Giovanni Gentile
(da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p.682 sgg.)

Giovanni Gentile si accosta a Croce per il carattere immanentistico che ha voluto riconoscere al proprio originale ripesamento dell’idealismo kantiano-hegeliano, che prende il nome di attualismo. La formazione intellettuale di Gentile, peraltro, ha origini diverse da quella crociana.
Tramite la decisiva mediazione di Bertrando Spaventa, essa si riallaccia da un lato alla grande tradizione gnoseologica moderna di Cartesio, Kant, Fichte, Hegel, dall’altro alla tradizione "nazionale" di Bruno e Vico, rinverdita nell’Ottocento da Vincenzo Gioberti.

L’assunzione del marxismo come filosofia della storia

La diversità da Croce, cui abbiamo accennato sopra, è avvertibile fin dallo scritto con cui Gentile interviene nella querelle europea sulla "scientificità" del marxismo: i saggi raccolti ne La filosqfia di Marx (vedi APPROFQNDIMENTI La discussione tra Croce e Gentile sulla filosofia di Marx).
Mentre Croce aveva negato ogni rilevanza filosofica al materialismo storico di Marx, riconoscendogli semplicemente il valore di canone empirico utile alla spiegazione dei fatti sociali, Gentile ne postula il valore scientifico in quanto filosofia della storia. Marx mutua da Hegel il concetto fondamentale della dialettica, della realtà interpretata come processo storico. Si tratta di un processo immanente e necessario, che rende possibile la "previsione scientifica" del futuro: se non nei particolari, almeno per quel che concerne l’essenziale delle vicende storiche. Vero è che Marx fraintende il significato autentico della dialettica hegeliana, interpretandone l’idea alla maniera platonica, come un’entità trascendente il corso storico. Di qui il falso concetto del "rovesciamento" materialistico di Hegel, che solo dovrebbe garantire obiettività e immanenza alla storia.

La necessità di rovesciare la dottrina di Marx

In realtà la "materia" dell’uno non si differenzia, se non nel nome, dall’ "idea" dell’altro e il marxismo, nella sua intuizione filosofica di fondo, è essenzialmente una forma eretica di hegelismo. Ciò è particolarmente evidente nel recupero, attuato da Marx, del concetto di praxis: aspetto ignoto a Feuerbach e al materialismo, ma non alla tradizione idealista e in particolare a Vico, al quale per primo si deve la scoperta dell’intima unione di fare e conoscere, di una "mente" che non si pone come semplice "spettatrice" della realtà, a essa trascendente, ma come produttrice di un mondo storico e umano, a essa immanente. Per recuperare questo, che lo stesso Marx definiva il "lato attivo" dell’idealismo, Gentile ritiene indispensabile attuare un nuovo rovesciamento" della dottrina di Marx, rispetto a quello da lui tentato nei confronti dell’idealismo di Hegel. Per tale via la filosofia della rivolu:ione di Marx si trasforma, agli occhi di Gentile, in quella — ugualmente progressiva, ma più legata alla tradizione — del nostro Risorgimento: da Gioberti a Spaventa.

La riforma della dialettica hegeliana

Il richiamo a Spaventa — di cui Gentile cura l’edizione delle opere — è particolarmente forte ne La riforma della dialettica hegeliana. Spaventa, studiando le tre prime categorie della logica hegeliana (essere, nulla, divenire) aveva osservato che "questa posizione imbrogliata dell’essere e del non essere e la viva espressione della natura del pensare". In linea con questa trasformazione spaventiana del logos, che in Hegel coincide con Dio, nella dimensione psicologica" della mente, Gentile osserva che l’essere, che Hegel pretende di mostrare identico al non essere nel divenire che solo è reale, non è l’essere che egli definisce come l’assoluto indeterminato, ma l’essere del pensiero che definisce e, in generale, pensa. Esso (come vide per primo Cartesio) è in quanto pensa, e il pensieo non è qualcosa di statico e passivo, ma dinamico e attivo: non essere, ma divenire, non fatto, ma atto.
Dunque, per Gentile, essere, non essere, divenire non sono più posizioni logiche obiettive del reale, ma momenti della coscienza in atto, del "pensiero pensante", in cui il divenire — sintesi degli altri due termini — non esprime altro che il processo del sapere, che vince nella sua concretezza i momenti astratti, rigidi, in cui l’analisi lo spezza.

L’atto puro come principio di creazione

La dialettica hegeliana - che è dialettica non del pensiero pensante, ma del "pensiero pensato" - va dunque riformata, recuperando il senso vivente e concreto dell’atto di pensiero (vedi TESTI, Unità 22 - testo 3). Rifacendosi alla nozione kantiana del conoscere come sintesi a priori, Gentile interpreta metafisicamente tale sintesi come atto puro: non sintesi di forma e materia, ma pura forma; materia essa stessa generata dalla forma, che è, nel significato più proprio, forma formante, creazione dell’io e del non-io o auto-creazione (autoctisi).
Questo aspetto, su cui Gentile tanto insiste, del pensiero o soggetto non meramente spettatore, ma creatore, della realtà, non è riferito all’Io empirico individuale - si cadrebbe in tal caso nel solipsismo - bensì all’io puro o trascendentale, all’autocoscienza come pensiero universale che si attualizza o particolarizza in ciascuna delle singole menti. La tendenza a concepire l’atto, da principio inizialmente gnoseologico, in un significato sempre più accentuatamente metafisico, si può cogliere nelle opere della maturità: il Sommario di pedagogia come scienza filosofica e la Teoriaia generale dello spirito come atto puro. (Vedi attualismo)
Affrontando il problema pedagogico, da lui fortemente sentito, Gentile avanza la tesi dell’identità di educatore e di educando, realizzata dal processo educativo. La loro contrapposizione è solo apparente, costituendo essi due momenti di un’unica realtà: l’universale, lo spirito. Il processo educativo è un processo di reciproca autoeducazione: ognuno vede sé nell’altro e, attraverso l’altro, forma un migliore, un più alto se stesso. La prassi educativa ha nel concetto dell’autoeducazione il suo vero criterio ispiratore. Dal tema dell’autoformazione dell’uomo, Gentile procede verso quello più generale della centralità dello spirito dell’uomo, spirito che tende sempre più a presentarsi come una sorta di "Dio immanente".

L’errore, il male, la natura

Nella Teoria generale - ripercorrendo la storia della filosofia - Gentile mostra come lo spirito generi da se stesso la natura e crei, nella sua dialettica di unificazione/moltiplicazione, lo spazio e il tempo (che sono perciò interni e non esterni allo spirito). Lo spirito è autoposizione di sé, ma autoposizione non statica, immediata, bensì dinamica e concreta, quindi dialettica. Lo spirito si pone attraverso la natura, il soggetto si pone mediandosi come oggetto. L’unità nello spirito si pone quindi come molteplicità. In altri termini, lo spirito si afferma negando il suo opposto, la natura, che rappresenta perciò un suo essenziale momento dialettico: spirito anch’essa, non un’entità a sé, concepibile come astratta dallo spirito.
La natura è quindi il non-essere dello spirito: di qui l’errore, il male, il dolore, che si possono spiegare solo come momenti dialettici. L’errore è il passato, la natura, che si trasforma nel suo opposto, in verità, nel momento successivo, quando viene attualizzata dallo spirito. Così il male, la colpa, che, in quanto riconosciuto, è cancellato nella sua negatività e trasformato in positività, in bene.

L’identità di filosofia e storia della filosofia

Uno dei concetti fondamentali della filosofia gentiliana è quello dell’identità di filosofia e storia della filosofia. Se la filosofia viene concepita come processo di autocoscienza, essa è storia: vichianamente, storia eterna che si sviluppa nel tempo. Ogni sistema riassume e potenzia in sé, giustificandoli, i sistemi precedenti, che rappresentano solo momenti idealmente anteriori di quell’unico processo di pensiero autocosciente che è la filosofia.
L’opera da molti considerata il capolavoro filosofico di Gentile, il Sistema di logica come teoria del conoscere (1917-23), vuol essere la riprova concreta di tale principio. Essa dimostra come il sistema gentiliano, la nuova logica del pensiero pensante, ricapitoli in sé - conservandola e giustificandola - l’antica logica aristotelica, la logica del pensiero pensato. Essa, dandoci la legge del pensiero pensato (A = A) ci spiega il momento dell’oggettività del pensiero; oggettività necessaria se il pensiero deve essere concepito non come immediata soggettività, ma come soggettività-oggettività, come mediazione dialettica.
Nella logica del concreto - o del pensiero pensante - il principio della logica del pensato, dell’astratto, cioè A = A, viene negato e al tempo stesso conservato, perché non viene più considerato a sé, da un punto di vista astratto, ma è considerato dal punto di vista concreto, in funzione dell’atto di pensiero, in cui A = non A.

Una religiosità immanente

La ripresa della dialettica hegeliana, conciliata con i teoremi della vecchia logica formale, mostra in atto quel circolo tra filosofia e storia della filosofia in cui consiste l’intuizione essenzialmente storicistica e immanentistica dell’attualismo gentiliano.
Questa intuizione non è smentita dalle ultime prese di posizione di Gentile, in cui è accentuato l’aspetto religioso della sua filosofia. La religione di Gentile resta infatti una religiosità immanente, che sostituisce al Dio della vecchia teologia lo Spirito immanente nell’uomo e nella storia. Di qui la polemica contro la filosofia spiritualistica.





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