Supereroi con superproblemi:
ridere o non ridere?
Ragion d’essere di una
Justice League (Cosa resterà degli anni '80?)
Se siete
lettori storici di fumetti americani ben saprete che la comicità
ha sempre rappresentato un elemento marginale nelle sceneggiature supereroistiche.
Se si esclude la verve scanzonata di Spidey infatti, l'intera epoca
classica dei fumetti era caratterizzata da eroi senza macchia, troppo responsabili
per permettersi una risata. In realtà sono fermamente convinto che
gli americani come popolo manchino completamente di senso dell'umorismo
(e quindi di autocritica?), ed in tal senso la seriosità dei comics
si rifà semplicemente all'archetipo del selfmademan nella sua impassibile
superiorità.
Premetto che questo testo
non ha nessuna pretesa saggistica, e pertanto spero perdonerete la penuria
di citazioni a sostegno delle mie argomentazioni, ma sapete com'è,
non si può leggere (o ricordare) tutto... Penso però concorderete
con me nell'affer- mare che il genere supereroistico sul finire degli anni
'70 affron- tò una profonda crisi, laddove la fase classica di generazione
del mito risultava conclusa e le nuove creazioni stentavano ad affermarsi,
mentre gli sceneggiatori dovevano fare i conti con un progressivo rifiuto
dei lettori di storie ingenuamente costruite sulla contrapposizione male/bene.
Ricordo sull'Uomo Ragno la pesante introduzione di tematiche sociali
quali droga e discriminazione razziale, e la genesi di controeroi che non
assumevano mai una chiara posizione morale. In un certo senso tutto ciò
non è stato che l'antefatto alla "Rivoluzione Inglese", ovvero
al dissacrante processo di umanizzazione perpetrato soprattutto da Alan
Moore e da un pugno di altri autori inglesi con opere etichettate subito
come capolavori tra le quali il mirabolante Miracleman e l'oscuro
Watchmen. |
|
Entrambe le opere mettevano
fortemente in discussione il ruolo dell'eroe, ne screditavano la superiorità
morale, lentamente lo svestivano dello stereotipo del superuomo. Non a
caso la conseguenza più immediata di tale processo fu la consacrazione
di eroi umani quali Batman e Devil, così paradossalmente
inadeguati e complessati nei loro costumi appariscenti. Controeroi comeil
Punitore salirono alla ribalta,
|
eroi spensierati come l'Uomo
Ragno si calarono in una realtà sempre più urbanamente opprimente.
Il destino degli eroi si tinse di nero, come il cataclismatico futuro passato
degli X-Men o l'ombroso mondo alternativo de "Il ritorno del
cavaliere oscuro". Il concetto di mutante venne esasperato, diventando
nuovo simbolo delle tensioni razziali e parabola della solidarietà
etnica. Il lento cammino di Xavier verso l'integrazione divenne
il simbolo dell'uomo che antepone la pace al pregiudizio, che crede nell'esistenza
di un'alternativa allo scontro anche quando sembra ineluttabile. Ma proprio
lì dove sembrava soffocata ogni risata nella fossa della drammaticità,
gli eroi ritrovarono il sorriso. La meta-eroina She-Hulk, pronta
a fuoriuscire dal suo fumetto da un momento all'altro. L'imbarazzante supergruppo
inglese (coincidenza?) Excalibur, così lontano dalle ambientazioni
mutanti. Ed il mio prediletto, ovvero la Justice League della gestione
Giffen/De
Matteis. Cinque anni di pubblicazione durante i quali i superpoteri
divennero l'accessorio, mero elemento di appartenenza al genere, per lasciare
il posto alla inesorabile autocritica di superuomini tristemente inadeguati.
A parer mio il risvolto comico e quello drammatico altro non furono che
due facce della stessa medaglia: inutile ricercare un legame causa/effetto.
Ritengo piuttosto che entrambi rappresentarono la rielaborazione di quella
che in fondo |
|
fu l'illuminazione di Watchmen,
ovvero la consapevolezza dell'eroe. Negli anni '80 gli eroi affrontarono
i loro limiti, uscirono dalla mitologica visione utopistica della realtà
per scendere nelle strade, affrontare il male non nelle sue sgargianti
manifestazioni ma nella profondità dei loro stessi animi. La contrapposizione
eroe/criminale perse di significato: l'unico ossimoro concesso divenne
quello sanità/follia. Così tristemente catapultato in un
mondo complesso tanto quanto il nostro (terrorismo, politica, abusi sessuali,
maltrattamenti) l'eroe dovette interrogarsi sui propri abiti, su cosa lo
spingesse ancora ad incarnare un ideale ormai sepolto. Ma torniamo al vero
argomento di questo scritto, ovvero la suddetta Justice League.
Per quei pochi a cui questo nome suonasse nuovo, ricordo che si tratta
del gruppo di supereroi per eccellenza dell'universo Detective Comics,
patria dei più forti eroi della terra. Un gruppo dalla tradizione
forte, nel quale personalità di spicco come Superman, Flash
e
Lanterna Verde si trovavano a loro agio. Questo almeno in origine.
Con il passare del tempo La JL aveva perso molta della sua valenza
originale, trasformandosi in una variopinta accozzaglia di supereroi improbabili.
La perdita di nomi di grande richiamo, sempre più reclamati dalle
rispettive serie regolari, aveva reso la League un gruppo di serie B.
E le vendite avevano risposto in tal senso, premiando |
|
piuttosto la nascita di
gruppi più interessanti ed alternativi, che meglio rispondevano
ad un mercato in così rapida evoluzione. La DC, che si trovava
in un periodo di grossa ristrutturazione narrativa dopo l'operazione Crisis
(miniserie con la quale era stata riscritta la continuity di praticamente
tutti i supereroi della casa editrice, nel tentativo di garantire una maggiore
comprensibilità), era particolarmente aperta alle sperimentazioni
ed accettò il progetto di un certo signor Giffen, che coadiuvato
da un certo signor De Matteis, intendeva fare della JL qualcosa
di nuovo. Il momento opportuno si presentò con Legends, miniserie
dell'88 scritta e disegnata da John Byrne (ma è sempre in
mezzo? Non dorme mai?), in cui i più grandi eroi dovettero affrontare
la minaccia che mai si sarebbero aspettati di fronteggiare: l'odio della
gente comune. Abituati ad essere osannati come leggende, gli eroi videro
dipanarsi un piano criminale che incitava le folle a temerli, a ribellarsi
al loro tacito potere ed a rivendicarne l'esilio o addirittura la morte.
Ovviamente non fu un caso che la nuova JL nascesse in una miniserie che
metteva fortemente in discussione il ruolo dell'eroe nella società...
Un mese più tardi andò alle stampe Justice League 1.
E se la sorpresa nella scelta dei membri era già stata forte, la
lettura di quell'episodio gettò più di qualche lettore nello
scompiglio più totale. |
|
Era accaduto qualcosa. Da
qualche parte, si era rotto un meccanismo perfetto. Gli eroi non erano
più eroi. Non salvavano il mondo, non scrutavano fiduciosi l'orizzonte.
Litigavano su chi dovesse comandare, bisticciavano, flirtavano. La Lanterna
Verde, da sempre nucleo dei supergruppi DC, era incarnata stavolta da un
borioso idiota razzista e un po' fascista. Il leader del gruppo era un
Batman più psicotico che mai, costantemente messo in ridicolo nei
suoi atteggiamenti teatralmente oscuri dai membri più scanzonati.
Il duetto Blue Beetle/Mr. Miracle trasformava il gruppo in
una sorta di farsesco ritrovo. L'assenza di supereroi come Flash, Superman
o WonderWoman sottolineava la dimensione umana di questo team. L'azione,
intesa come lotta ai criminali e quant'altro, divennne l'elemento di corredo
ad una dinamica narrativa estranea al mondo dei supereroi. Gli eroi stavolta
non combattevano. Parlavano.
Il quartier generale, le
situazioni d'insieme, divennero grandi centri di analisi dove le differenti
personalità si scontravano, in una sorta di terapia di gruppo, che
metteva in luce gli aspetti più paradossalmente umani di chi si
ergeva sopra l'umanità. Tralasciando il cross over Millenium,
in cui i toni diventarono inverosimilmente drammatici per esigenze di copione,
il lento cammino della Justice League fu una lunga |
|
sequenza di approfondimento
del concetto di eroe, lontano dalle mitizzazioni classiche (o più
recenti, come prodotti come
Authority o JLA dimostrano).
Gli avversari soccombettero all'aura dissacrante che avvolgeva il gruppo,
diventando a loro volta farsesche parodie (ma forse proprio per questo
più "veri" nelle loro lucide follie), versioni distorte e corrotte
dal morbo dell'ironia dei drammatici e spietati guerrafondai che affollavano
le altre testate del cosmo DC.
Joker stesso, elemento dissacrante
nelle storie di Batman (basti pensare all’utilizzo che ne fa Grant Morrison
nel suo Arkham Asylum), si ritrovò ad affrontare la Justice
League in un lungo annual, scoprendosi suo malgrado relegato al ruolo di
dissacrato rispetto ai suoi più consoni panni di dissacratore. Nell’esilarante
conclusione implorava Batman di riportarlo all’istituto Arkham, di salvarlo
cioè dalla follia del mondo comune che gli eroi incarnavano. I membri
del gruppo variarono ripetutamente nel corso della serie, sottolineando
il lento incedere della distruzione del mito che la serie incarnava. Dr.
Fate lasciò il gruppo quasi immediatamente, solo per subire
nella sua serie eventi al limite dell’assurdo e rientrare nei ranghi in
una versione alquanto contorta molti mesi dopo. Capitan Marvel (di
cui per la prima volta veniva chiaramente evidenziato il lato infantile)
lasciava il gruppo perché si sentiva a disagio di fronte a questi
“grandi” |
|
eroi, nonostante i suoi
immensi poteri. Batman stesso assunse un ruolo sempre più accessorio,
incapace di conciliare la sua drammatica teatralità con l’aria scanzonata
dei Leaguers (e dimostrando proprio in ciò la sua natura patologica,
forse? Non è segno di equilibrio saper vivere aspetti differenti
della stessa situazione, senza fossilizzarsi in un ruolo autoimposto?).
Veri elementi rappresentativi divennero nel corso degli anni Blue Beetle,
Martian
Manhunter e Guy Gardner. Il primo rappresentò il cialtrone
del gruppo, l’aspetto più propriamente umano, nella sua assurda
ricerca di una sua dimensione (ricordo infatti che Beetle è giusto
un buffone con un costume colorato, nulla più) in mezzo ad eroi
capaci di sollevare montagne. La sua tendenza genetica alla battuta divenne
l’arma di difesa contro l’inadeguatezza, il dissacrante strumento di sopravvivenza
che gli permetteva di mettere in prospettiva la sua presenza nel gruppo.
Il suo costante bisogno di appoggiarsi ad una spalla (Mr. Miracle
o Booster Gold a seconda dei momenti) dimostrava il suo forte desiderio
di integrazione, la necessità di sentirsi vicino ed apprezzato dai
suoi compagni che un’inflessibile Batman od un altero Dr. Fate non avrebbero
mai potuto tradire. Manhunter, unico appartenente alla vecchia League,
rappresentava l’elemento di contrasto: spiccava per differenza, tanto per
essere marziano in un |
|
gruppo di umani, quanto
per essere serio in un gruppo di buontemponi. Le sue cadute comiche
sottolineavano il suo equilibrio, la sua umana completezza, il punto di
arrivo del suo lungo percorso di umanizzazione. Molto più umano
di quanto il suo aspetto tradisse, più nobilmente umano dell’uomo
stesso. Leader naturale del gruppo, proprio per la sua capacità
di cambiare registro, riusciva ad ottenere rispetto senza necessità
di imporre attivamente la sua autorità (sottolineando la sottile
opposizione a Batman: autorevole il marziano, autoritario il pipistrello).
Nel suo costante equilibrio dinamico tra la follia che lo circondava e
la sua spontanea razionalità, incarnava di fatto il duello dell’uomo
che ricerca della sensatezza nella follia che lo circonda. Guy Gardner,
ennesima variazione sul tema delle Lanterne Verdi, rappresentava l’elemento
di disturbo, la presenza che nessuno riusciva a giustificare. Negativo
in ogni attributo, definito per mancanza di qualità, incarnava il
potere in senso stretto. La sua moralità contorta lo poneva in conflitto
col resto del gruppo, svolgendo nel contempo l’interessante funzione di
stimolare il lato più propriamente eroico degli altri elementi.
Personaggio politicamente scorretto, assolutamente estraneo all’etichetta
nelle sue uscite, ma forse proprio per questo più sinceramente autentico.
Un “ragazzaccio” che rivendicava il suo diritto ad esserlo, interessato
più |
|
alla fama che all’eroismo
più blando. Il successo di pubblico baciò queste evoluzioni
(sinonimo di quanto la qualità possa pagare anche in una collana
più propriamente commerciale, o almeno poteva negli anni ’80…),
spingendo l’editore ad affiancare alla serie principale (Justice League
America/International) una controparte europea, ovvero la Justice
League Europe. Se già il primo gruppo rappresentava un punto
di rottura, il secondo confermava l’intenzione degli autori (Giffen/De
Matteis) di abbandonare qualsiasi atmosfera classica. Il nuovo team presentava
elementi ed accostamenti stravaganti: Flash e Wonder Woman (ma solo come
membro saltuario) come colonne “storiche”, accostati ad i vari Elongated
Man, Power Girl, Metamorpho,
Animal Man e Rocket
Red. Leader un Capitan Atom sull’orlo di una crisi di nervi.
Tipiche situazioni narrative: lo smarrimento del bagaglio di Animal Man,
le lezioni serali di francese seguite dalla League, le visite guidate organizzate
dalle P.R. al loro quartier generale. Sullo sfondo, il dipanarsi di complessi
meccanismi di interazione, il risolversi di problemi personali a lungo
repressi (l’annoso paragone del nuovo Flash
Wally West al suo glorioso
predecessore, Barry Allen) o dinamiche familiari mai veramente esplorate
(Animal Man e Rocket Red che si confrontavano nel loro essere supereroi
con prole a carico). |
|
Per quanto riguarda la pubblicazione
italiana di tale ben di Dio, un plauso è d’obbligo allo sforzo compiuto
dalla Play Press a sostegno di questa e di altre serie di notevole
qualità nei primi anni ’90. Tra Lega della Giustizia 1-33
e American Heroes 15-35 sono disponibili i primi 40 episodi di Justice
League America e i primi 16 di Justice League Europe, annual collegati
compresi. Peccato non aver avuto l’occasione di leggere il ciclo conclusivo
della coppia Giffen/De Matteis, caratterizzato da un netto incupimento
delle trame in preparazione della nuova gestione. Ma la forte concorrenza
del mercato di allora non sposò le scelte editoriali di casa Play,
spingendo all’interruzione di quel piccolo capolavoro che fu American Heroes.
Rimpianti a parte, tali storie rappresentarono un’evoluzione affascinante
del concetto di eroe, segnando forse un punto di non ritorno. In effetti
la bolla umoristica degli ultimi anni ’80 si spense senza lasciare strascichi,
salvo forse l’influenza su alcune opere posteriori del brillante Peter
David (X-Factor, Young Justice). Le stesse storie
successive della League ripresero il tono tipico dei gruppi di supereroi
più classici, e sorte non dissimile toccò all’esilarante
Excalibur di casa Marvel dopo l’abbandono del suo papà Chris
Claremont. Gli anni ’90 furono infatti gli anni della Image,
del cinetico cinismo ipertrofico, del supereroe “cool”. In qualche modo
la rot- |
tura degli anni ’80 venne temporaneamente
accantonata, i lettori più esigenti relegati alle pubblicazioni
“Vertigo”
od indipendenti. Il pubblico di massa sembrò rifiutare i prodotti
più propriamente dubitativi (o in realtà il timore di una
crisi del genere spinse le case editrici in direzioni più commercialmente
“facili”?), rinunciando all’annosa tematica del ruolo dell’eroe, del suo
nietzchiano rapporto con i superpoteri e l’ambiguità morale che
ne deriva.. Ovviamente in ogni tendenza generale si nascondono le piccole
eccezioni: basti pensare allo stesso Savage
Dragon di Erik Larsen, partorito proprio in casa Image…
Ma per la tendenza ciclica del mercato supereroistico, la crisi dell’eroe
si ripropone oggi con sempre nuova forza, con interrogativi sempre più
opprimenti (Authority,
JLA, New X-Men, X-Force…), frutto di lettori ormai cresciuti
che chiedono al genere qualcosa in più di ciò che li ha nutriti
fino ad oggi.
Che i tempi siano maturi
per una nuova dissacrante Justice League? Ai posteri l’ardua sentenza.
luglio 02 |