5. Approfondimenti
          5.4. Linea Terni-L'Aquila-Sulmona
 5.4.3. Descrizione della linea

Riportiamo, quasi integralmente, un articolo di Annibale Lanari (uno degli ingegneri addetti alla costruzione) pubblicato sulla “Gazzetta dell’Aquila” poco prima dell’inaugurazione (avvenuta il 28/10/1883) che ben descrive, nella terminologia e nel lirismo tipico dell'epoca, le caratteristiche della linea.

“Da Terni ad Aquila la nuova ferrovia, per la lunghezza di chilometri 103, corre da una parte all’altra del l’Appennino attraversando tre zone montane caratterizzate ciascuna da svariatissimi accidenti topografici. Nella prima vicina a Terni predomina la bellezza del paesaggio. Quivi l’incanto dei panorami sorprendenti per la varietà dei profili, per la vivezza dei colori è appena superato dal sublime spettacolo della famosa cascata delle Marmore. La ferrovia a partire da Terni (quota 129) monta sull’altipiano che prende nome dalla cascata (quota 376). Supera in tredici chilometri un livello di metri 247 forando le gallerie di Vallerosa, Valenza, Miranda, Alveano, Papigno, Monte Sant’Angelo, lunghe complessivamente metri 4700 circa scavate nelle pendici dei monti che si avvallano a cerchio nella conca di Terni, in questa città vi sono stabilimenti industriali di primaria importanza: la fabbrica d’armi portatili dello Stato, la fonderia ed altiforni di Cassian Bon, la ferreria, l’opificio in lanerie di Gruber e maggiori ne sorgeranno se negli italiani di quelle regioni si svilupperà lo spirito delle industrie proporzionatamente alla sovrabbondante forza motrice, che ora fugge precipitosa al mare, rimbrottando pare, coi rumore dei vortici, col suono monotono delle molteplici cascatelle i cittadini neghittosi e indolenti. Il fiume Velino, sull’altipiano, all’entrare nel canale artificiale scavato da Curio Dentato, cambia il suo lentissimo moto in velocità vertiginosa, finché precipita dal ciglione giù a picco nel fondo dell’alveo della Nera, che schiaccia con tutta la sua acquisita possanza. La Nera a sua volta, dopo asprissima lotta combattuta in mezzo a balze e caverne, si rialza vincitrice e superba; ed è tanto il furore della pugna che nuvoloni di fumo si elevano lumeggiati da spiendidissime iridi. Le ferrovia, a pochi chilometri più in su delle Marmore tocca Piedilungo, sì incantevole per il placido e sinuoso lago, per i monti pittoreschi, per la eco endecasillaba. E’ uno splendido pezzo di Svizzera reso abbagliante dal sole d’Italia. Il tracciato della linea segue il fiume Velino che rimonta, attraversandolo più volte da una sponda all’altra, su ponti a travate metalliche, costrutte negli opifici nazionali di Castellamare di Stabia. Percorre da Piedilungo alla fermata di Castel Sant ‘Angelo vicino ad Antrodoco, per la lunghezza di chilometri 40 circa, una valle pianeggiante, ricca per fertilità di suolo ed abbondanza di acqua. Questa seconda zona, racchiusa sul principio e sulla fine fra i monti alti e boschivi, si allarga per la discesa di molti chilometri nei dintorni di Rieti; città che chiamata dagli antica l’ombelico d’italia, la capitale dei Sabini, è sempre la graziosa regina di un territorio ubertoso, feracissimo. L’industria degli zuccari di barbabietola, vi si esercita in un grandioso edificio; ma stentatamente, perché forse le barbe dei pregiudizi sono più lunghe di quelle del bulbo saccaroide. Attivissimo vi è il commercio del grano, tanto ricercato per la semina, e dei grassi prodotti del suolo, commercio che riceverà maggiore impulso ed estensione dall’apertura della nuova linea che tocca prima di Rieti Contigliano, dopo Rieti Cittaducale. Fra la fermata di Castel Sant’Angelo ed Aquila si stende la terza zona. Maestosa per l’altezza dei monti che la rinserrano, imponente per le asprissime lotte che vi hanno combattuto e di continuo vi combattono tutti gli elementi della natura, sicché vi lasciarono orride vestigie nelle strettissime gole nei profondi burroni, negli enormi macigni e scoscesi dirupi. La ferrovia dalla fermata di Castel Sant’Angelo (quota 416) sale allo spartiacque della Sella di Corno (quota 990) e supera nello sviluppo di chilometri 26 un dislivello di metri 574, Traccia un primo gomito stretto e lungo intorno ad Antrodoco; un secondo più largo e profondo dentro le balze di Rocca di Fondi coll’apertura del gomito rivolta alle gole di Antrodoco; fino a che scavalcando i valloni su alti viadotti e perforando i contrafforti con molteplici gallerie, giunge all’insellatura di Corno. Da qui, sopra grossi muraglioni ed archi e pilastri, fra grandiose trincee praticate nella roccia, scende colla pendenza del 35 per mille in Aquila a ritrovare dopo uno sviluppo di chilometri 19 la quota di 621. Nella terza zona vi sono sedici gallerie che misurano complessivamente m 5.670, ed altrettanti viadotti e muraglioni di sostegno. L ‘armamento di tutta la linea venne fatto con ruotaie di acciaio Bessemer lunghe ciascuna m 12. Il servizio della trazione sarà eseguito da macchine speciali, particolarmente nella terza zona. I lavori, appaltati con saggia disposizione in molti piccoli lotti ad imprenditori che godevano la maggior parte la fiducia dell’Amministrazione, cominciarono nei primi mesi dei 1881. Si svolsero con sollecitudine sotto l’impulso degli ingegneri capi sezione signori Mentegazza, Pagliano, Rodolfo, Rinaldi che li diressero con intelligente attività, con costante energia, virtù apprese alla ferrea scuola del loro duce e maestro il Direttore dei lavori comm. Pessione. Nella sublime lotta, che dentro le viscere della terra, in mezzo l’acqua ed il fango, fra le rocce e i dirupi, operai laboriosi e forti combatterono contro la natura aspra e selvaggia, questa ebbe per alleato fedele l’inclemenza del cielo che li perseguitò con dieci mesi di continue piogge.”


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