IDENTITÀ INTERATTIVE (1)
La ricerca su "La costruzione dello straniero interno" che
analizza la rappresentazione da parte dei media della crisi albanese dell’inizio
dell’anno scorso merita indubbiamente valutazioni molto positive. A mio parere questa
ricerca non è solo scientificamente valida, ma anche preziosa e utilissima dal punto di
vista sociale.
Condivido pienamente le conclusioni della ricerca e cioè il fatto che la
vicenda albanese è stata generalmente "una risorsa politica, economica, sociale,
psicologica, simbolica, valoriale, religiosa, identitaria" e particolarmente "un
catalizzatore di un discorso collettivo [italiano] intorno all’identità".
Intendo comunque sviluppare due linee complementari di riflessione in
merito a questo discorso.
1. Sarebbe opportuno e utile ricollocare la rappresentazione da parte dei
media italiani della vicenda albanese del 1997 - oggetto di questa ricerca ed estrapolata
giustamente ai fini di essa - nel suo specifico ipertesto, al fine di cogliere la
complessità del discorso in un modo più ampio e di conseguenza più completo.
Infatti la contestualizzazione di quest’ultima rappresentazione
nell’asse diacronico a cui appartiene ci consentirebbe di esplorare una eventuale
genesi e paradigma della strumentalizzazione del discorso albanese ai fini
dell’identità sociale italiana.
L’ipercontesto in cui dovremmo situare il nostro intero discorso
prende il suo avvio tra la fine del 1990 e gli inizi del 1991, quando per la prima volta
l’infosfera italiana ha sentito i primi vagiti del nascituro mito "Albania"
e "albanesi", mito che è cresciuto sempre più velocemente, fino a mettere
forti radici nel terreno mediatico. E non è più un’ipotesi che quest’ultimo,
per le sue stesse caratteristiche contigue, come luogo di rappresentazione, ma anche di
creazione, ha favorito il passaggio del mito negativo nel terreno sociale.
Gli eventi dell’Albania nei primi anni di questo decennio, meglio
dire però la loro rappresentazione, diedero agli albanesi le sembianze di una minaccia
seria contro valori fondamentali della società italiana: la ricchezza, il benessere, la
tranquillità, il lavoro, la salute, e così via. "Infatti, gli albanesi venuti in
Italia si sono presentati come una minaccia all’ordine pubblico (contrabbando
d’armi, sfruttamento della prostituzione, spaccio di droga, omicidi, ecc.),
all’integrazione europea (assai di frequente i media hanno indicato
nell’immigrazione clandestina una delle principali cause della mancata applicazione
in Italia di Schengen), alla salute (l’Albania dell’estate 1994 come Paese
esportatore di colera). Se il nuovo schema mitico divide il mondo in un’isola di
civiltà in mezzo a un oceano di barbari, agli albanesi è toccato, per metonimia - ma,
diremmo, anche per metafora -, il ruolo dei nuovi barbari che apocalitticamente bussano (e
busseranno) alle porte dell’Italia. La verità è che nell’immaginario
collettivo italiano la casella dell’Albania era ancora vuota, dato il mistero che ha
circondato il Paese a partire dalla fine della seconda guerra mondiale"(2).
La funzione del mito sull’Albania e gli albanesi diventa più
completa con il suo contributo alla coesione sociale. Non è difficile scorgere che la
semplice accentuazione delle differenze con l’altro (inclusa la
rappresentazione apparentemente neutra di una vera realtà come la povertà o la crisi)
aiuta il senso dell’appartenenza di una comunità. Quando poi si compie il passaggio
verso una vera e propria demonizzazione, per opera di generalizzazioni, mistificazioni e
manipolazioni, si tradisce palesemente un bisogno impellente di capire se stessi e di
costruire la propria identità. Il processo poi possiede un’altra virtù, in quanto
assomiglia più ad un vaccino che a un reale attacco virale. In parole povere il rischio
così spesso acclamato non pare realmente incombente. L’Albania e gli albanesi non
minacciano veramente l’Italia. L’esagerazione del pericolo d’oltremare
dunque possiede un effetto, per così dire, benefico. Si tratta di un monito al corpo
sociale e alla sua difesa immunitaria, a quanto pare - così come sostiene questa ricerca
- in sostanziale deficienza.
Il mito negativo già esistente sull’Albania e gli albanesi è
servito alla rappresentazione della crisi come una pista da dove sono partiti missili
interpretativi con testate pregiudiziali preconfezionate da tempo. La loro esplosione è
una conseguenza perfettamente prevedibile, in quanto la traiettoria è condizionata sia
dall’inerzia dei luoghi comuni, degli stereotipi, del mito, e sia dalle esigenze
collettive del momento. Alla forza che noi chiamiamo inerzia, va aggiunta anche la spinta
causata dalla coerenza, un elemento base sociale, risentito principalmente dai creatori
dei fenomeni di massa come i luoghi comuni, stereotipi ecc., i quali vedono nella crisi
albanese i loro assiomi preesistenti sulle caratteristiche negative degli albanesi che non
riescono a fondare una società civile. La funzione confermatoria della crisi si trasforma
ovviamente in un nuovo alibi per non impartire analisi serie sulle ragioni vere della
crisi, poiché quest’ultima si estende come un teorema compiuto definitivamente.
Dunque possiamo dedurre che la costruzione dello straniero interno è un
processo di lunga data, e uno dei punti più rilevanti potrebbe considerarsi l’ultima
vicenda dei primi mesi del ‘97.
2. La seconda riflessione parte dal confronto tra due identità. Uno
sguardo alla dinamica di alcuni punti salienti della loro interazione ci suggerisce
interessanti considerazioni.
Secondo la tesi della ricerca in questione "la crisi albanese
coincide con l’accentuarsi della critica politica, economica e sociale
all’Italia come Stato nazione unitario. Sia i temi secessionisti, sia le
discussioni estese sulle forme e i limiti del federalismo policentrico, sembrano
rilanciare dubbi sulla capacità e opportunità che l’Italia possa pensarsi come
nazione. La critica ai miti di fondazione della Repubblica, la messa in discussione
storica e concettuale del Risorgimento e della validità della nazione italiana
prefascista generano un clima ideologico nel quale si affievolisce la certezza di una
identità solida. La sfiducia nello Stato come camera di compensazione al tempo stesso super
partes ed efficiente fa da volano al discorso sociale sulla crisi della nazione. Le
logiche economiche della globalizzazione, dell’Europa, della moneta unica
sostituiscono al sistema economico nazionale nuovi attori spontaneamente global e
transnazionali: per le aree economiche e regionali come per le PMI, anche se per motivi
talvolta diversi, il Sistema Italia è un referente via via meno importante, nelle
percezioni se non nella realtà. Almeno in una prima fase, le vicende albanesi diventano
un antidoto contro questa delegittimazione. Esse consentono di mobilitare le parole, i
simboli, i temi, l’immaginario dell’Italia in quanto Stato-nazione. Sventolano
le bandiere, partono le navi, sfilano le uniformi, si proteggono i territori nazionali
dall’arrivo dello straniero ecc. Almeno per alcuni sembra possibile che, grazie
all’Albania, l’Italia possa immaginarsi Stato, e magari Patria."(3).
In più "la vicenda albanese è intervenuta pesantemente in una fase
di transizione rapida dei sistemi di valori della società italiana"(4).
Ora se diamo un’occhiata alle stesse nozioni, ma nell’Albania di
quel periodo, ci accorgiamo che la crisi è molto più acuta e profonda. Nel paese
balcanico si scioglie lo Stato, mentre qualcuno, senza mezzi termini, ipotizza la sua
divisione in due o più tronconi. Insomma non si tratta di percezioni, tendenze o
eventualità, bensì di una realtà tangibile.
Un’altra constatazione: mentre in Italia, come sostiene la ricerca,
si verifica una transizione di valori, in Albania si ha una realtà del tutto diversa. La
crisi affonda o manda in coma intere entità di valori e non si salvano punti di
riferimento come potrebbero essere le istituzioni. Tutto ciò è avvenuto in un contesto
dove il terremoto del regime comunista aveva distrutto contenitori importanti di valori
come le religioni e con la sua propaganda ideologica aveva anestetizzato valori
tradizionali preziosi.
Possiamo affermare che abbiamo due tipi diversi di crisi d’identità;
diverse di genere e di profondità, con il denominatore comune dell’interazione, per
un verso utile, per l’altro dannosa. "In contrappunto con lo sfascio di un altro
sistema sociale, - scrivono giustamente gli autori della ricerca - ...lo Stato italiano si
propone come Stato unitario, legittimato, stabile, dotato di procedure e ruoli formali,
capace di progetto e di azione". Questo in generale, perché se andiamo a guardare
avvenimenti più specifici, il confronto si presenta in maniera drammatica. Mi riferisco
all’episodio di successo del blitz effettuato dalle forze militari italiane
all’inizio del marzo ‘97 per mettere in salvo i cittadini italiani ed altri. Non
si può mettere assolutamente in discussione la legittimità di questa operazione, per
altro ben riuscita e adottata sovente in varie parti del mondo in simili condizioni. A noi
interessano qui la rappresentazione, le conseguenze ed il suo valore connotativo.
Quegli elicotteri che spiccarono il volo dalle improvvisate piste di
Valona e Tirana hanno avuto una pesante carica simbolica. Il loro rombo sempre più
lontano ha segnato nella mente degli albanesi la caduta nell’oblio del loro Paese,
lasciato solo (ma che ne sapeva la gente degli interventi successivi?) dalla comunità
internazionale. L’abbandono e la solitudine degli albanesi ha naturalmente acuito la
loro crisi pluridimensionale.
Non solo, l’esaltazione dell’efficienza ammirevole della marina
italiana, ha messo ancora di più in evidenza le demarcazioni che dividono la società
albanese dagli altri vicini, perché è stato un atto netto di distacco, di
differenziazione, in quanto alcuni individui appartenenti ad una certa collettività, come
rappresentanti di essa, non dovevano restare all’inferno, mentre altri, soltanto per
la loro "maledetta" appartenenza, erano condannati a viverlo e perché no
incarnarlo.
Quegli attimi di decollo, dunque, hanno significato molto. Da un lato
hanno contribuito all’acuirsi di una crisi d’identità già in stato avanzato e
dall’altro hanno aiutato la comunità fortunata a sentirsi più unita ed ha offerto
l’occasione, per altro a lieto fine, per dimostrare la propria compattezza.
Il resto della storia, cioè l’invio della Forza Multinazionale, lo
svolgimento delle elezioni ecc. non sono privi d’importanza per la nostra
riflessione. E’ chiaro che l’aiuto lodevole della comunità internazionale, in
primo posto dell’Italia, ha salvato dalla totale rovina la società albanese.
Tuttavia il beneficio non è stato unilaterale. La rappresentazione in un
certo modo dell’intero operato positivo dell’Italia in Albania è servito agli
italiani per affermare la loro appartenenza ad un’altra collettività più ampia,
cioè all’Europa. A nostro parere è questa la ragione più importante della
frequenza della parola "Europa"(5) nel lessico mediatico italiano.
Infatti l’Italia e la sua coscienza collettiva è da tempo alla
ricerca della propria collocazione nell’ambito europeo. Si può supporre perciò che
il discorso albanese abbia influenzato non indifferentemente in questo senso.
Intanto l’Albania è ancora alla ricerca di se stessa. Ce la farà,
ma soltanto con l’aiuto dei paesi amici e europei come l’Italia. E sono convinto
che questo aiuto non mancherà, per poi cogliere di nuovo l’occasione e parlare di
identità serene sotto quella comune europea.
(1) Discorso tenuto a Roma il 22.1.1998 in occasione della presentazione
della ricerca La costruzione dello straniero interno, La stampa italiana di fronte alla
vicenda albanese, ricerca effettuata dal Consiglio Regionale del Lazio (gruppo misto),
Università di Roma I, Osservatorio sull’identità degli italiani, (dicembre 1997).
(2) Cfr. A. Vehbiu, R. Devole, op. cit., 1996, p. 9.
(3) La costruzione dello straniero interno, op. cit., p. 2.
(4) Ivi, p. 3.