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Cosa sono i Tartufi

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Parliamone dal punto di vista scientifico:

I tartufi
Con questo nome vengono indicati i funghi appartenenti al genere Tuber; essi presentano un carpoforo ipogeo e vivono in un rapporto di simbiosi micorrizica con piante arboree ed arbustive.

Classificazione dei tartufi (Sec. Knapp)

Regno: Funghi
Divisione: Eumycota
Sottodivisone: Ascomycotina
Classe: Discomycetes - per la forma del loro corpo fruttifero (apotecio) simile ad una coppa
Ordine: Tuberales - per i carpofori sempre ipogei
Famiglia: Eutuberaceae - per la gleba soda a maturità e che emana un'aroma penetrante
Genere: Tuber
Specie: T. magnatum Pico, T. melanosporum Vitt., T. albidum Fico, T. aestivum Vitt., etc..
Il nome della specie normalmente fa riferimento ad una caratteristica peculiare del soggetto, ad es. T. melanosporum = tartufo dalle spore nere (dal greco: mélasanos = nero), T. macrosporum Vitt. = tartufo dalle spore grosse
.

 

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Corpo fruttifero di tartufo in sezione.

Sezione di Tartufo bianco con peridio e gleba

 

Morfologia e struttura
Come tutti i funghi anche i tartufi presentano una struttura vegetativa, rappresentata dal micelio ed una riproduttiva, costituita dal corpo fruttifero. Il micelio è visibile al microscopio ottico ed appare come un insieme di ife sottili, settate e molto ramificate. Il corpo fruttifero, estremamente caratteristico, rappresenta quello che nel linguaggio comune viene generalmente indicato come tartufo. Si tratta di un carpoforo ipogeo, che si sviluppa normalmente nel terreno ad una profondità variabile da pochi centimetri a 40-50 cm in prossimità della pianta simbionte e che a maturità emette un aroma penetrante e tipico, diverso secondo la specie. Ha una caratteristica forma globosa, tuberiforme e presenta un rivestimento esterno, detto pendio o scorza, ed una polpa interna detta gleba. Il pendio può essere liscio o verrucoso, cioè formato da sporgenze piramidali più o meno accentuate; il colore è variabile con le specie dal giallastro al bianco (nei tartufi "bianchi") o dal bruno al nero (nei tartufi "neri"). La gleba nel tartufo sano e maturo ha una consistenza carnosa e compatta, ed al taglio presenta un aspetto marmorizzato dovuto all'alternanza di venature più chiare e più scure dall'andamento sinuoso e più o meno sottili; le venature più chiare sono formate da ife sterili (parafisi), mentre le venature più scure sono costituite da ife fertili, e più precisamente dalle ife ascogene portanti gli aschi, cioè quegli involucri a forma di sacchettino che contengono le ascospore. Il colore, tipico per ciascuna specie, varia in funzione del grado di maturità del tartufo: più giovane è il tartufo e più la gleba è chiara, poi man mano che maturano le ascospore, si fanno sempre più spesse ed evidenti le venature scure. Le ascospore, come già indicato, rappresentano il mezzo di diffusione dei tartufi; esse sono contenute negli aschi in un numero variabile da 1 a 6 (tale numero varia in funzione della specie e, comunque, è variabile anche all'interno dello stesso carpoforo); sono di ridotte dimensioni (20-60 micron) e perciò visibili soltanto al microscopio. Sono dotate di una parete più o meno spessa, l'episporio, che presenta delle ornamentazioni caratteristiche, tipo alveoli od aculei. La lunghezza degli aculei, la loro forma e colore, la grandezza e la geometria degli alveoli e la loro disposizione, nonché la forma ed il colore delle spore, sono importanti caratteri diagnostici per il riconoscimento delle varie specie di tartufo. Le dimensioni dei carpofori possono variare indicativamente da quelle di una nocciola a quelle di una grossa arancia, raramente sono più grandi. La forma, così come la dimensione, dipendono anche dal tipo di terreno in cui si sviluppa il tartufo: se siamo in presenza di un terreno soffice si svilupperanno tendenzialmente carpofori grossi e ben conformati, mentre se il terreno è compatto ed argilloso i tartufi tenderanno ad essere più piccoli e irregolari. Sulle possibilità di sviluppo influisce anche, ovviamente, la disponibilità di acqua nel terreno, dato che tutti i funghi sono costituiti da questo composto per oltre il 70% del loro peso. In annate siccitose è normale raccogliere tartufi di dimensioni ridotte. Il caratteristico aroma emesso dal carpoforo maturo ha lo scopo di attrarre gli insetti ed altri animali che, cibandosene, contribuiscono alla diffusione delle spore: sviluppandosi infatti sotto terra, questo fungo non può disperderle facilmente come gli Ascomiceti epigei. E' inoltre accertato che le spore dei tartufi germinano con maggiore facilità dopo aver attraversato l'apparato digerente dell'animale che si è cibato del carpoforo. Pertanto l'aroma associato a tutte le specie di tartufo assume un importante ruolo biologico.

Ife di tartufo bianco al microscopio elettronico

Ciclo biologico
Il ciclo biologico dei tartufi non è ancora del tutto conosciuto. Lo sviluppo sotterraneo non consente, infatti, di seguire con sicurezza le varie fasi di sviluppo. Gli unici studi in questo senso sono stati realizzati per il tartufo nero pregiato (Tuber metanosporum Vitt.) e da essi si può desumere uno schema generale valido anche per le altre specie. Per la descrizione del ciclo si ritiene opportuno partire dal carpoforo, che come si è già detto rappresenta il corpo riproduttivo del fungo in quanto contiene le ascospore, cioè gli organi preposti alla diffusione della specie. Il carpoforo maturo, contenente un elevatissimo numero di spore, se non è raccolto dall'uomo, rimane nel terreno e si decompone naturalmente per fenomeni di marcescenza o viene mangiato dagli animali (roditori, insetti, vermi, molluschi, nematodi, etc.). Le spore contenute dentro il carpoforo vengono così liberate nel terreno nel luogo dove il carpoforo è marcito o dove sono state trasportate dagli animali attraverso gli escrementi. In primavera, se le condizioni di clima e di terreno sono favorevoli, alcune ascospore riescono a germinare. L'induzione di questo fenomeno sembra dipendere anche dalle radici delle piante che, alla ripresa vegetativa, producono una maggiore quantità di essudati radicali. La germinazione dell'ascospora dà luogo ad un'ifa che accrescendosi via via apicalmente e ramificandosi, produce il micelio primario, un micelio uninucleato (costituito da cellule con un unico nucleo) geneticamente identico alla spora che l'ha prodotto. Il micelio primario si accresce insinuandosi nelle particelle del terreno e, se incontra un altro micelio primario derivante da un'ascospora diversa, questo si fonde con quest'ultimo originando un micelio (micelio secondario) caratterizzato da cellule che contengono ciascuna due nuclei geneticamente diversi tra di loro. Il micelio secondario è in grado di contrarre la simbiosi micorrizica. Se il micelio secondario del tartufo incontra un'apice radicale di una pianta simbionte "disponibile", cioè libero da altri funghi micorrizici, lo avvolge progressivamente con le sue ife fino a formare la micorriza (in particolare una ectomicorriza). Le radici interessate dalle ectomicorrize sono generalmente le radici secondarie, ricche di capillizio e specializzate nell'assorbimento delle sostanze nutritive dal terreno.

Ciclo biologico del tartufo (disegno a cura di A. Montanari e A. Zambonelli, tratto dalla rivista "Il divulgatore", periodico della provincia di Bologna).

Sezione di un apice radicale micorrizato con il tartufo.

Per formare la micorriza il fungo avvolge l'apice radicale fino a formare una sorta di guaina di alcuni strati di cellule (la micoclena); da questo mantello alcune ife penetrano negli spazi intercellulari dello strato più esterno della radichetta formando un reticolo, detto "reticolo di Hartig". Dalla micoclena si originano alcune particolari ife che si dirigono verso l'esterno, i cosiddetti cistidi, caratterizzati da un accrescimento definito e da una parete abbastanza spessa. Questi operano, insieme ad altre ife, l'assorbimento dell'acqua e dei sali minerali presenti nel terreno e, attraverso le ife del reticolo di Hartig, li trasferiscono alla pianta ospite. Contemporaneamente, attraverso le ife del reticolo di Hartig, il tartufo trae dalla pianta tutte le sostanze organiche necessarie per la propria sopravvivenza. L'apice radicale micorrizato cambia il suo aspetto, assume una forma clavata, perde i peli e spesso si ramifica: il fungo infatti stimola l'apice a produrre nuovi abbozzi di radichette laterali, che vengono inglobati dal mantello fungino. In seguito al continuo accrescimento di radichette micorrizate si formano dei veri e propri "glomeruli" di micorrize, come accade di frequente, per esempio, nei pini. Dalle micorrize si sviluppano poi nuove ife che vanno a colonizzare il terreno circostante ed anche le nuove radichette emesse dalla pianta o quelle di altre piante vicine. In condizioni pedoclimatiche poco favorevoli al tartufo, invece, possono prendere il sopravvento altri funghi micorrizici, con la conseguente diminuzione o scomparsa delle micorrize di tartufo. Il ciclo di attività delle micorrize segue quello della pianta: in primavera, con la ripresa vegetativa, le micorrize riprendono a crescere e continuano per tutta l'estate se le condizioni del terreno si mantengono favorevoli. All'arrivo dell'inverno le micorrize riducono l'attività metabolica per affrontare la stagione avversa e, quelle che riescono a superarla, alla primavera successiva riprenderanno il loro sviluppo. La formazione dei corpi fruttiferi nel terreno si realizza quando si verificano alcune condizioni:
- la pianta simbionte ha raggiunto la maturità fisiologica;
- nel terreno c'è una sufficiente carica di micorrize;
- le condizioni ecologiche sono favorevoli.
Solo allora le ife bloccano il loro accrescimento ed iniziano a formare il carpoforo. Le primissime fasi di formazione del carpoforo sono poco note, ma si ipotizza che inizialmente questo sia costituito da un intreccio globoso di ife (primordio o abbozzo del carpoforo) che si sono sviluppate a partire dalle micorrize. In questa fase, quindi, il tartufo è ancora collegato alla pianta simbionte (fase simbiontica). Da recenti studi condotti in Francia sul tartufo nero pregiato, emerge che questa specie di tartufo differenzia l'abbozzo del carpoforo già nel mese di maggio. Quando però l'ascocarpo raggiunge le dimensioni di i mm di diametro (circa 3 milligrammi di peso) presenta già la sua struttura caratteristica: pendio esterno e gleba costituita da vene sterili e vene fertili. A questo stadio, probabilmente, il tartufo si stacca dalla pianta, e inizia a vivere in maniera autonoma (fase saprofitica) assorbendo i nutrienti attraverso dei ciuffi di ife che partono dal pendio. Man mano che si accresce, aumentando di peso e di dimensioni, il tartufo si modifica: le vene sterili, all'inizio molto evidenti ed ampie, finiscono per diventare via via più sottili all'aumentare delle ascospore che si sviluppano nel tessuto fertile, più scuro. Quando la maturazione delle spore è completa il tartufo si decompone, e con la liberazione delle ascospore nel terreno, ricomincia il suo ciclo

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