IL REGNO DI DIO









BABILONIA LA GRANDE

E LA BATTAGLIA DI HARMAGHEDON



 

 

 

Nel corso della storia, varie alternative sono state proposte per identificare "Babilonia la Grande". Tra le varie ipotesi formulate ricordiamo:

 

·        la Babilonia storica, che sorgeva sulle rive dell'Eufrate;

·        la Gerusalemme che aveva rifiutato e messo a morte il Cristo;

·        la Roma del culto imperiale;

·        l’impero della falsa religione o della religione corrotta

·        un simbolo delle forze del male nemiche di Cristo e della sua Chiesa

 

 

1.      Scarse attenzioni ha ricevuto la prima ipotesi visto che, ai tempi di Giovanni Evangelista, Babilonia era ormai scomparsa. Verso il 120 a.C. i seleucidi entrarono in guerra con i Parti, popolo situato ad oriente della Persia: Babilonia fu abbandonata, i resti di quella che era stata una grande città furono rasi al suolo da satrapo Euemero (o Evemero)  e la rovina di Babilonia fu completa.  Secondo Flavio Giuseppe e Filone  (Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, XV, 2, 2 ; Filone, Legatio ad Caium, 182) presso le antiche rovine vivevano ancora all’inizio del I secolo dell’era volgare alcuni giudei. Sempre secondo Flavio Giuseppe, le rovine di Babilonia sarebbero state abbandonate nella seconda metà del sec. I dagli stessi giudei che si trasferirono a Seleucia (Antichità Giudaiche, XVIII, 3, 8).

 

2.      Gerusalemme, ridotta a protettorato romano, governata da re totalmente asserviti al potere imperiale e trasformata in un’ombra della famosa città dei tempi di Davide e Salomone, era da tempo priva di prestigio, potenza e ricchezza e non poteva certo essere chiamata “la città grande, che regna su tutti i re della terra” (Apocalisse 13,18). La rovina di Gerusalemme fu poi completa nel 70 d. C. per opera dall’imperatore Vespasiano e del figlio Tito, decisamente troppo presto perché la visione di Giovanni potesse avere valenza escatologica. Il libro di Apocalisse fu, infatti, quasi sicuramente scritto dopo la distruzione del tempio, probabilmente verso la fine del I secolo, come peraltro conferma pure l'autorevole testimonianza di alcuni famosi cristiani dell’antichità [1]. Alcuni di coloro che identificano Babilonia la grande con Gerusalemme, pensano, comunque, che Giovanni abbia scritto il libro di Apocalisse prima dell'anno 70, sottolineano come il testo faccia riferimento a sette monti intorno a Gerusalemme e non ai 7 colli di Roma, insistono sull’esistenza di ben 11 re da Cesare fino a Domiziano, pensano che il titolo di prostituta poteva essere attribuito solo a Gerusalemme adultera (secondo la tradizione di Isaia, Ezechiele ed Osea), danno notevole peso al’espressione “grande città dove il Signore fu crocifisso” (Apocalisse 11,8), identificano i 144.000 segnati con gli ultimi giusti dell’Antica Alleanza, vedono  in Giacomo fratello di Giovanni e in Giacomo  fratello del Signore [2] i due misteriosi testimoni vestiti di sacco (Apocalisse XI) e datano la battaglia di Harmarghedon al 70 d.C. (facendola coincidere con la fine dell’antico culto giudaico). Secondo tale interpretazione, il millennio dell’espansione cristiana andrebbe dalla distruzione di Gerusalemme alla fine del X secolo o fino alla fine dei tempi.

 

3.      Secondo moltissimi commentatori, la visione di Giovanni Evangelista, relativa a Babilonia la Grande (Apocalisse XVII), identificherebbe la Roma pagana ed idolatra, persecutrice dei cristiani, amica di tutti i mercanti ed i re della terra e custode di immensi tesori (Agostino, La Città di Dio, XVIII, 52). La potente Roma pagana è chiamata "Babilonia la Grande" perché, con il culto dei suoi imperatori, la sua corruzione e la sua improvvisa rovina ad opera delle invasioni barbariche, è un’immagine dell’antica Babilonia, meraviglia del mondo pagano, città idolatra per eccellenza, secolare nemica del popolo d’Israele e capitale superba di un grande impero oppressivo ed universale. La descrizione della “prostituta famosa” ha peraltro parecchi tratti di somiglianza con le profezie di Isaia (Isaia XIV e XV) sulla rovina dell’antica Babilonia e con le rivelazioni di Ezechiele (Ezechiele XXVII e XXVIII) sulla fine di Tiro. Le sette teste sono 7 colli (o monti) su cui Roma siede e rappresentano 7 re potenti (Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, Vespasiano, Tito) [3], cui farà seguito un ottavo re identificato con la bestia stessa per la ferocia (Domiziano) [4]. Seguiranno quindi 10 re (10 corna) nemici di Cristo e persecutori della sua Chiesa. Le categorie più colpite dalla caduta di Babilonia sono i re (cioè i vassalli di Roma imperiale), i mercanti e la gente di mare (cioè coloro che rendono possibile il funzionamento dell’economia). La lunga enumerazione delle merci acquistate da Babilonia la Grande serve a denunciarne il lusso, le ricchezze ed i piaceri. Secondo l'interpretazione storica più attendibile ed accreditata, la caduta di "Babilonia la Grande" intravista dall’apostolo Giovanni altro non sarebbe che il sacco di Roma, rasa al suolo ed incendiata dai Visigoti nel 410 e saccheggiata dai Vandali nel 455. Un cristiano dell'antichità ricorda infatti come le truppe dei re Alarico e Genserico (sebbene di fede ariana) avessero allora devastato con furore i templi pagani e gli idoli, risparmiando però le chiese cristiane, i sepolcri dei martiri e le basiliche degli apostoli (Agostino, La Città di Dio, I, 1-3). Coloro che identificano Babilonia la grande con Roma, pensano che Giovanni abbia scritto il libro di Apocalisse verso la fine del I secolo, identificano i 144.000 con i martiri delle persecuzioni romane, vedono Pietro e Paolo [5] nei due testimoni vestiti di sacco (Apocalisse XI) e datano la battaglia di Harmarghedon verso l’inizio del III secolo (facendola coincidere con il trionfo del cristianesimo). Secondo tale interpretazione il millennio dell’espansione cristiana andrebbe dall’editto di Costantino (313) alla prima rivolta delle nazioni contro la Chiesa (schiaffo di Anagni e cattività avignonese). Secondo altri i mille anni avrebbero, invece, un valore simbolico e si prolungherebbero fino alla fine dei tempi, cioè fino all’attacco finale contro la Chiesa da parte di Satana e delle Nazioni.

 

4.      Dal Medioevo fino ai giorni nostri è, comunque, esistita tutta una letteratura di eretici, semieretici e cattolici intransigenti che ha identificato, in modo allegorico, Babilonia la Grande con la chiesa corrotta. Di questa interpretazione non si trova traccia negli scrittori cristiani dei primi secoli. Il primo ad occuparsene fu probabilmente Ticonio, scrittore africano del IV secolo, che vide in Babilonia la Grande la Chiesa di Roma, persecutrice dello scisma donatista al quale egli aderiva. Anche Dante Alighieri si attenne a questa interpretazione (Divina Commedia, Inferno, XIX, 107-117 e Purgatorio, XXXII, 147-152), che in quel particolare periodo storico poteva sembrare plausibile. L’interpretazione venne ripresa da molte eresie medievali e fu portata avanti da larga parte del protestantesimo, in chiara polemica con la corruzione della Roma papale (Lutero, ad esempio, identificò l’impero di Carlo V con la bestia che saliva dal mare, il papato romano con la bestia che saliva dalla terra e la Roma papale con Babilonia dell’Apocalisse). Secondo Newton [6], l'Anticristo andrebbe identificato con la prima bestia dell'Apocalisse, cioè con il culto idolatrico della Roma imperiale. Dopo la ferita mortale subita dal paganesimo sarebbe però operante una seconda bestia, bestia che egli identificò con la cristianità corrotta. I due testimoni vestiti di sacco, uccisi dalla bestia dell’Apocalisse altro non sarebbero che il Nuovo ed il Vecchio Testamento soppiantati dalla filosofia, dalla teologia e dal pensiero pagano. Il mistero ed i nomi blasfemi scritti sulla fronte della grande meretrice sarebbero le dottrine trinitarie, dottrine con le quali, nella chiesa, sarebbe stato reintrodotto il politeismo. La grande apostasia continuerebbe fino alla fine dei tempi, mentre la donna fuggita nel deserto altro non sarebbe che la vera chiesa (unitaria ed ariana) esiliata e perseguitata dalla cristianità, dopo il Concilio di Nicea (325 d.C.). Ciò che Newton evitò però di dire è che, a partire dal IV secolo, furono soprattutto gli ariani a perseguitare i cattolici. Basti a tal proposito pensare alla politica vessatoria tenuta dall’imperatore Costanzo II (337-361) nei confronti della chiesa cattolica, alle persecuzioni subite dai cattolici in Italia ed in Germania da parte dei goti e dei longobardi ariani, alla politica filoariana tenuta dall’imperatore Valente (363-378) ed alle crudeltà perpetrate contro la cristianità nel V secolo dai vandali ariani in Spagna e nel Nord Africa. Oggi, conclusasi definitivamente la parentesi del potere temporale della Chiesa, il tentativo di applicare la visione di Giovanni alla Chiesa Cattolica (o all’intera cristianità) sembra però priva di ragionevoli fondamenti logici ed è sostenuta solo da un limitato numero di commentatori ed esegeti. In ogni caso “Babilonia la Grande” sarebbe costituita solo da quella parte della cristianità che si è finora contaminata con la politica, il commercio, la finanza e l’immoralità sessuale.  

 

5.      Il termine "Babilonia la Grande" è anche spesso usato in modo simbolico per identificare tutti i sistemi politici e religiosi che, nel corso dei secoli, si sono opposti con la religione, l’ideologia o la politica al Vangelo di Cristo e alla sua Chiesa (l’impero romano, l’arianesimo, l’islam, il protestantesimo, la massoneria, il nazismo, il comunismo, …..). Anche se l'applicazione delle profezie di Giovanni ad eventi storici relativamente recenti andrebbe condotta con estrema prudenza (si pensi al tentativo di alcune sette fondamentaliste protestanti di giustificare l'intervento armato in Irak evocando l'Apocalisse ed il giudizio finale su Babilonia la Grande) , è innegabile che una ventata di paganesimo sia stata reintrodotta dai sistemi totalitari nella prima metà del XX secolo. Il comunismo attuò contro i cristiani persecuzioni crudeli e sistematiche,  il fascismo si rifece ai fasti ed alla cultura dell'antica Roma, il nazismo evocò filosofie esoteriche e miti nordici pagani ed il culto dell'imperatore giapponese assunse caratteri molto simili al culto divino tributato agli imperatori romani. Cedimenti e compromessi con i vari  regimi totalitari non mancarono: alcuni apostatarono dalla vera fede per paura o per convinzione, mentre altri per sopravvivere scesero a compromessi più o meno dignitosi. Moltissimi cristiani (cattolici, protestanti, ortodossi e testimoni di Geova) si opposero però alle dittature e milioni di credenti furono sistematicamente minacciati, picchiati, torturati, mandati nei campi di sterminio ed eliminati. Poiché costoro non possono sicuramente essere annoverati tra i cittadini di Babilonia la Grande, sembra logico identificare la Grande Città con i molti nemici della cristianità piuttosto che con le sue pecore nere.

 

Conclusioni

Ciò che non convince, soprattutto nel cervellotico tentativo di identificare Babilonia la Grande con l’impero della falsa religione o con qualche particolare organizzazione politica presente o passata, è il fatto che Babilonia è e rimane solo una città e non un sistema politico, economico, finanziario, militare o religioso. L’Apostolo Giovanni ci ricorda infatti che “la donna vista simboleggia la grande città, che regna su tutti i re della terra”. Nel libro di Apocalisse il potere politico nemico di Cristo e della sua Chiesa è infatti identificato con la bestia che sale dal mare (Apocalisse 13,1-10), mentre il potere religioso del falso profeta che costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia (Apocalisse 13,12) è rappresentato dalla bestia che sale dalla terra (Apocalisse 13,11-18). Entrambe le bestie traggono forza e potenza dal drago, cioè dal serpente antico, da colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra (Apocalisse 12,9). Babilonia è quindi la città che siede sulla bestia ma non è la bestia. Da un punto di vista storico, sembra pertanto esistere solo un periodo in cui il regno del male fu così potente da disporre di una città, di un potere politico e di un potere religioso al totale servizio di Satana il Diavolo: il periodo della Roma imperiale, dell’idolatria diffusa, degli imperatori incensati come “Dominus et Divus” (Signore e Dio) e delle tragiche persecuzioni contro il cristianesimo. Ogni successiva interpretazione allegorica lascia evidentemente il tempo che trova.

 

Nella tabella sotto riportata è possibile confrontare due letture storiche del libro di Apocalisse, letture dalle quali emerge la possibilità che Giovanni abbia usato i più recenti avvenimenti di Gerusalemme per diffondere una profezia di più ampio respiro sulla caduta di Roma, sulla fine dell’idolatria e sulla rovina del culto imperiale.

 

 

 

APOCALISSE: DUE DIVERSE LETTURE STORICHE

 

 

Gerusalemme

 

Roma

 

Redazione dell’Apocalisse

Prima dell'anno 70 d.C.

 

Anno 96 d. C.

 

Due testimoni vestiti di sacco (Capitolo XI)

Giacomo fratello di Giovanni e Giacomo fratello del Signore

martiri a Gerusalemme

Pietro e Paolo

martiri a Roma

Donna vestita di sole (Capitolo XII)

Antico popolo giudaico che genera il Messia e si trasforma in Chiesa perseguitata

Maria Assunta in cielo, Arca della Nuova Alleanza, che ha generato il Messia e simboleggia la Chiesa

Bestia che sale dal mare (Capitolo XIII)

 

Potere Giudaico

Impero Romano

Falso profeta (Capitolo XIII)

Culto giudaico filo romano

 

Culto imperiale idolatrico

 

 

I 144.000 (Capitolo XIV)

 

Giudei giusti dell’Antica Alleanza e del Nuovo Patto

Cristiani giusti vittime delle persecuzioni romane

Bestia ferita a morte che rivive (Capitolo XIII)

Caligola [7] (37-41 d.C.) e Nerone (54 -68 d. C.)

Nerone (54-68 d.C.) e Domiziano (81-96 d.C.)

 

Battaglia di Harmarghedon (Capitolo XVI)

 

Fine del culto giudaico (70 d.C.)

Fine del culto imperiale (313 d. C.)

Caduta di Babilonia la grande (Capitoli XVII-XVIII)

Distruzione di Gerusalemme (70 d.C.)

 

Distruzione di Roma (410 d. C.)

 

Regno millenario di Cristo (Capitolo XX)

 

Dalla caduta di Gerusalemme

al culmine dell’espansione cristiana (X-XI secolo) o
alla fine dei tempi

Dall’editto di Costantino (313)

alla rivolta delle nazioni contro la Chiesa (XIII secolo) o
alla fine dei tempi

 

 

 



[1] Giovanni scrisse probabilmente l’Apocalisse verso la fine del I secolo e più precisamente nel quattordicesimo anno del regno di Domiziano (96 d.C.) come testimoniano alcuni autorevoli cristiani dell’antichità (Ireneo, Contro le eresie, V, 30, 3; Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, III, 18, 1; Girolamo, Gli uomini illustri, IX ). La datazione dell’Apocalisse prima del 70 d.C. si basa invece su testimonianze apocrife (ad es. Atti di Giovanni), su illazioni e su ipotesi non suffragate da prove storiche e da testimonianze attendibili. Esiste comunque un'ipotesi, basata sull’analisi letterale del testo, secondo la quale la stesura dell’Apocalisse risalirebbe ai tempi di Vespasiano (69-79 d.C). Sta infatti scritto “Le sette teste della Bestia sono i sette colli sui quali è seduta la donna; e sono anche sette re. I primi cinque sono caduti, ne resta uno ancora in vita, l'altro non è ancora venuto e quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco. Quanto alla bestia che era e non è più, è ad un tempo l'ottavo re e uno dei sette, ma va in perdizione” (Apocalisse 17,9-10). I cinque re caduti sarebbero Augusto (27 a.C.-14 d.C.), Tiberio (14 d.C.-37 d.C), Caligola (37 d.C-41 d.C.), Claudio (54 d.C.- 68d.C.) e Nerone (54 d.C- 68 d.C.), il re in vita sarebbe Vespasiano (69-79 d.C.) ed il re di breve durata Tito (79-81 d.C.). L’ottavo re, il Nerone redivivo, la Bestia che ritorna con ferocia, il persecutore accanito dei cristiani coinciderebbe quindi Domiziano (81-96 d.C). Se l’ultima ipotesi fosse vera, Giovanni potrebbe aver usato i drammatici avvenimenti di Gerusalemme per diffondere profezie di più ampio respiro sulla caduta di Roma, sulla fine dell’idolatria e sulla rovina del culto imperiale. Secondo un numero limitato di commentatori, è comunque anche possibile che, per evitare la furia dei persecutori romani, Giovanni abbia retrodatato di un ventennio le rivelazioni avute sull’isola di Patmos: a chi avesse accusato i cristiani di profetizzare contro Roma sarebbe stato così possibile rispondere che le rivelazioni di Giovanni si riferivano alla caduta di Gerusalemme ed alla fine del culto giudaico.

[2] Nell’anno 44 d.C. Giacomo, fratello di Giovanni, venne passato a fil di spada dal re Erode Agrippa (Atti 12,1-2). Giacomo, fratello del Signore, uomo buono, puro e giusto, fu vescovo di Gerusalemme (Atti 12,17; Atti 15,13; Galati 2,9) e scrisse una famosa lettera inclusa nel canone del Nuovo Testamento. Nell’anno 67 d. C. gli scribi ed i farisei lo precipitarono dal tempio ed, essendo egli rimasto miracolosamente illeso dalla rovinosa caduta, lo trucidarono mediante lapidazione. Secondo Eusebio di Cesarea molti pii giudei considerarono l’assedio e la distruzione di Gerusalemme come una diretta conseguenza dell’ingiusto martirio subito da Giacomo, fratello del Signore. (Eusebio, Storia ecclesiastica, II, 18-19)

[3] Dall’elenco degli imperatori potenti sono di solito trascurati tre sovrani che, perendo di morte violenta, governarono l'impero solo per pochi mesi (Galba, Otone e Vitellio). Il riferimento a 7 monti (e non a sette colli) è poi considerato iperbolico e non permette di scartare l’ipotesi che il testo faccia riferimento a Roma. Sui sette monti di Roma è comunque il caso di ricordare l'antica festa del "Septimontium" di cui parlano Marco Terenzio Varrone (La Lingua Latina VI, 24), Gaio Svetonio (Vite dei Cesari: Domiziano, IV, 5), Plutarco di Cheronea (Opere Morali, 280) e Sesto Pompeo Festo che, nei frammenti di un'opera in larga parte perduta (De Verborum Significatu), ricorda come tale festa si celebrasse l'11 di gennaio. Per quanto riguarda infine l’espressione “grande città dove il Signore fu crocifisso” (Apocalisse 11,8), il termine Babilonia è applicato a Roma nell’accezione di “città nemica”, nemica come nella storia passata furono nemiche Sodoma, l’Egitto e Gerusalemme. Quanto al termine di “prostituta”, è forse il caso di notare che sebbene molti profeti dell’Antico Testamento avessero definito “prostituzione” i continui adulteri di Gerusalemme, nulla vieta di utilizzare il termine di “prostituta” per città o popoli non legati all’Eterno da un patto nuziale: la prostituzione è infatti un’iperbole dell’adulterio, ma non tutte le prostitute sono adultere, né tutte le adultere si danno alla prostituzione.

[4] Domiziano regnò dall’81 d.C. ed il 96 d.C., si fece chiamare “Dominus et Deus” (cioè Signore e Dio), perseguitò con ferocia i cristiani (tra il 90 d.C ed il 96 d.C.) e fu l’unico imperatore vivente a cui furono dedicati templi, altari, sacrifici, feste, giochi e rituali celebrativi. Superò Nerone per crudeltà e venne descritto nell’Apocalisse come la bestia, cioè l’ottavo re che viene dai sette ma se ne va in perdizione (Apocalisse 17,11).

[5] Sulla morte di Pietro e Paolo a Roma nel 67 a. C. esistono autorevoli testimonianze (vedansi ad esempio: Ireneo, Contro le eresie III, 1-3; Tertulliano, Sulla prescrizione degli eretici, XXXVI; Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 1, 1; Girolamo, Gli uomini illustri, I).

[6] Gli scritti esoterici di I. Newton sono stati solo recentemente pubblicati, dopo aver incontrato orrore ed indifferenza presso le comunità religiose cristiane. Scoperti da S. Horsley verso la fine del XVIII secolo rimasero nell’ombra per lungo tempo. Suscitarono scandalo presso l’Università di Cambridge ed il British Museum che rifiutarono di acquisirli. Non trovarono quindi ospitalità neppure presso le prestigiose Università di Harvard, Yale e Princeton in quanto sospetti di empietà ed eresia. Solo nel 1969 furono ereditati ed accolti dall’Università di Gerusalemme. In Italia è possibile leggere alcuni frammenti di tali scritti in I. Newton, Trattato sull’Apocalisse, Boringhieri, Torino, 1994.

[7] Caligola, che regnò 3 anni e 10 mesi, dal 37 al 41 (“un tempo, tempi e metà d’un tempo”), aveva mandato Petronio a Gerusalemme con due legioni, con l'ordine di introdurre le sue statue nel Tempio, di uccidere chi avesse opposto resistenza e di ridurre in schiavitù tutto il resto della popolazione (Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica, II,184). Il suo tentativo, però, fallì per il timore di una rivolta dei Giudei, per l'intervento di Agrippa e per l'opposizione del senato romano. Caligola, Nerone e Domiziano vollero, comunque, essere considerati “dominus et deus” (cioè Signore e Dio) e per questo fecero collocare nei templi pagani le loro statue, tentando di fondare il proprio potere ed il proprio dispotismo su un modello di monarchia divina di stampo ellenistico. Ad Efeso, Domiziano dedicò un tempio alla sua famiglia, cioè al padre Vespasiano, al fratello Tito e a se stesso. Sempre ad Efeso, gli archeologi hanno poi ritrovato una statua gigantesca (di ben 7 metri d'altezza) dedicata all'imperatore Tito, molto probabilmente utilizzata per usi cultuali (visto che il busto era in legno e sarebbe marcito se fosse stato conservato al di fuori di un tempio pagano). Scrittori romani autorevoli come Tacito testimoniano poi come, fin dai tempi di Augusto, il culto dell'imperatore avesse nelle province orientali il suo epicentro (Tacito, Annales, IV, 15, 37, 55) con feste, riti, giochi, sacrifici, templi per il culto degli imperatori, statue dei Flavii, palestre e impianti sportivi.