ARCHITETTURA
RAZIONALISTA ITALIANA
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Marcello Piacentini Dal
libro"L'architettura presa per mano", a cura di Stefano Casciani,
Idea Books, Milano,1992 "Artista costruttore della
città", nella recente rivalutazione critica fattane dallo storico Mario
Lupano, ma anche "lo sventratore" secondo l'urbanista Antonio
Cederna, "vissuto intorno al 1933 e morto nel 1890" per il critico
d'arte Renato Birolli: Marcello Piacentini personifica da sempre la
contraddittorietà dell'architettura italiana del Novecento, e sue alterne
fortune critiche ne sono la testimonianza più chiara. Egli è il responsabile
di alcune delle sistemazioni più importanti e riconoscibili, che - nel bene e
nel male - hanno dato volto moderno a molti dei centri urbani italiani: via
della Conciliazione e la Città Universitaria a Roma, piazza Dante a Genova,
via Roma a Torino, piazza della Vittoria a Brescia. La sua opera costruita è enorme,
del tutto incomparabile con quella di qualsiasi altro architetto italiano in
questo secolo; la sua abilità di mediatore tra politica, cultura e azione
progettuale è tuttora insuperata. La descrizione dei rapporti con il regime
fascista, con l'avanguardia architettonica e - dopo la guerra - con
l'industria delle costruzioni riempiono migliaia di pagine in quasi tutti i
libri di storia e di critica dell'architettura moderna: impossibile
riassumerne la sostanza. Il Palazzo di Giustizia di Milano rappresenta però una
testimonianza molto significativa di questa complessa figura di progettista.
Piacentini concepisce l'edificio come "il più grande palazzo tra quelli
costruiti dal regime, con il concorso delle opere d'arte dei migliori artisti
d'Italia tali da farlo divenire un museo d'arte moderna". E' proprio
quest'intenzione "sovversiva" a costare all'edificio una
lunghissima quarantena: quasi dieci anni (dal 1931 al 1939) passano
dall'inizio della costruzione alla sua conclusione, tempi insolitamente lunghi
per l'epoca. Molti di questi anni trascorrono in polemiche sull'opportunità
di collocare opere raffiguranti corpi nudi in un luogo così ufficiale. Solo
l'appoggio del ministro di Giustizia Dino Grandi permette (nel 1942) di
rimuovere le pesanti tende grigie che coprivano affreschi e mosaici di Funi,
Siconi, Cadorin, Carrà, Campigli. Malgrado queste difficoltà
politiche, l'edificio rappresenta (da un punto di vista critico) una delle
realizzazioni migliori di Piacentini. Pilastri, coperture in calcestruzzo
armato, ampi lucernari "assolutamente moderni" attenuano il tono
monumentale del complesso, creano spazi insolitamente proporzionati. L'anima
funzionalista di Piacentini si rivela negli interni: lo studio delle luci
(affidato a Pietro Chiesa), i serramenti, i marmi compongono una grande
ambientazione astratta. Coerentemente a questa, Piacentini rivela
insospettate qualità di "designer" nella maniglia per le porte
degli uffici operativi: realizzata nell'occasione nel 1992, è un piccolo
concentrato di ergonomicità è di leggerezza formale. |
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