IL
FASCISMO
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La politica
economica del fascismo
Fino al 1925 attuò una
politica liberistica che abolì la nominatività dei titoli azionari, ridusse
le imposte dirette, tolse quella di successione, privatizzò le linee
telefoniche e le assicurazioni sulla vita. Nel 1925 la politica
economica fu completamente capovolta. Con il nuovo ministro delle finanze
Volpi, l’economia incominciò a dipendere dalla politica. Nel 1926 Mussolini
decise di rivalutare la lira rispetto alla sterlina, facendo corrispondere ad
una sterlina 90 lire (<<quota
novanta>>): ne derivò una deflazione che favorì le importazioni di
materie prime per le industrie ma danneggiò le esportazioni agricole. I due più importanti
strumenti dell’intervento dello Stato nell’economia furono l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI) e l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI). Il primo si occupava di finanziamenti alle industrie, il
secondo si assumeva la gestione delle numerose industrie in cui lo Stato
aveva partecipazioni azionarie. Lo Stato si trasformò così in imprenditore. Lo Stato intervenne
anche sull’agricoltura. Con l’aumento dei dazi sulle importazioni dei
cereali, fu avviata la <<battaglia
del grano>>, al fine di rendere l’Italia autosufficiente. Il maggiore intervento
statale però si ebbe con la <<bonifica
integrale>> dei territori paludosi (le paludi Pontine). |
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