"Truoi dal sciarbon"
Prealpi Carniche


dislivello: 200 metri circa (più piccoli saliscendi)
difficoltà: E
tempi: h 2.00/2.30
punto di partenza: Erto (m 800)

come arrivare:

da est: autostrada fino a Udine sud, da cui si prende per Spilimbergo e Maniago. Giunti a Montereale Valcellina si prende la direzione di Barcis per proseguire poi, oltre il Passo di S.Osvaldo, fino al paese di Erto. In alternativa si può prendere l'autostrada fino a Pordenone, da dove si prosegue in direzione Maniago raggiungendo quindi Monterale.
 
da ovest: dal paese di Longarone si sale alla diga del Vajont e si prosegue fino a giungere ad Erto.

L'ambiente:

Il Sentiero del Carbone (nel dialetto locale “Trui dal Sciarbòn“) collega l’imbocco della Val Zemola con l’abitato di Casso, arroccato su un ripido pendio. Lungo questo tracciato un tempo veniva trasportato a spalla il carbone vegetale proveniente dai boschi sopra il paese di Erto e diretto a Longarone nella Valle del Piave. L’itinerario, di notevole pregio dal punto di vista panoramico, permette di osservare dall’alto l’intera Valle del Vajònt con i suoi caratteristici centri abitati e di avere una visione completa e suggestiva dell’imponente fenomeno della frana del Monte Toc. Emergono così le peculiarità geomorfologiche di un ambiente totalmente stravolto dall’enorme massa di sassi e fango che nel 1963 sommerse la zona riempiendo quasi totalmente l’invaso creato dall’uomo.
Si procede ai margini e all’interno del Parco Naturale Regionale delle Dolomiti Friulane istituito ufficialmente nel 1996 con la Legge regionale n. 42.  Il Parco Naturale ha un’estensione di 36.950 ettari; è geograficamente inserito fra l’Alta Valle del Tagliamento a nord, la Valle del Piave a ovest, la Valle del Cellina a sud e le dorsali dello spartiacque del Meduna a est. Comprende territori dellaValcellina, con i comuni di Andreis, Cimolais e Claut, della Val Vajònt con Erto e Casso, dell’Alta Valle del Tagliamento, con i comuni di Forni di Sopra e Forni di Sotto, della Val Tramontina con il comune di Tramonti di Sopra e della Val Còlvera con il comune di Frisanco.
E' inserito in un territorio di grande interesse geologico, forse il più complesso di tutta la regione. L’azione degli agenti atmosferici sulle formazioni calcaree ha determinato la formazione di rilievi dalle forme molto varie e spesso spettacolari, alle quali la luce delle diverse ore del giorno conferisce un fascino del tutto particolare. Il paesaggio dominante passa da quello tipico delle Prealpi Orientali a quello propriamente Dolomitico, conferendo al territorio del Parco una fisionomia decisamente particolare.

Erto è strettamente legata a Casso tanto da formare un unico Comune con sede amministrativa ad Erto. Sono riuniti sotto lo stesso gonfalone pur essendo costituiti da comunità molto diverse. Erto è di origine antica e si parla un dialetto ladino; Casso è più recente e si parla un dialetto veneto–bellunese. Le due comunità divennero autonome nel 1688 per poi riunificarsi definitivamente nel 1866.
Ancora oggi, a tanti anni di distanza, Erto non riesce a nascondere le ferite riportate a causa della frana del M.Toc. Il centro storico è formato, infatti, dalle antiche case di pietra separate da strette stradine e per la maggior parte ancora disabitate, anche se alcune sono in via di ristrutturazione. La parte nuova del paese sorge sopra la statale 251 ed è formata da casette bianche, moderne, che non hanno sicuramente il fascino delle costruzioni originali con il ballatoio di legno e la copertura del tetto a “scàndole“, tegole, pure di legno, tipiche della Val Cellina.

L’aspetto di Casso è austero: le sue case in pietra grigia dalle piccole finestre danno l’impressione di essere state edificate per difendersi sia dagli eventi naturali sia da eventuali nemici. Caratteristici sono i tetti ricoperti da lastre di pietra grigia e le scale esterne spesso colonizzate da rigogliose felci. Passeggiando per le strette viuzze del paese, lastricate in pietra, si ha l’impressione di fare un salto nel tempo e tornare indietro di decine d’anni. Casso, a quasi 1.000 metri di quota, protetto dallo sperone roccioso che sorge sotto il paese, in occasione della tragedia del Vajònt ha subìto pochi danni, ma oggi il suo abitato si presenta quasi deserto. Sulla parete di roccia a picco che ha salvato il piccolo borgo dalla totale distruzione, si trova una palestra per l’arrampicata sportiva, una delle più note delle Dolomiti  e molto frequentata dagli appassionati.

Alla fine del 1600 il “Trui dal Sciarbòn“ era percorso dalle donne che si caricavano sulle spalle gerle pesanti fino a 40 chili contenenti il carbone. Esse partivano dall’Alta Val Zèmola e dalla Val Mesath dove il carbone era prodotto in carbonaie, i “poiàt“.
Il combustibile vegetale ottenuto con la lenta combustione anaerobica del legno veniva portato fino a Longarone. Da qui, su convogli di zattere, veniva trasportato lungo il Piave fino a Venezia. L’attività di carbonaio era stata introdotta nelle valli delle Prealpi Carniche dai carbonai di Solagna, un paesino nelle vicinanze di Bassano del Grappa, che insegnarono alle genti di montagna come ricavare il carbone dolce dalla combustione lenta e soffocata del legno. Per la produzione del carbone vegetale si usava legno di faggio, di pino, di ontano, di larice, di nocciolo e di abete che non fosse adatto per costruzione o per brucio. La carbonaia veniva innalzata in uno spiazzo pianeggiante, secco, ben difeso dal vento e vicino ad un corso d’acqua. Si costruiva una catasta di legna stagionata da almeno un mese in strati verticali con i pezzi più grandi verso l’interno lasciando uno spazio al centro con la funzione di camino d’accensione. La carbonaia veniva ricoperta da strati di foglie secche e infine terra per limitare l’ingresso di aria. Una volta accesa la carbonaia e alimentata per alcuni giorni, veniva chiusa ermeticamente regolando la combustione con dei fori di aerazione praticati con appositi bastoni. Al temine della combustione veniva estratto il carbone e avviato al commercio. Questa attività fu praticata fino agli anni ’50 e solo negli ultimi anni veniva usata una teleferica per il trasporto del carbone nella valle del Piave.

Il percorso:

Dall’abitato di Erto, seguendo le indicazioni, si prende la strada sterrata che porta in Val Zemola. La strada, sospesa e incisa nella roccia è stata costruita per consentire lo sfruttamento della cava di marmo rosso del M. Buscada. Il primo tratto si svolge lungo il Bus de Bacòn, una stretta gola con cui la valle s’innesta nella conca di Erto. Dietro, il M. Zerten (m 1.883) segna il confine meridionale del Parco e alle sue spalle si eleva con i suoi 2.471 metri il Col Nudo. All’ingresso della valle si ha il brusco passaggio dalla scaglia rossa che sottolinea l’orientamento a franapoggio dell’intera struttura, al calcare. Il percorso si snoda fra le pareti che scendono ripide verso il torrente Zemola fiancheggiato da ghiaioni detritici. Dalla strada, guardando a destra appare il M. Porgeit (m 1.864 ) ma arrivati all’altezza de Stèi de Mela, complesso di stalle sulla sinistra, la valle si apre e appare sullo sfondo il Duranno (m 2.652) e gli spalti dolomitici sopra i quali si trova la cava di marmo. Nei pressi dei ruderi dei Stèi de Conte a ca. 1.200 m di quota, termina la strada carrozzabile e dipartono i sentieri che portano al Rifugio Maniago, alla casera Galvana, alla casera Bedin e alla cava di marmo.
All’imbocco della Val Zemola, presso la cappelletta di S. Antonio in località Costa, alcuni gradini segnano l’inizio del tracciato del Trui dal Sciarbòn. Il percorso, che si svolge sul versante meridionale del gruppo del M. Borgà – M. Salta, segue parallelamente il corso del torrente Vajònt che scorre nel fondovalle e prosegue mantenendosi più o meno alla quota dei 1.050 metri. Questo sentiero è rimasto abbandonato per almeno ottant’anni ed è stato “riscoperto“ con l’istituzione del Parco.
Presentandosi come un facile sentiero panoramico, offre nei mesi primaverili, a chi lo percorre, una grande quantità di specie vegetali fiorite. Nel primo tratto di sentiero si attraversa un lembo di calcari massicci e stratificati che costituiscono la base del gruppo Borgà – Salta per poi passare alle arenarie, alle molasse e alle argille. Da ciò si può capire come la vegetazione cambi rapidamente al mutare del substrato. Nella zona di transizione fra i calcari e le arenarie troviamo una faggeta termofila con presenze di carpino nero e anche di pino nero. Questo bosco, così vicino all’abitato e alle principali vie di comunicazione, è stato fino a pochi decenni fa intensamente sfruttato e sono ancora visibili i segni della ceduazione, antica pratica di gestione del bosco per ricavare legname da costruzione e combustibile.
Si arriva ad un quadrivio, dove s'incrocia il sentiero 381 che porta verso nord ovest ai Libri di S. Daniele e alla cava di marmo e verso sud est a Erto. Il sentiero, inerpicandosi per un breve tratto in mezzo ai faggi e ai noccioli, porta al Col de Sciastòn, per poi ridiscendere ripido fuori dal bosco. Da qui in poi, alternanza di bianche pietraie a piccole radure a prato e boscaglia. Infine il sentiero si inoltra fra terrazzamenti a prato sostenuti da muri a secco e si incominciano ad incontrare ruderi di vecchie costruzioni in pietra.  Si attraversano dei prati da sfalcio dove alcuni massi calcarei sono quel che resta di una antica frana che nel 1600 scese dal M. Salta e sfiorò l’abitato di Casso. Il sentiero scende quindi sulla strada asfaltata per arrivare in paese e, traversandolo tutto fino oltre il cimitero si può continuare per un altro sentiero, che prende il nome di  “Trui de Sant’Antoni“, scendendo verso la diga.


Bibliografia:
- TRUOI DAL SCIARBON ( SENTIERO DEL CARBONE ) -1998
Parco Naturale Dolomiti Friulane
- IL CAMMINA FRIULI VENEZIA GIULIA guida WWF -1995- Regione Autonoma FVG
Edizioni Ambiente

Cartografia:
Tabacco 1:25.000 foglio 021 Dolomiti di Sinistra Piave

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