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Albania: fenomeni sociali e rappresentazioni

IL DENARO: RAPPRESENTAZIONI E IMPLICAZIONI SOCIALI

                                                          La sua azione è una metafora gigante.
                                                                                               Serge Moscovici

I. Naturalmente in Albania non si sono viste le file lunghissime di uomini equipaggiati che partivano verso le montagne dell’Alaska alla ricerca dell’oro. Mancavano sia lo sfondo bianco della neve, sia gli ululati minacciosi dei lupi nel buio freddo della notte. Mancavano mille altri dettagli per rivedere le scene londoniane ripetersi tra le montagne e le strade del paese balcanico. Una cosa però è stata in comune: la febbre dell’oro, ossia la voglia di denaro.
Dopo la caduta del regime in Albania si è verificata una vera e propria corsa al denaro, il cui punto culminante va considerata la seconda metà dell’anno 1996, quando la febbre per investire i soldi nelle società finanziarie toccò i suoi valori massimi. Era il periodo quando le società piramidali aumentarono vertiginosamente le percentuali di guadagno per i depositi dei cittadini. La gente si ammassava impaziente presso gli sportelli delle società finanziarie, in attesa di investire i propri risparmi, che avrebbero fruttato tanti altri soldi.
Il ricordo delle persone che spingevano forte e nervosamente per potersi avvicinare allo sportello è ancora vivo. I soldi albanesi, raccolti in grossi mazzi a causa della inusuale e tradizionale grandezza delle banconote, oppure avvolti da una pagina di vecchio giornale, dove immancabilmente si affacciava in modo convincente la pubblicità della "piramide", magari di fronte alla quale si stava con le speranze in mano, tradivano tra l’altro un sistema primitivo di scambio economico e bancario.
Questo scorrere continuo ed enorme di denaro liquido era quanto meno anormale, visto che si effettuava presso passaggi ambigui quali gli sportelli delle finanziarie.
Lo sportello delle finanziarie, che spesso prendeva la forma di una finestra o di una porta, possedeva un ricco valore simbolico. Si trattava di un ingresso miracoloso, di un buco magico, di un accesso ad un mondo paradisiaco. Al di là di questa apertura si trovava il meccanismo più strano del mondo che, con i re Mida del retrobanco, faceva accadere l’incredibile: la moltiplicazione dei soldi. Ma lo sportello era anche depositario di desideri, aspettative, speranze, ricchezze, preghiere, insomma una specie di altare diabolico, che diventava sempre più perverso perché li realizzava, li avverava come per magia.
A vederlo bene le differenze tra sportelli delle finanziarie e luoghi sacri divenivano sempre più marginali. Per lo sguardo di un estraneo quelle file pazienti di gente speranzosa avevano un corrispettivo a Lourdes, Fatima o altrove. Solo che qui le "grazie ricevute" erano più numerose e meglio verificabili, anzi matematicamente verificabili.
Inizialmente bastava un’occhiata dietro lo sportello, alle spalle dell’impiegatuzzo, per intravedere il ritratto a colori del presidente della società finanziaria: cioè il santo da venerare. Lui i miracoli li compiva immediatamente: dava viveri, case, benessere; insomma la vera vita. Per questa ragione più tardi lo trovavi sempre dappertutto: sui calendari, sui manifesti, sui giornali, per ricordarti ancora una volta, che si deve credere soltanto in quello che si vede, si sente e si tocca.
L’accostamento tra il sistema delle finanziarie e la religione perde l’eventuale apparente forzatura e scivola nella sua fluida naturalezza appena si rimembra che le società piramidali spesso si facevano chiamare "fondazioni benefattrici". Sulla vita dei loro presidenti si creavano ad arte storie fantasiose e leggende infinite che parlavano di cose incredibili, insomma della loro vera eccezionalità. Non erano come gli altri, avevano ricchezze incalcolabili all’estero, erano bravi a investire ed a far felice la gente, erano assolutamente unici. Comunque in verità sulla loro bravura non c’è da ribattere nulla, visto che avevano percepito per primi la dimensione sacrale del loro sistema, e da perfetti operatori di marketing, curavano sistematicamente la loro immagine.
Quando qualcuno aveva il coraggio di dire che il re era nudo, veniva immediatamente zittito dalla potenza del mito ammaliante. Erano diventati intoccabili, in tutti sensi intoccabili. Perfino dalla morale stessa ne uscivano incolumi, dato che gli si perdonava il fatto che ripulivano soldi sporchi, come le voci dicevano da tempo. Ma questo, forse, era un problema delle voci e della morale stessa.
Dunque non c’è da stupirsi se la gente si è infuriata quando hanno tentato di toccare i santini. In Albania è successo proprio questo. La chiusura delle società piramidali, il congelamento dei loro beni e l’arresto di alcuni degli imbroglioni che le dirigevano furono percepiti dalla popolazione come un atto blasfemo di uno Stato irrispettoso verso i sentimenti della sua gente. Infatti una buona fetta della popolazione non era assolutamente d’accordo con le misure del Governo, reo di aver distrutto questa fabbrica realizzatrice di sogni, prim’ancora di essere colpevole per aver permesso (e forse aiutato) la sua stessa esistenza.
Ecco perché la chiusura delle società finanziarie non ha comportato solo la perdita di risorse economiche. Era un mondo intero che crollava. Si è rivelato un mondo virtuale, falso, menzognero, inesistente, ma solo tardi, molto tardi, quando la ragione si era persa nel boato del suo crollo.
II. Il denaro, si sa, ha incantato sempre l’individuo, al di là della sua nazionalità, razza, età o carattere. Il suo potere non conosce limiti e l’immunità nei suoi confronti, se veramente esiste, non dipende dalle caratteristiche esteriori dell’uomo, ma da fattori molto profondi.
In Albania la corsa frenetica per i soldi non avrebbe senso se vista decontestualizzata dalla storia recente. Gli albanesi sono reduci da uno dei regimi più intransigenti del comunismo dell’Est. Il loro paese, a detta ormai di tutti, si era trasformato in un grande laboratorio perverso dove venivano applicati teorie e metodi ortodossi dai più diversi, in economia e nella società.
In questo microsistema ermeticamente chiuso, tagliato fuori dal mondo, il denaro aveva altre caratteristiche.
L’economia albanese era di tipo socialista, esattamente l’opposto dell’economia di mercato. La proprietà privata era inesistente, poiché lo Stato aveva provveduto alla espropriazione graduale di tutte le forme dell’economia privata che esistevano anche nel primo dopoguerra. Il processo della statalizzazione dell’economia è stato continuo e ascensionale, mentre la sua programmazione diventava sempre più opprimente, toccando i minimi dettagli e tentando di pianificare tutto.
La conseguenza diretta di questo sistema economico è stato l’impoverimento del mercato in senso quantitativo (c’era una continua penuria di prodotti e perfino di quelli di largo consumo) e in senso qualitativo (articoli di pessima qualità). Il mercato durante il periodo comunista, e specialmente nel suo ultimo decennio, offriva agli albanesi pochi articoli di consumo e nessuna scelta, poiché la loro gamma era rappresentata di solito da un solo articolo per ogni tipo di prodotto.
In un contesto economico del genere il valore reale del denaro è ridimensionato. Il potere dei soldi in Albania è diventato relativo, perché essi non assicuravano realmente il benessere economico dell’individuo. Così per esempio se un albanese voleva comprare un apparecchio TV oppure una lavatrice non lo poteva fare recandosi direttamente al mercato. Questo genere di beni non si trovava liberamente nei negozi di elettrodomestici, anche se si possedevano i soldi necessari per comprarli. Il Governo albanese aveva escogitato un modo originale di distribuzione dei pochi elettrodomestici che c’erano. Un elettrodomestico si poteva acquistare soltanto possedendo un’autorizzazione (autorizim in lingua albanese) da parte delle autorità competenti. In realtà era molto più difficile entrare in possesso di una autorizzazione del genere che racimolare i soldi per raggiungere il prezzo di acquisto (peraltro assolutamente non economico per qualsiasi albanese) dell’elettrodomestico. Dunque l’offerta era minore della richiesta e per conservare un certo equilibrio, se di equilibrio si può parlare, nel rapporto esistente, diventava necessario l’intervento del governo per controllarne il funzionamento.
Questo fatto rientrava nell’ambito di un rapporto politica – economia dove la prima aveva la netta supremazia. Infatti nella maggioranza dei casi le autorizzazioni all’acquisto dei beni introvabili si assegnavano su criteri puramente politici. I primi della lista erano i funzionari di partito, poi i suoi membri e solo dopo la gente semplice, cioè quella meno vicina alle sue strutture o meno dedita alle aspirazioni del regime. Naturalmente i perseguitati politici erano esclusi a priori. Capitava talvolta che si verificassero degli stravolgimenti nell’ordine dell’elenco (esclusi ovviamente i dannati politici etichettati come nemici), ma questo faceva parte del gioco della propaganda del regime.
Dunque il senso del denaro durante gli anni del comunismo non era uguale a quello di oggi. In altre parole il denaro non era il mezzo per eccellenza per raggiungere certi scopi della vita, perché il suo potere era limitato a causa delle leggi sociali di quella realtà. Così la dimensione del denaro appariva diversa nella mente dell’individuo e della società, come diverso era il suo universo connotativo e simbolico.

III. Sbaglia chi pensa che il denaro assolve soltanto ai compiti dello scambio economico. Potrebbe sembrare tale se si prendesse in considerazione solo lo spazio dell’individuo che affronta materialmente la vita di ogni giorno, ma la visione cambierebbe se appena si tentasse di abbracciare l’attività dell’intera collettività.
Si possono notare inizialmente due facce del denaro. Da una parte il denaro è una materia come tutte le altre; in altre epoche era un metallo prezioso che si poteva trasformare in anelli, collane ecc., oggi resta comunque una materia (banconote di carta e monete di metallo) anche se meno prestabile a trasformazioni in oggetti di valore. Dall’altra parte ci sono le funzioni di scambio del denaro; con quello si possono comprare cose e si possono corrompere persone. Ai giorni nostri prevale la seconda faccia del denaro, il quale ha assorbito in sé rapporti, rappresentazioni individuali e collettive. "Il denaro è l’esempio più evidente della trasformazione di una forma in materia, di un’immagine mentale in una cosa. Si rivela essere il mezzo per rappresentare una relazione invisibile attraverso un mezzo visibile, la moneta palpabile, la banconota o l’assegno, che passano da una mano all’altra e fanno circolare beni da un luogo all’altro. Ancor meglio esso assicura, in particolare nel mondo moderno, la preponderanza del sistema di rappresentazione, e quindi della convenzione e del simbolo, sull’insieme degli oggetti e dei rapporti effettivi...
Al tempo stesso idea e cosa, il denaro assolve il compito di essere rappresentazione di una massa di ricchezze e di bisogni umani. Ma una rappresentazione sociale, come i miti, le religioni e qualunque altro sistema di segni collettivi"(1).
Le due facce del denaro assomigliano veramente alla parola. Anche essa ha due facce: quella materiale (suoni o segni grafici) e quella del contenuto (rappresentazione mentale). Il paragone è stato già notato dal filosofo Simmel, il quale osservava che in questo senso "il denaro è paragonabile al suono della parola che è un accadimento acustico-psicologico, rilevante per noi soltanto nella misura in cui trasmette e simbolizza un contenuto di rappresentazione"(2).
Il denaro dunque, oltre la sua forma materiale, materializza in un certo senso l’insieme dell’interazione tra le persone in una società e assolve perciò ad una precisa funzione sociale per la collettività. Non solo, nel denaro si depositano e si cristallizzano sentimenti, desideri, progetti per il futuro e sogni. Insomma è una specie di memoria gigante dove si registra un po’ di tutto, dall’operazione economica più semplice (comprare il pane) alle speculazioni di borsa (comprare future), dal desiderio di diventare ricco per vivere bene al sogno di arricchirsi per essere rispettato nella società.
Fin qui non ci sarebbe nulla di straordinario, se non si verificasse un’anormalità sostanziale nel rapporto tra il denaro e la sua funzione e rappresentazione. Il fatto è che "il denaro tende a confondersi con la funzione che assolve"(3). In altre parole il denaro nella nostra società non viene percepito nettamente come uno strumento con una funzione ben precisa, bensì come un’entità dove convivono sia il mezzo, sia la sua funzione sociale.
Oggi il rapporto con gli altri è regolato dal denaro. Ogni prestazione viene valutata e corrisposta in valore monetario e non come una volta quando le prestazioni erano scambiate con altre simili o addirittura con sentimenti quali solidarietà, aiuto, gratitudine. In questo caso la componente sociale non era vincolata dal valore economico e la socializzazione si basava su altri valori collettivi.
"Il dramma dei tempi moderni nasce appunto dal fatto che gli uomini non possono avere tra loro legami in cui sia assente il denaro o che il denaro non incarni in una forma o in un’altra"(4). Questa indispensabilità del denaro aumenta progressivamente la sua importanza nella società.
Si tratta della società del libero mercato dove l’Albania si apprestava ad entrare all’inizio degli anni novanta. Come abbiamo detto la funzione del denaro nella società dell’economia centralizzata era totalmente diversa dalla nuova. Lo stesso si può affermare delle rappresentazioni sociali e delle funzioni simboliche. E’ facile intuire che gli albanesi si trovarono di fronte a radicali cambiamenti che necessitavano di un certo tempo per essere digeriti. La gradualità invece non c’è stata, in quanto il passaggio politico ed economico fu veloce, senza periodi di preparazione o almeno di riflessione sui tempi che si stavano affacciando. Non solo la società intera, ma anche la sua élite, si è trovata impreparata di fronte agli squilibri dei rapporti multipli tra la società e il sistema economico, tra l’individuo e la società e tra gli individui stessi.
Ovviamente in questo quadro di complesso disordine sociale rientra anche la concezione del denaro, il quale non è un elemento qualsiasi del nuovo sistema economico, bensì il punto cruciale di esso, specialmente se si considera la sua parte materiale.
In primis
gli albanesi hanno visto nel denaro il mezzo con cui potevano raggiungere il benessere economico. Naturalmente ciò costituiva un passaggio obbligato per chi aveva vissuto in estrema povertà per lunghi anni. Ma il benessere economico non viene percepito ovunque in modo uguale. E’ opportuno aggiungere dunque che gli albanesi hanno visto il denaro come qualcosa che aiutava a conquistare il "loro" benessere economico. Questo distinguo è d’obbligo in quanto non raramente si stupisce del fatto che gli albanesi, nei primi tempi dopo la caduta del regime comunista, si sono riversati a comprare televisori a colore e antenne paraboliche.
E’ vero che in Albania c’è stato un vero assalto agli elettrodomestici, e ciò poteva sembrare comprensibile fin quando si trattava di lavatrici o frigoriferi che soddisfanno fondamentalmente bisogni primari. Mentre l’acquisto dei televisori e delle antenne paraboliche poteva significare che per gli albanesi anche il bisogno di informazione, di intrattenimento e di socializzazione era primario.
Non si può escludere comunque il grado di status symbol di alcuni articoli come il televisore a colore o l’automobile, come veri testimoni di benessere e di autorevolezza nella società. Infatti avere un televisore in bianco e nero significava praticamente non possedere l’apparecchio stesso, sebbene fosse ancora in grado di adempiere alle funzioni prestabilite. L’automobile invece era un bene che si prestava meno a qualche impellente bisogno, in quanto le città albanesi erano ancora piccole per giustificare l’indispensabilità di un mezzo di trasporto non ai fini di lavoro. Facendo le distinzioni del caso, si può affermare che l’automobile acquietava più i bisogni sociali che quelli della stretta necessità. Per questo motivo si sono verificati fenomeni negativi come la mancanza di rispetto da parte degli automobilisti nei confronti dei pedoni, causando stupore tra gli stranieri occidentali abituati diversamente nei propri paesi. Ecco come esprimeva il suo stupore (con una punta di ironia) Roberto Morozzo della Rocca: "Originale è l’idea, propria dei conducenti albanesi, che le automobili abbiano sempre e comunque la precedenza sui pedoni"(5).
Dunque il denaro serviva a riempire i vuoti materiali ereditati dalla penuria del mercato comunista; vuoti che, una volta riempiti, assumevano nuovi significati nel contesto sociale.
Con l’inizio dell’economia di mercato, la società albanese si imbatte nel fenomeno dell’egoismo sfrenato. "Le alternative alla frenesia di guadagno e consumo – siano esse ideologiche, politiche, religiose – sono deboli e incidenti nella società albanese postcomunista"(6). In più l’egoismo porta alla riduzione dei contatti sociali, i quali vengono circoscritti nell’area degli interessi immediati di guadagno. L’uomo diventa sempre più asociale e più propenso a coltivare rapporti d’interesse.
In questo contesto il denaro diventa il regolatore per eccellenza della società, perché "distaccato dalle cose e dagli individui, il denaro ne oggettiva quindi i rapporti. Esso è anche il mediatore delle relazioni personali in genere, il contabile della moltitudine di rapporti che s’intrecciano in ogni momento"(7).
In Albania tutto ciò non avrebbe avuto drastiche conseguenze se non fosse arrivato d’improvviso. Gli albanesi prima sentivano di far parte di una collettività omogenea di uguali obiettivi e interessi, mentre dopo, di punto in bianco, si sono trovati alla linea della corsa agli interessi assolutamente individuali. In quanto alle regole della competizione, importantissime perché indici di compartecipazione e di appartenenza, si può affermare che in genere sono mancate, oppure se esistevano, c’erano solo sulla carta, ma non nella realtà della vita giornaliera.
Il capovolgimento dei rapporti tra l’homo politicus e l’homo oeconomicus è successo in uno sfondo di grande confusione e smarrimento, tra mille retaggi, incoerenze e contraddizioni.
Non è stata una coincidenza e non dipende solo dalle sue caratteristiche, il fatto che il denaro ha acquistato un’enorme autorevolezza nel momento in cui si è verificato il cambiamento del sistema politico ed economico, nonché la forte riduzione della dimensione pubblica nella vita del cittadino. Il discorso è certamente molto più complesso, ma a noi interessa in questo caso l’infiacchimento della dimensione collettiva, almeno nel campo degli interessi economici. Il problema è che "a questa dissoluzione del legame sociale nei rapporti monetari corrisponde l’indebolimento della costituzione delle individualità, giacché, come ha scritto Castoriadis, una ‘vita morale’ (intessuta di regole e valori) è essenzialmente una vita vissuta in pubblico, in presenza e in confronto con l’altro"(8).
Il denaro agisce anche in un’altra direzione. La sua azione asocializzante si trasforma nel suo contrario, per inerzia, o per trovare un equilibrio senza il quale la società non può farne a meno. Infatti "il denaro, che ha disperso l’uomo nella cerchia delle relazioni impersonali, lo riunisce anche ad altre, nelle grandi masse dell’industria e nelle piramidi della burocrazia. Insieme esse cercano ciò che ognuno ha perduto: le emozioni comuni e i contatti personali in seno ad una collettività"(9).
Alla luce di queste affermazioni possiamo vedere con altro occhio le finanziarie piramidali che truffarono gli albanesi. Esse sono state sì una perfetta operazione di marketing, ma non solo nel versante economico. Il loro ingresso nella società albanese ha colmato da un lato il vuoto delle banche, dall’altro il vuoto delle relazioni sociali venutosi a creare negli ultimi anni. I vortici giganteschi creati nella società dalle forze centrifughe individuali hanno continuato a moltiplicarsi, provocando squarci enormi al tessuto sociale, ma nel frattempo hanno dato vita a nuovi centri gravitazionali, magari speculativi, come le finanziarie truffa.
Queste ultime erano modelli perfetti di socializzazione, di interazione collettiva. Infatti le società piramidali assomigliavano a dei fantomatici meccanismi di assorbimento di energie collettive. Presso di esse la gente ritrovava la propria dimensione collettiva, il gusto di appartenenza ad una comunità, la sicurezza di avere obiettivi comuni, la possibilità di architettare sogni sul futuro, la gioia di essere sotto un tetto garantito.
Le finanziarie erano similari a degli enormi buchi neri nella dimensione sociale albanese, che disturbavano la sua fragile armonia, e che deformavano qualsiasi cosa che le attraversava. Pure il fatto di guadagnare il triplo di quello che si investe è una distorsione della realtà.
I rapporti sociali hanno visto un vero tempio nelle società piramidali. In realtà erano luoghi ideali di rapporti interpersonali, perché, tra l’altro, fornivano le file, la palestra ideale dell’interazione collettiva, le quali da tempo erano sparite dalle città albanesi. Inoltre queste file non erano come quelle del regime comunista di fronte al negozio del latte o delle scarpe. Non erano file di rassegnazione e di pazienza, bensì dell’entusiasmo e della dinamicità. Di conseguenza il processo della fermentazione era molto più veloce, tra l’altro, perché attuata in un ambiente favorevole (cioè di libertà).
Le file in verità erano sole il punto di iniziazione, perché poi gli individui spostavano il discorso degli investimenti in altri contesti della società. Si ricordi il fatto che tutti gli albanesi, nelle case, nel lavoro, nei bar, e ovunque, discutevano animatamente e quasi esclusivamente dei loro investimenti nelle finanziarie. Era come se spostassero il campo gravitazionale delle finanziarie in diversi ambienti, per attirare o per interagire con altri elementi.
Per vedere il fenomeno in maniera integrale basta alzarsi ad un livello più elevato, affinché lo sguardo abbracci tutta la comunità. Gli albanesi con la questione delle finanziarie si sentivano parte dello stesso progetto di sviluppo. Il ruolo delle finanziarie è stato quello di accomunare sentimenti e aspettative che si presentavano fin’allora in ordine confuso e sparso. L’omologazione delle aspirazioni della gente ha dato il via ad un nuovo compito delle società finanziarie, ossia quello dell’integratore sociale.
Il senso di far parte di un progetto comune o di un programma di prospettiva era venuto meno tra gli albanesi durante i primi anni di democrazia. Eppure loro probabilmente sentivano fortemente il bisogno di essere parte e di condividere, se non altro per la storia recente, quando, per l’effetto del sistema stesso, l’appartenenza alla comunità e la dipendenza da essa apparivano elementi fondamentali della persona.
Per queste ragioni è molto probabile che il virus delle finanziarie si sia inserito nell’economia e nella società albanese senza particolari difficoltà e resistenze.
Una volta inserite nel tessuto economico le finanziarie hanno operato indubbiamente anche su altri versanti. Esse hanno offerto agli albanesi modelli di sviluppo non certamente veritieri e hanno consolidato miti menzogneri peraltro già esistenti nella società.
Nel piccolo paese balcanico durante i decenni del regime circolavano parecchi miti sul sistema capitalista, che, a causa della chiusura ermetica del paese, venivano sottoposti a delle operazioni veramente aberranti. Il fatto dei soldi per esempio. Si diceva spesso che all’estero "i soldi portano soldi". Un’affermazione piuttosto credibile nel contesto occidentale, il quale sottintende soprattutto i processi dell’investimento dei soldi e del lavoro, affinché ci siano guadagni, cioè altri soldi.
In Albania naturalmente non esisteva più un background sull’economia del libero mercato. Il regime comunista aveva spazzato via qualsiasi know how in merito ed aveva sferrato un’offensiva teorica e pratica contro qualsiasi elemento estraneo al sistema socialista. In altre parole "i soldi portano soldi" non offriva altro se non il significato letterale o tutt’al più qualche vago riferimento su sconosciute operazioni economiche di difficile comprensione.
In questa situazione è facile credere ad un meccanismo, come quello delle società piramidali, che dimostra pienamente il teorema dei soldi automoltiplicanti.
Il mito dei soldi facili cresceva poi in un terreno assai fertile, dove interagivano parecchi altri miti e credenze. Quello del lavoro ad esempio, il quale era concepito come un’attività che serve all’individuo per vivere e non per assicurare un benessere sempre in crescita, concezione ulteriormente appannata dalla insistenza del regime su una ortodossa concezione socialista del lavoro, che accentua il suo valore a favore della collettività estremizzando la sua dimensione sociale. Si può quindi ammettere che l’etica puritana del lavoro, secondo cui per diventare ricchi bisogna lavorare duramente, non era tanto diffusa in Albania, in quanto mai vista attuata nella vita.
Ma se da un lato il denaro favorisce l’individualismo, perché sottrae l’uomo dalla dipendenza di gruppi sociali, dall’altro "avendolo frammentato e reso mobile, lo mette in una posizione di dipendenza da una folla di ‘non persone’ e gruppi precari"(10). Questa affermazione vale in linea generale, quanto per la questione albanese delle finanziarie. Infatti le finanziarie e lo scambio massiccio e continuo di soldi hanno portato gli albanesi a guardare più strettamente ai propri interessi, ma nello stesso tempo li ha resi dipendenti da esse (finanziarie) e quindi dalla moltitudine che ne aggregava.
La rottura del meccanismo delle finanziarie ha comportato non solo conseguenze di carattere economico. Come si è detto il denaro contiene un intenso valore simbolico. Esso non è semplicemente un mezzo di scambio. Si tratta di un catalizzatore simbolico plurifunzionale, che gioca un ruolo importante nella vita sociale. Il denaro, inoltre, contiene in sé (e per certi versi ne è l’espressione) la fiducia della collettività sul presente e sul futuro. Infatti non è raro che le valute perdano valore a causa della mancanza di fiducia, oppure ne acquistino e ne conservino in virtù della fiducia che godono.
La crisi delle finanziarie è stata una vera disgrazia economica per gli albanesi che vi hanno perso i loro soldi, ma questo è soltanto la parte meno negativa. Prima di fare un bilancio del disastro bisogna valutare le perdite sul versante simbolico e sociale. E’ molto probabile che questi danni siano stati di gran lunga maggiori e non è certo che si cicatrizzino in tempi brevi.

(1) Serge Moscovici, La fabbrica degli dei. Saggio sulle passioni individuali e collettive, Il Mulino, Bologna 1991, p. 380.
(2) G. Simmel, Filosofia del denaro, Utet, Torino 1984, p. 180.
(3) Serge Moscovici, op. cit., p. 404.
(4) Ivi, p. 400.
(5) Roberto Morozzo della Rocca, op. cit., p. 45.
(6) Ivi, p. 42.
(7) Serge Moscovici, op. cit., p. 400.
(8) Pietro Barcellona, L’individuo sociale, Costa & Nolan, Genova 1996, p. 31.
(9) Serge Moscovici, op. cit., p. 448.
(10) Serge Moscovici, op. cit., p. 446.