacrificio vi ripugna,  senz’altro scompare, è distrutta […]. Non è un sacrificio quello che si ottiene dalla violenza di chi è contrario […].  Ma noi non pretendiamo che uno veneri, suo malgrado, il nostro Dio, il quale, si voglia o non si voglia è Dio di tutti, e non ci adiriamo se non lo si venera […]. E perciò quando sopportiamo azioni scellerate, neppure con le parole facciamo opposizione, ma a Dio rimettiamo la vendetta (Lattanzio, Divinae Institutiones, V)

 

L’amore verso i fratelli separati

Fratelli, vi esortiamo ardentemente a questa carità, non soltanto verso i vostri compagni di fede, ma anche verso quelli che si trovano al di fuori, siano essi pagani che ancora non credono in Cristo, oppure siano divisi da noi, perché, mentre riconoscono con noi lo stesso capo, sono però separati dal corpo. Fratelli proviamo dolore per essi, come per nostri fratelli. Cesseranno di essere nostri fratelli, quando non diranno più “Padre Nostro”. Dicano pure essi: “Perché ci cercate, perché ci volete?”. Noi risponderemo: “Siete nostri fratelli”. Ci dicano “Andatevene da noi, non abbiamo niente a che fare con voi”. Ebbene, noi invece abbiamo assolutamente parte con voi: confessiamo l’unico Cristo, dobbiamo essere in un solo corpo, sotto un unico Capo. Perciò vi scongiuriamo, fratelli, per le stesse viscere della carità, dal cui latte siamo nutriti, dal cui pane ci fortifichiamo, per Cristo nostro Signore, per la sua mansuetudine vi scongiuriamo. È tempo che usiamo una grande carità verso di loro, un’infinita misericordia nel supplicare Dio per loro perché conceda finalmente ad essi idee e sentimenti di saggezza per ravvedersi e capire che non hanno assolutamente nessun argomento da opporre alla verità. Ad essi è rimasta solo l’animosità, la quale tanto più è inferma quanto più crede di abbondare in forze. Vi scongiuriamo, dicevo, per i deboli, per i sapienti secondo la carne, per gli uomini rozzi e materiali, per i nostri fratelli che celebrano gli stessi misteri, anche se non con noi, ma tuttavia gli stessi; per i nostri fratelli che rispondono un unico Amen come noi, anche se non con noi. Esprimete a Dio la vostra profonda carità per loro. (Agostino, Commento sui Salmi, XXXII, 29)

 

Il fascino dell’errore

Alcuni, rifiutando la verità, introducono dottrine false e “genealogie inutili, le quali sono più adatte a suscitare questioni—come dice l’Apostolo—che a costruire la casa di Dio fondata sulla fede” (1 Timoteo 1,4). Grazie ad una forza di persuasione ingegnosamente combinata sviano la mente dei meno esperti e li fanno prigionieri (2 Timoteo 3,6) falsificando i detti del Signore (2 Corinzi 4,2) e diventando, così, cattivi interpreti di ciò che è stato detto bene; rovinano molti, allontanandoli, con il pretesto di una conoscenza, da colui che ha formato e ordinato questo universo, come se potessero mostrare qualcosa di più alto e più grande del Dio che ha fatto il cielo e la terra e tutto ciò che contengono. Essi in maniera persuasiva, grazie all’arte della parola, inducono i semplici ad un atteggiamento di ricerca, ma li rovinano in maniera assurda perché rendono il loro pensiero blasfemo ed illogico nei confronti del Creatore, non potendo essi distinguere il falso dal vero. Infatti, l’errore non si mostra in se stesso per non essere colto in flagrante, una volta messo a nudo, ma adornandosi ingegnosamente di un rivestimento verosimile, sembra presentarsi agli inesperti (è ridicolo perfino dirlo) più vero della stessa verità, grazie all’apparenza esterna. Da uno più bravo di noi è stato detto (a proposito di questi tali) che il vetro divenendo simile ad una gemma per artificio, disprezza una pietra preziosa come lo smeraldo (molto stimata da alcuni) quando non ci sia chi sa valutare e smascherare l’artificio compiuto ingegnosamente. Quando, ad esempio, si mescola il bronzo con l’argento, chi potrà valutarlo facilmente, se è inesperto? Non vogliamo dunque che qualcuno per colpa nostra sia rapito, come pecore dai lupi, non riconoscendoli per 1’insidia della pelle di pecora che li ricopre all’esterno: quelli sono i lupi dai quali il Signore ci ha annunciato di stare in guardia , perché dicono cose simili, ma pensano cose diverse (Ireneo, Contro le Eresie, Prefazione)

 

Il flagello dell’eresia

Alla Chiesa è stato, infatti, affidato il dono di Dio, come il soffio alla creatura plasmata, affinché tutte le membra, partecipandone siano vivificate; in lei è stata deposta la comunione con Cristo, cioè lo Spirito Santo, pegno di incorruttibilità, conferma della nostra fede e scala della nostra ascesa a Dio. Infatti “nella Chiesa -dice- Dio pose apostoli, profeti e dottori” (1 Corinzi 12,28) e tutta la restante opera dello Spirito. Di Lui non sono partecipi tutti quelli che non corrono alla Chiesa ma si privano della vita a causa delle loro false dottrine ed azioni perverse. Perché dove è la Chiesa, lì è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa ed ogni grazia. Ora lo Spirito è verità. Perciò quelli che non partecipano di Lui, non si nutrono al seno della madre per la vita, né attingono alla purissima sorgente che sgorga dal corpo di Cristo ma “si scavano cisterne screpolate” (Geremia 2,13) fatte da fosse di terra e bevono l’acqua fetida di un pantano; essi fuggono la fede della Chiesa (1 Timoteo 6,20 e 2 Timoteo 1,14) per non essere smascherati e respingono lo Spirito per non essere istruiti (Ireneo, Contro le Eresie, III, 24, 1).

 

L’unità della chiesa

Conviene procedere d’accordo con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterato ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canti a Gesù Cristo. E ciascuno diventi un coro, affinché nell’armonia del vostro accordo prendendo nell’unità il tono di Dio, cantiate ad una sola voce per Gesù Cristo al Padre, perché vi ascolti e vi riconosca, per le buone opere, che siete le membra di Gesù Cristo. E’ necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio. Se in poco tempo ho avuto tanta familiarità con il vostro vescovo, che non è umana, ma spirituale, di più vi stimo beati essendo uniti a lui come la Chiesa lo è a Gesù Cristo e Gesù Cristo al Padre perché tutte le cose siano concordi nell’unità. Nessuno s’inganni: chi non è presso l’altare, è privato del pane di Dio (Giovanni 6,33). Se la preghiera di uno o di due ha tanta forza, quanto più quella del vescovo e di tutta la Chiesa! Chi non partecipa alla riunione è un orgoglioso e si è giudicato. Sta scritto: “Dio resiste agli orgogliosi” (Proverbi 3,34). Stiamo attenti a non opporci al vescovo per essere sottomessi a Dio.  (Ignazio, Agli Efesini, IV-V)

 

Fuggire gli eretici

Vi sono alcuni che portano il nome, ma compiono azioni indegne di Dio. Bisogna scansarli come bestie feroci. Sono cani idrofobi che mordono furtivamente. Occorre guardarsene perché sono incurabili. Non c’è che un solo medico, materiale e spirituale, generato e ingenerato, fatto Dio in carne, vita vera nella morte, nato da Maria e da Dio, prima passibile poi impassibile, Gesù Cristo nostro Signore.  (Ignazio, Agli Efesini, IV-V)

 

L’erba estranea dell’eresia

Non io vi scongiuro ma la carità di Gesù Cristo. Prendete solo l’alimento cristiano e astenetevi dall’erba estranea che è l’eresia. Coloro che per farsi credere mescolano Gesù Cristo con se stessi, sono come quelli che offrono un veleno mortale nel vino melato. L’incauto prende allegramente in un piacere nefasto la morte. Guardatevi dunque da questi. Ciò sarà possibile non gonfiandovi e non separandovi da Dio Gesù Cristo, dal vescovo e dai precetti degli apostoli. Chi è all’interno del santuario è puro; chi ne è lontano non è puro. Ciò significa che chiunque operi separatamente dal vescovo, dal presbitero e dai diaconi, non è puro nella coscienza. (Ignazio, Ai Tralliani, VI-VII)

 

La vera piantagione di Dio

Figli della vera luce fuggite la faziosità e le dottrine perverse. Dove è il pastore ivi seguitelo come pecore. Molti lupi degni di fede con lusinghe malvagie seducono chi corre nel Signore. Ma essi non avranno posto nella vostra unità. State lontani dalle erbe cattive che Gesù Cristo non coltiva, perché non sono piantagione del Padre. Non ho trovato divisione in mezzo a voi, ma selezione. Quanti sono di Dio e di Gesù Cristo, tanti sono con il vescovo. Quelli che pentiti rientrano nell’unità della Chiesa saranno di Dio perché vivono secondo Gesù Cristo. Non lasciatevi ingannare fratelli miei. Se qualcuno segue lo scismatico non erediterà il regno di Dio (1 Corinzi 6,9-10).  Se qualcuno marcia nella dottrina eretica egli non partecipa della passione di Cristo. (Ignazio, Ai Filadelfiesi, II-III)

 

La rottura dell’unità

La sposa di Cristo non sarà mai adultera: essa è incorruttibile e pura... Lei ci conserva per Dio. Lei destina al regno i figli che ha generato. Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della Chiesa: chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo alle ricompense di Cristo. Costui sarà un estraneo, un profano, un nemico. Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre... Ecco quanto il Signore ci dice ammonendoci: «Chi non è con me, è contro di me e chi non raccoglie con me, disperde» (Matteo 12, 30). Chi spezza la concordia, la pace di Cristo è contro Cristo e chi raccoglie fuori della Chiesa disperde la Chiesa di Cristo. II Signore dice: «Io e il Padre siamo uno» (Giovanni 10, 30). E ancora sta scritto del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: «E i tre sono uno (1 Giovanni 5,7) ». Ebbene può forse esserci qualcuno che crederà si possa dividere l’unità della Chiesa, questa unità che viene dalla stabilità divina e che è legata ai misteri celesti, e penserà che si possa dissolvere per la divergenza di opposte volontà. Chi non si tiene in questa unità non si tiene nella legge di Dio, non si tiene nella fede del Padre e del Figlio, non si tiene nella vita e nella salvezza. Questo mistero dell’unità. questo vincolo di concordia stretto alla perfezione, ci è indicato nel vangelo là dove si parla della tunica del Signore Gesù Cristo: essa non è per niente divisa né strappata; ma si gettano le sorti sulla veste di Cristo, sicché chi dovrà rivestirsi di Cristo riceva la veste intatta e possieda indivisa e integra quella unica. Cosi leggiamo nella divina Scrittura: «Quanto poi alla tunica, poiché era senza cuciture dall’alto al basso e tessuta d’un pezzo, si dissero a vicenda: non stracciamola ma tiriamola a sorte a chi tocchi» (Giovanni 19, 23). Lui porta l’unità che viene dall’alto, che viene cioè dal cielo e dal Padre: tale unità non poteva essere affatto divisa da chi la ricevesse in possesso, conservandosi tutta intera e assolutamente indissolubile. Non può possedere la veste di Cristo chi divide e separa la Chiesa di Cristo (Cipriano, L’Unità della Chiesa Cattolica, VI e VII).

 

Il disegno astuto

Ma bisogna guardarsi non solamente dagli inganni sfacciatamente evidenti, ma anche da quelli astutamente scaltri. Il nemico, svelato ed umiliato dalla venuta di Cristo, dopo che la luce si diffuse sulle genti e lo splendore di salvezza rifulse per la liberazione degli uomini (sì che i sordi riescono ad ascoltare la grazia spirituale, aprono gli occhi a Dio i ciechi, gli infermi riacquistano l’eterna salute, gli zoppi corrono alla Chiesa, e i muti innalzano preghiere con voce squillante), ha concepito un’astuzia singolarmente scaltra, vedendo l’abbandono degli idoli e dei suoi templi e la gran folla dei credenti: quella di ingannare gli imprudenti insinuandosi nell’interno della comunità cristiana: ha escogitato eresie e scismi con cui abbattere la fede, corrompere la verità, spezzare l’unità. Così raggira abilmente coloro che non riesce più a trattenere nelle tenebre della vecchia via di menzogna e li strappa dal seno della Chiesa spingendoli su una nuova via ingannevole: mentre si illudono di essersi ormai avvicinati alla luce e di essere sfuggiti alla notte del mondo, di nuovo li avvolge, ignari, in altre tenebre, sì da chiamarsi cristiani, pur non osservando il Vangelo di Cristo e la sua legge, e da ritenere di aver la luce, pur camminando nelle tenebre. Il nemico inganna, così, con lusinghe, poiché assume l’aspetto, come dice l’Apostolo, dell’angelo della luce e traveste i suoi ministri da ministri di giustizia (2 Corinzi 11,14-15); essi proclamano la notte per il giorno, la morte per la salvezza, la perdita della speranza presentata come speranza, la rovina della fede indicata come fede, l’anticristo con la designazione di Cristo: sicché, affermando falsità simili al vero, rendon vana abilmente la verità. Questo accade, fratelli carissimi, perché non si ricorre alla fonte della verità, non se ne cerca il fondamento, non si bada all’insegnamento del maestro celeste. (Cipriano, L’Unità della Chiesa Cattolica, III)

 

E ancora il Signore indica e addita costoro, quando dice: “Hanno abbandonato me, fonte d’acqua viva, e si sono scavate delle cisterne spaccate che non possono contenere l’acqua”  (Geremia 2,13). Mentre non può esserci che un solo battesimo, essi credono di battezzare. Hanno disertato la fonte della vita, e promettono la grazia dell’acqua di vita e di salvezza. Là gli uomini non saranno lavati, saranno insudiciati; i peccati non saranno cancellati, ma accumulati. Tale natività non genera figli a Dio ma al diavolo: costoro, nati dalla menzogna, non avranno le promesse della verità, e procreati dal l’infedeltà perderanno la grazia della fede..... (Cipriano, L’Unità della Chiesa Cattolica, IX)

 

E non s’ingannino alcuni, — con una interpretazione che ne svuota il significato, — circa le parole del Signore: «Dove due o tre saranno radunati nel mio nome, io sarò con loro» (Matteo 18,20). I falsi interpreti che adulterano il Vangelo citano le ultime parole e tralasciano ciò che precede, si ricordano di una parte e sopprimono l’altra con l’inganno: così come essi stessi sono separati dalla Chiesa, in modo analogo separano un’affermazione singola dal resto. Infatti, ecco quel che il Signore dice ai suoi discepoli per esortarli all’unità e alla pace: «Io vi dico che se due di voi si accorderanno sulla terra, qualunque cosa, che chiederete, sarà a voi concessa dal Padre mio che è nei cieli. Poiché dove due o tre saranno radunati nel mio nome, io sarò con loro» (Matteo 18,19-20). Con ciò mostra che si concede moltissimo non tanto al gran numero di coloro che pregano, quanto piuttosto alla loro unanimità. «Se due di voi si accorderanno sulla terra», dice: ecco, prima pone l’unanimità, premette innanzi tutto la concordia della pace. Ci insegna così che dobbiamo essere sempre e strettamente uniti fra noi. Ebbene, come può essere in accordo con un altro chi non è in accordo col corpo della stessa Chiesa e con l’intera comunità dei fratelli? In che modo possono radunarsi due o tre in nome di Cristo, quando si sa che essi si sono separati da Cristo e dal suo Vangelo? Infatti, non noi da essi, ma essi da noi si sono allontanati; poiché le eresie e gli scismi sono venuti fuori dopo, sono stati essi ad abbandonare la fonte e l’origine della verità, fondando per sé diverse conventicole. Non potranno certo pervenire al premio della pace, coloro che con furore sedizioso hanno mandato in frantumi la pace del Signore”….. ..... (Cipriano, L’Unità della Chiesa Cattolica, XI)

 

Che ci sta a fare, in un cuore cristiano, la ferocia del lupo, la rabbia del cane, il veleno mortifero del serpente, la cruenta violenza della belva? C’è da rallegrarci che una tal genia si separi dalla Chiesa, affinché non vengano a soffrire il contagio di una simile compagnia, velenosa e crudele, le colombe e le pecore di Cristo. Non possono convivere e stare insieme l’amarezza con la dolcezza, la tenebra e la luce, la pioggia e il bel tempo, la guerra e la pace, la sterilità e la fecondità, la siccità e le sorgenti d’acqua, la tempesta e il sereno. Non c’è da pensare che possano uscire dalla Chiesa i buoni; il vento non porta via il grano, né la bufera abbatte un albero ben piantato su profonda radice. È invece la paglia leggera che viene sollevata dalla tempesta, sono gli alberi deboli che vengono atterrati dall’irrompere del turbine. Ed è questo tipo di gente che l’apostolo Giovanni detesta e stigmatizza, dicendo: «Si sono allontanati da noi, ma non erano dei nostri: se infatti fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi » (1 Giovanni 2,19). [Cipriano, L'Unità della Chiesa Cattolica,-XII].

 

Fuggire le contese

 

Molti eretici citano spesso le Sacre Scritture con audace sicurezza e possono anche riuscire ad impressionare alcuni. Nell’accanimento della lotta, poi, stancano coloro che sono saldi nella fede, catturano coloro che sono deboli, lasciano pieni di scrupoli e di perplessità coloro che si trovano in una situazione intermedia…. Che cosa possiamo poi dire dell’ufficio che essi attribuiscono alla Parola? Questo ministero presso di loro non serve a convertire i pagani, ma a portare i cristiani fuori della via della verità” [Tertulliano, Contro gli eretici, XV e XLII]

 

Infine, a niente serve questo scontro di Scritture, se non a produrre un rivolgimento di stomaco o di cervello. Questi eretici non accettano alcune Scritture; se ne accettano alcune, non le accettano integre, ma le sconvolgono con tagli e con aggiunte per adattarle al loro sistema. Se, poi, le presentano integre fino a un certo punto, ciò nondimeno le mutano inventando delle interpretazioni opposte alle nostre. Un senso adulterato fa violenza alla verità tanto quanto una penna corruttrice; è inevitabile che delle sciocche congetture non vogliano ammettere quelle dottrine da cui esse sono confutate, ma si appoggino su quei passi che hanno corretto e falsato e su quelli che hanno scelto a motivo della loro ambiguità. Che cosa otterrai tu che sei così esperto nelle Scritture, quando gli avversari negheranno quello che tu avrai sostenuto, mentre sosterranno quello che avrai negato? Tu, certo, non farai altro che perdere la voce nella discussione e farti venir la bile per le loro bestemmie. E se poi c’è qualcuno in grazia del quale tu sei sceso ad un dibattito sulle Scritture, cioè per rafforzare la sua fede che vacilla, costui si volgerà verso la verità o verso l’eresia? Impressionato proprio dal fatto che ti vedrà non ottenere alcun risultato, e che i tuoi avversari sono sulla tua stessa posizione di negazione e di difesa, e certamente stanno al la pari di te, si allontanerà dalla discussione ancora più incerto, non sapendo quale opinione giudicare eresia. Soprattutto, queste osservazioni le possono fare contro di noi anche gli eretici. È inevitabile, infatti, che anch’essi dicano che siamo stati piuttosto noi a introdurre delle falsificazioni nella Scrittura e nella sua esegesi, dato che anch’essi, come noi, rivendicano per sé la verità. Quindi, non si deve sfidare l’avversario a fare a gara con lui sul piano delle Scritture, né contendere in quei campi in cui la vittoria o non esiste o è incerta o è poco certa. Giacché, anche se il confronto delle Scritture non portasse come risultato la parità dei due contendenti, tuttavia l’ordine naturale delle cose richiedeva che si ponesse prima quel problema che è il solo a dover essere ora discusso: e precisamente, a chi spetti la fede stessa, alla quale appartengono le Scritture, da chi e attraverso chi e quando e a chi sia stata tramandata quella dottrina dalla quale sono formati i cristiani. Infatti, dove risulterà che è stata depositata la verità della dottrina e della fede cristiana, là si troverà la verità delle Scritture e delle esegesi e di tutte le tradizioni cristiane (Tertulliano, Contro gli Eretici, XVI-XIX).

 

 

 

 

3.           ERESIA ED INTOLLERANZA NEL PENSIERO MEDIEVALE

 

Il pensiero medievale risentì soprattutto dei contributi e delle riflessioni di San Tommaso d’Aquino (1225-1274). La Summa Teologica analizzò in modo molto razionale, approfondito ed accurato la natura e l’oggetto dell’eresia, smascherandone la miseria, l’orrore e le conseguenze. Le conclusioni a cui giunse il pensiero medievale furono però viziate da intolleranza ideologica, da estremismo politico e da fondamentalismo religioso. L’eretico poteva essere perdonato una sola volta e, se realmente convertito, andava reintegrato nelle dignità ecclesiastiche precedenti. Se però fosse ricaduto nell’errore avrebbe dovuto essere abbandonato al braccio secolare ed eliminato fisicamente. Gli eretici meritavano, infatti, non solo di essere separati dalla Chiesa con la scomunica, ma dovevano essere tolti dal mondo con la morte. Secondo Tommaso d’Aquino, infatti, è ben più grave corrompere la fede, in cui risiede la vita delle anime, che falsare il danaro, con cui si provvede alla vita temporale. Perciò, se i falsari e altri malfattori sono subito messi a morte giustamente dai principi, a maggior ragione e con giustizia, dovrebbero essere non solo scomunicati, ma uccisi gli eretici, appena riconosciuti colpevoli di eresia. I vantaggi provenienti dalle eresie (come la conferma della fede dei credenti e lo stimolo a uno studio più accurato delle Sacre Scritture) sono poi totalmente estranei alle intenzioni degli eretici. Intenzione degli eretici è invece corrompere la fede, che è un danno gravissimo. Perciò si deve considerare di più ciò che rientra direttamente nella loro intenzione (e che porta ad eliminarli) di quanto non si debbono tenere presenti cose preterintenzionali (che consiglierebbero invece di sopportarli).

 

Nella prima metà del Duecento la Chiesa cattolica riuscì a dotarsi dei mezzi religiosi, giuridici, ideologici, politici e organizzativi per isolare i movimenti eretici, sottraendo loro ogni spazio e connotazione sociale. È in questo intervallo di tempo che si formalizzarono teoria e prassi della campagna antiereticale, definendo i confini tra obbedienza alle gerarchie ecclesiastiche (ortodossia) e deviazione (eresia). Il dissenso religioso si trasformò così in un crimine di natura politica (cioè in un crimine di lesa maestà) e la scomunica non fu più sufficiente. Da questo momento in poi il ricorso alla violenza (arresti e processi in base a semplici sospetti o delazioni, confisca dei beni, impossibilità di far testamento e di ricevere eredità, torture, crociate, roghi) fu giustificato dall’enormità del pericolo rappresentato dagli eterodossi per l’ordinamento religioso e civile nel suo complesso. L'eventuale condanna capitale era sempre evitabile con il pentimento e l'abiura, ma, come per le pene minori, si trattava per la Chiesa non di punizione, bensì di penitenza necessaria per la redenzione del peccato. Secondo il IV Concilio Lateranense (1215) i cattolici che, presa la croce, si fossero poi armati per sterminare gli eretici, avrebbero goduto delle indulgenze e dei santi privilegi, già concessi a coloro che erano andati a combattere le crociate in Terra Santa. In conseguenza a questi decreti si realizzò la crociata contro gli albigesi: il papato autorizzò i signori, anzi li spinse, a purgare le proprie terre dall'eresia, minacciandoli di scomunica se non l'avessero fatto. Fu così istituita l'Inquisizione che aveva il compito di cercare, processare e condannare gli eretici.

 

Ciò che si scopre studiando la storia della Santa Inquisizione è così grave e tremendo che per noi ha spesso dell'incredibile. I pensieri ed i ragionamenti che hanno generato tale meccanismo di morte ci appaiono oggi molto distanti, soprattutto dopo i lutti delle ultime due guerre mondiali e le persecuzioni anticristiane esercitate dai regimi totalitari (comunisti, fascisti e nazisti) durante tutto il XX secolo. L'accostamento più azzardato, portato avanti negli ultimi decenni, è sicuramente quello tra odio nazista per gli ebrei e odio mostrato dalla Chiesa cattolica verso gli eretici nel corso del Medioevo. Tempi, metodi, stili, dimensioni, finalità, circostanze ed ideali sono diversi. Sicuramente confrontabile è però la perdita di ogni senso della realtà in nome del potere e di ideologie deliranti, ideologie che hanno finito per generare indebolimento della carità, affievolimento del dono dello Spirito, errori teologici, immoralità, superstizione, allucinazioni, manie persecutorie, insensibilità alle altrui sofferenze, violenza e morte.

 

 

4.           RIFLESSIONI LOGICHE NON SEMPRE COERENTI CON LO SPIRITO DEL VANGELO

 

L’ERESIA E GLI ERETICI   (Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, La fede: questione n. 11))

Passiamo ora a parlare dell'eresia. Sull'argomento si pongono quattro quesiti: 1. Se l'eresia sia una delle specie dell'incredulità; 2. Quale sia la materia di cui si occupa; 3. Se gli eretici si debbano tollerare; 4. Se quelli che si ravvedono si debbano accogliere.

 1 SE L'ERESIA SIA UNA DELLE SPECIE DELL'INCREDULITÀ

 SEMBRA che l'eresia non sia una delle specie dell'incredulità. Infatti:

 1. L'incredulità, come abbiamo visto, risiede nell'intelletto. Invece l'eresia non sembra appartenere all'intelletto, ma alla volontà. Scrive infatti S. Girolamo: "Eresia in greco significa elezione, o scelta, per il fatto che ognuno sceglie con essa l'opinione che considera migliore". Ora, l'elezione è un atto della volontà, come sopra abbiamo dimostrato. Dunque l'eresia non è una specie di incredulità.

 2. Un vizio viene specificato soprattutto dal fine. Infatti il Filosofo ha scritto, che "chi commette adulterio per rubare, è più ladro che adultero". Ma l'eresia ha come suo fine un vantaggio temporale e specialmente il dominio e la gloria, che rientrano nel vizio della superbia, o della cupidigia. Infatti S. Agostino afferma che "eretico è colui che produce, o segue opinioni nuove e false, spinto da un vantaggio temporale, e specialmente dal desiderio della propria gloria e del proprio dominio". Dunque l'eresia non è una specie dell'incredulità, ma della superbia.

 3. L'incredulità, essendo nell'intelletto, non può appartenere alla carne. Invece l'eresia, a detta dell'Apostolo, è tra le opere della carne: "Ora le opere della carne è manifesto quali sono: fornicazione, impurità... divisioni, sette". E queste ultime si identificano con le eresie. Dunque l'eresia non è una specie di incredulità.

 IN CONTRARIO: La falsità si contrappone alla verità. Ma "l'eretico è colui che produce, o segue opinioni nuove e false". Quindi l'eresia si oppone alla verità, su cui invece poggia la fede. Perciò essa rientra nell'incredulità.

 RISPONDO: Il termine eresia implica l'idea di scelta, come si è visto. E la scelta, o elezione, ha per oggetto i mezzi, presupponendo già stabilito il fine, stando alle spiegazioni date. Ora, nel credere il volere accetta una data verità quale bene suo proprio, come sopra abbiamo visto. Infatti la verità principale ha natura di ultimo fine; mentre le verità secondarie hanno natura di mezzi. E quando si aderisce alle parole di qualcuno, la cosa principale, e quasi finale, in ogni atto di fede è proprio colui alla cui parola si crede: sono invece secondarie le cose di cui si occupa in codesta adesione. Perciò chi ha in pieno la fede cristiana aderisce a Cristo con la propria volontà nelle cose che riguardano la sua dottrina. E quindi uno può deviare dalla fede cristiana in due maniere. Primo, rifiutandosi di aderire a Cristo: e costui in qualche modo è mal disposto verso il fine medesimo. E si ha così quella specie di incredulità che è propria dei pagani e degli Ebrei. Secondo, perché, pur volendo aderire a Cristo, uno sbaglia nella elezione dei mezzi: poiché non sceglie le verità che sono state realmente insegnate da Cristo, ma cose a lui suggerite dalla propria intelligenza. Perciò l'eresia è la specie di incredulità propria di coloro che, professando la fede di Cristo, ne corrompono i dogmi.

 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:

 1. L'elezione sta all'incredulità, come la volontà sta alla fede, secondo le spiegazioni date.

 2. I vizi ricevono la loro specie dal fine prossimo, ma nel fine remoto essi hanno il loro genere e la causa. Quando uno, p. es., commette adulterio per rubare, si ha in questo una specie di adulterio, desunta dal fine immediato e dall'oggetto; ma dal fine ultimo risulta che l'adulterio è nato dal furto, e da questo dipende come effetto dalla causa, e come specie dal suo genere. Ciò fu chiarito nel trattato precedente sugli atti umani in generale. Parimente, nel caso nostro il fine prossimo dell'eresia è l'attaccamento alle proprie false idee: e di qui essa riceve la sua specie. Ma dal fine remoto risulta quale è la sua causa: essa cioè nasce dalla superbia o dalla cupidigia.

 3. Come eresia viene da scegliere (αιρειν), così setta viene da sectari (seguire), secondo la spiegazione di S. Isidoro. Perciò eresia e setta sono la stessa cosa. E appartiene alle opere della carne, non per il rapporto di questo atto di incredulità col suo oggetto prossimo, ma in rapporto alla sua causa: la quale è, o il desiderio di un fine disonesto, nascendo esse dalla superbia o dalla cupidigia, come abbiamo detto; oppure è un'illusione fantastica, la quale, a detta del Filosofo, può essere causa di errore. E la fantasia stessa in qualche modo appartiene alla carne, in quanto i suoi atti sono dovuti a un organo corporeo.

 2  SE L'ERESIA PROPRIAMENTE ABBIA PER OGGETTO LE COSE DI FEDE

 SEMBRA che l'eresia propriamente non abbia per oggetto le cose di fede. Infatti:

 1. Come nota S. Isidoro, le eresie esistono tra i cristiani come un tempo esistevano tra gli Ebrei e tra i farisei. Ma il dissidio tra costoro non aveva per oggetto le cose di fede. Perciò l'eresia non ha come proprio oggetto cose di fede.

 2. Materia di fede sono le cose credute. Invece le eresie non si fermano alle sole cose, ma riguardano le parole, e le interpretazioni della Sacra Scrittura. Infatti S. Girolamo afferma, che "chiunque intende la Scrittura in un senso diverso da quello inteso dallo Spirito Santo, che ne è l'autore, anche se non si allontana dalla Chiesa, si può chiamare eretico". E altrove egli dice, che "dalle parole inconsiderate nascono le eresie". Dunque l'eresia propriamente non riguarda le materie di fede.

 3. Anche ai Santi Dottori capita di dissentire in cose di fede: così avvenne a S. Girolamo e a S. Agostino, p. es., a proposito della cessazione delle osservanze legali. E tuttavia ciò non implica un peccato di eresia. Perciò l'eresia non ha per oggetto propriamente le cose di fede.

 IN CONTRARIO: S. Agostino così scriveva contro i Manichei: "Nella Chiesa di Cristo sono eretici coloro i quali abbracciano qualche idea corrotta o cattiva, e corretti resistono con ostinazione, rifiutandosi di emendare i loro insegnamenti pestiferi e mortiferi, insistendo a difenderli". Ora, gli insegnamenti pestiferi e mortiferi sono precisamente quelli contrari ai dogmi della fede, mediante la quale, a detta di S. Paolo, "il giusto vive". Dunque l'eresia ha per oggetto suo proprio le cose di fede.

 RISPONDO: Parliamo qui dell'eresia in quanto implica una corruzione della fede cristiana. Ora, alla corruzione della fede cristiana non importa nulla, se uno ha una falsa opinione in cose estranee alla fede, p. es., in geometria o in altri campi; ma solo quando uno ha una falsa opinione sulle cose riguardanti la fede. E una cosa può appartenere alla fede in due modi, come sopra si è detto: primo, in maniera diretta e principale, come gli articoli di fede; secondo, in maniera indiretta e secondaria, come quelle asserzioni dalle quali deriva la negazione di qualche articolo. Ebbene, in tutti e due codesti casi una cosa può essere oggetto dell'eresia, come può esserlo della fede.

 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:

 1. Come le eresie degli Ebrei e dei farisei riguardavano certe opinioni attinenti al giudaismo e al fariseismo, così le eresie dei cristiani riguardano cose attinenti alla fede di Cristo.

 2. Si dice che uno espone la Scrittura diversamente da quanto intendeva lo Spirito Santo, quando le fa dire con la sua interpretazione cose contrarie a quanto lo Spirito Santo ha rivelato. Perciò sta scritto dei falsi profeti, che "persistevano a confermare il discorso", usando cioè false interpretazioni della Scrittura. - Parimente, uno professa la sua fede con le parole che proferisce: infatti la confessione è, come abbiamo detto, un atto di fede. Perciò un parlare inconsiderato sulle cose di fede può dar luogo a una corruzione della fede. Ecco perché S. Leone Papa scriveva: "Poiché i nemici della croce di Cristo spiano tutte le nostre parole e tutte le nostre sillabe, non dobbiamo dare neppure la più piccola occasione di supporre che noi ci esprimiamo nel senso di Nestorio".

 3. Rispondiamo con S. Agostino: "Se uno difende senza animosità e senza ostinazione la propria opinione, sia pure falsa e perversa, e cerca con la dovuta sollecitudine la verità, pronto a seguirla quando la trova, non si può annoverare tra gli eretici": perché non ha la determinazione di contraddire l'insegnamento della Chiesa. E in tal senso alcuni Santi Dottori furono in disaccordo, o su questioni che per la fede sono indifferenti; oppure su cose riguardanti la fede, ma che la Chiesa non aveva ancora determinato. Sarebbe invece un eretico chi si opponesse ostinatamente a una simile definizione, quando fossero state determinate dall'autorità della Chiesa universale. E questa autorità risiede principalmente nel Sommo Pontefice. Nei canoni infatti si legge: "Tutte le volte che si tratta della fede penso che tutti i vescovi nostri confratelli debbano ricorrere a nessun altro che a Pietro, cioè a chi detiene la sua autorità". E contro l'autorità del Pontefice, né S. Agostino, né S. Girolamo, né altri Santi Dottori, osarono difendere la propria sentenza. Scrive infatti S. Girolamo: "Questa è la fede, o Beatissimo Padre, che abbiamo appreso nella Chiesa Cattolica. E se nella nostra formulazione abbiamo detto o posto qualche cosa di inesatto o di avventato, desideriamo di essere corretti da te, che possiedi la fede e la cattedra di Pietro. Ma se questa nostra confessione è approvata dal tuo giudizio apostolico, chiunque vorrà accusarmi dimostrerà di essere ignorante o malevolo; oppure non cattolico, ma eretico".

 3  SE GLI ERETICI DEBBANO ESSERE TOLLERATI

 SEMBRA che gli eretici debbano essere tollerati. Infatti:

 1. L'Apostolo ammonisce: "Un servo del Signore deve essere mansueto, tale che con mitezza ammaestri quelli che si oppongono alla verità, se mai conceda loro Iddio il pentimento per riconoscere la verità, e ritornino in sé liberandosi dai lacci del diavolo". Ora, se gli eretici non sono tollerati, ma messi a morte, si toglie loro la possibilità di pentirsi. Dunque la loro uccisione è contro il comando dell'Apostolo.

 2. Si deve tollerare ciò che nella Chiesa è necessario. Ma nella Chiesa le eresie sono necessarie; infatti l'Apostolo scrive: "Bisogna che vi siano le eresie, perché diventino riconoscibili tra voi quelli degni di approvazione". Quindi gli eretici devono essere tollerati.

 3. Il Signore ha comandato ai servi della parabola di permettere alla zizzania di crescere fino alla mietitura, cioè fino alla fine del mondo, stando alla spiegazione del testo. Ma i Santi Padri ci dicono nelle loro esposizioni che la zizzania sono gli eretici. Dunque gli eretici vanno tollerati.

 IN CONTRARIO: L'Apostolo insegna: "L'uomo eretico, dopo una o due ammonizioni, evitalo, sapendo che un uomo siffatto è perduto".

 RISPONDO: A proposito degli eretici si devono considerare due cose: una che proviene da essi; l'altra che è presente alla Chiesa. Da essi proviene un peccato, per il quale hanno meritato non solo di essere separati dalla Chiesa con la scomunica, ma di essere tolti dal mondo con la morte. Infatti è ben più grave corrompere la fede, in cui risiede la vita delle anime, che falsare il danaro, con cui si provvede alla vita temporale. Perciò, se i falsari e altri malfattori sono subito messi a morte giustamente dai principi; a maggior ragione e con giustizia potrebbero essere non solo scomunicati, ma uccisi gli eretici, appena riconosciuti colpevoli di eresia.

 Alla Chiesa invece è presente la misericordia, che tende a convertire gli erranti. Essa perciò non condanna subito, ma "dopo la prima e la seconda ammonizione", come insegna l'Apostolo. Dopo di che, se l'eretico rimane ostinato, la Chiesa, disperando della sua conversione, provvede alla salvezza degli altri, separandolo da sé con la sentenza di scomunica; e finalmente lo abbandona al giudizio civile, o secolare, per toglierlo dal mondo con la morte. Scrive infatti S. Girolamo: "La carne marcita deve essere tagliata, e la pecora rognosa va allontanata dal gregge, affinché non arda, non si corrompa, non imputridisca, e non muoia tutto: casa, pasta, corpo e gregge. Ario in Alessandria era una scintilla: ma poiché non fu subito soffocato, le sue fiamme hanno devastato tutto il mondo".

 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:

 1. La mitezza ricordata vuole che l'eretico sia ammonito una, o due volte. Ma se non vuole ravvedersi, deve considerarsi perduto, secondo le parole dell'Apostolo.

 2. Il vantaggio proveniente dalle eresie è estraneo all'intenzione degli eretici: vantaggi che sono la riprova della costanza dei fedeli, come accennava l'Apostolo; e lo stimolo a uno studio più accurato della Sacra Scrittura, come dice S. Agostino. Invece è intenzione degli eretici corrompere la fede, che è un danno gravissimo. Perciò si deve considerare di più ciò che rientra direttamente nella loro intenzione, e che porta a eliminarli; di quanto non si debbono tenere presenti cose preterintenzionali, che consigliano di sopportarli.

 3. Come si dice nei Canoni, "una cosa è la scomunica, e un'altra è l'eliminazione. Infatti uno viene scomunicato, "perché il suo spirito sia salvo nel giorno del Signore", secondo le parole dell'Apostolo". - Anzi, neppure l'eliminazione radicale dell'eretico mediante la morte può dirsi contraria a quel comando del Signore, che deve intendersi di quei casi in cui non è possibile estirpare la zizzania, senza estirpare anche il frumento: come abbiamo spiegato sopra parlando dei miscredenti in generale.

 4  SE LA CHIESA DEBBA ACCOGLIERE SEMPRE CHI LASCIA L'ERESIA

 SEMBRA che la Chiesa debba accogliere sempre chi lascia l'eresia. Infatti:

 1. In Geremia il Signore così parla: "Tu hai fornicato con molti amanti; ma pure torna a me, e io ti riceverò". Ma il giudizio della Chiesa è il giudizio di Dio, stando alle parole del Deuteronomio: "Ascoltate l'umile come il potente, e non guardate alla persona di alcuno; perché deve essere il giudizio di Dio". Perciò anche se uno ha fornicato con l'incredulità, che è una fornicazione spirituale, deve essere accolto senz'altro.

 2. Il Signore comandò a S. Pietro di perdonare al fratello che pecca non sette volte soltanto, "ma fino a settanta volte sette". Il che significa, a detta di S. Girolamo, che si deve perdonare tutte le volte che uno pecca. Quindi tutte le volte che uno pecca ricadendo nell'eresia, la Chiesa deve accoglierlo.

 3. L'eresia è una specie di incredulità. Ora, la Chiesa accoglie gli altri increduli che vogliono convertirsi. Dunque deve accogliere anche gli eretici.

 IN CONTRARIO: Si legge nelle Decretali, che "se uno dopo aver abiurato l'errore, si scopre che è ricaduto nell'eresia, deve essere consegnato al giudizio secolare". Perciò la Chiesa non deve accoglierlo.

 RISPONDO: La Chiesa, secondo il comando del Signore, deve estendere a tutti la sua carità, non solo agli amici, ma anche ai nemici e ai persecutori, stando alle parole evangeliche: "Amate i vostri nemici, fate del bene a chi vi odia". Ora, la carità richiede che si voglia e si compia del bene al prossimo: Ma il bene è di due specie. Uno è spirituale, cioè la salvezza dell'anima, che la carità principalmente ha di mira: tutti infatti con la carità devono volere questo bene agli altri. Perciò da questo lato gli eretici pentiti, per quante volte siano ricaduti, devono essere accolti dalla Chiesa col perdono, che apre ad essi la via della salvezza.

 L'altro bene invece è oggetto della carità in modo secondario: esso è un bene temporale, come la vita corporale, i beni materiali, il buon nome, e le dignità ecclesiastiche o secolari. Questo bene infatti non siamo tenuti a volerlo agli altri in forza della carità, se non in ordine alla salvezza eterna di loro stessi, o di altri. Perciò se l'esistenza di qualcuno di tali beni in un dato individuo potesse impedire la salvezza eterna di molti, la carità non ci obbligherebbe a volergli codesto bene, ma piuttosto a volerne la privazione: sia perché la salvezza eterna va preferita al bene temporale; sia perché il bene di molti va preferito a quello di uno solo. Ora, se gli eretici pentiti venissero accolti, così da conservare la vita e gli altri beni temporali, questo finirebbe col pregiudicare la salvezza degli altri: sia perché ricadendo ancora corromperebbero gli altri; sia anche perché restando essi impuniti, altri potrebbero cadere più facilmente nell'eresia. Si legge infatti nell'Ecclesiaste: "poiché non subito si fa giustizia dei malvagi, perciò senza timore alcuno gli uomini commettono il male". Ecco perché la Chiesa non solo accoglie col perdono quelli che per la prima volta tornano dall'eresia, ma li lascia in vita; e talora con delle dispense li reintegra nelle dignità ecclesiastiche precedenti, se appaiono realmente convertiti. E sappiamo dalla storia che questo è avvenuto spesso, per amore della pace. Ma quando i pentiti ricadono di nuovo, mostrano incostanza nella loro fede. Perciò, se si ravvedono, vengono accolti col perdono, ma non liberati dalla pena di morte.

 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:

 1. Nel giudizio di Dio i pentiti sono sempre perdonati: perché Dio scruta i cuori e conosce quelli che sono veramente pentiti. Ma la Chiesa in questo non può imitarlo. E quindi deve presumere che non siano veramente pentiti quelli che, una volta perdonati, sono di nuovo ricaduti. Ecco perché senza negare loro la salvezza eterna, non li libera dal pericolo della morte.

 2. Il Signore parla così a Pietro dei peccati commessi personalmente contro di lui, e che uno deve sempre perdonare al fratello pentito. Ma le sue parole non vanno applicate ai peccati commessi contro il prossimo, o contro Dio, che, a detta di S. Girolamo, "non spetta a noi perdonare". Ma per questi la misura è stabilita dalla legge, conforme all'onore di Dio e al bene del prossimo.

 3. Gli altri increduli che non hanno mai ricevuto la fede, nel convertirsi non mostrano dei segni di incostanza nella fede, come gli eretici recidivi. Perciò il paragone non regge.

 

 

AMORE ED ODIO PERFETTO VERSO I PECCATORI (Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, La carità: questione n. 25, 6)

 SEMBRA CHE I PECCATORI NON SIANO DA AMARSI CON AMORE DI CARITÀ. Infatti: 1. Nei Salmi si legge: "Gli iniqui ho in odio". Ora, David aveva la carità. Dunque la carità porta più a odiare che ad amare i peccatori; 2. "La prova dell'amore", come dice S. Gregorio, "è la prestazione delle opere". Ma i giusti non offrono ai peccatori opere di amore, bensì opere che sembrano di odio. Nei Salmi infatti David afferma: "Ogni mattina sterminerò tutti i peccatori del paese". E il Signore comanda: "Non lascerai vivere la strega". Perciò i peccatori non si devono amare con amore di carità; 3. È compito dell'amicizia volere e desiderare il bene agli amici. Invece i santi desiderano il male ai peccatori, secondo le parole del Salmo: "Siano travolti i peccatori all'inferno". Dunque i peccatori non si devono amare con la carità; 4. È proprio degli amici godere e volere le stesse cose. Ma la carità non fa volere quello che vogliono i peccatori, né fa godere di quello di cui essi godono; anzi fa piuttosto il contrario. Dunque i peccatori non si debbono amare con amore di carità; 5. "È proprio degli amici vivere insieme", come dice Aristotele. Ora, con i peccatori non si deve convivere; poiché sta scritto: "Uscite di mezzo ad essi". Perciò i peccatori non si devono amare con amore di carità.

 IN CONTRARIO: S. Agostino, spiegando le parole evangeliche: "Amerai il prossimo tuo", afferma che "col termine prossimo è indicato chiaramente qualsiasi uomo". Ma i peccatori non cessano di essere uomini: perché il peccato non toglie la natura. Dunque i peccatori sono da amarsi con amore di carità.

 RISPONDO: Nei peccatori si possono considerare due cose: la natura e la colpa. Per la natura, che essi hanno ricevuto da Dio, i peccatori sono capaci della beatitudine, sulla cui partecipazione si fonda la carità, come sopra abbiamo visto. Perciò per la loro natura essi devono essere amati con amore di carità. Invece la loro colpa è contraria a Dio, ed è un ostacolo alla beatitudine. Quindi per la colpa, con la quale si oppongono a Dio, tutti i peccatori devono essere odiati, compresi il padre, la madre e i parenti, come dice il Vangelo. Infatti nei peccatori dobbiamo odiare che siano peccatori, e amare il fatto che sono uomini capaci della beatitudine. E questo significa amarli veramente per Dio con amore di carità.

 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:

 1. Il profeta odiava i peccatori in quanto peccatori, odiando la loro iniquità, che è il loro male. E questo è l'odio perfetto di cui egli parla: "Con odio perfetto io li odierò". Ora, odiare il male di uno e amarne il bene hanno lo stesso movente. Perciò quest'odio perfetto appartiene alla carità;

 2. Come dice il Filosofo, non si devono sottrarre i benefici dell'amicizia agli amici che peccano, finché c'è la speranza della loro correzione: anzi bisogna soccorrerli più nel ricuperare la virtù, che nel ricuperare il danaro eventualmente perduto, quanto l'onestà è più affine all'amicizia del danaro. Se però essi cadono nella malvagità estrema e diventano incorreggibili, allora si deve loro rifiutare la familiarità. Ecco perché le leggi divine ed umane comandano di uccidere questi peccatori, da cui si può presumere più il danno per gli altri che la loro emenda. - Tuttavia il giudice non compie questo per odio verso di loro, ma per l'amore di carità, che fa preferire il bene pubblico alla vita di una persona singola. - Inoltre la morte inflitta dal giudice giova anche al peccatore: se egli si converte serve all'espiazione della colpa; e se non si converte, alla cessazione di essa, in quanto così gli viene tolta la possibilità di fare altri peccati;

 3. Le imprecazioni del genere, che si riscontrano nella Sacra Scrittura, si possono spiegare in tre modi. Primo, come predizioni, e non come aspirazioni. In questo senso, per esempio.: "Siano travolti i peccatori nell'inferno", significa che "saranno travolti". - Secondo, come aspirazioni: però nel senso che il desiderio mira, non alla pena dei colpevoli, ma alla giustizia di chi punisce, conforme alle parole della Scrittura: "S'allieterà il giusto quando vedrà la vendetta". Poiché neppure Dio quando punisce "si rallegra della perdizione degli empi", ma della sua giustizia: "perché giusto è il Signore, e ama la giustizia". - Terzo, riferendo il desiderio all'eliminazione della colpa, e non alla punizione stessa: e cioè si brama che i peccati siano distrutti e che gli uomini si salvino;

 4. Dobbiamo amare con la carità i peccatori, non già volendo quello che essi vogliono, o godendo delle cose di cui essi godono; ma per far loro volere quello che noi vogliamo, e godere le cose di cui godiamo noi. Di qui le parole di Geremia: "Essi si volgeranno a te, e tu non dovrai volgerti a loro";

 5. La convivenza con i peccatori va proibita ai deboli, per il pericolo di perversione. Invece i perfetti, di cui non si teme la corruzione, sono da lodarsi se trattano con i peccatori per convertirli. Così infatti il Signore mangiava e beveva con i peccatori, come dice il Vangelo. - Tutti però devono evitare la loro convivenza nel peccato. In questo senso valgono le parole di S. Paolo: "Uscite di mezzo ad essi, e separatevene", vale a dire quanto alla convivenza nel peccato

 

 

  1. RIFLESSIONE DI UN ERETICO NAUSEATO DAI ROGHI CALVINISTI DELLA CRISTIANISSIMA REPUBBLICA DI GINEVRA

 

Ci sono dunque due generi di eretici, ossia di pertinaci. Gli uni sono pertinaci nei costumi, come gli avari, gli scioperati, i lussuriosi, gli ubriaconi, i persecutori e gli altri che, ammoniti, non si correggono [….]. Altri sono pertinaci nelle cose spirituali e nella dottrina: e ad essi propriamente si adatta il nome di eretico. Eresia è infatti parola greca, che significa setta o opinione:perciò sono detti eretici coloro che troppo tenacemente aderiscono ad una setta o ad un’opinione viziata […]

 

Ma giudicare della dottrina non è altrettanto facile come dei costumi. Quanto ai costumi, infatti, se interroghi un giudeo, un turco, un cristiano intorno a un ladrone o a un traditore, risponderanno tutti d’accordo che i ladroni sono degli scellerati e vanno uccisi. Perché tutti sono così d’accordo? Perché è cosa notissima. nozione è iscritta nell’animo di tutti gli uomini, fin dal principio del mondo. E proprio questo dice Paolo, che le genti hanno la legge scritta nei loro cuori. Così anche gli empi possono giudicare di queste cose. Ma se veniamo alla religione vediamo che essa non è altrettanto nota. Ci fu, un tempo, quasi in tutte le genti, l’opinione che ci siano molti dèi.

 

Con la sua venuta Cristo tolse di mezzo questo errore, di modo che né i Turchi né altre nazioni dubitano più che ci sia un Dio solo, e tutti si accordano in ciò coi Cristiani. Se qualcuno nega Dio, costui è un empio ed ateo, e a giudizio di tutti merita di essere abominato. Anche i Turchi pensano così, poiché credono nel Dio del quale scrisse Mosè, e in ciò senza controversia convengono con Giudei e Cristiani. Fino a questo punto la fede di queste tre nazioni è comune. Quanto a Cristo, ne fanno molto conto pure i Turchi, e in ciò superano i Giudei, ed hanno ciò in comune coi Cristiani. Ma i Cristiani vanno oltre a tutti gli altri in quanto credono che Gesù Cristo sia figlio di Dio, e Signore e giudice del mondo: e questo è comune a tutti i Cristiani. Ma come a proposito di Cristo, insomma, i Turchi dissentono dai Cristiani, e i Giudei da questi e da quelli, ed a vicenda si condannano e si considerano eretici; così intorno alla dottrina di Cristo in molti luoghi i Cristiani discordano dai Cri­stiani, e si condannano a vicenda e si considerano eretici.

 

Sono aspre, infatti, le controversie intorno al battesimo, alla cena del Signore, all’invocazione dei santi, alla giustificazione, al libero arbitrio ed a molte altre oscure questioni: di modo che i Cattolici, i Luterani, gli Zwingliani, gli Anabattisti, i Monaci e gli altri si condannano e perseguitano a vicenda anche più di quanto facciano i Turchi nei confronti dei Cristiani. Tali dissidi certo non derivano che dall’ignoranza della verità. Se queste cose fossero note quanto è noto che c’è un Dio solo, tutti i Cristiani sarebbero d’accordo su di esse come tutte le nazioni riconoscono che c’è un solo Dio. Che dunque resta da fare in mezzo a così gravi dissidi? Che accada ciò che insegna Paolo: «Chi non mangia non disprezzi chi mangia, poiché l’uno e l’altro sta o cade per il suo Signore». I Giudei o i Turchi non condannino i Cristiani, e a loro volta i Cristiani non disprezzino i Turchi o i Giudei, ma insegnino piuttosto e conquistino con la pietà.

 

E inoltre, tra Cristiani, non condanniamoci a vicenda; ma, se siamo più dotti, cerchiamo di essere anche migliori e più misericordiosi. Poiché è certo che quanto meglio uno conosce la verità, tanto meno è incline a condannare gli altri, come appare chiaro in Cristo e negli apostoli. Invero, colui che facilmente condanna gli altri, con il suo stesso condannare mostra che non sa nulla, poiché non sa agire con clemenza, ignora la clemenza: a quel modo che non saper avere pudore è ignorare il pudore. Se ci comporteremo così potremo vivere in tranquillità tra noi: se saremo discordi nelle altre cose, almeno saremo d’accordo nel mutuo amore (che è il vincolo della pace) finché verremo all’unità della fede. Ora, mentre gareggiamo negli odii e nelle persecuzioni, di giorno in giorno diventiamo peggiori e non ricordiamo il nostro dovere (occupati come siamo a condannare gli altri), e l’Evangelo ha cattiva fama tra i gentili per colpa nostra.

 

Quando vedono infatti che tra di noi ci facciamo violenza come belve, e che sempre i più deboli sono oppressi dai più forti, detestano l’Evangelo, quasi fosse esso a generare gente simile; e detestano Cristo stesso, quasi egli avesse comandato che accadessero tali cose: onde è più facile per noi degenerare in Turchi o in Giudei che non far diventare Cristiani quelli. Chi vorrebbe infatti diventare Cristiano, vedendo che coloro che confessano il nome di Cristo, senza alcuna misericordia sono uccisi dagli stessi Cristiani, col fuoco, coll’acqua e col ferro, e trattati più severamente che alcun ladrone o grassatore? Chi non crederà che Cristo sia un qualche Moloch, o un dio di quella specie, se vuole che gli siano immolati e bruciati degli uomini vivi? […] Immagina che Cristo stesso sia presente quale giudice, che pronunci la sen­tenza e dia fuoco al rogo: chi non considererà Cristo come Satana?

 

 

S.CASTELLIONE, Fede, dubbio e tolleranza, La Nuova Italia, Firenze 1960, pp. 50-53