LA
PROPAGANDA FASCISTA
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Il Mito
I fascisti erano
consapevoli dell’importanza del pensiero mitico nella moderna politica di
massa, che alcuni di loro avevano scoperto in autori come Sorel, Le Bon e Nietzsche.
Nozioni elementari sul ruolo del mito nella politica appaiono nella
pubblicistica fascista fin dai primi anni: <<Le masse>>, scriveva Bottai nel 1922, <<esigono il mito, e il problema è di
trovare il mito più atto a sviluppare una determinata energia, e non già di
valutare quanto di verità concreta e attuale un certo mito contenga>>. Questa consapevolezza
portò il fascismo a ostentare la sua predilezione per il pensiero mitico
contro il razionalismo non solo perché ne riconobbe la funzione collettiva,
ma perché la sua mentalità, la sua cultura e il suo stile di vita aderivano
interamente alla visione della vita e dell’uomo che il pensiero mitico
presuppone. La formazione culturale della maggior parte dei fascisti,
avvenuta nel neoromanticismo di fine ottocento e inizi del novecento,
predispose il fascismo a trovare nel pensiero mitico le categorie per
definire la propria concezione della politica: <<Noi abbiamo creato il nostro mito>> proclamò Mussolini a
Napoli il 24 ottobre, alla vigilia della Marcia su Roma.<<Il mito è una fede, è una passione. Non è
necessario che sia realtà. È una realtà nel fatto che è un pungolo, che è una
speranza, che è una fede, che è coraggio. Il nostro mito è la nazione, il
nostro mito è la grandezza della nazione. E a questo mito, a questa
grandezza, che noi vogliamo tradurre in una realtà completa, noi subordiniamo
tutto il resto>>. Il partito milizia
compose progressivamente il proprio corpo di miti traendoli, oltre che dalla
tradizione del radicalismo nazionale, anche dalla simbolizzazione
dell’esperienza della guerra e dello squadrismo. Il mito della grande guerra
era il fondamento per costruire una immagine fantasiosa del passato italiano
in cui, prescindendo da qualsiasi veridicità e coerenza storica plausibile, il
fascismo si presentava come erede della romanità nella presenza di un perenne
“spirito romano”, che dimorava nella penisola rendendola un luogo sacro al
destino, e che con scansione epocale era chiamato dalla storia a provare la
sua vitalità con la creazione di nuove forme di civiltà. Il mito di Roma e
della romanità comincia ad emergere in questo periodo e con questa funzione,
per esaltare il fascismo quale manifestazione del risveglio dello “spirito
romano” chiamato a plasmare la nuova civiltà. Se Roma viene assunta
come uno dei miti fondanti del fascismo, la mentalità e il rituale simbolico
dello squadrismo, pur rivestendosi di panni ritrovati fra gli scampoli di
cultura romana rimasti dagli studi liceali o dalla frequenza professorale con
il mondo di Roma, furono imperniati principalmente sul mito fondante del
“grande evento”, simbolizzato nel culto del fante in quanto “eroe tipo”,
simbolo vivente della nazione che in lui riconsacrava la propria unità. |
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