AFRICA FINDHORN ITALIA SLOVENIA
ALBANIA FINLANDIA LETTONIA SPAGNA
ARMENIA FRANCIA LITUANIA SURINAME
AUSTRIA GERMANIA MACEDONIA SVEZIA
BELGIO GIAPPONE OLANDA TURCHIA
BULGARIA GRAN BRETAGNA PALESTINA UNGHERIA
CANADA GRECIA PORTOGALLO U. S. A.
CENTRO-SUD AMERICA IRAN

ROMANIA

Repubblica ceca
CINA IRLANDA RUSSIA DANZE DI LAVORO
CROAZIA ISRAELE SERBIA MEDIOEVALI E RINASCIMENTALI
CALENDIMAGGIO BALCANI

ALBANIA

L’Albania (“Shqipèri in albanese) confina con Grecia, Macedonia e Serbia e le sue coste danno sull’Adriatico. Oggigiorno è senz’altro il più misconosciuto paese europeo. Per un motivo semplice: il “Paese delle Aquile” è rimasto per ben quarantacinque anni isolato dal resto del mondo! I confini si sono aperti soltanto nel 1990 con la fine della dittatura comunista che Enver Hoxha vi aveva imposto nel 1945.

L’Albania è un Paese recente. La sua indipendenza fu proclamata in 28 novembre 1912 dall’Assemblea di Vlore, ma riconosciuta soltanto il 29 luglio 1913 dalle grandi potenze riunite a Londra, che decisero inoltre di amputare il Paese di circa metà del suo territorio etnico, le cui parti furono annesse a Serbia, Grecia e Montenegro. Tre milioni si albanesi vivono oggi in Albania, e quasi altrettanti all’estero, soprattutto in Kosovo e  Macedonia. Siccome nei Balcani le cose non sono mai semplici, in Albania vive una piccola comunità greca, circa 150.000 persone, nel sud del Paese e una comunità macedone ancora più piccola nell’est del Paese, vicino al lago Ohrid. Senza dimenticare altre minoranze come gli zingari.

Oggi lo straniero che mette i piedi in Albania stenta a credere di essere ancora in Europa, ad appena due ore di volo da Parigi. Il viaggiatore capisce presto che la stragrande maggioranza della popolazione stenta a vivere: mancanza di lavoro, salari molto bassi, famiglie stipate in appartamenti troppo piccoli, frequente mancanza d’acqua e di corrente, ecc. Malgrado le loro difficili condizioni di vita, gli albanesi non hanno perso la loro dignità e il loro senso dell’ accoglienza. Qui le tradizioni di ospitalità sono molto radicate e il proverbio “la casa dell’albanese è la casa dell’amico e del viaggiatore” si può verificare ogni giorno. Anche ad un matrimonio, basta presentarsi all’improvviso per essere accolti a braccia aperte, per ritrovarsi seduto di fronte alla sposa e, con un bicchiere di raki in mano, brindare in allegria con tutti gli invitati e provare qualche passo di danza.

Per motivi ideologici, il regime comunista aveva valorizzato il folklore albanese al massimo. La musica ebbe la funzione di affermare l’identità nazionale, essa doveva “portare il sigillo dell’autenticità, priva di qualsiasi influenza straniera, borghese e revisionista”. Ognuna delle trentasette circoscrizioni del Paese aveva il suo gruppo folcloristico ufficiale. Non è solamente questo il motivo della sorprendente vitalità della loro musica e danza tradizionale: l’Albania è sempre stata una terra di incontro tra Oriente e Occidente, per questo aperta a influenze sia ortodosse che mussulmane. Gli albanesi sono di origine indoeuropea  e sarebbero discendenti di tribù illiriche giunte da nord circa duemila anni prima della nostra era, e mantengono ancora oggi tradizioni molto antiche, trasmesse oralmente di generazione in generazione, di specificità molto marcate e di repertori molto localizzati, diversi da una valle all’altra e perfino da un villaggio all’altro. Il fiume Shkumbin, che attraversa il Paese da est a ovest, è un confine naturale ma anche culturale, religioso e musicale tra nord e sud. Per i Gege del nord l’Islam è la religione largamente dominante, la musica è monofonica ed è principalmente caratterizzata dai “rapsod”, canti epici che evocano il ciclo degli eroi “kreshnik”, gli strumenti principali sono la viola monocorda “lahute”  con archetto, il liuto a due corde e manico lungo “cifteli” ed il liuto “sharki”. A sud i Tosk sono rimasti sotto l’influenza della musica bizantina: in effetti sono principalmente ortodossi, è questa la terra di predilezione della polifonia vocale che viene praticata nei villaggi di montagna in numerose occasioni. Un proverbio dice “Un viaggiatore è solo, due litigano, ma tre cantano “. Nell’estremo sud-ovest i Lab praticano una polifonia complessa a quattro voci: tre voci soliste – il”marres”, ovvero colui che prende, il “prures”, colui che taglia, lo “hedhes”, colui che riprende – e un bordone chiamato “iso”. Nel resto del Paese i Cam cantano la polifonia a tre voci a cappella o accompagnati da numerosi strumenti;tamburello, liuto, clarinetto, fisarmonica e il violino. L’introduzione dell’accompagnamento strumentale delle danze “a cappella” ha reso la danza più viva e dinamica, ma ha anche soppiantato il canto stesso. In tutto il Paese e soprattutto in montagna sopravvivono ancora strumenti antichi come la cornamusa “gajda”, diversi tipi di flauto “fyull” o la ciaramella “pipe”. Nelle campagne tutti i musicisti sono degli albanesi di “stirpe”, ma nelle città molti musicisti sono degli “ievgjit” , cioè zingari installati in Albania da molte generazioni. Il repertorio vocale o musicale rimane lo stesso, ma il modo si suonare cambia e l’interpretazione permette di riconoscere un musicista “albanese” da uno “ievgjit”. La musica rimane acustica nelle campagne, ma nelle città avanza la modernità con effetti  e strumenti amplificati elettricamente.

 Bibliografia: Patrick Lavaud, “La musica in Albania” dal n. 69 della rivista francese Trad Magazine, tradotto da Folk Bulletin.

 

ARMENIA

Già nel sesto secolo A.C. alcuni storici greci testimoniavano dell’importanza che la musica e la danza rivestivano nella vita delle popolazioni che abitavano le regioni che ora appartengono all’Armenia; tradizioni con influenze arabe, greche, macedoni, persiane, etc. Il geografo greco Strabo segnala poi nel primo secolo A.C. l’esistenza di cori e danze in feste religiose e pagane. A Erevan, capitale dell’Armenia è possibile consultare il Materaderana, una collezione di antichi manoscritti (dal 5° al 18° secolo), che contiene un patrimonio di canti religiosi e illustrazioni di musicisti con i loro strumenti musicali.

Nell’area geografica adiacente  all’ attuale Armenia, vi era l’impero Assiro, uno dei più vasti del mondo antico; oggi vi sono circa 100000 Assiri, dei quali circa 60000 vivono vicino alla città di Rezayeh nelle montagne nord-occidentali dell’ Iran e del vicino Iraq. Questo popolo fu quasi sterminato, assieme al popolo Armeno, dai Turchi nel 1920. Molte migliaia di Assiri vivono oggi negli Stati Uniti dove sono arrivati a causa delle persecuzioni patite. Stesso destino anche per moltissimi Armeni che contano oltreoceano una popolazione molto numerosa, che ha saputo mantenere vive le sue tradizioni; infatti le danze armene che conosciamo provengono dalla comunità armena presente negli Stati Uniti.

Fonte: Associazione Terra di Danza, Reggio Emilia – www.terradidanza.it

AUSTRIA

 

BALCANI

Balcani  (monti), dal turco balkan, montagna, catena montuosa della Bulgaria, che ha dato il nome alla penisola balcanica. Si tratta di un sistema montuoso, che supera in più punti i 2.000 mt, disposto ad arco tra le gole del Danubio, dette “Porte di Ferro”, e il Mar Nero. A nord si riallaccia al sistema carpatico, da cui è geograficamente diviso dalle Porte di Ferro; costeggia poi i massicci cristallini della vecchia Serbia e della Macedonia settentrionale, quindi si piega in direzione ovest-est, separando la depressione pontica (a nord) dalla zona di sprofondamento comprendente il bacino di Sofia e la grande vallata della Maritza (a sud). Il turismo, in espansione, rappresenta un settore di vitale importanza per l'economia di tutti i paesi balcanici, per Grecia, ex Iugoslavia, Bulgaria e Turchia in particolare, e concorre a colmare il deficit della bilancia dei pagamenti, che viene in parte compensato anche dalle rimesse inviate dai lavoratori emigrati all'estero (Grecia, ex Iugoslavia).

La penisola balcanica fin dai tempi più antichi fu aperta alle invasioni provenienti da nord e da est che, divergendo, dal Danubio raggiunsero l'Asia Minore, la Grecia o l'Italia, lasciando nei vari territori, a testimonianza del loro passaggio, diversi raggruppamenti umani, ciò che spiega la differenza etnica dei popoli del sud-est europeo e la grande ricchezza e il fascino delle danze e delle musiche tradizionali provenienti dai Balcani. La lunga lotta contro le invasioni ha portato i Paesi in esame a sviluppare un senso di fierezza ed unione sociale. Se in ogni Paese troviamo il tema dell’amore, quello dell’orgoglio nazionale è presente in numerose danze.Anche le influenze religiose sono state molto forti, mentre nel nord della penisola balcanica alcune danze sono legate al calendario cristiano, l’Islam ha fortemente caratterizzato stili e melodie, lasciando ancora qualche elemento pagano nelle piccole comunità. Alcune danze provengono dalle antiche corporazioni, la danza dei sarti Makazice, la danza dei macellai Hasapiko, quella dei calzolai Opankarsko Kolo, altre prendono nome dal luogo di origine, Zajecarka (città della Serbia), o dalla disposizione dei ballerini Sestorka (in sei).

Oggi come nel passato il patrimonio culturale dei Balcani non rispecchia i confini amministrativi e di conseguenza danze e musiche si trovano a migrare. L’elemento unificante può essere riscontrato nella struttura di danza in cerchio, elemento magico considerato impenetrabile dalle forze diaboliche. Altro elemento comune è il contrasto fra lo stile “modesto” delle donne, tradizionalmente più raccolto e con gli occhi bassi,  e l’esplosione di energia degli uomini, esuberanti e dinamici, guidati da un capofila che dimostra la propria bravura con salti e giri. Il carattere comunitario delle danze si esprime  attraverso il legame fra i danzatori, spesso per mano o per la cintura dei vicini, anche se esistono numerose danze in coppia, più recenti. Per quanto riguarda la musica, caratteristici sono il ritmo, spesso dispari, e il tempo, che da lento si vivacizza verso la fine. La successione dei passi non sempre combacia con quella melodica.

Bibliografia: Suoni e Danze dai Balcani, di E. Perlini e D. Zambelli, Ed. Melamusic, note tecniche e storiche di Silvio Lorenzato.

 “Eppure i Balcani sono sostanzialmente diversi dall’Europa, di cui sono una regione: sono il suo rimosso, il suo inconscio, il suo specchio e, in un certo senso, la sua interiorità e la sua verità”.                 Rada Ivekovic

 

BELGIO

In maniera simile alla lingua, che a volte assomiglia all’inglese e altre al tedesco, anche il patrimonio coreutico dei Paesi Bassi si colloca a metà strada tra la Gran Bretagna e la Germania. Infatti la maggior parte delle danze tradizionali che si ballano o si ballavano nei Paesi Bassi sono relazionate o hanno le proprie radici in questi paesi. Simile a quella inglese è di fatto la storia delle danze tradizionali in Olanda: il fatto che la precoce industrializzazione del paese da una parte, e l’ostilità della chiesa calvinista dall’altra, stessero gradualmente portando alla dissoluzione del repertorio coreutico tradizionale, di cui già all’inizio del XX secolo non rimaneva più molto, spinse, soprattutto a partire dagli anni ’20 del secolo passato, alcuni ricercatori a raccogliere e studiare ciò che ancora rimaneva delle tradizioni coreutiche del loro Paese. E ancora simile a quella inglese è la situazione attuale delle danze olandesi, nel senso che di fianco alle danze “recuperate” dai ricercatori, vengono ballate danze “ricostruite” o addirittura inventate utilizzando i passi tradizionali e le coreografie conosciute. Una parte delle danze tradizionali olandesi proviene infatti dalle contraddanze inglesi, soprattutto da quelle a schiera o in quadrato. Dall’area tedesca provengono invece danze di solito ballate a coppie in cerchio.

Le zone del Paese dove queste danze sono sopravissute più a lungo sono, come si può immaginare, quelle più povere e isolate, come la Frisia e le isole frisoni nel nord, su una delle quali, Terschelling, si trovano le uniche danze tradizionali ancora vive che oggigiorno vengono accompagnate dalla fisarmonica. Qui si ballano numerose danze di coppia a schiera e soprattutto in cerchio, bipartite , che utilizzano passi vari tra cui prevalgono quelli saltellati, di galoppo, di scottish, di polca e di valzer.

 Bibliografia: “Le danze tradizionali olandesi” di Paolo Coluzzi, Folk Bulletin

 

BULGARIA

Il carattere sociale della danza bulgara si esprime durante le festività paesane. Gli horo, danze in cerchio, sono i più popolari. Lo stile bulgaro ispira “rispetto e dignità”, perfino durante i ritmi più complessi e frenetici. Generalmente la parte superiore del corpo è ferma, le mani afferrano la cintura del vicino, mentre sono i piedi a muoversi rapidamente. Vi è una grandissima varietà di passi, tanto è vero che ciascun movimento possiede un proprio nome, così come il titolo della danza ne descrive il suo carattere. Lo stile degli horo cambia secondo le regioni, e nel corso degli anni ha subito un inevitabile adeguamento seguendo i gusti del pubblico. Nel sud-ovest i passi sono piccoli e rapidi; nel nord le danze si presentano libere e più allegre. Se in Tracia sono solenni e accompagnate da battute dei piedi a terra, nelle Dobrugia i movimenti risultano vivaci, ricchi di emozione, e il ballerino si accompagna muovendo tutto il corpo, mantenendo le ginocchia piegate. Numerose sono le danze rituali, le più antiche si ricollegano alla natura enfatizzando l’elemento magico; altre si rifanno ai rituali sociali, come il matrimonio. In diverse regioni le danze sono accompagnate dal canto diafonico (a più voci, anche dissonanti). Tipici sono gli strumenti musicali: gaida (cornamusa), gadulka e gusla (una specie di mandolino), e percussioni di varia misura e timbro. Le orchestre moderne presentano anche fisarmoniche, clarinetti e violini, mentre nei villaggi le feste sono accompagnate da bande militari. Il tempo più diffuso è il 2/4, ma i Bulgari sono famosi per i loro tempi dispari (5/16,716, 9/16,11/16). Ritmo di danza fra le più conosciute in Bulgaria è la Racenica. È eseguita in tutti i tipi di formazione: a solo, a coppie (Po dwojka), a trii (Po trojka), in linea (Na part), o in cerchio (Na horo). Ancor oggi è ballata in tutte le regioni etnografiche bulgare, ognuna delle quali presenta un proprio stile locale e regionale caratteristico. La forma più antica di Racenica è l’esibizione individuale e l’improvvisazione. Molte danze bulgare non sono accompagnate da strumenti musicali, ma da cori di voci femminili; le famose Voci bulgare. La Bulgaria ha sofferto secoli di isolamento dai contatti con altre culture, ufficiali o popolari che esse fossero. Ha sviluppato così al suo interno un canto unico, magico, basato su intervalli di seconda invece che su quelli di terza che caratterizzano il nostro canto popolare. Tecnicamente si chiama “registro di maschera”, la voce naturale, quella di petto,  viene trascinata verso l’acuto; ma è troppo acuta per risuonare interamente nel petto, e pertanto risuona anche nella maschera facciale, più o meno all’altezza degli zigomi, aiutata dal sostegno dei muscoli addominali. In termini semplicistici si tratta di un grido: un registro potente e chiaro, squillante, pieno di armonici, che mantiene le caratteristiche individuali della voce. Ma non basta, queste voci lanciate prepotentemente in avanti intrecciano melodie ed armonie che sfidano ogni regola accademica. Micidiali dissonanze si incontrano e creano tessiture che, secondo ogni logica, dovrebbero risultare sgradevoli e dure per l’orecchio; ma il mistero (o forse il miracolo) delle Voci Bulgare sta nel fatto che dopo pochi minuti queste dissonanze durissime si trasformino in consonanze a cui il nostro orecchio si apre, ricercandole avidamente. Un canto, dunque, che suona straniero ma anche misteriosamente vicino alle corde del nostro sentire più intimo, perché esprime senza mediazioni il dolore e la gioia di un popolo; sentimenti universali che la frenesia dei nostri tempi non è riuscita del tutto a reprimere.

Fonti: Associazione Terra di Danza, Reggio Emilia,
E. Perlini e Davide Zambelli “Danze e suoni dei Balcani” Ed. Mela Music, 2004

                      e, per la parte dedicata alle Voci Bulgare,
Marco Olivotto

 

CANADA

 

CENTRO-SUD AMERICA

 

CINA

 

CROAZIA

Il repertorio coreutico  presenta molte caratteristiche comuni ai tre Stati, ma anche alcune diversità; in Croazia si nota l’influenza austriaca e mediterranea, mentre Serbia e Macedonia hanno molto assorbito della tradizione rumena,  bulgara e greca. Rimangono comuni parecchi strumenti tradizionali quali la tamburitza (un piccolo mandolino), la lira, la dvojnica, doppi flauti, antiche e rustiche versioni di oboe e violino, la zurla, e alcune percussioni di origine turca. Comuni anche molti movimenti; i passi piccoli e le battute di piedi tipici delle zone montagnose, salti e saltelli caratteristici delle popolazioni dei monti dedite alla pastorizia. Molto diffuse sono le danze in cerchio; il famoso Kolo (ruota), da cui prendono il nome numerose danze slave, è direttamente derivato dalla Carola medioevale. La Yugoslavia si presentava nel 1945 formata da 6 Repubbliche, 11 etnie, 3 lingue,4 religioni e 2 alfabeti. Questa ricchezza spiega la gran varietà di stili e costumi, anche se troviamo una danza diffusa su tutto il territorio, il Kolo (ruota) che, nato tra le montagne, diviene presto danza nazionale. Con gli stessi termini, Kolo in Serbia e Oro in Macedonia, si indicano i momenti di festa  come pure le danze. La Croazia possiede un repertorio unico e spettacolare, composto di danze con le spade (la Moresca dal carattere magico), le danze “tremolanti” e antichi balli isolani e Kolo nei quali solitamente uomini e donne ballano alternati. Le danze in coppia sono oggigiorno assai popolari. In Serbia la forma di danza prevalente è il Kolo. Tipico del territorio slavo, il Kolo è vivacità e rapidità. La cultura Serba presenta numerosi tratti turchi, in particolare nelle danze cittadine. In Macedonia, che raccoglie diverse popolazioni fra Macedoni, Greci, Bulgari e Albanesi, le danze Oro e Lesno sono le danze più diffuse e i loro ritmi, associati alle melodie di carattere turco-arabo, donano alla regione un repertorio ricco e vario. L’armonia fra i ballerini è un elemento fondamentale, anche se la separazione fra uomini e donne continua ad essere rispettata. Molto apprezzate sono le danze greche.

 Bibliografia: Suoni e Danze dai Balcani, di E. Perlini e D. Zambelli, Ed. Melamusic, note tecniche e storiche di Silvio Lorenzato.

FINDHORN

La Fondazione Findhorn è un’istituzione senza scopo di lucro e fa parte di una comunità spirituale internazionale costituita da circa 400 persone, situata vicino alla baia di Findhorn nel Nord della Scozia. Fu fondata nel 1962 da Peter, Eileen Caddy e Dorothy Maclean e divenne immediatamente famosa per il suo lavoro con le piante ed i regni della natura. Ora la Fondazione Findhorn e un centro di educazione spirituale ed olistica, che lavora attivamente in collaborazione con le altre organizzazioni ed individui che formano la comunità. Per ulteriori informazioni visitate le pagine italiane del sito internet della Comunità: http://www.findhorn.org/events/exspirit/foreign/italian_new.php

FINLANDIA

 

FRANCIA

Riassumere in poche righe una situazione coreutica come quella francese non è un compito facile, anche perché ci trova di fronte ad un repertorio ricchissimo e variegato dovuto al gran interesse che questo popolo mostra nei riguardi del ballo popolare e delle tradizioni in genere.

La Francia presenta, nelle sue regioni, una gran diversità di espressioni vocali, musicali e coreutiche. In Francia il patrimonio di danze tradizionali è fra i più ricchi del mondo ed è tuttora molto vitale, in particolar modo in alcune zone: in Bretagna dove vi  è ancora un ricco repertorio di chants à danser, in Alsazia con infinite variazioni dei branle rinascimentali, nell’Auvergne e nel Berry con le famosissime bourrè, ecc.  In tutte le regioni francesi è comunque presente il canto, mentre gli strumenti musicali usati variano da una zona all’altra: la cornamusa nelle sue infinite varianti è presente in tutto il Paese, così come l’accordéon diatonique (organetto diatonico), la vielle à roue (ghironda) si trova nel Berry, Morvan, Nivernais, Boubonnais, Auvergne, Limousin, Dauphiné, e in Bretagna dove è anche presente l’arpa celtica, ogni regione dispone anche di una gran varietà di flauti e pifferi .

Francia e Spagna sono unite dal fatto di avere nella danza tradizionale uno dei tratti principali della loro identità, o meglio, delle loro molte identità; due Paesi che, nonostante la rapida modernizzazione degli ultimi 40 anni, continuano a dare un grosso valore a questo mezzo di espressione sociale e personale così importante e coinvolgente.

 

GERMANIA

 

GIAPPONE

 

GRAN BRETAGNA

L’ Inghilterra ha conservato pochissime tradizioni coreutiche “vive”, cioè senza soluzione di continuità col passato. Essere stato il paese dove è avvenuta la rivoluzione industriale a partire dalla fine del 18° secolo, se da una parte ha portato all’ Inghilterra ricchezza e un impero coloniale fra i più vasti della storia, dall’altra ha comportato enormi problemi sociali e la prematura scomparsa di quel patrimonio tradizionale di cui era ricchissima. Solo grazie all’opera di alcuni studiosi, tra i quali Cecil Sharp, all’inizio del 20° secolo fu svolto un lavoro di ricerca e di raccolta comprendente un buon numero di danze tradizionali che ci permette di classificare queste ultime in tre grandi categorie:
a)
Danze rituali (morris dances, sword dances, etc.) , b) Danze sociali (country dances),
c)
Danze d’esibizione (step dances). Le danze rituali sono soprattutto quelle la cui esecuzione comporta l’uso di bastoni o fazzoletti (morris dances) o di spade (sword dances). Le occasioni in cui queste danze venivano ballate erano tutte collegate con le feste del ciclo primaverile (da Natale fino alle feste del Maggio e a Pentecoste). Anche se un certo numero di danze “continentali”, soprattutto polche, valzer, quadriglie, schottiche e lancers furono introdotte nel 19° secolo, le danze sociali che il popolo preferiva ballare, e si ballano ancor oggi in ambito di riproposta, sono le country dances, versioni popolari di quelle tanto in voga nelle classi alte dal rinascimento in poi. Le step dances erano danze a solo con le quali un ballerino poteva mostrare la sua abilità improvvisando su determinati moduli che comportavano di battere dei piedi a terra.

Al giorno d’oggi la danza popolare in Inghilterra gode comunque di una buona popolarità grazie al forte revival iniziato già dall’inizio del 20° secolo: esistono ora centinaia di gruppi in tutto il paese che si dedicano ai vari tipi di danza, e praticamente dappertutto e in qualsiasi momento dell’anno è facile trovare una barn dance, ossia una serata danzante in cui un gruppo musicale esegue dal vivo un certo numero di country dances mentre un caller, un corifeo, spiega le danze, in modo che anche chi non le conosce le possa ballare, e chiama le varie figure immediatamente prima che compaiano nella danza.

Bibliografia: “Le danze tradizionali inglesi” di Paolo Coluzzi, Folk Bulletin

 

GRECIA

Che i Greci danzassero nel passato non può essere negato. Sono arrivati fino a noi numerosi riferimenti alla danza, per esempio nei lavori di Omero, Platone e Socrate, come anche nel teatro antico, dove troviamo in alcuni casi perfino i nomi delle danze. Diverse danze sono inoltre rappresentate in una gran quantità di pitture vasali.

Ipotizzare tuttavia che le danze greche di oggi sono le stesse di quelle antiche sarebbe fallace, d’altro canto asserire che non vi sono connessioni sarebbe ugualmente inesatto. Certamente molte occasioni per danzare sono rimaste le stesse: matrimoni, festività religiose e civili. Ugualmente troviamo anche danze solo per uomini e solo per donne. Assai spesso una canzone che accompagna la danza descrive un avvenimento locale o un evento storico, e questo vale per tutte le regioni della Grecia. Come si trovano danze e occasioni per danzare che hanno generalmente lo scopo di assicurare fertilità o abbondanza di raccolto. Per i Greci è importante la continuità della danza come attività religiosa e sociale dall’antichità al presente.

Ciascuna regione della Grecia possiede un locale repertorio di “movimenti-parole-musica” che, nato e costituitosi sulle necessità naturali e gli eventi storici dei luoghi, disegna il volto di una terra in cui si incontrano i Balcani, l’Oriente e l’Occidente.

In questo repertorio tradizionale, espressione di quella cultura popolare che, affondando le sue radici nel periodo bizantino, si sviluppa durante i secoli della dominazione ottomana (1453-1821) venendo gradualmente soppiantata, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, da forme espressive ed artistiche che meglio si adattavano alla nascente società urbana, si può cogliere una certa autonomia coreutica-musicale delle singole regioni, ed ancora entro queste una varietà di danze e di musiche che ci permette di parlare di “dialetti” entro la peculiare fisionomia di ogni zona.

Rimane comunque il fatto che tutte le diversità sono contenute nell’unità dello “stile greco” che distingue il territorio nazionale dal resto dei Balcani. Così come si deve tener conto dell’apporto di quei greci, come gli abitanti del Ponto (coste del Mar Nero), della Romelia orientale (Tracia del nord) e dell’Asia Minore che, rimasti fuori dei confini nazionali al momento della nascita (1832) e durante il periodo della formazione (conclusasi nel primo dopoguerra) dello Stato greco moderno, sono tornati profughi in patria fornendo un pingue apporto alla ricchezza culturale neo ellenica e rendendo ancora più complessa la definizione di schemi e confini entro la tradizione coreutico–musicale greca.

  Bibliografia: “Musiche e danze dalla Grecia” di Yvonne Gorrara e Takis  Kunelis, Folk Bulletin

 “Dance News”, numero 1 - Estate 1998 -

 

IRAN

Nell’area geografica adiacente  all’ attuale Armenia, vi era l’impero Assiro, uno dei più vasti del mondo antico; oggi vi sono circa 100000 Assiri, dei quali circa 60000 vivono vicino alla città di Rezayeh nelle montagne nord-occidentali dell’ Iran e del vicino Iraq. Questo popolo fu quasi sterminato, assieme al popolo Armeno, dai Turchi nel 1920. Molte migliaia di Assiri vivono oggi negli Stati Uniti dove sono arrivati a causa delle persecuzioni patite. Stesso destino anche per moltissimi Armeni che contano oltreoceano una popolazione molto numerosa, che ha saputo mantenere vive le sue tradizioni; infatti le danze armene che conosciamo provengono dalla comunità armena presente negli Stati Uniti.

 

IRLANDA 

ISRAELE

Non è facile ricostruire la  danza ebraica dei  tempi antichi. Non esistono in effetti notazioni di danze a causa del III comandamento ( Deuteronomio 5,7 ) che proibisce al popolo ebraico di fare immagini e rappresentazioni di qualsiasi genere (le quali peraltro, costituiscono in genere la sola documentazione disponibile per la conoscenza delle danze nel mondo antico).

Le fonti bibliche descrivono le danze soprattutto come eventi che accompagnavano le solennità: le feste della natura (raccolto, vendemmia, ecc.), le celebrazioni di vittoria sul nemico, le danze ‘sacre” legate alle cerimonie di culto e di preghiera, le danze di divertimento nei giorni non festivi, gli avvenimenti importanti della vita umana (nascita, circoncisione, fidanzamento, nozze, morte, ecc.). Il popolo ebraico, come tutti i popoli antichi, amava la danza che faceva parte del culto e della vita quotidiana.

La storia moderna della danza ebraica inizia negli anni del ritorno in Palestina, durante la seconda guerra mondiale, di migliaia di ebrei che fuggivano dall’ Europa, e successivamente  al 1948, di tantissimi ebrei originari dei Paesi Arabi; una moltitudine di  comunità e un’abbondanza di tesori culturali che si integreranno poco a poco nel patrimonio delle danze popolari israeliane. Ogni gruppo di immigranti porta con sé le danze del proprio paese d’origine, come la Hora rumena che diventerà la danza tipica dei pionieri (grazie al cerchio egualitario che essa crea), la Polka e la Krakoviak polacche, in Kasatchock russo, le danze curde, yemenite, armene, ecc.

 Fonte: Associazione Terra di Danza di Reggio Emilia

Danze Chassidiche

Klezmer, letteralmente: “strumento che canta”, è il termine con cui si designa genericamente la musica popolare degli Ebrei dell’Europa orientale conservata ed elaborata a partire dal Seicento. È una musica che si caratterizza per l’utilizzo di particolari e numerosi strumenti, che spaziano tra quelli ad arco, a fiato, a corda e comprendono anche il pianoforte, la fisarmonica, la batteria e strumenti a percussione; è una musica legata a una particolare lingua, lo jiddish, che nasce da una commistione fra l’ebraico e il dialetto tedesco con influenze slave; è una musica che accompagna il sorgere del movimento chassidico e il rinnovamento religioso promosso dai sui famosi e santi maestri. Le sue radici affondano nel repertorio religioso del canto sinagogale delle comunità dell’ Est europeo, il suo sviluppo parte dalle terre polacche, attraversa la Lituania e la Russia per poi giungere negli Stati Uniti dove, nell’incontro con il jazz, dà origine a una originale combinazione di sonorità ebraiche e ritmiche afroamericane.

 In Europa nell’ultimo ventennio del Novecento la riscoperta della musica klezmer ha registrato un revival dai toni e dalle sfumature diverse; tutto ciò si misura inoltre con la nascita dello Stato di Israele che vede in questa musica una difficile eredità, in quanto segno di una cultura diasporica legata a una memoria scomoda. In ogni caso, tutti questi elementi: gli strumenti, la lingua, le forme del Klezmer, ma anche il teatro yiddish, la letteratura, il movimento chassidico da cui il medesimo trae continuamente ispirazione, restituiscono, attraverso la musica, una fitta trama di riferimenti importantissima per la cultura ebraica e, in particolare, per la comprensione delle danze popolari che utilizzano la musica Klezmer come supporto.

Bibliografia: Associazione Terra di Danza di Reggio Emilia

 

ITALIA

Fino agli anni 50 la danza popolare in Italia era molto diffusa in tutte le regioni, si riscontravano danze magiche, danze armate, processionali e altre, da ballare in ricorrenze pubbliche, civiche e religiose, in festività familiari e feste campestri. L’accompagnamento musicale veniva fatto per lo più con la fisarmonica, con piffero e zampogna, con flauto e tamburo, con violino rustico e tamburi a sonagli, ed in Calabria con chitarra battente, in Sardegna con le launeddas e nel Friuli col lirion, il flauto e il violino. Spesso la danza veniva eseguita con accompagnamento di canto e particolarmente i balli in tondo, tra i quali il Trescone in Romagna, il su duru duru in Sardegna, la Vala degli Albanesi in Calabria. La forma di danza più diffusa era quella in cerchio che si può considerare la più primitiva e semplice; si ricollegava ai riti magici e si eseguiva in particolar modo per i “maggi”, attorno ai fuochi di “calendimarzo” e di San Giovanni, ai falò dell’Epifania in Friuli ed a Napoli per i fuochi di S. Antonio.

Altre danze molto diffuse erano la Tarantella nell’ Italia Meridionale, il Saltarello nell’ Italia Centrale e il Trescone, il Ruggero, il Bergamasco, la Manfrina, la Giga, la Monferrina, la Furlana, la Vinca 
e la Resiana nell’ Italia Settentrionale.

Ai nostri giorni la danza popolare italiana spontanea, non quella dei gruppi folcloristici, presenti ormai in tutte le regioni, ma che propongono spesso danze popolari ricostruite solamente in funzione spettacolare, si trova ancora in alcune zone del nord; ad esempio nelle Valli Occitane  del Piemonte, nella Val Resia in Friuli, sull’ Appennino tosco-emiliano ed anche nella Val dei Mocheni in Trentino. 
Al Centro - Sud la situazione è decisamente migliore in quanto riscontriamo la presenza di tradizioni 
ancora vive in moltissime località.

Le cause della sparizione di molte tradizioni popolari sono molteplici: l’industrializzazione, l’emigrazione di massa, le trasformazioni sociali e culturali che non hanno più spinto gli anziani a perpetuare quelle forme espressive di cui essi erano stati testimoni, così che in molte zone d’ Italia le popolazioni giovanili non hanno avuto più da tempo quei modelli ricorrenti dai quali apprendere una tradizione. La rincorsa al nuovo e la filosofia del consumo, stimolate dai media, hanno sottratto quelle motivazioni esistenziali necessarie a far sopravvivere espressioni culturali della tradizione perduranti da tempo; così anche l’uso di canti, musiche e balli tradizionali viene connotato di “vecchio” e di “passato” , e non risponde ai bisogni indotti dell’industria culturale di una società che crea continuamente nuovi modelli di riferimento.

Bibliografia: Pratella Francesco, Le arti e le tradizioni popolari in Italia, Udine 1941
Bragaglia Anton Giulio, Danze popolari italiane, Roma 1950
Gala Giuseppe Michele, I Quaderni dell’Associazione Taranta di Firenze,
www.taranta.it

 

LETTONIA

 

LITUANIA

MACEDONIA

Il repertorio coreutico  presenta molte caratteristiche comuni ai tre Stati, ma anche alcune diversità; in Croazia si nota l’influenza austriaca e mediterranea, mentre Serbia e Macedonia hanno molto assorbito della tradizione rumena,  bulgara e greca. Rimangono comuni parecchi strumenti tradizionali quali la tamburitza (un piccolo mandolino), la lira, la dvojnica, doppi flauti, antiche e rustiche versioni di oboe e violino, la zurla, e alcune percussioni di origine turca. Comuni anche molti movimenti; i passi piccoli e le battute di piedi tipici delle zone montagnose, salti e saltelli caratteristici delle popolazioni dei monti dedite alla pastorizia. Molto diffuse sono le danze in cerchio; il famoso Kolo (ruota), da cui prendono il nome numerose danze slave, è direttamente derivato dalla Carola medioevale. La Yugoslavia si presentava nel 1945 formata da 6 Repubbliche, 11 etnie, 3 lingue,4 religioni e 2 alfabeti. Questa ricchezza spiega la gran varietà di stili e costumi, anche se troviamo una danza diffusa su tutto il territorio, il Kolo (ruota) che, nato tra le montagne, diviene presto danza nazionale. Con gli stessi termini, Kolo in Serbia e Oro in Macedonia, si indicano i momenti di festa  come pure le danze. La Croazia possiede un repertorio unico e spettacolare, composto di danze con le spade (la Moresca dal carattere magico), le danze “tremolanti” e antichi balli isolani e Kolo nei quali solitamente uomini e donne ballano alternati. Le danze in coppia sono oggigiorno assai popolari. In Serbia la forma di danza prevalente è il Kolo. Tipico del territorio slavo, il Kolo è vivacità e rapidità. La cultura Serba presenta numerosi tratti turchi, in particolare nelle danze cittadine. In Macedonia, che raccoglie diverse popolazioni fra Macedoni, Greci, Bulgari e Albanesi, le danze Oro e Lesno sono le danze più diffuse e i loro ritmi, associati alle melodie di carattere turco-arabo, donano alla regione un repertorio ricco e vario. L’armonia fra i ballerini è un elemento fondamentale, anche se la separazione fra uomini e donne continua ad essere rispettata. Molto apprezzate sono le danze greche.

 Bibliografia: Suoni e Danze dai Balcani, di E. Perlini e D. Zambelli, Ed. Melamusic, note tecniche e storiche di Silvio Lorenzato.

OLANDA

In maniera simile alla lingua, che a volte assomiglia all’inglese e altre al tedesco, anche il patrimonio coreutico dei Paesi Bassi si colloca a metà strada tra la Gran Bretagna e la Germania. Infatti la maggior parte delle danze tradizionali che si ballano o si ballavano nei Paesi Bassi sono relazionate o hanno le proprie radici in questi paesi. Simile a quella inglese è di fatto la storia delle danze tradizionali in Olanda: il fatto che la precoce industrializzazione del paese da una parte, e l’ostilità della chiesa calvinista dall’altra, stessero gradualmente portando alla dissoluzione del repertorio coreutico tradizionale, di cui già all’inizio del XX secolo non rimaneva più molto, spinse, soprattutto a partire dagli anni ’20 del secolo passato, alcuni ricercatori a raccogliere e studiare ciò che ancora rimaneva delle tradizioni coreutiche del loro Paese. E ancora simile a quella inglese è la situazione attuale delle danze olandesi, nel senso che di fianco alle danze “recuperate” dai ricercatori, vengono ballate danze “ricostruite” o addirittura inventate utilizzando i passi tradizionali e le coreografie conosciute. Una parte delle danze tradizionali olandesi proviene infatti dalle contraddanze inglesi, soprattutto da quelle a schiera o in quadrato. Dall’area tedesca provengono invece danze di solito ballate a coppie in cerchio.

Le zone del Paese dove queste danze sono sopravissute più a lungo sono, come si può immaginare, quelle più povere e isolate, come la Frisia e le isole frisoni nel nord, su una delle quali, Terschelling, si trovano le uniche danze tradizionali ancora vive che oggigiorno vengono accompagnate dalla fisarmonica. Qui si ballano numerose danze di coppia a schiera e soprattutto in cerchio, bipartite , che utilizzano passi vari tra cui prevalgono quelli saltellati, di galoppo, di scottish, di polca e di valzer.

 Bibliografia: “Le danze tradizionali olandesi” di Paolo Coluzzi, Folk Bulletin  

PALESTINA

La danza popolare palestinese non è molto conosciuta, fondamentalmente per due motivi: il repertorio delle danze del mondo arabo, in genere molto ricco e vario, è solo di rado stato codificato e trasmesso all’esterno attraverso maestri con corsi, stage ecc. anche per la natura delle danze che si affidano spesso all’improvvisazione e alla creatività dei danzatori, secondo motivo è che, la pratica delle danze popolari, ma anche di tante altre espressioni artistiche del popolo palestinese, risulta schiacciata dalla disperata situazione che questo popolo sta vivendo. L’ unica danza originale palestinese che la nostra Associazione conosce, ci è stata insegnata nel 1994 dalla moglie dell’allora sindaco palestinese di Betlemme, presente a Rovereto per i corsi dell’ Università dei Popoli per la Pace. Un tipo di danza molto diffusa in Palestina, ma anche in Libano, Siria, Giordania ed Iraq, è la Dabka, nome che deriva dal verbo arabo “yadbok” che significa “battere i piedi per terra”. La Dabka è nata come danza maschile; le donne inizialmente partecipavano battendo le mani, successivamente vennero inserite anche loro nella danza. La danza è condotta da un “leader” che, seguendo il ritmo della musica, stabilisce i passi e le varie parti della danza. Si parte da una base camminata e poi si effettuano movimenti che possono essere di tipo “askar” (militari), oppure “karja” (camminata del fagiano); quindi si passa a fasi di accelerazione che si chiamano “khasa” (piegare la gambe), “sciaba” (intreccio di braccia) e “gazla” (trottola).

Bibliografia: “Dance News”, 2003

 

PORTOGALLO

 

REPUBBLICA CECA

 

ROMANIA

 La Romania dispone di un patrimonio culturale ricchissimo. Le danze si sviluppano in cerchio o in semicerchio, raramente troviamo danze per solisti. I ballerini si tengono per mano (hora), per la cintura (briul), o con le mani sulle spalle (sirba). Esistono anche danze di coppia (invertita), più recenti. Il ritmo prevalente è quello binario, anche se nel sud sono presenti ritmi “bulgari”, in tempo dispari. In Oltenia molte danze riportano nomi di piante (Alunelul), animali (Vulpiuta), nomi femminili o di oggetti quotidiani. Nella Dobrogea il ritmo aksak (sincopato) è assai comune. Le danze in Moldavia e Bucovina sono vivaci e con piccoli passi. Le danze di coppia presentano influenze polacche e ucraine; quelle maschili mantengono ancora vivo il rituale del reclutamento e del solstizio invernale. Nel territorio romeno è da segnalare la presenza di due importanti etnie: quella magiara e quella zingara. In Transilvania alcuni villaggi hanno custodito la cultura ungherese, e quindi conservato musiche e danze. Particolarmente interessanti sono i rapporti fra romeni e zingari; la musica di questi ultimi, dalle radici turco-arabe, ha ottenuto ampia diffusione in Romania fin dal Medioevo. La hora è considerata la forma più tipica di tutte le danze rumene. Risale al tempo in cui la gente che viveva nelle valli del Danubio e sulle montagne dei Carpazi, venne in contatto con la cultura greca. La hora possiede molte varianti di passi e di melodie ed è danzata in tutte le occasioni che segnano la vita sociale della popolazione; quando un ragazzo si inserisce nella hora manifesta il passaggio alla maturità, mentre per le ragazze è il momento che segna l’età del matrimonio. Ci sono hora per uomini, per donne e per entrambi i sessi; esse sono danzate ai funerali, ai matrimoni, alle feste per il raccolto; ogni periodo di lutto termina con il reinserimento nella hora. Tuttavia, se qualcuno del villaggio è stato infedele, ha rotto un fidanzamento o è stato in prigione e tenta di inserirsi in una hora, i danzatori si fermano finché il colpevole non si ritira. I danzatori possono ballare la hora tutto il giorno, di solito iniziano i giovani e pian piano il cerchio si allarga inserendo persone di diversa età. C’è un detto rumeno che recita: ”La vita è breve ma la danza è lunga ”.

Fonti: Associazione Terra di Danza, Reggio Emilia,
E. Perlini e Davide Zambelli “Danze e suoni dei Balcani” Ed. Mela Music, 2004

RUSSIA

Le popolazioni slave dell’est che vivevano in Russia prima del Cristianesimo avevano una società matriarcale; questo é il motivo per cui le danze circolari, nel nord, sono danzate esclusivamente da donne, mentre al centro le danze, a cui partecipano anche gli uomini, vengono guidate dalle donne.

La danza in cerchio femminile si chiama Khorovod, dal greco Horo (danza) e Vod (guidare).

Queste danze hanno l’origine nel cerimoniale rituale pagano e ancora oggi si ritrovano in Russia e Ucraina danze che provengono da tale rituale.

Quando nel IX secolo il Cristianesimo arrivò in questi Paesi la Chiesa cercò di eliminare completamente i riti pagani, ma non ci riuscì.

Al tempo di Pietro il Grande la Russia entrò in contatto con la cultura occidentale europea. Pietro si accorse che il paese era arretrato e volle dare un impulso di rinnovamento accogliendo la cultura occidentale; venivano ballate a corte le danze popolari russe, ma vennero introdotte danze occidentali come il minuetto ecc. I maestri di danze furono invitati nelle città più importanti per insegnare le danze europee e, gradualmente, elementi di queste danze, quali la polka,il valzer, ecc., si mischiarono alle danze popolari russe.

Dopo il XIX secolo ci fu un abbandono delle campagne da parte dei contadini per recarsi a lavorare in città, così impararono le danze occidentali che poi riportarono nei villaggi a mischiarsi con le danze originali.

Nel periodo del Comunismo tutto ciò che riguardava il popolo era visto con un occhio di riguardo; le danze popolari erano un valore positivo ma bisognava cambiare qualcosa; nacquero così le grandi compagnie di spettacolo con gli uomini che eseguivano acrobazie e le donne che scivolavano sul pavimento in modo molto elegante. Ma questa non era la vera danza popolare ma quella che chiamavano danza popolare sovietica.

I musicologi che si occupavano di andare a ricercare nei villaggi le radici delle danze, si trovarono in grandissime difficoltà perché il regime sovietico non gradiva che venisse fatto tale lavoro. Rimangono comunque, in Russia e Ucraina, delle località dove queste tradizioni popolari sono rimaste vive e fanno parte della vita quotidiana.

Fonte: Associazione Terra di Danza di Reggio Emilia

 

SERBIA

Il repertorio coreutico  presenta molte caratteristiche comuni ai tre Stati, ma anche alcune diversità; in Croazia si nota l’influenza austriaca e mediterranea, mentre Serbia e Macedonia hanno molto assorbito della tradizione rumena,  bulgara e greca. Rimangono comuni parecchi strumenti tradizionali quali la tamburitza (un piccolo mandolino), la lira, la dvojnica, doppi flauti, antiche e rustiche versioni di oboe e violino, la zurla, e alcune percussioni di origine turca. Comuni anche molti movimenti; i passi piccoli e le battute di piedi tipici delle zone montagnose, salti e saltelli caratteristici delle popolazioni dei monti dedite alla pastorizia. Molto diffuse sono le danze in cerchio; il famoso Kolo (ruota), da cui prendono il nome numerose danze slave, è direttamente derivato dalla Carola medioevale. La Yugoslavia si presentava nel 1945 formata da 6 Repubbliche, 11 etnie, 3 lingue,4 religioni e 2 alfabeti. Questa ricchezza spiega la gran varietà di stili e costumi, anche se troviamo una danza diffusa su tutto il territorio, il Kolo (ruota) che, nato tra le montagne, diviene presto danza nazionale. Con gli stessi termini, Kolo in Serbia e Oro in Macedonia, si indicano i momenti di festa  come pure le danze. La Croazia possiede un repertorio unico e spettacolare, composto di danze con le spade (la Moresca dal carattere magico), le danze “tremolanti” e antichi balli isolani e Kolo nei quali solitamente uomini e donne ballano alternati. Le danze in coppia sono oggigiorno assai popolari. In Serbia la forma di danza prevalente è il Kolo. Tipico del territorio slavo, il Kolo è vivacità e rapidità. La cultura Serba presenta numerosi tratti turchi, in particolare nelle danze cittadine. In Macedonia, che raccoglie diverse popolazioni fra Macedoni, Greci, Bulgari e Albanesi, le danze Oro e Lesno sono le danze più diffuse e i loro ritmi, associati alle melodie di carattere turco-arabo, donano alla regione un repertorio ricco e vario. L’armonia fra i ballerini è un elemento fondamentale, anche se la separazione fra uomini e donne continua ad essere rispettata. Molto apprezzate sono le danze greche.

 Bibliografia: Suoni e Danze dai Balcani, di E. Perlini e D. Zambelli, Ed. Melamusic, note tecniche e storiche di Silvio Lorenzato.

SLOVENIA

 

SPAGNA

Riassumere in poche righe una situazione coreutica come quella spagnola non è un compito facile, anche perché ci trova di fronte ad un repertorio ricchissimo e variegato dovuto al gran interesse che questo popolo mostra nei riguardi del ballo popolare e delle tradizioni in genere.

In Spagna esiste una relativa uniformità nelle denominazioni, nella struttura coreutica e nell’accompagnamento musicale di buona parte delle danze tradizionali, ciò è dovuto a ragioni storiche; la riconquista dei cristiani, nel 1492, di tutta la penisola dopo otto secoli di dominazione araba e l’aver  raggiunto l’unione del proprio territorio molto presto rispetto alla maggioranza dei paesi europei, ha reso la circolazione interna di tradizioni e mode più facile, profonda e uniforme. Per questo la maggior parte delle danze tradizionali spagnole di tipo sociale sono in coppia, normalmente suddivise in due parti, una di balletto durante la quale uomini e donne, posti uno di fronte all’altra, eseguono i passi peculiari della danza, e un’altra di incroci, durante la quale i ballerini si scambiano di posto. Molto diffuse sono però anche le danze in cerchio, soprattutto nel nord del Paese (particolarmente nei Paesi Baschi e in Catalogna). Nella maggioranza dei casi le danze sono in ritmo ternario e vengono accompagnate dal canto, a cui si aggiungono strumenti a corda come l’onnipresente chitarra, il laud (liuto spagnolo), la bandurria (liuto a dodici corde), e strumenti a percussione come il tamburello, l’almirez (un piccolo mortaio), il tamburo a frizione, ecc. In molte zone ancora molto utilizzati sono strumenti a fiato come la cornamusa (a nord), la ciaramella (centro-nord), il flautino che si suona con una sola mano che di solito viene accompagnato da un tamburo suonato con l’altra.  

Bibliografia: “Le danze tradizionali spagnole” di Paolo Coluzzi, Folk Bulletin

 

SURINAME

 

SVEZIA

TURCHIA

 

UNGHERIA

 

U. S. A.

MEDIOEVALI E RINASCIMENTALI

 Il quindicesimo è un secolo chiave all’interno della storia della danza, le radici delle forme coreutiche odierne vanno ricercate infatti nell’esperienza umanistica, maturata nel clima della corte del primo Rinascimento. Proprio di quest’epoca è il punto critico di un processo di trasformazione, in cui, dalla libera espressione del corpo tipica di alcune danze del Medioevo come la Farandola e la Carola, a cui partecipava la totalità del gruppo e che, nella semplice figura del cerchio che si apre e si chiude, circoscriveva un spazio rituale, si passa a un’arte raffinata ed elegante e codificata in forme ben precise. Vi è quindi un processo di adozione da parte della corte di balli di matrice tipicamente rurale, sebbene sublimati e occultati in nuove creazioni. In pratica dal 1400 in poi c’è stato un modo di ballare popolare e uno signorile, ma erano gli stessi balli per lo più nati dal popolo ed elevati al grado di danze di corte dopo revisione del loro spirito e modifiche nei tempi. In tanti casi i balli sono anche scesi dai saloni  nelle strade.

Qualcosa di analogo accadde anche in Inghilterra sotto il regno di Elisabetta I, quando a corte vennero introdotte le cosiddette English Country Dances provenienti dal contado. La nuova destinazione cortigiana di queste danze fu sancita definitivamente nel 1651 con la pubblicazione del trattato The English Dancing Master, in cui John Playford raccolse la maggior parte di esse.

 Bibliografia: A. Pontremoli e P. La Rocca, Il ballare lombardo, Ed. Vita e Pensiero, Milano, 1987

Contraddanze inglesi e della Bologna del ‘700

In Inghilterra sotto il regno di Elisabetta I, vennero introdotte a corte le cosiddette English Country Dances provenienti dal contado. La destinazione cortigiana di queste danze fu sancita definitivamente dal trattato The English Dancing Master, che dal 1651 fu pubblicato per diciotto volte presso il famoso editore John Playford. Questa raccolta contiene due grandi tipi di danze in gruppo: rounds e longways. Il round è una danza circolare dove un cavaliere si alterna con una dama. Il longways è invece una danza su due fronti, con un fronte di cavalieri opposto in linea retta  a un fronte di dame. In entrambi questi tipi di danze si ha una serie di figure: gruppi a tre, archi, stelle, cambi di posto, movimenti in circolo, in avanti e indietro, incroci, catene, passeggio, conversioni in dentro e in fuori e altre ancora. Queste figure sono molto varie e le diverse combinazioni, che permettono alle coppie di perdersi e ritrovarsi, sono inesauribili. La diciottesima edizione dell’ English Dancing Master del 1728 descrive ben novecento contraddanze. Queste danze non hanno, a dire il vero, niente di propriamente inglese; il circolo e il fronte sono le forme antiche di tutte le danze in gruppo. Le troviamo, con la maggior parte delle altre figure già negli stadi culturali dell’età della pietra, cioè del paleolitico. In Europa, del resto, l’Inghilterra non è la sola ad aver ereditato questo antico patrimonio. La moda della contraddanza va di pari passo con l’ascensione della società borghese e la decadenza della vita di corte. Certo la contraddanza riprende i suoi passi dal minuetto, dalla courante e dalla bourrèe e non potrebbe essere altrimenti. Ma essa resta una danza collettiva, le cui forme fondamentali sono più antiche di quelle della danza in coppia. A differenza del minuetto, la contraddanza è principalmente un passatempo e un gioco di società che riesce, grazie all’incanto del suo ritmo, a creare un’atmosfera di affiatamento in una riunione tra invitati disparati. Nelle occasioni di festa di questo periodo storico può accadere che nei palazzi e nelle corti la “società” danzi il minuetto, mentre le contraddanze vengono eseguite da ogni sorta di gente che ama mescolarsi senza nessuna distinzione.

Sappiamo, dalle fonti più diverse, che anche nella Bologna settecentesca, la contraddanza era una costante della vita cittadina; si ballava nelle osterie e nei Palazzi senatori, nelle piazze e nei cortili, nei teatri di ogni ordine, per i nobili e per i cittadini, per il Legato pontificio e per il popolino.  Le occasioni per dare una festa da ballo erano molteplici; la principale era offerta dal Carnevale ricco di “feste da ballo” e di “festini” più o meno mascherati, di cui fruiscono tanto la nobiltà quanto il popolo, mantenendo sempre una netta separazione fra i ceti sociali.

Bibliografia: 

Curt Sachs, “Storia della danza”, il Saggiatore, Milano 1966

Fabio Mollica, “L’occhio della città: danza a Bologna nel ‘700”, I Libri della Società di Danza, 
Bologna 2001

CALENDIMAGGIO

Le origini del Calendimaggio si perdono nel tempo, si riallacciano, a consuetudini pagane che celebravano con riti diversi ma tutti improntati alla gioia, il ritorno della primavera e quindi il rinnovarsi del ciclo della vita. Lo spirito con cui si conformava la festa della primavera era un inno all'amore e alla ritrovata gioia di vivere dopo le giornate aspre e fredde dell'inverno.

Si ballava, si beveva il vino dell'annata precedente dopo il dovuto periodo di riposo, si cantava.

Le feste della Primavera (a cui il Maggio si ispira) sono fondate sul mito della nascita del mondo, del rinnovamento ciclico della natura, della resurrezione. E' per questo che si cercano e si consumano le uova, simbolo cosmico per eccellenza, germe dal quale ha origine la vita, ed è sempre per questa ragione che il Maggio è una occasione per professare il proprio amore che costituisce il primo passo verso la realizzazione di una famiglia e quindi di un nuovo stauts (una palingenesi) per il maggiante che si dichiara

I "Maggi" (o "Cantamaggi") sono una delle tradizioni più antiche. L'origine di questa manifestazione appare comune a molte località italiane, con le quali si festeggiava la primavera. Di queste feste del "maggio" rimangono molte tracce, alcune ridotte a gioco e altre che s'intrecciano a feste cristiane.

 Durante i "Maggi" - che si tenevano nella notte fra il 30 aprile e il 1° maggio - un gruppo di "maggianti" intonava dei canti con i quali si chiedeva al padrone di casa di fare una offerta, di solito in natura.

SE DUE UOVA NON CI DATE

PREGHEREM PER LE GALLINE

CHE DA VOLPI E DA FAINE

VI SIAN TUTTE DIVORATE

SE DUE UOVA NON CI DATE

 In entrambi i casi, terminato il "giro del maggio", con le uova raccolte si preparavano delle frittate. Era diffusa la tradizione di dichiarare il proprio amore ad una ragazza attraverso il Canto del Maggio.

Due grandi fuochi venivano accesi nei villaggi, per protezione verso il bestiame, e molta gente danzava nuda intorno ad essi per ottenere salute e fertilità. Un rituale importante era il salto attraverso il fuoco, (molto spesso le sole braci....)che rappresentava la purificazione e la capacità di risorgere alla morte in un nuovo ciclo.

Calendimaggio e' il tempo delle celebrazioni.

Prima di buttarsi nelle danze, le giovani ragazze si lavavano e si purificavano nell'acqua di fonte con molta cura, e si abbellivano per cercare di catturare l'occhio dei ragazzi.Il maypole (palo decorato con fiori) un evidente simbolo di fertilità, viene eretto e ragazzi e ragazze vanno a passeggiare, incontrarsi e "flirtare" sotto di esso.

In quel tempo, poichè Calendimaggio era conosciuta come la festa della vera fertilità capitava spesso che si celebrassero riti d'amore nelle foreste, che terminavano con l'abbandono alle passioni. Si trattava di un rituale col quale i giovani ragazzi "conoscevano" per la prima volta l'amore, detto anche "la sfida" (nel senso di un rituale di iniziazione maschile), o "foresta verde", per dove esso avveniva. Le ragazze che rimanevano gravide in questo giorno generalmente si sposavano poi a Giugno, che e' ancora il mese più popolare per i matrimoni.

Molta gente stendeva panni verdi sulla porta o spargeva petali di rosa per attirare i Benandanti a celebrare dentro le loro case.Tutti questi petali e i fiori che venivano usati dovevano essere tagliati senza l'uso di coltelli o altre lame metalliche. I Benandanti nutrivano una vera e propria avversione per le lame di metallo. Nessuno usa lame di metallo per Calendimaggio in quanto verrebbe così considerato di cattivo auspicio.

Era costume all'epoca passeggiare percorrendo i confini delle proprietà di famiglia per Calendimaggio per una buona sorte. Era uso, oltre che passeggiare, mettere tutto ciò che era più prezioso in un cerchio e camminare attorno ad esso in circolo, per tre volte. Oppure, era usanza toccare il bene con un nodo di corda oppure , con una coppa d'acqua, schizzare delle gocce usando un cucchiaio d'argento.
     

Una caratteristica della cerimonia di saluto alla Primavera (Beltane, 1° Maggio), è quella meglio conosciuta come "La Danza attorno al Palo". Questa danza è la ripresa di un antico rito di fertilità ed inizia quasi come un gioco dal forte simbolismo sessuale.

Le donne scavano un buco nel quale verrà poi piantato un palo, chiaro simbolo fallico; all'avvicinarsi degli uomini che portano il palo, le donne circondano il buco quasi a difenderlo; durante la danza, come in un corteggiamento simbolico, le donne aprono e chiudono il cerchio attorno al buco in diversi punti, mentre gli uomini girano attorno alla ricerca di un passaggio. Alla fine agli uomini verrà permesso di entrare nel cerchio e piantare il palo nel buco, quindi uomini e donne lo fisseranno nel suolo con la terra. Alla fine ci sarà la danza tradizionale attorno al palo, incrociando ripetutamente i loro percorsi in modo da intrecciare lungo il palo dei nastri colorati.

 

Danze di lavoro  

NEL NOSTRO REPERTORIO:

Croazia, Rogozek: la battitura del grano

Serbia, Savila Sebela Loza: la vendemmia

Serbia, Radniko Kolo: danza degli operai

Albania, Valle e Luleve: la raccolta dei fiori

Serbia, Seljancica: la contadinella

Francia, Boulangere: la panettiera

Francia, Brande de la Lavandiere: ballo della lavandaia

Giappone, Ena Bushi: raccolta e vendita del riso

Grecia, Pera Stus Pera Campus: il contadino nel campo

Serbia, Makazice: piccole forbici, danza dei sarti

La storia della danza, come d’altra parte la storia della civiltà in generale, tiene conto fin dall’inizio di due tipi fondamentali. Il primo, formato e ingenerato da un’attitudine psichica incorporea, trascendente e introversa, benché si serva di elementi corporei, è spesso diretto contro il corpo. Il secondo tipo ci è fornito dall’uomo estroverso, che crede ai suoi sensi e a tutte le loro percezioni, alla forza delle sue membra e al potere di sottomissione dei fattori metafisici per mezzo dell’energia fisica; l’essenza stessa delle cose è inerente a ciò che è percettibile, alla forma, ai movimenti, basta perciò imitare, raffigurare gli avvenimenti desiderati, il combattimento vittorioso, la caccia fortunata, il raccolto abbondante con una pittura o una danza, per essere certi di poterne forzare la realizzazione.

Questo per aiutarci a capire l’origine delle danze di mestiere, che partendo dalle danze di caccia e di raccolto, sopravvivono tuttora nelle forme giocose della danza dei tessitori, degli spazzacamini, degli arrotini e così via. Dal lavoro nasce il canto del lavoro, che prescindendo da questo, si esprime sotto l’impulso della mimica in una serie di movimenti appropriati; la sua intensificazione fino a diventare danza del lavoro, entra al servizio di una magica sollecitazione al lavoro stesso grazie all’incanto delle forme.

Numerose sono, tra tutte le popolazioni, le danze propiziatrici di una caccia abbondante, mentre sono presenti in misura minore le rappresentazioni coreografiche al servizio della raccolta dei cibi e delle varie forme di coltivazione; i Maidu della California danzavano per la raccolta delle ghiande e la popolazione delle isole nello stretto di Torres, per quella dei granchi. Con la danza, gli antichi messicani rappresentavano la raccolta delle radici ed i Kai della nuova Guinea mimavano quella dei frutti. Tuttavia ciò che troviamo più spesso, e che risulta in gran parte più conforme al pensiero primitivo, è l’identificarsi del danzatore non col soggetto ma con l’oggetto dell’attività agricola. Uno dei motivi favoriti lo presenta la danza saltata: quanto più alto sarà il salto, tanto più alto crescerà il grano. Questa concezione si riscontra anche nelle tradizioni riguardanti la semina in Germania, Inghilterra, e nei Paesi dell’ Europa Orientale. Anche il passo lungo sembra un motivo per favorire la crescita, la prova più evidente di questa affermazione ci è fornita dall’uso di questo passo nelle danze della mietitura e in quelle per il rinnovamento della vita.

Bibliografia: Curt Sachs, “Storia della danza”, il Saggiatore, Milano 1966

 

 

 

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Aggiornato il: 20-05-06.