MOVIMENTI RELIGIOSI E SUCCESSIVA RIAMMISSIONE
ALLA
PIENA COMUNIONE CON LA CHIESA CATTOLICA
aspetti canonici-liturgici-pastorali
1. CONDIZIONE ECCLESIALE DI CHI HA ABBANDONATO
LA CHIESA CATTOLICA
a)- PRINCIPI
b)- PROCEDURE
2. RIAMMISSIONE ALLA PIENA COMUNIONE DELLA
CHIESA CATTOLICA
a)- PREPARAZIONE
b)- REMISSIONE DELLA SCOMUNICA
c)- RITO DI RIAMMISSIONE
d)- AMMINISTRAZIONE DI ALCUNI SACRAMENTI
* PREMESSA
Il caso dei fedeli battezzati e cresciuti nella
Chiesa cattolica passati ad un nuovo movimento religioso, che in seguito
chiedono di essere riammessi alla piena comunione con la Chiesa cattolica impone, anzitutto, la questione di delineare le
condizioni in cui tali fedeli sono venuti a trovarsi a causa della loro
scelta. Solo cosi sarà
possibile indicare correttamente le modalità canonico-pastorali
necessarie per un loro ritorno alla fede cristiana e alla piena comunione con
la Chiesa cattolica.
1. CONDIZIONE ECCLESIALE DI CHI HA ABBANDONATO
LA CHIESA CATTOLICA
a)- PRINCIPI
1. Occorre ribadire, anzitutto, che i fedeli che in qualsiasi modo abbandonano la Chiesa cattolica non perdono totalmente la comunione con essa, ma solo la piena comunione (cf can.205). Ciò sognifica che, al di là della loro scelta e della loro consapevolezza, pur nella gravità del loro atto, essi rimangono collegati alla Chiesa e in qualche modo la Chiesa continua ad avere cura di loro, con la preghiera, la cordialità e l'attesa sempre viva di un loro ritorno. Per questo, qualora in seguito chiedano di ritornare nella comunità cattolica, essi vengono di nuovo ammessi alla piena comunione con la Chiesa cattolica e non devono certo ricevere nuovamente i sacramenti già ricevuti. Tali considerazioni invitano, dunque, ad affrontare questi casi con chiarezza e verità, ma anche con carità e misericordia, memori dell'insegnamento evangelico del Padre misericordioso.
2. Una seconda considerazione riguarda il discernimento delle diverse
situazioni. Bisognerà, infatti,
esaminare con attenzione e pazienza caso per caso, considerando il tipo di
nuovo movimento religioso scelto dal fedele ed anche le modalità e le
condizioni con cui egli vi ha aderito. Per fare alcuni
esempi: se si tratta di un cattolico che ha ricevuto il battesimo dei Testimoni
di Geova, oppure quello dei Mormoni, o ha accettato
di compiere atti di consacrazione e di adorazione a Krishna, o è divenuto seguace di Sai Baba
considerando il loro maestro come l'incarnazione dell'Assoluto, allora si deve
riconoscere la condizione di "abbandono formale della Chiesa cattolica,
cioè di apostasia" (cf can.751)[1]. Ben più difficile è il giudizio quando si
presentano casi di aderenti a quei movimenti religiosi che affermano la doppia
appartenenza; pur nella chiara consapevolezza che non è possibile dal punto di
vista cattolico abbinare la fede in Gesù Cristo e
l'adesione a movimenti che generalmente sostengono l'autosalvazione
dell'uomo, occorrerà per questi casi una verifica personale[2].
3. Da un punto di vista più strettamente canonico
bisognerà, dunque, valutare quale tipo di abbandono è
stato effettuato dal fedele: di fatto, notorio, formale[3];
a seconda del grado di abbandono scaturiscono, infatti, differenti conseguenze.
In generale, si tenga presente che è l"abbandono formale" della
Chiesa cattolica l'atto con conseguenze più gravi, cioè
l'apostasia con possibile scomunica. Le
altre forme di abbandono non comportano tali
conseguenze, anche se hanno una loro rilevanza pastorale e giuridica[4].
Come già ricordato poc’anzi, a proposito dei diversi
movimenti religiosi a cui oggi alcuni fedeli cattolici aderiscono, è evidente
che l'abbandono formale della Chiesa cattolica e dunque la perdita della piena
comunione con essa avviene nel momento del passaggio
ufficiale a tali movimenti, cioè o attraverso la ricezione del loro battesimo o
attraverso altro atto con valenza di iniziazione: quello che nella tradizione
della Chiesa è chiamata abiura o adesione ad altra religione. In tali circostanze il fedele cade
nell'apostasia, poiché ha rinnegato in toto o nella
sostanza l'oggetto formale della fede cristiana, ha negato l'autorità di Dio
che si rivela in Gesù Cristo e quindi si è separato
dalla comunità fondata e animata dal Cristo stesso, la Chiesa[5].
4. Nella riflessione teologico-canonica
si invita, però, a distinguere il "peccato"
di apostasia dal rispettivo "delitto". L'atto dell'abbandono formale della Chiesa
cattolica per passare ad altra religione o movimento religioso comporta, cioè, anzitutto una responsabilità personale morale di
fronte a Dio; ma per divenire un delitto, con conseguente pena canonica, esso
deve assumere gli elementi propri del delitto, e cioè esservi una violazione
esterna, gravemente imputabile per dolo (cioè per deliberata volontà) o per
colpa (cioè per negligenza), violazione per la quale è stabilita una pena o una
sanzione canonica (cf can.1321).
Pertanto, qualora ricorrano tali elementi e un fedele abbia manifestato
esternamente la sua apostasia e ciò sia stato raccolto dagli altri fedeli (cioè
l'apostasia sia stata effettivamente consumata, cf
can.1330), allora si è in presenza di un vero e
proprio delitto comportante automaticamente la pena della scomunica. In quest'ottica va letto il can.1364
§ l: «L’apostata, l'eretico e lo
scismatico incorrono nella scomunica latae sententiae [...]».
5. Si tenga presente, però, che il Codice prevede
alcune circostanze in cui di fatto, pur avendo
commesso apostasia, il fedele non incorre nella pena conseguente. Anzitutto,
sono ritenuti incapaci di commettere delitto coloro che abitualmente non hanno
l'uso di ragione, anche se la violazione è avvenuta nei cosiddetti intervalli
lucidi (cf can. 1322). Inoltre, al can.1323
si afferma che non è passibile di pena chi quando
commise il delitto non aveva ancora compiuto i 16 anni di età; oppure senza sua
colpa ignorava di violare una legge o un precetto (a meno che ciò fosse frutto
di grave negligenza); oppure agì a causa di violenza fisica o timore grave,
necessità o grave incomodo (a condizione, però, che l'atto non fosse
intrinsecamente cattivo o non tornasse a danno delle anime); oppure in quel
momento fosse privo di ragione. Inoltre,
al can.1324 si afferma che, pur essendo passibili di
pena, non incorrono comunque in una pena latae sententiae chi
quando commise il delitto non aveva un uso perfetto della ragione o mancava di
esso a causa di ubriachezza o perturbazioni mentali simili (a meno che fossero
state procurate ad arte per commettere il delitto); oppure chi, pur avendo
compiuto i 16 anni di età, non era ancora maggiorenne; oppure chi commise un
delitto intrinsecamente cattivo o dannoso per le anime costretto da grave
timore, necessità o incomodo; oppure chi ebbe ignoranza incolpevole (ma non
crassa, supina o affettata) circa la pena annessa alla violazione della legge o
del precetto; oppure chi agì senza piena imputabilità. In questi casi la
persona non incorre "automaticamente" nella scomunica; eventuale pena
potrà essere comminata solo dall'autorità
ecclesiastica competente con atto esplicito.
6. Pertanto, per valutare se un apostata sia effettivamente caduto nella scomunica occorre anche
tener presente queste cause esimenti o mitiganti. Per quanto riguarda i nostri casi, può
capitare, per esempio, che uno passi ad altro
movimento religioso sotto pressione dei genitori o di altri familiari, parenti
o vicini che hanno già fatto tale scelta, in un contesto spesso gravido di
forti tensioni, ricatti, compromessi, non facilmente sopportabili soprattutto
da persone giovani o psicologicamente fragili.
A questo proposito si rammenti che il figlio cattolico di un genitore
cattolico passato ad altra religione o movimento religioso, al
di sotto dei 18 anni non incorre nella scomunica latae sententiae; vi incorre, però, se dopo
tale età pone un qualche atto di conferma della sua appartenenza a tale
religione o movimento religioso. Più in
generale, occorre comunque tener presente il possibile
diverso grado di imputabilità, cioè di convinzione; ciò potrebbe risultare dal
diverso grado di adesione alla vita e all'azione propagandistica del nuovo
movimento.
7. Se è vero che le
condizioni interne ed esterne hanno la loro incidenza nella valutazione morale,
ciò è altrettanto vero nella considerazione delle conseguenze canoniche. E' necessario, quindi, valutare se un
cattolico che ha formalmente abbandonato la Chiesa cattolica abbia
effettivamente commesso il "delitto" di apostasia,
e, in caso affermativo, se sia incorso o meno nella pena latae sententiae della
"scomunica". Ciò è importante,
perché è in gioco il suo sostanziale rapporto con la Chiesa cattolica, la sua
piena comunione con essa e la possibilità di accedere
ai mezzi di grazia, e in particolare ai
Sacramenti, di cui uno scomunicato viene ordinariamente privato[6]. Oltre a ciò, vi sono anche
altre conseguenze, per esempio in merito all'ufficio di padrino o di madrina (cf can.1352); agli uffici
ecclesiastici (cf can.1331
§ 1,1°-3°); alla celebrazione del matrimonio con un cattolico (cf cann. 1071 § 1,4°-5° e
1124-1126); alle esequie ecclesiastiche (cf can.1184 § 1,1°).
8. Certamente non si può oggi accontentarsi di
indicare questa dottrina e normativa della Chiesa cattolica; occorrerà
spiegarne le ragioni e le finalità.
Infatti, nel nostro contesto sociale ed
ecclesiale, sensibile al valore della libertà religiosa e dell'ecumenismo,
potrebbero risultare fuori posto questi termini di "delitto" o
"pena" riferiti a cattolici che deliberatamente decidono di
abbracciare un'altra religione o movimento religioso; o potrebbe apparire
irrilevante la questione se tali persone possano accedere ancora ai Sacramenti
della Chiesa, visto che da questa sono usciti, anzi che neppure vogliono o
possono più mettervi piede. Davanti a tali obiezioni occorre ribadire
che il Battesimo cristiano validamente ricevuto e la conseguente vita cristiana
condotta nella comunità cattolica per un certo periodo non sono realtà
cancellabili. Pur rispettando la scelta di queste
persone, la Chiesa non può non ritenere il loro atto un formale rifiuto della
fede cristiana e un abbandono della comunità ecclesiale. E' questo il senso
ecclesiale del concetto di "delitto": riconoscimento pubblico di una
grave violazione della fedeltà al cristianesimo; e del concetto di
"scomunica": dichiarazione della situazione di non piena comunione
con la Chiesa cattolica. Si
tratta in realtà di un servizio alla verità circa la situazione ecclesiale in
cui viene a trovarsi un apostata, al di là della sua
convinzione soggettiva. Risulta particolarmente evidente in questo contesto quella
che è una caratteristica generale delle "sanzioni" nella Chiesa: più
che uno strumento punitivo o coercitivo esse vogliono costituire un servizio di
leale discernimento delle situazioni e di forte richiamo alla conversione, per
il bene del singolo fedele e della comunità tutta.
b)- PROCEDURE
1. Il Parroco che si trova di fronte alla richiesta
di un cattolico di annotare il proprio passaggio ad
altra religione o movimento religioso (personalmente o per lettera)[7],
dovrà anzitutto chiedere istruzioni all'ufficio competente della sua
Curia. Se il responsabile di Curia, su
indicazione del proprio Ordinario diocesano, riterrà opportuno assumersi
personalmente il caso, sarà lui ad inviare una lettera all'interessato per
chiedere un incontro chiarificatore (Mod.1/a-c). Se,
invece, tale compito sarà affidato al Parroco, sarà lui a prendere contatti con
l'interessato e a incontrarlo (Mod.2).
2. Se il destinatario accetta l'incontro con
l'addetto della Curia o con il Parroco, questi lo accolga
benevolmente e cerchi di dialogare con lui per invitarlo ad un ripensamento,
facendogli anche conoscere con delicatezza le conseguenze giuridiche del suo
passo. Inoltre, è necessario che nel
colloquio si accertino le motivazioni della volontà di abbandono
della Chiesa cattolica e si verifichino le condizioni del soggetto, e cioè se
questi sia magari in uno stato di depressione psichica o in situazione di
particolare disagio familiare o sociale. Il
contenuto e l'esito del colloquio siano messi sinteticamente per iscritto e
sottoscritti da colui che condusse il colloquio e
dall'interessato.
3. Se la lettera non ha
ottenuto risposta o se l'eventuale colloquio non ha smosso l'interessato dal
suo proposito, ci si rimetta alla decisione dell'Ordinario diocesano circa la
possibilità o meno di annotare tale defezione dalla Chiesa cattolica. Se l'autorizzazione
è concessa (Mod.
3), il Parroco dove avvenne il Battesimo dell'interessato apponga a margine
dell'Atto di Battesimo la seguente Nota: "È
da ritenere che il battezzato abbia abbandonato formalmente la fede
cattolica. In caso di richiesta del
certificato di Battesimo, il Parroco interpelli
l'ordinario diocesano (cf. Autorizzazione dell'Ordinario diocesano, in
data ......., P.G. n°....)".
Sia la Parrocchia che la Curia custodiscano
con la dovuta segretezza la documentazione inerente al caso. Così pure, nella Curia si tenga un registro
su cui annotare queste defezioni dalla Chiesa cattolica. La Curia provveda
anche ad eventuali altre comunicazioni, per alcuni casi particolari (Mod. 4/a-c). In fine, potrà essere opportuno trasmettere la
comunicazione di abbandono delle fede cattolica anche
al Parroco di residenza dell’interessato (Mod. 4/d).
4. Il ricorso all'Ordinario diocesano è motivato
dalla necessità di accertare se la persona abbia formalmente
abbandonato la fede cattolica e se sia incorsa nella scomunica latae sententiae
con tutte le conseguenze circa la ricezione dei Sacramenti e gli altri atti
ecclesiali, come sopra descritto.
Inoltre, tale procedura è giustificata dalla norma che, al di là delle annotazioni della Cresima o del Matrimonio,
le altre modifiche o annotazioni sul registro di Battesimo vanno effettuate
solo con l'autorizzazione dell'Ordinario diocesano.
5. Qualora la persona che ha abbandonato la Chiesa
cattolica non ne faccia comunicazione alla Parrocchia o alla Curia, allora non
è necessario annotare tale atto sul registro dei Battesimi, anche se la
situazione fosse palese, tranne che vi sia stata una
scomunica inflitta o dichiarata. In
merito ad eventuale domanda di tale persona di continuare a ricevere i
Sacramenti o compiere altri atti ecclesiali, il Parroco sottoporrà il caso all'uffico competente di Curia.
In tali circostanze sarà opportuno richiamare l'interessato e chiarire
la sua situazione, comportandosi similmente a quanto indicato sopra. Tale comportamento deve tendere all'eventuale
recupero di quella persona, ma anche alla salvaguardia
della vita della comunità ecclesiale. In
qualsiasi caso, prima di porre qualche annotazione sul registro dei Battesimi,
occorrerà avere l'autorizzazione dell'Ordinario diocesano.
2. RIAMMISSIONE ALLA PIENA COMUNIONE DELLA
CHIESA CATTOLICA
a)- PREPARAZIONE
1. E' evidente che davanti alla richiesta di un
rientro nella Chiesa cattolica è necessario, anzitutto, un cammino spirituale
ed ecclesiale, fatto di catechesi e di preghiera; un cammino personalizzato,
compiuto con la dovuta riservatezza, ma anche con la necessaria dimensione
comunitaria. Considerata l'influenza
avuta sulla persona da parte dell'esperienza compiuta fuori
dalla Chiesa cattolica, occorrerà avere pazienza ed intraprendere un itineriario rispettoso e adeguato, sia nei contenuti che
nelle modalità e nei tempi. Non ci si
lasci prendere da facili e sconsiderati entusiasmi. Il caso sarà comunicato al competente ufficio
di Curia, che darà le necessarie indicazioni, in collaborazione con l'eventuale
Centro di ascolto sulla nuova religiosità, che sarà
opportuno predisporre in ogni Diocesi.
2.Per favorire l'accompagnamento
individuale, al candidato sarà affiancato un garante: un catechista o un
insegnante di religione o altra persona preparata, che si metta accanto al
candidato con competenza, rispetto, pazienza, fiducia. A
volte, potrà essere proficua la collaborazione di un movimento o associazione
ecclesiale, in cui il candidato potrà essere inserito per un cammino
particolare. Qualsiasi sia la forma di
accompagnamento scelta, si tenga presente che il giudizio finale circa la
riammissione di un candidato alla piena comunione con la Chiesa cattolica
spetta all’Ordinario diocesano, su eventuale domanda del Parroco (Mod. 5)
3. Non è possibile predeterminare a priori
l'evoluzione di questi cammini. Da una parte, occorrerà dire ai candidati di avere pazienza con se
stessi, di avere fiducia in chi li accompagna, di non pretendere di risolvere
subito i loro problemi, ma anche di non stare inerti. Dall'altra, la comunità cristiana se ne dovrà
far carico: affiancherà questi fratelli con umiltà e discrezione, insegnando ed
imparando. L'importante è camminare
insieme, sempre nel rispetto delle coscienze, senza scoraggiarsi, nella
consapevolezza che il Signore non abbandona nessuno dei suoi figli.
b)- REMISSIONE DELLA SCOMUNICA
1. Le modalità canoniche della riammissione alla
piena comunione con la Chiesa cattolica sono, dunque,
solo l'atto conclusivo, canonico-liturgico, di un
cammino di ritorno alla fede cristiana lungo e complesso, e magari ancora da
perfezionare. Il primo atto da compiere è la "remissione della scomunica latae sententiae". Come già detto, occorrerà anzitutto valutare
se il fedele abbia effettivamente commesso il delitto di apostasia
e se sia realmente incorso nella conseguente scomunica. In caso contrario bisognerà appurare se il
Superiore competente inflisse eventualmente altre pene e dunque prendere in
considerazione le modalità previste per revocarle. Così pure, in assenza di delitto vero e
proprio, occorrerà comunque considerare un'opportuna
disciplina penitenziale di riparazione del peccato di apostasia, con eventuale dimensione
comunitaria. In caso di dubbio l’assoluzione della scomunica potrà avvenire “ad cautelam”.
2. Nel caso in cui il fedele sia
incorso nella scomunica latae sententiae non dichiarata[8] ,
la remissione della pena, in base al can.1355 § 2,
può essere effettuata dall'Ordinario di tale fedele, oppure dall'Ordinario del
territorio in cui questi viene a trovarsi o in cui abbia commesso l'apostasia;
ciò può avvenire sia in foro interno (sacramentale o non sacramentale) che in
foro esterno. Inoltre,
qualunque Vescovo può rimettere la scomunica, ma solo nell'atto della
Confessione sacramentale. In
fine, anche il Canonico penitenziere (sia della Cattedrale sia della Chiesa collegiale) ha la facoltà ordinaria di assolvere in foro
sacramentale dalla scomunica latae sententiae, ma non la può delegare (cf
can.508). Tale delega può essere data solo
dall’Ordinario (Mod. 6).
3. Se la remissione della
scomunica avviene in foro interno sacramentale, il confessore adotta la solita
formula dell'assoluzione dei peccati, senza nulla aggiungere, ma solo ponendo
l'intenzione di rimettere anche la pena.
Se, invece, la remissione della scomunica avviene fuori
dalla Confessione (sia in foro interno che esterno) il Superiore munito
della debita facoltà deve usare la formula seguente: «In forza del potere a me concesso io ti assolvo dal vincolo di
scomunica. Nel nome
del Padre e del Figio e dello Spirito Santo» (tracciando sul fedele il segno della croce)[9]. Inoltre, se la remissione avviene in foro
esterno, essa va data normalmente per iscritto (cf
can.1361 § 2).
4. Ordinariamente sono queste le vie per la
remissione della scomunica[10].
Nella loro applicazione si deve, comunque, tener
presente l'importanza di una certa discrezione e riservatezza per rispetto del
fedele; lo stesso Codice invita a far sì che tale atto di remissione della
pena, anche se avviene in foro esterno, non sia divulgato se non nella misura
in cui ciò sia utile a tutelare la fama del fedele o sia necessario per
riparare lo scandalo (cf can.1361
§ 3).
5. In fine, occorre ricordare che la remissione
della scomunica può avvenire solo se il fedele ha receduto dalla contumacia, cioè se si sia veramente pentito del delitto commesso e
abbia dato congrua riparazione agli eventuali danni e scandali provocati o almeno
abbia promesso di farlo; a tale fedele non si può negare la remissione della
scomunica, comminando eventualmente una penitenza riparatrice (cf cann. 1358 e 1347 § 2).
c)- RITO DI RIAMMISSIONE
1. Oltre alla regolazione della remissione della scomunica
il CIC vigente non menziona altra procedura o rito per la riammissione
dell'apostata nella piena comunione con la Chiesa cattolica, diversamente da
quanto era previsto nel CIC 1917 al can.2314 § 2,
riferendosi al Rito contenuto nell"Ordo ad reconciliandum apostatam, schismaticum, vel haereticum" contenuto nel Pontificale Romano[11].
Attualmente, nel "Rituale Romano, riformato a norma del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato dal Paolo VI", non esiste più un
rito analogo a quello poc’anzi ricordato, ma solo il
"Rito dell'ammissione alla piena
comunione della Chiesa cattolica di coloro che sono già stati validamente
battezzati" come Appendice al "Rito per l'iniziazione cristiana degli adulti"[12]. In realtà si tratta di un rito che riguarda i
fedeli nati e battezzati in una comunità ecclesiale non
cattolica e accolti poi, secondo il rito latino, nella piena comunione
della Chiesa cattolica (come si dice esplicitamente nel n.1
dei Praenotanda).
Pertanto, esso può illumnare il caso che
stiamo trattando soltanto per una qualche analogia, infatti
nel nostro caso non vi è stata solo una diversità di confessione cristiana, ma
una vero e proprio tradimento della fede cristiana[13].
2. Non essendoci, dunque, oggi un rito apposito per i fedeli cattolici che ritornano alla Chiesa
dopo averla formalmente abbandonata, per tali casi non possiamo che fare
riferimento ai testi poc’anzi ricordati, oltre che
alle indicazioni di fondo contenute nei documenti conciliari e postconciliari
sulla Chiesa, sull'ecumenismo e sulla libertà religiosa. Oltre all'atto dell'eventuale remissione
della scomunica, sembra importante porre anche un segnale esteriore del cammino
che ha portato il fedele a pentirsi dell'apostasia commessa, a riabbracciare la
fede cristiana e a ritornare in piena comunione con la Chiesa cattolica. Tanto più quando fu data
notorietà e pubblicità all'uscita dalla Chiesa con un grado di colpevolezza più
o meno grande. Ciò, però, deve
tener presente il rispetto della persona e i suoi rapporti sia con la religione
o la setta da cui è fuoriuscito sia con la propria
comunità cristiana. Lo stesso "Rito dell'ammissione alla piena comunione
della Chiesa cattolica" invita ad evitare che siano fatte celebrazioni
di indole trionfalistica e, quando è necessario, ad
adottare delle modalità riservate e quasi familiari. Pertanto, le modalità di riammissione alla
Chiesa di questi fedeli dovrebbero articolarsi in modo
sapiente secondo i diversi criteri in gioco, nel bene dei singoli fedeli e
della comunità cristiana nel suo insieme.
3. Ciò premesso, sembra doveroso che in tali
circostanze vi sia un piccolo rito in cui il fedele emetta una professione di
fede secondo il credo cattolico (simbolo apostolico), preceduta da un atto di abiura consistente in una chiara testimonianza di
abbandono della precedente esperienza per riabbracciare la fede cattolica. Ciò si svolgerà davanti al Vescovo o ad un
Sacerdote da lui designato (Mod. 5), al garante che
ha seguito la preparazione del fedele e ad alcuni testimoni tra i parenti, gli amici
o i componenti della Parrocchia del fedele
stesso. Tale rito può avvenire nel contesto della remissione della scomunica, se data in
foro esterno, oppure dopo di essa, se data in foro interno.
4. Compiuto questo rito, si dovrà
sottoscrivere l'Atto di riammissione (Mod. 7), in
doppio originale, uno da trattenere nella Parrocchia in cui avvenne il rito,
l'altro da trasmettere alla Curia, da annotare in debito registro. Quindi, l’Ordinario
diocesano segnalerà l'avvenuta riammissione al Parroco di Battesimo del fedele
per l'annotazione sul registro parrocchiale dei Battesimi (Mod.
8).
d)- AMMINISTRAZIONE DI ALCUNI SACRAMENTI
1. Rimane, in fine, il problema del rapporto di tale
riammissione con i Sacramenti della Riconciliazione, dell'Eucarestia
e della Cresima. Considerato il rapporto più sopra accennato tra peccato e
delitto, sembra senz'altro necessario che il rito di professione di fede sia
preceduto dalla confessione sacramentale del fedele (se ciò non avvenne già nel contesto della remissione della scomunica in foro
interno sacramentale). Così pure, il
movimento che ha riportato il fedele alla piena comunione con la Chiesa cattolica dovrebbe sfociare nella partecipazione al
banchetto eucaristico; come e quando ciò possa avvenire dipende ancora una
volta dalla particolare situazione del fedele e dalle circostanze ed
opportunità pastorali.
2. Se, poi, il fedele non ha ancora ricevuto il
Sacramento della Confermazione, spetta al Vescovo, a seconda
dell'età e della preparazione dei fedeli, indicare se amministrare la
Cresima nel contesto del rito di riammissione oppure successivamente; anche se
generalmente nel caso di un fedele adulto sembra più opportuno sigillare la
riammissione alla piena comunione con la Chiesa con la pienezza del dono dello Spirito
Santo. Se il
Vescovo concesse ad un sacerdote di presiedere al rito, contemporaneamente
concederà a lui anche la facoltà di amministrare la Cresima. Ciò avviene anche
nel Rito di ammissione alla Chiesa cattolica dei
fedeli appartenenti ad altre confessioni cristiane[14].
3. Può verificarsi anche il caso in cui un
cattolico, reduce dall’esperienza in un nuovo movimento religioso, abbia ripreso normalmente a frequentare la comunità
cattolica, magari riaccostandosi anche ai Sacramenti. Tali casi, di cui il
Parroco venga a conoscenza, dovranno essere trattati
con delicatezza, ma anche con chiarezza, richiamando l’interessato e
chiedendogli la disponibilità a intraprendere un cammino appropriato, secondo
le indicazioni del competente ufficio di Curia.
4. Riguardo al sacramento del Matrimonio, occorre
ricordare anzitutto che chi si è separato dalla Chiesa cattolica con atto
formale (al di là che abbia commesso un vero e proprio delitto di apostasia o sia effettivamente caduto nella pena di
scomunica), non è tenuto alla forma canonica del matrimonio e alle norme
riguardanti i matrimoni misti o con disparità di culto (cf
cann. 1086, 1117, 1124). Pertanto, il matrimonio che questi
ex-cattolici contraggono con un non battezzato o con un cristiano non cattolico
o con un cattolico che pure si è formalmente separato dalla Chiesa cattolica, è
ritenuto matrimonio valido, ancorché contratto senza forma canonica e senza le
dovute dispense o licenze. Quindi,
qualora tali persone vengano riammesse alla piena
comunione con la Chiesa,cattolica, non hanno bisogno di ricelebrare
il loro matrimonio[15].
5. Quando, invece, queste persone durante il tempo
di separazione dalla Chiesa cattolica hanno contratto matrimonio
con un cattolico fuori dalla forma canonica, allora tale matrimonio non è
ritenuto valido e va regolarizzato. A seconda delle circostanze e delle opportunità pastorali
tale regolazione potrà avvenire o prima della riammissione dell'ex-cattolico
alla piena comunione alla Chiesa cattolica, con una nuova celebrazione
provvista di debita licenza o con la sanatio in radice
(cf cann 1161 ss.)[16];
oppure, nel contesto del rito della riammissione alla piena comunione con la
Chiesa cattolica attraverso una nuova celebrazione del matrimonio secondo la
forma canonica. In tal modo questi fedeli potranno riprendere pienamente la
loro vita cristiana[17].
[1] Nel CIC vigente al can. 751 si tratta in modo
esplicito e diretto delle diverse forme di rifiuto delle fede
o della Chiesa cattolica da parte di un battezzato: ostinata negazione o dubbio
di una qualche verità da credere per fede divina e cattolica (= eresia),
ripudio totale della fede cristiana (= apostasia), rifiuto della sottomissione
al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti
(= scisma).
[2] Caso particolare è quello di coloro che, in
certe nazioni, dichiarano di non appartenere più alla Chiesa cattolica per
sottrarsi al pagamento della tassa di religione. Ricevendo tali comunicazioni
bisognerà senz’altro trasmetterne notizia al Parroco di battesimo, con
l’indicazione di non rilasciare dei certificati di
battesimo di queste persone senza l’autorizzazione dell’Ordinario (Mod. 4/a). Ciò permetterà, caso per caso, di valutare
effettivamente la portata e le conseguenze canoniche della decisione di questi
cattolici, nel rispetto degli indirizzi pastorali delle Chiese di appartenenza.
[3] Nel Codice si trovano diverse formulazioni, a
dire il vero non sempre chiare ed uniformi: al can.194
§1,2 troviamo, per esempio, l'espressione "abbandonare (deficere) pubblicamente la fede cattolica o la comunione
con la Chiesa" e al can.694 §l,l
quella di "abbandonare (deficere) in modo
notorio la fede cattolica"; anche al can.1071 §1,4
l'edizione italiana riporta la stessa espressione del canone precedente, ma in
latino il verbo usato è "abicere"; cosi
come al can.316 §1 dove si ha l'espressione
"abbandonare pubblicamente la fede cattolica"; ai cann.1086
§1, 1117 e 1124 si ha invece l'espressione "essere separati (deficere) con atto formale dalla Chiesa cattolica".
[4] L'abbandono di fatto, che rimane cioè una questione personale, di per sé non comporta
particolari conseguenze canoniche; l'abbandono notorio, quello cioè che ha
avuto una rilevanza pubblica, comporta invece alcune conseguenze in ambito
ecclesiastico: es. inabilità a dare il voto in qualche elezione (cf. can.171
§1,4), rimozione da un ufficio (cf. can.194 §1,2), impossibilità di
essere accolti in un'associazione pubblica (cf. can.316 §l), dimissione da un
istituto religioso (cf. can.694 §1,1), necessità della licenza dell'ordinario
per potersi sposare in Chiesa con un cattolico (cf.
can.1071 §1,4).
[5] Volendo approfondire il discorso, bisogna
notare che nel can. 751 del CIC vigente non si definisce più l'apostata
(l'eretico e lo scismatico) come nel CIC 1917 (can.1325
§2), ma 1’apostasia (l'eresia e lo scisma), volendo dunque stigmatizzare
la tipologia dell'atto compiuto più che la tipologia del soggetto agente.
[6] Si ricordi, comunque,
che nel caso di pericolo di morte tale divieto di ricevere i Sacramenti viene
sospeso; come pure nel caso di pericolo di grave scandalo o d'infamia (solo,
però, se la pena latae sententiae
non sia stata dichiarata né sia notoria nel luogo dove vive il fedele incorso
nella pena) (cf can.1352).
[7] Similmente a questi casi si potrebbe trattare
anche il caso di un cattolico che chiede di essere
cancellato dal registro dei battesimi, ma senza passare ad altra religione o
nuovo movimento religioso.
[8] Nel caso, invece, che la pena sia stata dichiarata, ha la facoltà di rimetterla
l'Ordinario che promosse il giudizio per dichiararla o l'Ordinario del luogo in
cui viene a trovarsi l'apostata, dopo aver consultato l'Ordinario che dichiarò
la pena (cf can. 355 §1)
[9] Cf Appendice I del
Rito della Penitenza: "L'assoluzione delle censure".
[10] Per completezza si dovrebbe ricordare anche
la normativa prevista per il caso di pericolo di morte del penitente, in cui
tutti i sacerdoti possono assolvere da tutti i peccati e rimettere tutte le
pene (cf can.976). Così pure in foro
interno sacramentale ogni sacerdote lecitamente munito della facoltà di
confessare può rimettere anche una scomunica non dichiarata qualora al
penitente sia gravoso rimanere in uno stato di peccato grave per il tempo
necessario a che il Superiore competente provveda, a norma del can.1357. Ed in fine
nel can.566 §2 si afferma che negli ospedali, nelle
carceri e nei viaggi in mare il Cappellano ha la facoltà di assolvere dalle censure
latae sententiae
non riservate né dichiarate. Sono
queste, tuttavia, delle situazioni che raramente ricorrono nel caso del ritorno
alla Chiesa di un ex-cattolico, in cui generalmente si richiede un cammino
lungo e paziente.
[11] Cf PONTIFICALE ROMANUM Summorum Pontificum jussu editum a BENEDICTO XIV et LEONE XIII
PONT. MAX. (recognitum et castigatum),
Editio secunda post typicam, Ratisbonae, Romae, neo Eboraci et Cincinnati, 1908, pp. 399-403.
[12] Cf SACRA CONGREGAZIONE
PER IL CULTO DIVINO, Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti (06.01.1972);
ufficialmente edito in italiano dalla CEI in data
30.01.1978.
[13] Può essere, comunque,
utile ricordare ciò che prevede oggi questo rito. Anzitutto in esso si
afferma che per i fedeli non cattolici che vengono alla Chiesa cattolica non si
richiede più l'abiura, ma soltanto una professione di fede (cf
Praenotanda
n.6). In effetti, il rito dell'ammissione prevede la
recita del credo da parte del candidato, secondo il simbolo niceno-costantinopolitano
con la sola aggiuta della formula: "credo e
professo tutte le verità che la Santa Chiesa cattolica crede, insegna e
annunzia come rivelate da Dio"(n.15); dopodiché
avviene l'atto ufficiale di accoglienza nella Chiesa da parte del
celebrante. Nei Praenotanda si sottolinea
che questo è solo l'atto conclusivo di un'adeguata preparazione del candidato,
sia dal punto di vista dottrinale che spirituale (cf
n.5); inoltre, è previsto che in tale cammino il
candidato sia accompagnato da uno o più garanti (cf n.10).
[14] Questa analogia fra le due situazioni fu
posta dalla stessa Commissione pontificia per l'interpretazione dei Decreti del
Vaticano Il: «La facoltà, di cui nel Rito di ammissione
nella piena comunione con la Chiesa cattolica di coloro che sono stati
validamente battezzati (Praenotanda
n.8) e nel Rito della Confermazione (Praenotanda n.7.b), secondo la quale il Presbitero deputato dal vescovo
per l'ammissione può amministrare la Confermazione al candidato nello stesso atto
di ammissione, comprende anche il caso della riammissione di un apostata dalla
fede, non ancora confermato» (cf PONTIFICIA COMMISSIO DECRETIS CONCILII VATICANI II INTERPRETANDIS, Responsa ad
proposito dubia, I "De ministro Sacramenti Confirmationis" [25.04.1975], in AAS
75 [1975], p.348).
[15] Vale la pena ricordare che il matrimonio di
un ex-cattolico, riammesso alla piena comunione con la Chiesa cattolica, precedentemente contratto con una persona non battezzata,
potrebbe essere soggetto allo scioglimento da parte del Sommo Pontefice
"in favore della fede e della salvezza delle anime", secondo le
condizioni, circostanze e norme previste dal diritto.
[16] Ciò permetterà al coniuge cattolico di uscire
da una situazione di irregolarità e al coniuge
ex-cattolico di essere in una situzione morale più
appropriata per il cammino di riammissione alla piena comunione con la Chiesa
cattolica.
[17] Comunque, per quanto
riguarda in generale le situazioni matrimoniali toccate dal problema del
passaggio di un coniuge ad un nuovo movimento religioso sarà opportuno il
ricorso ad un Consultorio familiare diocesano.