Sistema formativo

Attività sportiva e sistema formativo

Oggi viviamo una stagione di grandi e vistosi cambiamenti. Tempi e modi di vita sono profondamente mutati nell’arco di pochi decenni. Lo stesso concetto di ambiente vitale, con la presenza dei mezzi di comunicazione di massa o con la diffusione dei computer, si è profondamente modificato. Ciò che appariva certo e stabile dal punto di vista sociale e culturale subisce profonde trasformazioni e accelerazioni imprevedibili. (È sufficiente pensare ai "terremoti" politici e sociali, nazionali e internazionali, conseguiti alla caduta del muro di Berlino).

Tutto sembra più complesso, provvisorio e incerto: dal problema del lavoro a quello delle proprie convinzioni ideologiche o religiose. È una stagione di grande complessità e di grandi contraddizioni. Gli adulti, o molti di essi, se non ne sono travolti, vivono con difficoltà il cambiamento in atto. E il confronto fra "oggi" e "ieri" è sentito ovviamente più dagli adulti che non dai ragazzi e dai giovani i quali vivono l’oggi senza possibilità di molti confronti con le situazioni precedenti.

 

Le sfide del cambiamento

L’incertezza e il disorientamento degli adulti è forse uno dei problemi che deve preoccupare maggiormente poiché sarebbe quanto meno ingenuo pensare che incertezza e disorientamento non abbiano ripercussioni anche sull’educazione, sulla interpretazione dei ruoli educativi, sulla immagine che gli adulti hanno di se stessi e delle proprie responsabilità nei confronti delle nuove generazioni. La crisi dei valori che si lamenta nel mondo giovanile ha sicuramente un qualche rapporto con le incertezze e le insicurezze vissute dagli adulti. L’opera educativa richiede perciò alcuni recuperi da parte degli adulti.

La prima consapevolezza che qualifica l’educazione è quella di essere consapevoli che essa pone gli adulti al centro di una sfida: se e come sia possibile partecipare al corso e alla direzione dei cambiamenti in atto o se ci si debba adattare a subirli passivamente. E parteciparvi significa schierarsi, prendere decisioni, scommettere o sperare che il proprio impegno conduca il cambiamento in una certa direzione piuttosto che in un’altra. L’oscillazione e la varietà delle decisioni al riguardo porta a constatare interventi educativi frammentati (diversità di comportamenti, di stili e di fini educativi) che un educatore ritrova sempre nella varietà di comportamenti e di sensibilità dei propri ragazzi.

In chi decide di esercitare un ruolo attivo in questi cambiamenti, emerge anche, e con sempre maggiore insistenza, la necessità di porsi nell’ottica di un "sistema formativo integrato". Si vuol dire cioè che l’educazione non può più essere pensata e progettata senza tenere conto:

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della pluralità e varietà delle influenze che incidono sui soggetti;

 

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della esigenza di favorire il raccordo fra le proposte educative vissute nei vari "ambienti" o "mondi vitali" primari e secondari (famiglia, scuola, extrascuola).

È questa una necessità sentita e diffusa (ma lo dovrebbe essere molto di più) per favorire in bambini, ragazzi e adolescenti la possibilità di integrare in una unità profondamente significativa le varie e spesso contrastanti esperienze vissute. In un sistema educativo coerente, anche se più chiuso, come quello che caratterizzava la società contadina, tutto sommato, era più semplice diventare adulti. La stabilità e la monoliticità dei modelli educativi era, per certi versi, una garanzia di orientamento. L’educazione di una stessa persona avviene, oggi, secondo una differenziazione di influenze e di ambienti sicuramente più articolata e specializzata di un tempo2.

Ma ciò che importa mettere a fuoco, se non vogliamo lamentare solo le difficoltà, è che in questi "luoghi" si compiono esperienze diverse qualitativamente anche se si dovesse riscontrare in essi una perfetta, o almeno buona, sintonia di intenti.

Questa qualità diversa dipende:

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dall’ampiezza e dalla specificità degli obiettivi raggiungibili nei vari ambienti educativi;

 

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dalle particolari dinamiche relazionali che vi si instaurano;

 

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dalle responsabilità e dai compiti che si possono richiedere agli educatori.

Possiamo perciò assumere che ogni ambiente - dunque anche quelli in cui si svolge prevalentemente attività sportiva - debba tener conto ed occuparsi di tutti gli aspetti della formazione seppure in modo particolare e specifico.

Per fare un esempio: non c’è dubbio che la scuola abbia compiti decisivi per quanto riguarda l’educazione linguistica e che debba agire con sistematicità, prevedendo interventi programmati secondo una logica tipica di esperienze secondarie.

E cioè con un tipo di esperienza particolare che è soprattutto una riflessione critica sull’esperienza primaria e che ha come scopo quello di favorire l’acquisizione di strumenti culturali utili al soggetto per comprendere meglio la propria esperienza primaria, diretta, e poterla modificare intenzionalmente e responsabilmente. Ma non si può sostenere che la scuola possa raggiungere i suoi obiettivi se la competenza linguistica dei soggetti non sarà stata coltivata anche prima e fuori dalla scuola. Certo con obiettivi e sistematicità diversi.

Mi sembra risulti perciò sterile discutere su a chi tocca il compito di affrontare un certo problema educativo poiché, in realtà, tocca a tutti sebbene in modi diversi. (Per esempio i problemi educativi riguardanti i mass-media, ma anche quelli relativi all’educazione sessuale, stradale o religiosa. È una pura illusione pensare che un’ora di educazione stradale risolva, ad esempio, i problemi che le cosiddette "stragi del sabato sera" nascondono o che un’ora di educazione sanitaria risolva quello dell’educazione sessuale).

Questa acquisizione dovrebbe anche consentire

  1. il superamento della mentalità della delega che spesso deresponsabilizza gli educatori impedendo loro di mettersi in discussione e collaborare veramente;

  2. la costruzione di una sensibilità comune e una maggiore complementarietà fra le varie proposte educative definendo anche meglio limiti e caratteristiche degli interventi che si possono immaginare nei vari ambienti;

  3. l’individuazione di competenze e compiti specifici richiesti agli educatori che agiscono in ambienti diversi.

Sono tutti aspetti questi ancora dibattuti su cui non si hanno indicazioni certe o definitive. È comunque importante collocarci in questa prospettiva.

Anche in passato, fra l’altro, si è sentito il bisogno - e in ambiente CSI ci si è riflettuto ripetutamente - di usare il termine animazione per caratterizzare l’educazione che avviene negli ambienti dell’extrascuola e per questo ancora si è cercato di qualificare le competenze e le specificità degli animatori del tempo libero. Ed è una linea di riflessione che penso trovi in quanto stiamo dicendo una continuità di ricerca e una prospettiva di prosecuzione.

 

Le diverse agenzie educative

Anche a riguardo dell’attività sportiva dovremmo ora poter comprendere meglio come gli ambienti che costituiscono l’insieme del sistema formativo (famiglia, scuola ed extrascuola) hanno tutti precise responsabilità di intervento educativo ma con tempi, modi, caratteristiche diverse.

Se si dice, come accade di sentire, e spesso con qualche ragione, che la scuola non fa nulla per lo sport, non si dovrebbe cadere nell’errore di voler affidare esclusivamente ad essa l’attività sportiva. Diventerebbe, per di più, e anche in questo caso, un comodo "capro espiatorio" per ciò che anche altri non fanno.

La scuola deve essere presente e rispondere a suo modo - ed ha sicuramente molte cose da migliorare -, ma famiglia, parrocchia, associazioni ed enti pubblici non sono esonerati dall’assumersi le responsabilità dei propri interventi e dei propri non-interventi in materia. In educazione non esiste il principio di sostituzione.

Nessuno può sostituire ciò che altri non fanno. L’associazionismo sportivo - ci riferiamo in modo particolare agli enti di promozione - è chiamato a svolgere al meglio i propri compiti ma, in nessun modo, può sostituire ciò che in famiglia o a scuola i ragazzi non ricevono (e viceversa, ovviamente). Non è inutile sottolineare, comunque, che più che i luoghi sono i modi dell’educare a mutare profondamente, e cioè il ventaglio e le caratteristiche degli interventi, le tonalità e le significatività relazionali e cognitive di cui, per così dire, si colora l’azione educativa nei vari ambienti.

Come perciò per tutti i problemi complessi, anche nel caso dell’attività sportiva questa ottica ci può aiutare a leggere le varie soluzioni in atto e a tentare di chiarificare concettualmente ciò che ogni "agenzia educativa" può e deve fare in rapporto alle altre, stabilendo non solo rapporti di maggiore rispetto reciproco ma lavorando anche per una stagione di corresponsabilità educativa oggi più che mai necessaria per far fronte ai fenomeni di disorientamento e frammentazione valoriale a cui assistiamo.

 

Seguendo una tale logica possiamo tentare la schematizzazione del tipo seguente che ovviamente ha più lo scopo di far discutere per precisare, migliorare e verificare, piuttosto che definire:

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attività ludico motoria occasionale (famiglia);

 

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attività ludico motoria strutturata (scuola materna-elementare);

 

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attività motoria para/pre sportiva (scuola media);

 

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attività di avviamento allo sport (ore di, scuola di, ecc);

 

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attività ludico sportiva (associazionismo);

 

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attività pre-agonistica/agonistica (società sportive-federazioni).

 

Se si tratta di modi è ovvio che fra gli interventi dei vari ambienti educativi si verifichino sovrapposizioni e contaminazioni ma vorrebbe servire a porre le premesse per ricercare specificità di obiettivi, di modi, di ampiezza dei contesti educativi dei vari ambienti. E dovrebbe anche, implicitamente, suggerire e qualificare le competenze richieste agli educatori/animatori che vi operano. In nessuna di queste situazioni, chiaramente, dovrebbe mancare intenzionalità e progettualità rivolta allo sviluppo completo della persona. E, in tutte, la qualità comunicativa della presenza dell’educatore è decisiva.

È tuttavia abbastanza visibile come in alcuni casi l’attività sportiva sia intesa come mezzo e strumento di socializzazione primaria mentre in altri è intesa più decisamente come scopo o obiettivo da raggiungere e da sviluppare.

Nel primo caso l’enfasi è posta sull’educazione attraverso l’attività sportiva, nel secondo è posta sull’educazione allo sport o avviamento a uno sport. Ed è auspicabile anche individuare una sorta di continuum che parte appunto dall’educazione attraverso lo sport fino alla pratica agonistica, fino, ancora, ad una pratica ad orientamento professionalizzante. E, ovviamente, educazione assume via via significati e intensità diversi (per il riferimento all’insieme dei valori, degli obiettivi e metodi chiamati in causa).

 

Educazione e sport in 3ª fascia

Nel caso del CSI, e cioè in una associazione di ispirazione cristiana con prioritarie finalità educative, ci si rivolge a ragazzi e giovani di terza fascia (14-18 anni), con un’attività sportiva orientata a una pratica agonistica ma collocata in contesti formativi che non vogliono esaurirsi in essa.

Mi sembra di poter affermare che, in questa fascia di età, si punta alla formazione di atleti ma all’interno di un contesto educativo in cui obiettivi formativi espliciti di equilibrio, sensibilità, apertura sociale e culturale non siano solo auspicati e casualmente ottenuti ma direttamente perseguiti sia attraverso le potenzialità della cultura sportiva sia attraverso proposte e attività specifiche di carattere associativo e culturale.

 

La società sportiva come contesto associativo

Il contesto educativo CSI, allora:

  1. ha innanzitutto la preoccupazione del bene della persona, della sua crescita equilibrata e piena;

  2. offre opportunità di una vita associativa intensa e che, perciò, non può esaurirsi nell’offerta degli allenamenti e delle gare;

  3. presenta l’attività sportiva come un impegno serio ma anche critico, riconducendolo alle dimensioni di una esperienza non assolutizzata e non enfatica, come molte immagini correnti dello sport sembrano proporre.

Un contesto perciò che:

  1. mette in primo piano lo spirito di correttezza, di collaborazione e di responsabilità;

  2. favorisce l’acquisizione della consapevolezza dei propri mezzi e dei propri limiti e l’analisi delle proprie motivazioni all’attività;

  3. prospetta obiettivi realistici che per essere ottenuti tuttavia richiedono impegno, costanza, dedizione;

  4. sollecita, attraverso l’esperienza sportiva-associativa stessa, la ricerca di un significato profondo alla propria vita.

La eventuale non-riuscita come atleta, o come grande atleta, non sarà vissuta, allora, come una frustrante sconfitta esistenziale ma come una prova maturante all’interno di una ricerca che può avere altri orizzonti e altre prospettive. E nel contempo sarà conservata intatta la passione per una attività che ha fornito comunque preziose occasioni di crescita personale.

Un contesto educativo, allora, non definito e risolto da una pur corretta metodologia di allenamento, ma caratterizzato anche:

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dalla tensione a far scoprire e vivere quelle dimensioni dello sport giudicabili formativamente più rilevanti e, cioè quelle che dovranno manifestarsi nella vita, al di fuori e oltre la pratica agonistica (impegno continuativo per ottenere risultati di lungo termine, passione per l’attività svolta, confronto corretto, rispetto delle regole, scoperta e accettazione di capacità e limiti, coesione e collaborazione,...);

 

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da una attenzione particolare alla gradualità e alla calibratura psicologica delle proposte;

 

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da sensibilità e attenzione agli aspetti relazionali e comunicativi dell’attività stessa.

 

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