ARCHITETTURA
RAZIONALISTA ITALIANA
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L'architettura razionalista italiana Durante gli anni del
fascismo convivessero in Italia diverse correnti artistiche; tra queste
l'architettura razionalista si configurava come il movimento più moderno,
all'avanguardia, in contatto con le tendenze europee del funzionalismo. Nell'architettura
europea, il razionalismo trovava dal 1920 al 1940 grande diffusione. Questo
movimento voleva trovare una soluzione alla questione, nata
dall'industrializzazione e dall'urbanizzazione, del rapporto tra individuo e
società moderna. Il problema fu analizzato inizialmente dal tedesco Walter
Gropius, fondatore del Bauhaus, le cui soluzioni restarono al
centro del movimento insieme a quelle del belga Mies van der Roe e del
francese Le Corbusier. Questi cercarono di dare vita ad
un'architettura che si diversificasse da quella classicista e da quella
romantica grazie alla priorità della funzionalità rispetto al decorativismo.
L'opera architettonica doveva essere funzionale, avere cioè un rapporto
razionale con le tecniche della produzione industriale e con le esigenze
della società moderna (per questo motivo il razionalismo è detto
indifferentemente anche funzionalismo). L'indirizzo comune del movimento fu
dichiarato nel 1928 con il CIAM (il I Congresso Internazionale di
Architettura Moderna). I razionalisti
parteciparono a varie mostre e congressi europei con alterni successi, ma,
come accadde anche in Italia, dovette sempre convivere con tendenze più
tradizionaliste. In Italia in
razionalismo convergeva con il futurismo nell'intento di modernizzare
l'architettura italiana. Le prime tendenze
razionaliste si erano mostrate con il "Gruppo 7", operante a
Milano negli anni 1926/27 con lo scopo di elaborare un linguaggio comune per
rinnovare l'architettura; poi era nato il MIAR (Movimento Italiano
Architettura Razionale), a cui aderirono molti tra i maggiori architetti
italiani del tempo (Pagano Pogatschnig, Michelucci, il gruppo BBPR), che
proponevano le stesse idee base della contemporanea architettura europea:
semplificazione, essenzialità delle strutture, analisi logica delle funzioni,
estrema razionalità. La prima esposizione del MIAR ebbe luogo a Roma
nel 1928, ma già in precedenza c'era stata la partecipazione alle mostre
italiane più importanti con progetti spesso audaci che erano andati incontro
a forti critiche; critiche che si ripeterono con le esposizioni successive
per i progetti innovativi di edifici pubblici e privati presentati
soprattutto da Terragni, da Pagano, da Levi Montalcini,
e per alcune attuazioni. È importante considerare che le progettazioni
razionaliste spesso non comprendevano solo l'esterno, ma anche l'arredamento
interno, in modo che ogni singolo particolare dell'edificio garantisse la
massima funzionalità all'individuo secondo le sue necessità (e secondo la
funzione dell'edificio). Il razionalismo
tentava di occupare il posto d'onore nell'arte dell'epoca, come del resto gli
altri movimenti del tempo che aspiravano tutti a diventare "arte di
regime" per legittimare così la loro superiorità in Italia. Gli
architetti razionalisti credevano di avere questo diritto in virtù della
novità, del rivoluzionamento che rappresentavano nel panorama italiano, e che
sarebbero dovuti andare di pari passo con la novità del fascismo, in lotta
con le tendenze classiciste, espressione della mentalità più conservatrice,
che i razionalisti contestavano. In realtà il comportamento del regime fu
comunque quello di assecondare un po' tutti gli indirizzi, i cui
rappresentanti si poterono trovare fianco a fianco in progetti commissionati
dallo Stato. Non si può comunque
dire che i razionalisti non si ponessero in modo problematico di fronte al
regime. La loro adesione era data soltanto dalla ricerca di riconoscimenti
per la loro arte. Il loro scopo era quello di migliorare la società e la vita
delle persone attraverso un'architettura più moderna e funzionale; questo
essi cercarono di fare, sfruttando gli spazi messi a disposizione dal regime,
all'incirca fino al 1936. È significativo però il loro progressivo
allontanamento dal fascismo a partire dal '37; si schierarono sempre più
decisamente con l'opposizione, e quasi tutti presero parte alla Resistenza,
molti persero la vita, alcuni furono addirittura deportati in Austria, a
Mathausen, dove morirono. Nel dopoguerra, le
teorie razionaliste manterranno la loro grande influenza, ma saranno spesso
sfruttate all'eccesso e impoverite fino alla speculazione edilizia. In ogni
caso, il suo permanere anche dopo la sconfitta politica del fascismo che
l'aveva sostenuto ma non influenzato, è la dimostrazione della grande
validità di questa corrente architettonica. Il MIAR si
sciolse comunque nel 1931 a causa di dissidi interni. Ma l'opera dei
razionalisti continuò, anche se per strade diverse, anzi, furono proprio gli
anni tra il '32 e il '36 ad essere tra i più fecondi. L'architettura era in
Italia al centro delle attenzioni di Stato e cittadini, proprio per la sua
importanza nella vita quotidiana, e per la sua funzione rappresentativa dello
Stato, per gli edifici pubblici, o delle personalità più importanti per le
abitazioni private. Molti furono i progetti ideati in quegli anni, anche se
quelli che furono attuati furono una piccola parte rispetto al loro numero e
al panorama globale italiano, di cui il razionalismo rappresentò una delle
componenti più valide. Uno dei rischi a
questo punto, a cui una parte del movimento non seppe sottrarsi, fu quello di
cadere nel formalismo, nella banalizzazione delle teorie ormai stabilite e
accettate; come già detto, questo accadde soprattutto dopo la Seconda Guerra
Mondiale. La debolezza del
razionalismo consisteva soprattutto nelle divisioni interne. La rivista che riuniva
inizialmente tutto il movimento era "La
casa bella" di Pagano e Persico, nel 1933 venne però
fondata una nuova rivista, "Quadrante",
di Bardi e Bontempelli, mentre "La casa bella" si trasformava in "Casabella" e diventava una delle maggiori riviste di
architettura europee. Proprio queste due riviste testimoniavano il dibattito
sempre acceso. Entrambi i gruppi concordavano nella visione di un movimento
internazionalista e portatore di modernità; dissentivano piuttosto riguardo
al ruolo dell'architettura e dell'architetto. "Casabella" ne sosteneva la funzione sociale, la
"normalità", in contrasto con i valori di eccezionalità di altri,
tra cui Terragni. Per Pagano l'architettura doveva
caratterizzare l'ambiente urbano, attraverso la chiarezza e la semplicità
della "produzione normale, rinunciando a prefiggersi obiettivi troppo
alti. Su questo Pagano e Persico erano d'accordo, anche se le
loro posizioni politiche erano profondamente diverse: Persico non
aveva fiducia nel fascismo, vedeva piuttosto un'architettura moderna al
servizio di una società democratica; Pagano era sostenitore del
fascismo, che per lui era un mezzo privilegiato per l'attuazione dei suoi
principi (anche se alla fina cambierà radicalmente idea tanto che sarà
deportato e ucciso a Mathausen). Per questo le sue opere sono di preferenza
edifici pubblici, opere di urbanistica, o allestimenti per mostre.
Diversamente da Terragni, però, egli si avvicina di più ai valori
della "mediterraneità", di un'architettura minore e rurale (ad
esempio nelle case da lui realizzate in Sardegna), che si differenzia
notevolmente dalle geometrie pure della Casa
del Fascio di Como di Terragni. Anche nel campo delle mostre, pur
seguendo gli stessi principi, i razionalisti hanno sottili differenze di
orientamento. I razionalisti
trovarono modo di esprimersi sia attraverso la committenza pubblica che
quella privata. Una parte della borghesia commissionò progetti per abitazioni molto moderni, anche se in generale i
singoli interventi razionalisti non poterono concorrere a cambiare i volti
delle città, poiché insieme a loro operavano molte tendenze, e un'altra parte
consistente della borghesia, più conservatrice, prediligeva l'architettura
tradizionalista. Sono numerose comunque le abitazione costruite con criteri
razionalisti nelle città italiane (Roma, Milano); i migliori risultati
si ebbero comunque con l'edificazione di ville in zone isolate, dove alla
fantasia dell'architetto erano concesse molte più possibilità. I razionalisti erano
altrettanto impegnati nel settore pubblico, dove meglio potevano mettere in
pratica il loro dichiarato impegno sociale. Nel Nord si ebbero soprattutto
realizzazioni per la grande imprenditoria, sempre secondo i criteri della
massima modernità e funzionalità al servizio della tecnologia, mentre nel
Sud, più arretrato, lo Stato intervenne massicciamente per garantire i suoi
servizi con la costruzione di numerosi edifici (scuole, uffici, ospedali,
caserme, strutture assistenziali di ogni tipo), che erano sempre improntati a
dare un'idea di efficienza, igiene e modernità. Non sempre
l'inserimento dei nuovi edifici nel tessuto urbano fu studiato, e spesso si
ebbero forti contrasti tra la nuova architettura e quella preesistente.
Un'eccezione a questo comportamento è costituita dalla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella a Firenze, progettata
da Giovanni Michelucci, che
riuscì a dare una continuità alla struttura della stazione rispetto agli
edifici presenti nella piazza (in particolare il convento e la chiesa di
Santa Maria Novella), senza bruschi contrasti. Ma durante il fascismo
era fondamentale per l'architettura la realizzazione delle diverse "Case
del Fascio", che rappresentavano nelle città e nei paesi il regime
stesso. Fu soprattutto in questo campo che si ebbero le più aspre contese tra
architetti, particolarmente in occasione del concorso per la costruzione di Palazzo Littorio a Roma (1933). Appartiene a questa
tipologia quella che forse è l'opera più significativa del razionalismo
italiano: la Casa del Fascio a Como,
realizzata da Giuseppe Terragni tra il '32 e il '36. Nel suo sforzo di
rinnovamento dell'arte italiana; Terragni aveva già portato a termine opere
rivoluzionarie a Como, in particolare il Novocomum,
un edificio per appartamenti costruito tra il '26 e i '27, e che aveva dato
luogo a numerose polemiche per la sua radicale modernità, in linea con il
funzionalismo di Gropius. La Casa del Fascio di Como si presenta
come un edificio estremamente geometrizzato; un cubo bianco sezionato
orizzontalmente a metà altezza, che però non si esaurisce nella staticità
grazie alla presenza di rientranze, anch'esse quadrate, che crea un rapporto
calcolato tra luce e ombra, tra pieno e vuoto. È un'evidente applicazione
delle teorie di Le Corbusier, per quanto riguarda la libertà di
espressione nella facciata, e la presenza di forme geometriche che
caratterizzano tutto l'edificio; i suoi principi sono però applicati con una
certa libertà, non schematicamente (ad esempio, la casa non poggia su
pilastri come invece voleva Le Corbusier). Prevale la dimensione
orizzontale, la scala umana. Su questa linea prosegue
Terragni nella realizzazione di altri edifici, restando preferibilmente
nell'ambito di Como: il progetto per l'asilo infantile di Sant’Elia,
quello per il quartiere satellite di Rebbio, la collaborazione con
Pietro Lingeri per numerose ville; poi casa Pedroglio, casa Giuliani-Frigeria;
fino alla sua morte nel 1943 dopo la partecipazione alla guerra. |
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