Capitolo III
L’australiano inverno pungente
scorreva senza grosse novità, a parte quella che aveva
completamente rivoluzionato la mia vita. Il disagio che
Russell stava vivendo con sua moglie aveva conosciuto
picchi acuti, più di una volta, in preda ad una folle
disperazione era salito in macchina, dopo un’accesa
discussione e mi aveva raggiunto a Sidney, cosa che io
potevo apprezzare fino ad un certo punto, visto che mi
trovavo in un periodo di scarsa salute e di sovraccarico
di lavoro. A volte mi teneva sveglia fino alle ore
piccole a parlarmi del motivo per cui aveva litigato con
Danielle, degli errori che lui aveva fatto e che lei non
era intenzionata a perdonargli e di quelli, forse meno
vistosi che aveva commesso lei e sui quali lui sarebbe
forse passato sopra con maggior facilità. Non era
difficile capire che lui l’amava molto di più di
quanto lei amasse lui.
Anche quella mattina mi sentivo poco
bene. Avevo un forte mal di stomaco ed un nausea
persistente ma cercai di vincere tutto e mi trascinai in
ufficio. La giornata giunse faticosamente alla fine, con
quel dolore acuto che non mi mai aveva lasciato e che
effettivamente mi perseguitava da almeno un mese e
mezzo. Prima di uscire dall’ufficio tirai sul il
telefono e composi il suo numero.
- Ehi!
Finalmente ti fai viva… ho aspettato la tua
chiamata tutto il giorno, ho bisogno di parlarti.
- Dove
sei?
- Sono
qui sotto.
Rimasi sorpresa senza capire bene.
- Qui
sotto dove?
- Al tuo
ufficio.
- Scendo
immediatamente.
Mentre raccattavo rapidamente le
mie cose cercavo di immaginare il motivo per cui
questa volta avevano litigato perché soltanto quello
poteva essere il motivo della sua presenza a Sidney.
Lo trovai di fronte alla porta a
vetri del palazzo. Dovevo avere una specie di smorfia
che mi deformava il viso, perché mi guardò
preoccupato.
- Ti
senti bene?
- A dire
il vero no.
E gli spiegai del mal di stomaco
che mi aveva tormentato tutto il giorno e che non
manca di farlo con regolarità da più di novanta
giorni.
- Che è
successo? - gli chiesi poi.
- Guarda
il sedile posteriore.
Mi voltai e vidi due borsoni pieni
fino a scoppiare. Mi voltai e lo guardai con aria
interrogativa.
- Ce ne
sono altrettante nel baule.
Mi guardò ancora.
- Me ne
sono andato. Le ho lasciato un mese di tempo per
andarsene via da casa mia.
Trattenni a stento la sorpresa.
- Avete
litigato?
Strinse le mani sul volante.
- Sì.
Ancora una volta. E ci siamo detti delle cose
orribili, ancora una volta. Vorrei poter restare a
casa tua in questi giorni, pensi sia possibile?
- Sì…
credo che… che non ci siano problemi. Ma scusa,
non è casa tua? Il ranch non è tuo?
- Sì. Ma
voglio lasciarle tutto il tempo che desidera per
prendere le sue cose e andarsene.
- Sei
sicuro di star facendo la cosa giusta?
- Ti
frequento da cinque mesi, Izzy, ho avuto tutto il
tempo di pensarci. E ho pensato che tutto quello
che voglio dalla vita è trascorrere altre
diecimila notti come quella che abbiamo passato
insieme la prima volta che ti ho incontrato.
- E’
una decisione grave, te ne rendi conto vero?
- Ho già
parlato col mio avvocato. Sta già preparando le
carte per il divorzio.
- Si
scatenerà un inferno, Russell, ti attirerai le
ire di tre quarti di mondo addosso.
- Non mi
riguarda. Io voglio essere felice e per questo
devo stare con te.
D’un tratto una fitta lancinante
mi colpì in pieno addome, come una lama. Sbandai
leggermente e per un pelo non andai a sbattere contro
un idrante sul marciapiede. Russell si allarmò
immediatamente.
- Che
succede, che hai?!
- Lo
stomaco… - portai una mano sul diaframma - mi
sta torturando!
- Fermati!
Ferma la macchina! Fermala!!
Seguii il suo consiglio e accostai,
misi le quattro frecce e mi catapultai fuori dall’auto,
piegandomi in due a cercare disperatamente di attutire
il dolore che si stava facendo insopportabile.
Lui si avvicinò e mi circondò le
spalle con il braccio, cercando in qualche modo di
assistermi.
- Andiamo
al pronto soccorso, dai.
- No…
vedrai che mi passerà…
- Se mi
hai detto che è un mese e passa che hai questo
disturbo… dai, niente storie, il Saint Patrick
è a due isolati da qui.
Entrammo al pronto soccorso e
almeno qui la sua presenza non destò sorpresa: i
malati erano più importanti. Mi adagiarono su di una
barella e scomparii subito dietro la porta delle
emergenze, e venni portata immediatamente in una sala
per delle analisi. Sentii i medici affannarsi intorno
al lettino e dopo poco il dolore acuto ed intenso mi
fece perdere i sensi.
Quando aprii gli occhi, ero in
un'altra saletta illuminata anche dai pannelli per le
letture delle radiografie. Dopo poco entrò un medico.
- Miss…
- …
Franzolini.
- Sì.
Come si sente?
- Sono
stata meglio.
- Il
dolore è passato?
- A dire
il vero non del tutto.
- Mm.
Esaminò la mia cartella.
- So che
è stata accompagnata qui al pronto soccorso. La
persona che l’ha portata è un componente della
famiglia?
- Beh,
non proprio. E’… - ebbi un lungo momento di
incertezza. Non sapevo come definirlo… - …è
il mio compagno.
- Credo
sia opportuno farlo entrare.
Uscì e di lì a poco rientrò con
Russell dietro, che si precipitò vicino al mio letto
e non chiese nulla, mi guardò soltanto con un’aria
un po’ spaventata. Poi si rivolse al medico.
- Che
problema c’è?
- I
dolori che ha accusato sono stati costanti nell’arco
dell’ultimo mese e mezzo?
- Sì,
più o meno - risposi.
- Ha
anche accusato nausee, perdite ematiche dalla
bocca?
- Nausee.
Perdite ematiche mai.
- Miss…
- e lo sguardo del medico si posò anche su
Russell - dalle lastre e dalle analisi che abbiamo
effettuato, ci risulta una piccola presenza
tumorale intorno al cardias.
Mi sentii svuotare dentro. Un
cancro. Avevo il cancro. Russell divenne pallidissimo,
mentre sbarrava gli occhi e le sue mani si annodavano
sempre di più.
- E’
maligno? - chiesi.
- Dobbiamo
aspettare i risultati della biopsia che le abbiamo
già effettuato, ma ne ha tutta l’aria.
Una lacrima mi scese lungo il viso.
Russell si staccò improvvisamente da me e si
avvicinò alle lastre.
- So che
non è certo una bella notizia ma, la invito a non
abbattersi. Siamo convinti che sia operabile.
- Dio sia
lodato… - tirai un sospiro di sollievo, sebbene
quella scomoda sensazione di ansia non mi
lasciasse.
Russell tornò accanto al letto e
si rivolse al medico.
- Quando
la operate?
- Prima
è, meglio è. Possiamo sicuramente farla
ricoverare stasera e confido che possano
intervenire la settimana prossima. Ma ora Mr.
Crowe venga con me. Lasciamola riposare, potrà
rivederla quando l’avranno ricoverata a
chirurgia.
- Mi dia
ancora cinque minuti.
- Sicuro.
Il medico uscì. Russell si
avvicinò ancora di più al letto e si chinò a
baciarmi la fronte.
- Tesoro…
- la voce gli tremava, il viso era deformato da
una strana smorfia, non l’avevo mai visto così.
- Russ,
sta’ tranquillo. Vedrai che si sistemerà tutto…
Vidi una lacrima che gli scese
sulle guance e che lui asciugò col dorso della mano.
- Tesoro,
ti prego… ti prego, non lasciarmi…
- Non
preoccuparti, - lo rassicurai di nuovo - vedrai
che me la caverò benone.
- Io sono
con te, al 100%, sono con te. Sii forte, Izzy,
perché io ti starò vicino ogni secondo.
- Allora
sono tranquilla.
Gli rivolsi un debole sorriso, il
male allo stomaco stava tornando a tormentarmi. Lui
fece per uscire poi si volse nuovamente verso di me.
- Izzy…
- Che c’è?
- Sei una
donna incredibilmente coraggiosa.
- Hai
sentito il medico? Ha detto che si può operare.
Se l’operazione non dovesse andar bene… ecco,
allora lì comincerei a preoccuparmi.
- Non è
così semplice. Se avesse fatto lo stesso discorso
a me sarei morto di paura.
- Si è
autorizzati a perdersi d’animo solamente quando
la situazione diventa critica. Ed anche allora,
quando non c’è più soluzione, perché
preoccuparsi?
Russell mi rivolse ancora un ultimo
lungo, avvolgente sguardo poi uscì.
La settimana successiva mi venne a
trovare. Era incredibile, ma in una settimana era
riuscito a dimagrire. Potevo scommettere che,
indipendentemente dalla situazione da carestia del mio
frigo, si fosse dimenticato di mangiare. Stava seduto
accanto al mio letto e mi accarezzava la fronte con il
pollice, la mano sulla testa.
- Come va
a casa, tutto a posto?
- Sì,
sì… c’è… beh, c’è un po’ di casotto,
ma prometto di rimetterti tutto a posto quando
torni.
Sorrisi.
- Non mi
riguarda… l’importante è che tu ci stia bene.
Hai fatto qualcosa di nuovo con quei documenti del
divorzio?
- Danielle
ed io li abbiamo firmati due giorni fa.
- Mi
dispiace, Russell.
- Si vede
che non doveva essere…
- Ehi…
niente moglie, niente amante… vedi di non
affogare tutta la tua disperazione nei liquori del
mio bar. Cerca almeno di ricomprarmi le bottiglie
che ti prosciughi.
Lui tentò un lieve sorriso.
- Mi sono
sempre comprato la birra.
- Vuoi
darmi a bere che hai lasciato il mio Laphroigh
intatto? Bugiardo…
- Tesoro,
mi manchi.
Un’infermiera fece capolino nella
stanza.
- Mr.
Crowe, deve uscire, la dobbiamo preparare per l’intervento.
- Ora me
ne vado.
Lo fermai subito.
- Russell…
- Dimmi.
- Ricordi
tutto quello che ti ho detto al pronto soccorso
una settimana fa?
- Sì.
Non riuscii a trattenere una
lacrima che prepotentemente traboccò dall’occhio.
- Erano
cazzate. Ho paura. Una paura fottuta.
- Sei una
roccia, Izzy, andrà tutto bene. Non devi, non
puoi lasciarmi, capito?
Mi teneva ancora la mano quando mi
vennero a prendere. Lo vidi commosso e smarrito, poi
la pre-anestesia cominciò a fare effetto.
Mi svegliai. La luce mi ferì
violentemente gli occhi, riflettendosi sul cervello
che reagì ad un impulso doloroso. Avevo la bocca
incollata, le labbra aride e un sapore schifoso in
bocca. Dopo tutto questo mi resi anche conto che avevo
un terribile mal di stomaco, stavolta per una ferita.
Tentai di chiamare l’infermiera, ma non riuscii a
scollare le labbra e dopo poco entrò il medico che mi
aveva operato.
- Miss
Franzolini! Come si sente?
- Come se
fossi passata dentro una betoniera…
- Capisco.
Naturalmente è normale, ma sono passato per dirle
che i suoi valori sono normali e che l’intervento
è riuscito splendidamente, abbiamo asportato
completamente il tumore e siamo riusciti a pulire
bene la zona circostante senza essere troppo
invasivi. Non vorrei correre troppo, ma direi che
lei è stata molto fortunata.
- Fantastico…
- replicai con un filo di voce. - Dottore, - lo
fermai mentre stava per uscire - posso avere dell’acqua?
- Sicuro,
le chiamo l’infermiera.
Russell fece capolino nella stanza
subito dopo l’acqua.
- Ho
parlato adesso col chirurgo… Ha dato buone
notizie…
- Speriamo
che non si scateni qualche cellula impazzita… -
risposi, sempre con un filo di voce, visto che mi
sentivo tremendamente debole.
- Non ci
sarà nessuna cellula impazzita. Ora devi soltanto
tornare a casa e io ti accudirò.
Trascorsi ancora qualche giorno in
ospedale dal quale fui dimessi dieci giorni dopo l’intervento.
Russell mi venne a prendere, sorreggendo me e portando
la valigia che mi aveva fatto avere quando ero dovuta
entrare a chirurgia. Le sorprese non dovevano però
finire così, perché quando uscimmo dall’ospedale
un piccolo crocchio di giornalisti ci si fece
incontro. Uno mi ficcò un microfono direttamente
sotto il naso.
- Come si
sente?
- Com’è
andato l’intervento?
- Continuerà
a lavorare in ufficio?
- Mr.
Crowe, Miss Franzolini è una sua amica o è
qualcosa di più?
- Miss da
questa parte, da questa parte!
- Mr.
Crowe è questa misteriosa amica la causa del suo
divorzio da Danielle Spencer?
Russell trattenne a stento il
nervosismo, poi si volse verso di me. Lo abbraccia con
uno sguardo dolce e stanco poi gli dissi:
- Diglielo.
E poi liberatene.
Russ rimase perplesso a guardarmi,
poi posò la valigia senza mai perdere la presa sotto
la mia vita e fece cenno ai giornalisti di zittirsi.
Immediatamente il silenzio calò sul piccolo drappello
di persone che cominciarono a pendere dalle sue
labbra.
- Anche
se continuo a pensare che questi non siano affari
vostri, c’è qualcosa che voglio dirvi. Perché
me l’ha consigliato una persona alla quale tengo
molto. - Il suo sguardo si posò ancora su di me.
- Danielle Spencer ed io ci siamo separati, i
documenti per l’avvio della pratica di divorzio
sono stati firmati tre settimane fa. Miss
Franzolini ha subito un delicato intervento che ha
avuto un ottimo risultato. Sono stato molto in
pensiero per la mia fidanzata e ora che la vedo
ristabilita e fuori dall’ospedale mi sento
meglio. Miss Franzolini non è stata la causa del
mio divorzio, le cose tra me e Danielle Spencer
non andavano bene già da qualche tempo. E ora che
avete qualcosa di cui sparlare fino al prossimo
millennio vi prego di lasciarci in pace. Grazie.
- Bravo.
- Ho
studiato…
- Portami
a casa, non ne posso più…
Quando la jeep si fermò di fronte
casa, tirai un sospiro di sollievo. Anche perché
cominciavo a non poterne più di un discorso assurdo
che stava continuando a portare avanti il mio celebre
accompagnatore.
- Russell,
cosa intendi che non se ne vuole andare di casa??
- E’
così, Izzy, è un amico, è passato da Sidney e
voleva venire a trovarmi a Nana Glen, ma sai che
con questo casino del divorzio in quella casa
preferisco non entrarci e sembrava che lui dovesse
andarsene dopo un paio di giorni…
- Cosa
significa esattamente “sembrava che dovesse
andarsene in un paio di giorni”?? Russell,
maledizione! Io… io ti voglio bene, ma mi sento
ancora uno straccio! E’ mai possibile che questa
persona non abbia un minimo di senso comune?!
Russell, posata la valigia sull’uscio,
aprì la porta con un sorriso sornione e disse:
- Forse
perché non è una persona…
Dall’ingresso vidi arrivare al
galoppo un batuffolo nero che spalancava la bocca in
un miagolio disperato. “Ho fame!” sembrava urlare.
Urlai anch’io.
- Oh
Russell!! - mi chinai a raccogliere il batuffolo,
prima che si fiondasse in mezzo alla strada. - E’
bellissimo!!! - Strofinai la faccia contro il muso
minuscolo, punteggiato dal naso umido, della
bestiola. Che non smetteva di miagolare disperato!
- Ma come ti è venuto in mente di prendere un
gatto??
- E come
si poteva farne a meno? Ogni volta che passi
davanti ad una vetrina di un negozio di animali o
a un giardino dove ce n’è uno, ci si
trascorrono le ore… Ho pensato che averne uno
tutto per te ti avrebbe fatto piacere.
- Sei un
tesoro, grazie! La mia gatta era morta poco prima
che partissi e in effetti cominciavo a sentire la
mancanza di un felino in casa. Stavo per prenderne
uno quando ti ho conosciuto e… beh, ho avuto
altro a cui pensare.
- Mi
hanno consigliato la femmina.
- Hanno
fatto benissimo.
- Mi
spiegherai perché più tardi. Adesso ragazze,
muoversi: prepariamo una cosa da mangiare!
Entrammo in casa come una famiglia
felice. La micetta saltellava per tutta la cucina,
Russell infatti la faceva impazzire giocando con lei e
manipolandola come una pallina di gomma. Tutto sommato
sembrava che l’avesse presa più per sé…
Nonostante fossi appena tornata, fui sottoposta al
supplizio della “pastasciutta veloce” e una volta
preparata una salsa di pomodoro veloce, buttai la
pasta nell’acqua. Russell se ne stava appollaiato
sullo sgabello al bancone della cucina, con la gattina
sul tavolo.
- Vuoi
una birra? - chiese, aprendo il frigo
- No,
grazie… Russ… - guardai con lieve disappunto
il gatto che si rotolava sopra il suo piatto - è
proprio il caso? Salire sul tavolo della cucina è
una delle prime cose che imparano… forse sarebbe
il caso di non insegnarglielo.
- Dai…
in fondo non è il tuo piatto.
Lo guardai con profonda
disapprovazione. Poi scoppiammo a ridere insieme e gli
dovetti chiedere di non fare più battute idiote,
infatti ridere mi provocava ancora qualche fitta
dolorosa alla ferita. Si accese una sigaretta, mi
abbracciò da dietro mentre governavo ai fornelli e me
la mise tra le labbra. Tirai una lunga, profonda
boccata che dapprima mi dolse il petto ma poi mi
lasciò il sapore familiare del tabacco in bocca.
- Mmmmm….
finalmente… non sai quanto me la son sognata….
- Sai
cosa? Credevo che avresti smesso stando in
ospedale.
- Troppa
fatica.
Si allontanò e tirò fuori un
salamino che mi ero fatta mandare dall’Italia poco
prima di essere ricoverata, cominciò ad affettarlo
sul bancone di fianco al piano cottura.
- Izzy,
devo dirti una cosa.
- Che c’è?
- Mi
hanno chiamato da Los Angeles. C’è una
sceneggiatura buona e vogliono firmare un
contratto. Devo partire tra tre giorni e
presumibilmente cominciare a girare tra un mese.
Lo guardai.
- Mi
spiace.
- E di
cosa? E’ il tuo lavoro.
- Non
volevo lasciarti proprio ora.
- Non fa
niente. E poi tra un mese starò bene.
- Non
ricominciare a fare la dura con me.
- Non
faccio la dura.
- Almeno
per la firma del contratto potresti venire con me.
- Vorrei
tanto ma non credo di farcela.
- Sicura?
- Quanto
dureranno le riprese?
- Quattro
mesi più o meno. Gireremo a Washington.
- Hai
già letto la sceneggiatura? Di che si tratta?
- Un
agente dell’FBI alle prese con un fenomeno
paranormale. Una specie di X-file.
- Wow. Ti
verrò a vedere al cinema sicuramente, sono i film
che preferisco.
- Credevo
ti piacessero le storie di gladiatori…
Sorrisi. Gli piaceva fare dell’umorismo
di quel tipo.
- E io
non pensavo che ti piacessero le storie di agenti
dell’FBI alle prese con fenomeno paranormali…
Come dovrò chiamarti d’ora in poi, Fox??
- Molto
spiritosa…
- C’è
anche un intreccio amoroso?
- Sì…
con una bella criminale.
- Interessante.
Chi farà la parte?
- Sandra
Bullock.
- Ma no!
La prima volta che fa la cattiva…
- Manca
ancora tanto alla pasta per esser cotta?
- Ci
siamo.
Scolai i maccheroni e li condii,
come gli avevo insegnato, Russell prese il formaggio
dal frigo e lo mise su entrambi i piatti.
Mangiammo e bevemmo, ridemmo e
discutemmo del suo nuovo lavoro. Era bello trascorrere
del tempo insieme a lui, era la prima volta che lo
facevamo come una coppia “normale”. Qualche ora
dopo, stanca della giornata particolare decisi di
ritirarmi.
- Tesoro,
io vado a dormire.
- Ti
seguo… sono stanco anch’io.
Dopo essermi lavata il viso feci
per infilarmi il pigiama. Russell gironzolava tra la
camera e il bagno e quando vide che stavo per coprirmi
si fermò di fronte a me, bloccando le mani con cui
maneggiavo la casacca del pigiama. Mi guardò la
ferita, passandoci sopra con un tocco leggero le dita.
- Ti fa
male?
- Leggermente,
sì.
Mi guardò ancora con quello
sguardo impaurito che gli avevo visto quando ci
avevano dato la brutta notizia, e le sue mani mi
circondarono la vita per poi scorrere dietro la mia
schiena e stringermi più saldamente a lui. Mi baciò
dolcemente.
- Mi sono
spaventato da morire…
- Ora è
finita…
La sua bocca si fece più golosa e
io mi appesi alle sue spalle mentre si spostava a
piccoli passi verso il letto. Ci sdraiammo e le sue
mani si fecero impazienti dentro i pantaloni del mio
pigiama. Ad un tratto si fermò.
- Te la
senti?
- Non me
la perderei anche se mi avessero tagliato una
gamba…
Rassicurato dalle mie parole
continuò quel che aveva interrotto. Era incredibile
come le nostre pelli fossero calde, come le sue dita
cercassero di stimolare il mio piacere soffermandosi
sul mio sesso, giocherellandoci e affondando nella mia
carne umida. Continuava a baciarmi, mentre si toglieva
i pantaloni del pigiama che inutilmente aveva
indossato, sussurrava al mio orecchio, solleticato
dalla barba, mentre mi guidava la mano verso il suo
sesso, che trovai già turgido che mi pregava di
accarezzargli. Scese con le labbra e la lingua lungo
il mio collo e le spalle, mi baciò il seno che teneva
delicatamente con la mano, succhiandomi il capezzolo
delicatamente, scese ancora, strofinando delicatamente
la lingua intorno alla ferita e ancora, lungo l’addome
e più giù fino ai confini più intimi del mio
piacere. Si soffermò per qualche tempo laggiù e
nonostante lo trovassi più che piacevole lo implorai
di tornare con la sua bocca sulla mia: volevo trovare
il mio piacere quando lui fosse stato dentro di me.
Lui accettò e tornò a baciarmi sulla bocca mentre
col ginocchio mi divaricava dolcemente le gambe, mi
toccò per imparare le mie forme, per non perdere la
strada, quindi condusse il suo membro con un colpo
deciso nella mia carne. Affondò con decisione,
facendomi gemere per quell’iniziale sottilmente
doloroso piacere che mi procurava il suo vigore, poi
rallentò il ritmo, diventando dolce ed elegante come
l’incedere di un’indossatrice, flessuoso e
sensuale. Non gli nascondevo il mio piacere, mugolando
e sospirando, chiedendogli di tenermi stretta fra le
sue braccia. Ad un tratto, continuando ad amoreggiare
con me, si fermò a guardarmi negli occhi. Io sbarrai
i miei, sorpresa di trovarlo così “attento” in
quella situazione… concitata.
- Amore
mio… - sospirai - che succede?
La sua stupenda voce profonda,
leggermente velata dalle sigarette, mi giunse portata
dal respiro.
- Io ti
amo, Izzy… ti amo tanto, tesoro…
E mentre pronunciava quelle parole
continuava a guardarmi dritto negli occhi, come se
volesse in quel modo, imprimerle a fuoco dentro di me,
nello stesso modo in cui continuava ad esplorare i
più reconditi angoli della mia femminilità.
Continuò a guardarmi anche quando venne, continuò a
ripetermi che mi amava, chiuse leggermente gli occhi
soltanto verso la fine, per poi riaprili lascivi e blu
grigi e ripiantarli dentro i miei.
Era tutto così straordinario. Mi
commosse. Da quando ci eravamo conosciuti, quell’uomo
così rude e scontroso verso un mondo che voleva
penetrare ogni aspetto della sua vita, mi aveva
consegnato il suo cuore in mano ed ora, l’anima
nuda, si esponeva a me senza difese, desideroso
soltanto di amare, avere una vita normale per quanto
si potesse concedere ad un uomo famoso come lui e di
essere riamato. Una lacrima mi scese lungo la tempia.
Lui si avvicinò e l’asciugò con la lingua.
- Che ti
succede tesoro?
- Ti amo
anch’io… tanto, tesoro… e mai nessuno mi
aveva reso così felice.
- Perché
una lacrima allora?
- Non hai
mai pianto di gioia?
- Non che
lo ricordi.
- Io sì.
E’ il modo più intenso che conosco di vivere un
momento di gioia.
Mi baciò ancora dolcemente, poi
uscì da me e posò la testa sul mio seno.
- Non
vedo l’ora di tornare a Nana Glen con te.
- Ho un
solo ricordo bellissimo di quel posto, devo
crearmene altri.
Gli accarezzavo i capelli e le
orecchie, mentre lui restava lì, abbarbicato a me
come un rampicante. D’un tratto sentimmo sui piedi
un peso improvviso. Tirammo su appena la testa e
vedemmo la gattina che era balzata sul letto. Le
rivolgemmo un sorriso tenero e lei non si fece
scappare l’occasione: percorse il letto matrimoniale
dal fondo fino alle nostre teste sollevando
esageratamente le zampette come se stesse camminando
nell’erba alta e poi rimase vittima delle nostre
coccole e dei nostri scherzi, senza stancarsi mai,
inseguendo prima il mio dito sotto il lenzuolo e poi
il piede di Russell in fondo alla coperta. Ci
addormentammo dopo poco, tutti e tre, come una
famiglia felice.
Capitolo IV
- Pronto.
- Izzy!
- Russ!
Tesoro, come va??
- Bene,
un po’ faticoso ma bene!
- Credo
che 30 milioni valgano un po’ di fatica, ti
pare, pelandrone?
- Lo
sapevo… in fondo sapevo che ti eri messa insieme
a me solo per i miei soldi…
- Non
dirlo nemmeno per scherzo… il lavoro va bene?
- Sì,
sì, siamo leggermente in ritardo per certi casini
in produzione ma il resto funziona a meraviglia.
- Com’è
Sandra?
- Pronta
a darmi un figlio!
- Bastardo…
- E’ in
gambissima e molto simpatica. Vorrei che fossi qui
per conoscerla. E anche per stare con me… mi
manchi un sacco Izzy.
- Anche
tu… ma che tempo fa sull’altra metà del
mondo?
- Non
male, fresco ma non male. Ah… sono rotolato in
terra e mi sono un po’ sbranato un ginocchio…
- Incidente
sul lavoro?
- Sì, ma
assolutamente nulla di grave.
- Russ…
tesoro, … pronto?!
- Sì,
sono qui…
- Senti…
sei sicuro che ti piacerebbe avermi lì?
- Come è
vero che mi chiamo Russell Ira Crowe…
- Russ,
se prendessi un aereo e venissi a trovarti?
- Oh!
Izzy, amore, è fantastico! Quando arrivi? E
quanto ti fermi?
- Volevo
prendere l’aereo mercoledì, e fermarmi un po’
meno di una settimana. Ripartire tipo lunedì o
martedì… avrai tempo anche per me o sarò
costretta a farmi un day-trip della capitale..?
- Per te
lo trovo il tempo, dolcezza! Richiamami quando
parti per farmi sapere i dati del volo. Magari ti
mando una macchina all’aeroporto.
- Lascia
perdere, prendo un taxi. Stai al Marriott?
- Sì, al
Courtyard, 900 F Street.
- Splendido,
ti chiamo quando parto.
- Ti
bacio… Izzy!!
- Ehi!
- Ti amo.
- Anch’io…
Mercoledì, come convenuto,
telefonai a Russell. Trovai il cellulare spento e mi
sorpresi a fantasticare su dove poteva averlo buttato
e sul fatto che in quel preciso momento stava
lavorando nel vero senso della parola… “Attenti…
ciak… azione!” … buffo. Gli lasciai un messaggio
in segreteria e dopo aver chiuso il mio telefono,
entrai nell’aeroporto.
Fu un viaggio lungo, ma piuttosto
comodo, mi guardai il film, pisolai un poco, lessi un
po’ del libro che mi ero portata. Finalmente
arrivammo a destinazione.
Il bagaglio arrivò quasi subito
(non ero capace di portarmi il bagaglio a mano quasi
nemmeno per un giorno) e immediatamente uscii dall’aeroporto
per prendere il taxi. Dall’auto gli telefonai.
- Ehi,
Mr. Crowe, sei ancora impegnato con quella tua
recita scolastica o trovi un po’ di tempo per la
tua reginetta??
- Ma sei
già fuori?? Ciao!!
- Sì,
sono in taxi, sto arrivando.
- Guarda,
mi manca poco poi vengo. Guarda che avevo avvisato
l’albergo del tuo arrivo, sei nella mia stanza,
1608, ok?
- Ci
vediamo a cena.
Il Marriott Courtyard, a un tiro di
schioppo dal centro, era bello come me lo ricordavo,
esattamente come tutta Washington. La receptionist mi
accolse con un largo sorriso.
- Mrs.
Crowe! L’aspettavamo. Prego.
Mi allungò la chiave magnetica e
io la guardai un po’ perplessa per il “mrs. Crowe”.
“Possibile che si sia già venduto per sposato? Bah.”.
Entrata in camera, mi buttai sul letto, sfinita. Ecco
che mi tornava la nausea. Erano un paio di mesi che ne
soffrivo e all’inizio, terrorizzata da un eventuale
recidiva del tumore, mi ero precipitata in ospedale
per farmi controllare.
Mentre stavo per appisolarmi sentii
un click e capii che la porta si stava aprendo.
- Izzy!
- oddio,
Russ…
Gli buttai le braccia al collo e
lui mi circondò la vita con le sue e mi sollevò e mi
strinse e strofinò la barba nel collo, poi mi coprì
di piccoli fitti baci la bocca. Mi diede un bacio più
sensuale, finché, socchiudendo gli occhi mi accorsi
che non eravamo soli. Mi scossi nella sua morsa per
farmi mettere giù, lui capì e mentre mi depositava a
terra bisbigliò:
- Mi sei
mancata…
- Credo
che anche la signorina se ne sia accorta…
- Ma
certo! - Si voltò verso la signorina in
questione, che rideva senza vergogna dietro le sue
spalle - Izzy, questa è Sandra, Sandra la mia
fidanzata, Izzy.
Ci stringemmo la mano e lei mi
rivolse quel suo sorriso che comunicava subito una
simpatia irresistibile.
- Russell
mi ha parlato tantissimo di te…
- Oddio,
chissà che tormento!
- Ehi
pollastre, ci mangiamo un hamburger e ci facciamo
una birra?
- Preferirei
un trancio di pizza… - feci io.
- A
quella non rinunci mai, piccola…
Durante il tempo trascorso a cena
in tre, ridemmo parecchio di tutto e parlammo di
tutto, poi ci ritirammo perché la giornata era stata
stancante per tutti. Dopo esserci augurati buonanotte,
Russell e io entrammo nella nostra camera. Seguì il
solito rituale pre sonno, faccia lavata, crema sul
viso, pigiama.
Nel letto, Russell sembrava un
adolescente. Mi strapazzò come un uovo, mi strizzò e
mi baciò ancora un milione di volte.
- Allora…
che ci fai qui con me, bella sconosciuta…
- Avevo
del tempo libero e ho pensato di venire a darti
una controllata…
- Pensavo
che avessi perso il tuo spirito italiano… invece
eccolo lì, che ogni tanto fa capolino! Sei
gelosa?
- Beh
sì, Sandra è molto carina e simpatica…
- Siamo
diventati molto amici, ma nulla di più, tu mi
mancavi come l’aria…
- Proprio
per questo…
- Smettila
adesso, bella sconosciuta e vieni subito qui tra
le mie braccia…
Mi shakerò un altro po’, finché
nonostante l’ora tarda decisi di dirglielo.
- Russ…
tesoro, io ho bisogno di parlarti di una cosa.
- Davvero?
Pensa, anch’io ho bisogno di dirtene una.
- Allora
comincia tu - lo anticipai.
- Vedi, -
preambolò, mentre usciva fuori dal letto e andava
a frugare dentro un borsone che aveva lasciato
sulla sedia - questi tre mesi lontano da te sono
stati un vero inferno, nessuno che mi accusasse di
svuotargli il bar o che mi facesse dimostrazioni
di forza di carattere per poi rivelarmi che era un
essere umano… o che passeggiasse con me al
chiaro di luna a Nana Glen, quindi ho pensato che
sarebbe stato opportuno porre un freno a tutto
questo. - Tirò fuori da dietro la schiena la
scatoletta che teneva nascosta e la aprì - Izzy…
anzi, non ho mai usato il tuo nome, che per
assurdo ho imparato quando ti hanno ricoverata in
ospedale e credo che in quest’occasione sia
invece d’obbligo - si avvicinò con la
scatoletta aperta - Isabella… mi vuoi sposare?
La pietra che baluginava dall’anello
esposto nella scatoletta mi distrasse un po’, ma poi
lo guardai negli occhi, che in quel momento da ridenti
e giocosi che erano, si fecero teneri e appassionati.
Tirò fuori l’anello dall’astuccio e me lo mise al
dito.
- Sposami
Izzy…
Lo baciai con tutta la foga che
potevo mettere in un bacio, lo guardai e sorrisi.
- Sì,
tesoro, ti sposo, Russell, ti sposo!!
Ci baciammo per un’altra buona
decina di minuti, poi tornai a chiedergli:
- Io ho
sempre una cosa di cui parlarti…
- Giusto!
Dimmi, di che si tratta?
- Appena
in tempo… - sussurrai, mostrandogli l’anello
che mi aveva appena donato.
- Cosa?
- A far
di me una… “donna onesta”… sei arrivato
appena in tempo… - mi accarezzai il ventre e gli
sorrisi. Rimase ancora un po’ interdetto, poi
afferrò il punto.
- Oddio
Izzy… sei… sei…!?!?
- Aspetto
un bambino… - sussurrai ancora.
- Ma come…
quando…
- La sera
che sono tornata dall’ospedale, ricordi? C’era
Lucilla così piccina… che saltava sul letto per
giocare…
- … e
si rotolava nel mio piatto mentre tu preparavi
cena, certo che ricordo! Amore, stasera con queste
due notizie, tu hai fatto di me l’uomo più
felice del mondo!
- Ti amo
Russ…
- Anch’io
tesoro, anch’io! Ma allora di quanto tempo è,
fammi pensare…
- Sono
entrata nel terzo mese da una settimana.
- Tre
mesi… appena finite le riprese mi libero e non
prendo impegni per almeno un anno!
L’eccitazione (e anche una
delicata performance amorosa) ci tenne svegli ancora
per un po’, finché, Russell prima di me, crollammo
sopraffatti dal sonno.
L’indomani ci alzammo di buon
ora, Russell insistette perché lo andassi a vedere
sul set. Tutto sommato l’idea non mi dispiaceva, non
avevo mai visto fare un film e le scene d’esterno
che dovevano girare erano interessanti. Ogni tanto
buttavo un occhio alla pietra preziosa che scintillava
al mio dito e pensavo soprattutto a quello che
rappresentava. Mi sentivo pervadere da un calore dolce
e lui era straordinario e… Dio, non potevo davvero
chiedere altro dalla vita.
- Allora
tu siediti qui e guardami, ok, baby?
- Va bene…
Lo guardai allontanarsi. I suoi
occhi brillavano di una luce diversa, più viva e
penetrante. Quando si trovò al centro della scena,
prima del ciak, mi guardò. Era sorridente, tenero, e
quei suoi occhi dardeggianti mi mandavano messaggi
inequivocabili, i messaggi di un uomo felice. Rimasi
seduta su quella sedia a godermi l’autunno di
Washington, osservando la gioia dell’uomo a cui, per
come mi aveva amata, avrei dato un figlio. Russell
richiamò la mia attenzione un secondo prima del ciak
e mi chiese di leggere le sue labbra. Io rimasi in
attesa poi lessi:
- Ti amo.
Ti amerò per sempre!
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