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Albania: fenomeni sociali e rappresentazioni

Il fenomeno "Dicerie": interazioni e dinamiche

Perché si avverte che, se c’è manipolazione, il gesto manipolatorio ci dice pur sempre qualcosa sulla fisiologia delle nostre viscere: e quindi una grande macchina della menzogna in qualche modo dice il vero.
                                                                                       Umberto Eco

I. Che le dicerie o le voci abbiano un importante ruolo nella società albanese non è un mistero. In Albania tutti lo sanno e nessuno si stupisce più di tanto, poiché ormai le dicerie fanno parte integrante dell’organizzazione sociale. Su questa peculiarità si sono espressi non pochi scrittori, giornalisti, politici ecc. per non parlare della gente che frequentemente ne fa l’oggetto delle proprie discussioni.
Con tutto ciò sembra che sia mancata fino ad ora un’analisi approfondita su questo fenomeno così inusuale e di tale portata. L’argomento delle dicerie ha perfino attirato l’attenzione degli analisti stranieri, che non nascondono stupore e interesse, così come tradiscono una certa difficoltà a comprendere fino in fondo questa caratteristica del tutto anomala.
Ecco cosa annotava in merito il giornalista Franz Gustincich: "L’Albania è il paese delle voci. Sottili e tenaci si insinuano nel tessuto sociale e tra gli analisti politici. Le voci, in Albania, sono sempre faziose e incontrollabili.
E’ impossibile risalire alla loro fonte. Fin dai tempi di Scanderbeg le voci erano determinanti. Enver Hoxha, che riusciva a controllarle, se ne serviva come sistema per eliminare i suoi ‘amici’ una volta divenuti scomodi: la voce veniva diffusa subdolamente e si propagava intorno fino a demolire l’immagine sociale della vittima. Una premessa, questa, necessaria a spiegare che quanto si legge di seguito non vuole avere alcuna attendibilità nei fatti quanto piuttosto fornire un quadro della situazione attraverso il racconto di fantasie e leggende che si creano e si moltiplicano continuamente in Albania.
Tra le voci che corrono rapide di bocca in bocca da un capo all’altro del Paese delle Aquile, si annida sempre qualche verità, ma questo non è così importante quanto invece sapere che esse rappresentano gli umori di un popolo e della sua classe dirigente. L’occidente, troppo impegnato a cercare una verità, ha perso l’occasione di comprenderne il senso"(1).
Nulla da controbattere, se non qualche dubbio, per impossibilità di verifica, sull’importanza delle voci nell’epoca di Scanderbeg, l’eroe nazionale albanese che lottò contro l’impero ottomano nel ‘400. Una cosa è certa però, che gli altri paesi europei, tramite i loro studiosi, giornalisti ed analisti, hanno capito poco del fenomeno delle dicerie albanesi. Piuttosto sono rimasti intrappolati nella loro rete invisibile e, spesso, nemmeno consapevoli di trovarsi in un’altra dimensione, ne sono diventati parte integrante e talvolta involontari protagonisti.
Alcuni studiosi sostengono che esiste uno stato di normalità delle dicerie, anche se bisogna definire qual è il livello di normalità. Comunque sia, in tal caso esse equilibrano lo scorrere delle notizie ufficiali e subentrano principalmente quando succede qualche fatto dubbio e discutibile. Si può aggiungere dunque che le dicerie assumono una funzione complementare di informazione, in quanto esse non cancellano, ma "arricchiscono" di vari elementi e dettagli il racconto "ufficiale" del fatto successo. Quando le dicerie si allontanano in maniera esagerata dalla versione reale del fatto, allora siamo in presenza quasi di un tentativo di sostituzione del resoconto ufficiale, e quindi si tratta di un fenomeno molto più diverso dal punto di vista qualitativo.
In Albania esistono ambedue le forme di dicerie, quella, per così dire, integrativa e quella sostitutiva. Tuttavia la divisione "comoda" in due forme, fondamentalmente per motivi di analisi, non è assolutamente sufficiente per descrivere la molteplicità del fenomeno "dicerie". Ciò è pienamente comprensibile, in quanto dalla presunta "normalità" delle dicerie segue una serie di livelli graduali che la separano dalle dicerie minimamente ispirate da una certa base di verità.
In ogni modo, si può asserire che in Albania convivono tutte le forme possibili delle dicerie, le quali si presentano con una gamma ricchissima di forme e varianti.
E’ indubbio che le dicerie dal punto di vista storico e tradizionale costituiscono un canale di informazione, che si basa sul modello di comunicazione verbale. Nei secoli passati, in assenza di altri mezzi di informazione, il racconto orale era l’unico modo di comunicazione. Tramite le voci si raccontavano le leggende, la storia, gli avvenimenti ecc. Le novità arrivavano insieme ai viandanti in arrivo dalla città o da altre regioni. La comunicazione verbale dunque era la più diffusa, se non l’unica in assoluto (se non vanno considerati altri tipi di comunicazione come quella tramite segnali o gesti) nella società.
E’ chiaro che quando si è lontani dalla fonte originale di un avvenimento o di qualcosa altro, le voci narranti, passando per un processo di catena, porteranno una versione probabilmente non del tutto identica alla realtà. Più si è distanti e più è probabile che la notizia arrivi in modo differente, in quanto l’elemento umano sarà presente in maggiore quantità nel processo di comunicazione. Sarà questo elemento che porterà dei cambiamenti al messaggio, in modo volontario oppure involontario.
In un paese poi come l’Albania, dove le caratteristiche geografiche contribuiscono all’aumento del disturbo nel canale di comunicazione, si può supporre che il processo di comunicazione verbale possa aver subito delle forti alterazioni.
Questo processo è sopravvissuto nel tempo, anche se ha acquistato altri connotati. Comunque, il fattore geografico (l’Albania è un paese montagnoso), con la presenza delle zone impervie e l’assenza delle vie di comunicazione, disturba anche oggi il processo di comunicazione.
Spesso succede che le dicerie vengano viste come una forma aberrante in un certo senso distaccata dal processo comunicativo. In realtà le dicerie costituiscono il prodotto di una deviazione del processo comunicativo, cioè un messaggio alterato per diversi motivi durante la comunicazione. "Spesso le voci nascono da un errore nell’interpretazione di un messaggio. Il malinteso va fatto risalire a una testimonianza di testimonianza e alla differenza fra ciò che è stato detto e ciò che è stato decifrato"(2). Questo non significa però che le dicerie non abbiano una funzione sociale e che siano un risultato casuale di un qualsiasi disturbo della comunicazione umana.
L’arrivo e la diffusione della stampa, della radio e della televisione in Albania non sono riusciti naturalmente a soppiantare il fenomeno della diceria. Questo ha subito la concorrenza spietata dei nuovi mezzi di comunicazione, ma ha sfruttato meglio le proprie potenzialità e una serie di vantaggi, tra i quali va sottolineata la credibilità della comunicazione diretta. E’ noto infatti che la credibilità di un messaggio dipende molto dalla comunicazione diretta, cioè non mediata. In parole povere il messaggio dato da una persona è più credibile di un messaggio sentito alla radio. L’affermazione non vale in assoluto, poiché tutto dipende dalla credibilità della fonte, ma in generale si può affermare che il contatto diretto facilita il messaggio e la sua accettazione. Questo anche perché "la vita sociale si basa sulla fiducia e, per principio, supponiamo che persone a noi legate non inventino storie, non elaborino fantasie o siano soggette ad allucinazioni"(3).

II. Le dicerie godono di una vitalità estrema. Esse non sono sparite neanche nelle società dittatoriali, dove il controllo è ferreo, al contrario sembrano piuttosto aumentate di quantità e intensità. Ciò è successo anche in Albania durante i lunghi anni del comunismo stalinista.
Il regime albanese era uno dei più autarchici e più austeri nel controllo della società civile. Eppure le dicerie hanno avuto un periodo di efflorescenza durante quegli anni. Le ragioni possono essere tante, ma la più importante sta nella funzione primaria delle dicerie, ossia quella della comunicazione. In un sistema dove si controlla tutto, e dunque anche i canali di comunicazione, gli uomini tentano di trovare altre vie. In questo senso le dicerie possono essere un nuovo canale alternativo di comunicazione. Siccome il regime di Hoxha controllava tutto, allora la gente era costretta a sussurrare le notizie e le informazioni. Si era di fronte ad un canale parallelo d’informazione, nato più per necessità che per sovversione. La necessità derivava dalla mancanza di fonti veramente credibili (la gente era ben consapevole che il regime controllava i mezzi d’informazione) oppure dalla parzialità delle informazioni annunciate dai mass media dello Stato. Inoltre questo vociferare parallelo riempiva i vuoti e le omissioni del canale ufficiale(4).
La questione più problematica posata dalle dicerie durante la dittatura in Albania era la sicurezza. Infatti ogni anello di questa infinita catena umana aveva il timore che finisse denunciato e poi punito dalle autorità governative. Non è successo di rado che una persona fosse condannata solo perché aveva sentito o detto notizie false oppure non confermate dal governo.
La peculiarità del rischio incombente genera una serie di notevoli conseguenze al processo comunicativo. Una persona che ha paura di quello che dice è più propensa a emozionarsi. La sua suscettibilità crea naturalmente dei forti rumori alla comunicazione. Così una notizia può essere sussurrata con alterazioni iperbolizzanti o minimizzanti, poiché la persona che comunica è in preda ad una emotività condizionante.
Ma se ciò accade al mittente è naturale che succederà anche al destinatario del messaggio. In questo modo si crea un contesto anormale di comunicazione che di regola comporta forti stravolgimenti all’informazione. S’immagini dunque una lunga catena di comunicazioni che si realizza in un contesto del genere: è una vera e propria involontaria operazione di distorsione della realtà.
In verità la componente "involontaria" è un elemento base delle dicerie. Per una comunicazione interpersonale c’è bisogno della buona fede, poiché senza di essa il messaggio non potrebbe essere accettato. Anche le dicerie necessitano sia della credibilità della fonte (il mittente), sia dell’accettazione da parte del ricevente del messaggio. Generalmente tutti e due gli attori del gioco comunicativo sono in buona fede, anche se, come vedremo, succede che uno dei due (solitamente il mittente) distorce il messaggio con finalità precise, cioè in modo consapevole.
In Albania il regime comunista conosceva a perfezione il meccanismo delle dicerie. Lo conosceva a tal punto che, non solo sapeva come convivere con esso, ma addirittura lo utilizzava ai suoi fini politici. Infatti per gli albanesi di quel tempo c’erano dicerie permesse e dicerie vietate. Potrebbe sembrare strano ma certe cose si potevano dire, sebbene non avessero mai riscontro da parte del regime. Primo, nelle dicerie permesse si potevano distinguere quelle "positive", ossia quelle che inneggiavano il regime o i suoi membri. Poteva essere per esempio una storia fantasiosa sull’eroismo del "compagno Enver" durante la lotta di liberazione nazionale. L’episodio che si raccontava sicuramente non era reale, ma veniva addebitata al leader per intensificare la luce della "sua aureola". Lo stesso quando si mormorava della sua vita giornaliera; si diceva per esempio che lui si faceva rammendare le camicie consunte ai gomiti, perché voleva risparmiare per il popolo, perché "Lui viveva in povertà come tutti", anzi non come tutti, in quanto non per costrizione, ma per scelta.
La tipologia delle dicerie permesse includeva anche quelle ‘negative’, che di solito avevano un loro ben preciso arco di vita. Mentre le dicerie positive potevano scaturire anche per devozione ingenua nei confronti del leader o del regime, le dicerie negative sul conto di qualcuno erano sicuramente sparse in giro dalle autorità stesse. In questo caso esse miravano a delegittimare la persona non grata al regime, privarla dal consenso popolare, preparare l’opinione pubblica e dunque renderla estremamente vulnerabile.
In questo quadro la dinamica tra le dicerie e le smentite è di massimo interesse. In Albania questo aspetto presentava, per certi versi, originalità degne di attenzione. Succedeva che si diffondevano delle voci cattive sul conto di un ministro o di un alto funzionario di partito. Dopo che le dicerie avevano avvinto parte consistente della popolazione, la televisione di Stato faceva riprendere il suddetto ministro alla cerimonia di qualche inaugurazione ufficiale. Il significato delle immagini era più che evidente: la faccia sorridente dell’alto funzionario di Stato assicurava che le voci maligne non andavano prese in considerazione. Dunque una vera e propria smentita. Non passavano più di due giorni e la notizia dell’arresto sconvolgeva tutti.
Questa dinamica, cioè quando la comunicazione ufficiale smentisce le dicerie che vengono confermate dopo dalla realtà dei fatti, offre una visione relativa e instabile della verità e di conseguenza una supremazia della diceria nei suoi confronti. Dinamiche del genere, con i dovuti distinguo, erano abbastanza comuni durante l’epoca del regime di Enver Hoxha. La verità non dipendeva dai fatti, cioè da quello che succedeva, ma dalla versione ufficiale fornita. Questa versione poteva essere somministrata prima in forma di "diceria" e poi tramite i media ufficiali.
In altre occasioni le smentite possono diventare un rito semanticamente vuoto e persino ridicolo. In più e per assurdo le smentite possono fungere da conferme delle stesse dicerie. La gente le interpreta in questo modo: "Hanno smentito perché gli brucia e sono preoccupati. Se fosse altrimenti non avrebbero dato peso a questa voce"(5).
Che il regime comunista in Albania sia stato un perfetto manipolatore del fenomeno sociale delle dicerie non c’è ombra di dubbio. Molti additano la Sigurimi, la ex polizia segreta albanese, come l’artefice perfetta di parecchie dicerie finalizzate a creare un ambiente opportuno per le mosse ulteriori del regime.
Uno dei fattori importanti per costruire un habitat adeguato alle dicerie è l’ambiente chiuso. In questa direzione l’Albania degli anni ‘45 – ‘90 offriva alle dicerie un clima ideale. La sua chiusura era totale, fino all’inverosimile. Nessuno poteva uscire o entrare in Albania senza il permesso delle autorità. L’Albania si era trasformata in una grande prigione. Difatti anche la lingua si era adeguata alla realtà, prestando il verbo arratisem "scappare" (arratisem nga burgu – scappare di prigione) da un altro campo semantico e adattandolo alle fughe dal paese (arratisem jashtë shtetit – scappo all’estero). L’ambiente chiuso serve da cassa di risonanza per le dicerie. Esso amplifica e aiuta il processo comunicativo dove si attuano le dicerie. Inversamente, un ambiente aperto ostacola seriamente le dicerie, poiché contribuisce alla loro dispersione, oltre a mettere in discussione, se non la loro ragion d’essere, almeno la loro struttura.

III. Non si può parlare delle dicerie senza esaminare la dinamica dell’interazione con la folla. Nel caso concreto dell’Albania, sarebbe importante curiosare anche sugli effetti che ha avuto questa dinamica nella crisi del 1997. Molti analisti albanesi considerano il diffondersi delle dicerie come il principale responsabile dei tumulti della primavera del ’97, mentre altri si spingono fino ad accusare i presunti ideatori delle voci.
In ogni modo il legame tra la folla e le dicerie è un fatto indiscutibile. La prima ragione si può individuare nello spazio che caratterizza la gente riunita nella folla. Lo spazio, naturalmente ridotto al massimo, favorisce enormemente il diffondersi delle voci. Dunque la folla fa le veci di buon canale per cui passa l’informazione. Questo canale umano offre altresì condizioni ideali per le dicerie, le quali, per coagularsi nella forma tipica, hanno bisogno del rumore. Infatti il rumore è onnipresente nella folla e contribuisce al disturbo del canale e di conseguenza alla distorsione dell’informazione.
Questo discorso ci porta a menzionare un gioco notissimo tra i ragazzini dell’Albania: telefoni i prishur (il telefono rotto). Si tratta di un gioco di società, dove i bambini si mettono in fila uno dopo l’altro (usualmente seduti). Il primo deve dire qualcosa nell’orecchio (in modo che gli altri non sentano nulla) al secondo, il quale a sua volta deve inoltrare la cosa detta ad un terzo, e così via. L’ultimo deve dichiarare ad alta voce la cosa che gli è stata riferita. Di solito escono fuori delle affermazioni incredibili, che non hanno niente a che fare con la voce iniziale e che fanno ridere a crepapelle i bambini. Così il primo può aver detto: "Domani andremo al cinema", mentre l’ultimo, dopo aver assistito ignaro al passaggio spericolato dell’informazione tra gli scogli della fantasia infantile, dichiara ad alta voce: "Luciano fa la pipì a letto". E’ chiaro che il gioco comprende la complicità dei bambini, i quali si prestano consapevolmente a cambiare l’informazione iniziale.
Al di là del valore sociale del gioco in questione, si è di fronte ad un modello di una vera e propria comunicazione verbale disturbata: mittente - canale (rumore) - codice - ricevente. Il gruppo dei bambini, tra l’altro, differisce dalla folla, in quanto loro creano apposta il rumore nel canale d’informazione, mentre la folla non è consapevole del fatto. Non si può escludere quindi che, nella folla, il ruolo del bambino birichino dalla fantasia ricca, lo possa svolgere una persona matura, non con l’intento di far divertire gli astanti, bensì per distorcere l’informazione a scopi ben precisi.
Durante i tumulti dei primi mesi del 1997 un ruolo importantissimo, se non decisivo, hanno svolto le dicerie. Sono circolate migliaia di dicerie che riguardavano i soldi, le finanziarie, il governo, il presidente, le forze dell’ordine, i ribelli, i partiti ecc. ecc. Anche qui vanno fatte le distinzioni del caso, perché un conto è sentire la voce secondo cui "il ministro albanese degli interni si dimetterà" e un conto è sentire la voce secondo cui "il ministro degli interni ha dato l’ordine di sparare". E’ ovvio che si tratterà di due reazioni diverse. La prima può provocare gioia nella folla, che vede nel ministro un nemico, la seconda invece può provocare una reazione violenta di gravi conseguenze. Una diceria che parla di una minaccia incombente funge da scintilla in una camera piena di gas metano.
In fin dei conti queste dicerie sono quasi benvenute dalla folla, la quale ha sempre bisogno di alimenti del genere sia per crearsi, sia per continuare a esistere. Il problema è quando si tratta di dicerie che vengono percepite in modo molto negativo dalla folla, la quale, in questo caso, può reagire in maniera spropositata.
I creditori della finanziaria "Sudja" che aspettavano i soldi presso gli sportelli delle finanziarie sono andati in escandescenza ed hanno iniziato lo scontro con la polizia quando si è sparsa la voce che i furgoni della polizia hanno preso i soldi della "Sudja" e che se ne sono appropriati.
Ecco cosa scrive un giornalista italiano: "A Valona occupata (o liberata, dipende da quale punto di vista la si guarda), le quotidiane voci di morti e feriti in combattimenti contro le forze dell’ordine fornivano informazioni su una guerra civile che non è mai stata combattuta e che non ha mai avuto né morti né, tanto meno, feriti"(6).
Quando l’informazione ufficiale non rispetta la realtà oppure viene percepita come se avesse fatto una cosa del genere, allora si genera uno squilibrio tra i due sistemi di comunicazione. "La serie di informazioni che provoca tumulti e infine la folla, si accompagna a una rottura dell’equilibrio tra le notizie e le dicerie...; tutti allora condividono un sentimento di discredito nei confronti dei canali di informazione ufficiale"(7). In Albania questo momento si è verificato di frequente durante la crisi. La TV albanese rappresentava (talvolta) in modo totalmente distorto gli avvenimenti, il che provocava una drastica riduzione di credibilità, la quale, ovviamente, andava poi tutta a favore delle dicerie.
Il rafforzamento del sistema "dicerie" agli occhi dell’opinione pubblica avvantaggiava i manipolatori, i quali ad arte hanno diffuso notizie che non corrispondevano alla realtà, per plasmare gli animi a seconda degli intenti politici. Una volontà del genere non si può negare. Si possono nutrire dubbi sulla completezza di un progetto del genere, sulle intenzioni o sugli autori, ma non si può contestare l’azione manipolatoria delle dicerie sparse nel Paese.
La diceria assume una tale importanza all’interno dei raggruppamenti sociali che può diventare l’unica fonte credibile. La credibilità raggiunge quindi un punto tale da condizionare comportamenti collettivi. Così un "si dice che domani ci sarà una grande protesta" potrà assicurare la presenza di molte persone in piazza, oppure altri "si dice" si possono trasformare in certezze su avvenimenti gravi e senza precedenti.

IV. Qualcuno interpreta la diceria come un processo collettivo di riduzione dell’angoscia. Infatti il pericolo sembra più piccolo quando si è in tanti e l’idea di poterlo affrontare insieme ad altri individui uniti in un corpo solo dà una forte sicurezza, che serve ad abbassare i livelli di paura nel singolo.
La funzione catartica delle dicerie si può intendere anche come una voglia naturale di comunicazione e di scambio tra individui in una società che reprime o comunque limita tale spazio di libertà. In questa maniera le dicerie prendono le sembianze del ribelle che non rispetta l’ordine del regime, ma non intende fare l’eroe affrontandolo direttamente, poiché si sente più astuto di lui e preferisce raggirarlo.
Da un altro punto di vista le dicerie sono "la prima tappa dello sfogo. Molte voci sono fardelli ansiogeni. Parlarne significa muovere un primo passo verso la risoluzione dell’ansia: gli interlocutori possono replicare che la voce è impossibile, è priva di senso"(8).
Non si esagera poi se si coglie nelle dicerie anche un lato puramente estetico, con la funzione di intrattenimento, cioè di piacere nella socializzazione tra la gente. In questo caso la gente utilizza le dicerie per il semplice gusto della discussione, per passare il tempo in modo gradevole di fronte ad un caminetto o ad un caffè turco(9). In Albania è probabile che questa funzione delle dicerie abbia talvolta la supremazia sulle altre, poiché succede spesso che la gente sia consapevole di dilungarsi in racconti inattendibili, eppure continua a farlo ed a partecipare attivamente. Si tratta di solito di dicerie quotidiane (p.es. sulla sfera sentimentale) in tempi normali, ossia quando non ci sono particolari attriti o crisi sociali, che non consentirebbero processi di estetizzazione.

V. Un’attenzione a parte merita il rapporto tra le dicerie e i media. Non è sconosciuto il fatto che in Albania i giornali e la televisione riportano molto di frequente dicerie e non notizie vere. Spesso i giornali albanesi, se non sono comunicati stampa di partito, sono resoconti delle voci sussurrate il giorno prima nei bar della città.
Esiste un forte sospetto che ciò non avvenga in buona fede. I giornalisti albanesi sono in realtà consapevoli e capaci di distinguere una diceria da una notizia vera. Caso mai il problema è di ordine etico e perfino di ordine banalmente pratico. Per il primo punto si possono sprecare parole in teoria sull’ideale etico del mestiere del giornalista, che dovrebbe attenersi ad una sua ben precisa deontologia per la rappresentazione della realtà.
Dal punto di vista pratico invece, c’è il rischio reale di una grande confusione presso il pubblico albanese. Primo perché le dicerie riportate sui media prendono forza e credito presso il pubblico. Secondo perché se i mass media occupano lo spazio tradizionalmente riservato alle dicerie, visto che le pubblicano in massa, vuol dire che quest’ultime si devono necessariamente spostare più in là.
Le dicerie per loro natura devono continuare ad appartenere alla sfera verbale e non ufficiale dell’informazione. Esse si ritirano dagli spazi consueti, ma ne occupano altri, perché devono narrare quel po’ di più che per vie ufficiali non si dice o che si presume che non si dica. Il problema dunque è di questo limite che si sposta continuamente. Fino a che punto dell’irrazionalità si andrà? E con quali conseguenze?
Naturalmente i rilievi del fenomeno "dicerie" non si esauriscono in questa "mappa", peraltro solo di carattere orientativo. Non si tratta nemmeno di seguire un certo percorso per trovare la via della salvezza, ossia l’eliminazione delle dicerie. Queste sono un fenomeno organico e caratteristico del corpo sociale albanese, che innanzi tutto va compreso come meccanismo, specialmente in funzione di una lettura più vasta dei vari argomenti della società albanese, e quindi va esaminato nella sua interezza per cogliere la sostanza ed il funzionamento delle deviazioni quali la manipolazione delle dicerie.
Un altro passo potrebbe consistere nell’individuazione dei fertilizzanti delle dicerie, cioè di quei componenti che creano il laboratorio perfetto per "i persuasori occulti", la cui azione mistificatoria potrebbe risultare molto dannosa per la collettività. Coscientizzare quest’ultima, senza circostanziare prima i fattori che determinano l’esistenza e la degenerazione delle dicerie, significa fallire in partenza. La negatività di tali fattori va neutralizzata facendo emergere aspetti positivi dei fenomeni che rappresentano, e tutto ciò inserito in un quadro di vero sviluppo economico e sociale.

(1) Franz Gustincich, Voci albanesi, in Futuribili, 2-3, Franco Angeli, Milano 1997, p. 109.
(2) Jean-Noël Kapferer, Le voci che corrono, Longanesi, Milano 1988, p. 43.
(3) Ivi, p. 20.
(4) Kapferer sottolinea ulteriormente l’importanza delle dicerie: "La voce è un’informazione parallela e talvolta contrapposta all’informazione ufficiale; la voce è un contropotere" (Ivi, p. 23).
(5) Ha ragione Kapferer quando afferma che "la smentita è un’arte pericolosa" ed è condivisibile la sua opinione secondo cui la smentita è inefficace in quanto informazione scontata e fredda. (Ivi, p. 225).
(6) Franz Gustincich, op. cit., p. 110.
(7) Jacque Beauchard, Il potere delle folle, Lucarini, Roma 1986, p. 96.
(8) Jean-Noël Kapferer, op. cit., p. 55.
(9) La metafora di Kapferer è particolarmente calzante: "Gigantesco chewing-gum collettivo, la voce perde inevitabilmente di sapore e dunque richiede di essere sostituita con un’altra voce, altrettanto divertente, che riempie le bocche" (Ivi, p. 103).