PRONUNCIA


INTRODUZIONE
Per spiegare la pronuncia del siciliano userò un metodo poco ortodosso: partirò dalle lettere per descriverne i suoi associati. Sebbene non sia il metodo migliore, è probabilmente uno dei più semplici da realizzare e capire, soprattutto perché si può fare a meno dell'uso dell'alfabeto fonetico IPA. Per descrivere i suoni diversi dall'italiano userò delle analogie e inserirò dei file audio che potrete ascoltare.
L'alfabeto da usare è un altro problema grave: ho deciso di usare l'alfabeto italiano senza modifiche, spiegando come vanno lette le lettere e i gruppi di lettere, sperando che risulti più facile da comprendere.

La pronuncia cui mi riferisco è quella del palermitano: come in tutti i dialetti la pronuncia varia molto da città a città, ed è forse l'aspetto che differenzia maggiormente diverse varietà di un medesimo dialetto, più delle variazioni di sintassi o morfologia.
Per di più il palermitano ha una pronuncia di certi suoni decisamente diversa da tutte le altre varietà siciliane, che lo caratterizzano fortemente.

La pronuncia oltre al lessico rende il siciliano decisamente incomprensibile a gente 'di fuori'. Difatti, anche se le parole sono spesso identiche all'italiano, occorre una 'decodifica' per comprederne il significato. Un esempio lampante è la parola 'vurìedda' che risulterà oscura alla maggior parte delle persone, ma che con un'opportuna tecnica di 'crittanalisi' risulterà chiarissima.
Il siciliano presenta quindi come peculiarità: suoni traslati rispetto all'italiano, suoni propri non presenti in italiano, fenomeni combinatori e/o eufonici che contribuiscono a rendere criptiche le frasi.
Passiamo in rassegna ordinatamente questi aspetti della pronuncia.

suoni TRASLATI:

b    - una b dell'italiano corrisponde solitamente a una v del siciliano, soprattutto se in posizione infravocalica. Difatti la v 'ritorna' b quando è doppia. Nota che in siciliano va considerata infravocalica anche se a inizio parola preceduta da vocale, come in 'a vutti' (la botte), dove la b italiana si trova fra due vocali. La b, laddove è presente, è sempre pronunciata doppia.
Esempi: 'il battesimo' diventa 'u vattìu', 'la barca' - 'a varca', 'il broccolo' - 'u vrùocculu'.  Parole con doppia b: 'abbuccari' (traboccare), 'arrubbari' (rubare). Le parole 'bìeddu' e 'bùonu' (bello e buono) sono pronunciate sempre con la b.  Alcune parole tratte dall'italiano per mantenere la 'b' iniziale vengono raddoppiate: 'la bomba' diventa 'a bumma' (pron: abbumma)
NOTA
Scrivo -bb- solo in mezzo alla parola; ad inizio parola scrivo b- per non appesantire la grafia, ma bisogna ricordarsi che è sempre doppia.
Lo stesso metodo userò per -gi-, come 'valigia', che in siciliano si scriverà quindi 'valiggia'; in posizione iniziale scriverò gi-: 'a giacca', la giacca (letto: aggiacca).

d -  una d singola dell'italiano spesso diventa r in siciliano. Esempio: 'di' diventa 'ri', 'cadere' diventa 'càriri'. Non tutte le parole seguono questa regola: in generale si può dire che quelle importate di recente dall'italiano non seguono questa regola (come per altro anche le altre regole di pronuncia). Per esempio 'il dado' si dice 'u dado'. Da notare due cose: per mantenere la d italiana la si raddoppia (perché l'istinto di trasformare una d singola in r è molto forte; cfr con 'la bomba' di sopra); la parola finisce per 'o', e questa è un'altra stranezza dovuta al fatto che la parola è stata presa tale e quale dall'italiano.
NOTA
Per la d vale lo stesso discorso della b: u dado si legge 'uddado'; altrimenti scrivo 'r'.

g - la infravocalica spesso cade (solo in palermitano), lasciando solo piccole tracce. Ad esempio 'il gatto' si dice 'u attu' ('u' e 'a' non formano dittongo!), 'gettare' si dice 'ittari'. La 'g' miracolosamente riappare quando viene raddoppiata: 'vai a buttarlo!' si dice 'va ghìettalu'. Comunque la presenza della g è palpabile anche nel 'u attu' come vedremo nella sezione dedicata agli articoli.

gl - in siciliano diventa spessissimo ggh. Ad esempio 'moglie' si dice 'mugghìeri', 'aglio' si dice 'agghia'. Però a volte a una ggh siciliana non corrisponde gl in italiano, ad esempio 'vugghiri' significa 'bollire' (a dimostrazione del fatto che queste che propongo sono solo analogie, e non leggi fonetiche!).

ll - la doppia l, come molti sanno, diventa in siciliano dd (con una pronuncia un po' particolare, cfr sezione dei suoni propri). Per esempio 'bello' è 'bieddu', 'cavallo' è 'cavaddu'.  A questa regola sfuggono poche parole di recente importazione: 'il pollo' è 'u pollo'. Comunque esistono parole siciliane con -ll-, spesso però non hanno riferimenti italiani (allazzari, allavancari).

mb - tende a semplificarsi in mm. Esempio: 'bomba' diventa 'bumma'.

nd - tende a semplificarsi in nn. Esempio: 'quando' diventa 'quannu'.

r - alla r di solito corrisponde una r anche in siciliano, che però ha tre diverse realizzazioni (allofoni) a seconda del contesto fonico. Da ricordare che una r siciliana può corrispondere a una d italiana. (vedi sopra).

Per quanto riguarda le vocali, si può dire che grossolanamente a 'o' ed 'e' chiusa in italiano corrispondono 'u' e 'i' siciliane, mentre a 'o' ed 'e' aperta corrispondono 'ùo' e 'ìe' in palermitano e 'o' 'e' nelle altre varianti. In realtà per una corrispondenza più affidabile si dovrebbe risalire all'origine latina delle parole (sempre che ne esista una comune) e seguire le leggi fonetiche descritte nei manauli di linguistica. Ma come approssimazione può bastare. Esempi: 'bello' si dice 'bìeddu', 'buono' si dice 'bùonu', 'cosa' si dice 'cùosa',  'perché' si dice 'pirchì', 'pera' si dice 'piru' (non badate alla 'u'!, è colpa dell'italiano).
 

NOTA: ricordo che queste sono solo tecniche di memorizzazione. In particolare possono tornare utili per capire una parola pronunciata in dialetto (la parola 'vurìedda' ora può essere letta come 'budella' ); non è detto che convertendo otteniate sempre parole siciliane, per i due motivi che ciò che ho elencato è solo un'approssimazione, e che il siciliano ha una buona dose di lessico proprio non direttamente riconducibile a quello italiano.
 

SUONI PROPRI
Il siciliano ha alcuni suoni che in italiano non esistono.

i   - Questa vocale ha un suono leggermente diverso da quella italiana quando segue l'accento tonico: è leggermente più aperta, quasi a metà strada tra una 'e' e una 'i' italiana. Per esempio in 'iddu' la si pronuncia come in italiano, mentre in 'càriri' è più aperta verso la 'e'. La parola 'ri' (di) si pronuncia come in càriri.

u - Lo stesso discorso fatto per la 'i' vale per la 'u', solo che in questo caso l'apertura verso la 'o' è più lieve, quasi impercettibile (a mia disposizione non ho nessuno strumento se non il mio orecchio, che però è ben allenato...) Vedi la parola 'tuu' (tuo)

r l - quando sono seguite da una consonante occlusiva assumono un suono praticamente identico, tipico del palermitano, per cui non trovo corrispondenti in altre lingue, perciò andrebbe ascoltato. Cùolpu, àrbulu.

lt, ld - in siciliano diventano -vu-. Càvuru (caldo: cavudu>cavuru), ghiàvutu (alto), àvutru (altro).

r - quando segue una t assume un suono come la r inglese (es: 'u quatru', 'tri').

ng - questo digramma rappresenta un suono che in italiano non si trova mai a inizio parola, mentre in siciliano è possibile. Il suono è più o meno quello della n di fronte a '/k/' o '/g/' (stanco)o dell'-ing inglese. In siciliano si trova a inizio parola in vocaboli come 'ngranciari' (soffriggere), 'nguantìera' (vassoio). Inoltre compare dove in italiano si avrebbe -ng- (sangue, sangu).

s - davanti a consonante sorda (p t k f) si pronuncia a metà strada tra s e sci italiane. In tutti gli altri casi  è sorda (come nell'italiano Sicilia). Es: chistu (questo). Davanti a consonante sonora (b d g v) sembra una j del francese 'jambe': sbàttiri.
Bisogna notare che il nesso italiano -str- in siciliano si pronuncia -sr-; dato che la 'r' in questo caso è sorda, la 's' si pronuncia come nel primo caso: strata (mantengo la grafia italiana per facilitare la memorizzazione e l'intelleggibilità del testo).

ùo ìe - questi sono falsi dittonghi in cui la u e la i sono accentati (Es: cùomu, bieddu). E' caratteristica palermitana: se una 'e' oppure una 'o' sono accentate e aperte (per sapere se sono aperte si può fare un paragone con l'italiano o meglio con altre varietà di siciliano) allora sono praticamente sempre 'ìe' e 'ùo'. Eccezioni: parole italiane non acclimatate ('u pollo'); variazioni dovute all'accento nella frase ('è bieddu', ma si dice 'è un beddu picciuottu', 'è un bel ragazzo'). Nel secondo caso la e di 'beddu' pur essendo portatrice dell'accento tonico della parola, in realtà si 'subordina' all'accento della frase, che cade su 'picciùotto'.
Le altre varietà di siciliano pronunciano semplicemente 'e' 'o'.
 

FENOMENI EUFONICI e altro
Spesso una parola viene pronunciata in modo diverso in base al contesto in cui si trova. Altre volte invece si insinuano dei suoni per avere un effetto più piacevole ed eliminare sgradevoli successioni di suoni.

- Oltre alla già accennata alternanza tra 'e-o' e 'ìe-ùo', spesso dei suoni si raddoppiano a inizio parola, a volte per via della parola che precede, altre solo per enfatizzarla. Sopra avevo fatto esempio di 'ittare' che diventa 'va ghìetta!', ripresentando così la 'g' italiana. Un altro esempio 'riri' (dire) che diventa, in una frase come 'glielo devo dire', 'ci l'aiu a dire'(pron: addiri).
Di questo fenomeno non è tanto importante l'esistenza, in quanto anche in italiano spesso alcune consonanti raddoppiano a inizio parola, quanto la trasformazione che alcuni suoni hanno per via del raddoppiamento. 'riri' diventa 'diri', in quanto la 'd' singola diventa di solito 'r' in siciliano, ma la doppia d rimane tale. All'inizio si può rimanere disorientati,  ma una volta capita la regola non si hanno più problemi. 'vutti' diventa 'butti' in una frase come 'aiu tri butti' (ho tre botti).

- A volte si inseriscono dei suoni senza significato in certi sintagmi; i più comuni sono una r o una g. Per esempio: 'iu e r iddu' (io e lui); 'cuegghiè' ('chi è è', cioè: chiunque). La seconda è molto usata perché traduce l'italiano chiunque, dovunque, comunque, qualsiasi cosa (cuegghiè, unnegghiè, comegghiè, socchegghiè). La pronuncia 'cu è è' sarebbe sgradevole, e s'inserisce perciò una g: da notare che questa è la pronuncia corrente, nessuno direbbe 'cu è è' (divresamente dall'italiano dove si può dire 'sedia e armadio' oppure 'sedia ed armadio').

RIASSUNTO

Riepilogo le lettere dell'alfabeto italiano e la loro pronuncia in siciliano.

a - come in italiano
b - pronunciata sempre doppia (bb)
c - davanti a 'a - o - u' come in italiano, davanti a 'i - e', si presentano due casi: se è singola si pronuncia quasi come sci in italiano ('caciu' si legge 'casciu'), se doppia si legge come in italiano ('ghiacciu' si legge come si scrive). Si potrebbe scrivere 'casciu'  anziché 'caciu', ma ci sarebbero due inconvenienti: la sci italiana fra vocali è pronunciata sempre doppia, mentre in siciliano è singola; si perderebbe la relazione tra la parola italiana e quella sicialiana (in questo caso 'caciu' richiama l'italiano 'cacio' sicuramente di più che un ipotetico 'casciu').
d - pronunciata sempre doppia. Se è singola scriviamo r.
e - vedi sopra
f - come in italiano
g - come in italiano
h - come in italiano
i - vedi sopra
l - davanti a occlusiva assume un suono particolare (vedi sopra)
m - come in italiano
n - come in italiano, a parte la combinazione ng a inizio di parola (vedi sopra)
o - vedi sopra
p - come in italiano
q - esattamente come in italiano: 'quando' 'quannu'
r - se singola tra vocali come in italiano (ma spesso se preceduta da articolo raddoppia: 'a radio' si legge 'arradio') ; davanti a occlusiva assume un suono particolare (vedi sopra); dopo consonante sorda (si solito  t) come in inglese.
s - sempre sorda; davanti a t vedi sopra
t - come in italiano
u - vedi sopra
v - come in italiano (da ricordare l'alternanza con la 'b')
z - sempre sorda, come in italiano 'zio' (u ziu)
 

 


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