Le Fan Fiction di croweitalia

titolo: Un Anno Vissuto Pericolosamente (parte seconda) - leggi la prima parte - leggi la terza parte
autore: Isabella Franzolini
e-mail: ifranzolini@yahoo.com
data di edizione: 05/01/2003
argomento della storia: Russell Crowe, attore australiano sposato infelicemente
riassunto breve: Izzy, alla ricerca di una vita piu' felice, conosce fortuitamente un attore famoso...
lettura vietata ai minori di anni: 18

 

Capitolo II

 

La luce del sole inondava la stanza. Mi stiracchiai con un gemito, poi mi volsi verso comodino di fianco al letto. L’orologio da polso, sdraiato su un fianco, sonnecchiava ancora. Lo svegliai con uno sguardo di velluto al quadrante. Le nove. Dalla cucina mi giungeva un lieve vociare, misto al tintinnio di qualche stoviglie e una sommessa risata.

“Oliver…” pensai. Poi mi resi conto che non era lui. Il ricordo della notte appena trascorsa mi schiaffeggiò svegliandomi del tutto. L’avevo baciato. No, lui aveva baciato me. Beh, no, poi ci eravamo baciati. Era stato piacevole, al buio, al freddo della notte, prigioniera nella morsa delle sue braccia forti, del suo sapore di sigaretta e di birra. Chiusi gli occhi e stiracchiandomi mi allargai in un sorriso.

 

- Ciao, mondo. - Feci una lunga pausa. - Ciao… Quaggiù.

 

Dopo essermi lavata rapidamente, mi vestii in modo adeguato all’occasione, jeans un maglioncino di pile nero a collo alto (se ero di buon umore, curiosamente, indossavo sempre il nero. Essendo bionda trovavo che mi donasse) e anfibi. Ero molto fiera dei miei anfibi. Avevo comprato quei Caterpillar a New York e ne facevo una questione di orgoglio e prestigio. Mi truccai leggermente. Le ore sottratte al sonno avevano lasciato il segno. Avevo gli occhi leggermente abbottati, e un generale stato di gonfiore al viso. Meno male che prima di partire mi ero fatta rifare il naso. Almeno quello, in quella particolare occasione, non avrebbe aggravato la situazione. Così restaurata, feci capolino nella cucina.

 

- Ehi! Eccoti qui. Allora hai dormito bene?

 

Lui era esattamente come la sera prima, come la notte prima, come se nulla fosse successo, come se non fosse evidente che aveva dormito 3 ore. Annuii e sorrisi.

 

- Santoddio, Izzy! Sei l’unica donna che conosco che pure truccata ha l’aria di una che si è appena svegliata…

- Io mi sono appena svegliata… comunque grazie Oliver.

 

Danielle non c’era. Lui gira intorno al tavolo sul quale, per quell’ora del mattino, c’era già una sorprendente confusione, si avvicina fino a toccare col suo fianco il mio e con quella voce bassa ed erotica semplicemente chiede:

 

- Caffè?

- Volentieri, grazie.

- Allora Oliver, vuoi cominciare a preparare almeno la carne?? Devo fare tutto io in questa casa…

- Vacci piano amico… tua moglie ha detto di aspettarla… visto che è andata a prendere dell’altra carne non mi sembra una brutta idea. Piuttosto, che ne dici di un’altra birra?

 

Inorridii.

 

- Cielo, Oliver! Sono le nove!

- Dai, bambina… non ho chiesto certo burboun…

- Ci mancava solo questo…

- Ma scusa non sei tu che metti la grappa nel caffè??

 

Russell sbarrò gli occhi e lo interruppe.

 

- Aspetta, aspetta!! Cos’è questa cosa? Cosa hai detto?

-

Io non feci una piega.

 

- Sei stato in Italia, se non ricordo male giusto?

- Sì è così.

- Ricordi? Il caffè italiano è molto forte e ridotto nelle quantità.

- Sicuro, l’”espresso”. Buono. Uno ti basta per una settimana, è piombo.

- Ok. Al mio paese, ci si mette dentro un goccio di grappa. La grappa è… acquavite, un prodotto di non so che lavorazione. E’ molto alcolica, ma rende interessante il gusto del caffè. E questa cosa si chiama “correzione”.

 

Lui mi guardò e sfoderò il primo sorriso sornione della giornata (almeno per me).

 

- Tu sei una tosta, eh?

 

Io sorrisi.

 

- Per un caffè corretto? Tu sogni.

- Non conosco donne che metto superalcolici nel caffè alla mattina.

- Il vostro non è caffè ma sciacquatura di piatti e la grappa non esiste in nessun altro posto al mondo se non in Italia.

 

Oliver s’intromise.

 

- Dimentichi la Cina.

- Oliver, hai mai provato a correggere il caffè con la grappa di rose?

 

Russell fece una smorfia di disgusto. La risposta di Oliver non arrivò.

 

- Allora taci.

 

Oliver si scocciò.

 

- Ehi, ma che hai? Sembra che tu non abbia dormito affatto…

 

Russ ed io ci scambiammo una lunga occhiata.

 

- In effetti… io ho dormito male, ma sai. Per me è sempre così.

- Già dimenticavo… dai, bevi la sciacquatura di piatti. Ti riprenderai e sarai nuovamente pronta per una giornata esplosiva!! Ho ragione amico?

 

Russ annuì.

 

Di lì a poco arrivò Danielle, carica come Babbo Natale. La sua voce risultò gradevole come le unghie grattate sulla lavagna.

 

- Russell! Vieni a darmi una mano per piacere…

- Dani, tesoro… arrivo.

 

Oliver mi stava guardando. Io mi sentii subito a disagio.

 

- Che c’è?

- Tutto bene?

- Sì. Scusa per prima.

- Cosa?

- Se ti ho risposto male.

- Figurati. Ci sono abituato.

 

Lo guardai con un sorriso acido. Oliver continuò a guardarmi. Poi posò la sua tazza, girò intorno al tavolo e mi venne vicino.

 

- Sei sicura che sia tutto a posto?

 

Lo guardai in un misto di curiosità e preoccupazione.

 

- Oliver, cosa dovrebbe esserci che non va?

- Oh, niente - fece lui, allontanandosi - solo… - tornò sui suoi passi - sta’ molto attenta a non cacciarti nei guai.

 

Dovevo essere diventata di mille colori, perché il suo sguardo si fece più aperto ed esplicito e io capii. Capii che i due amici erano molto più amici di quanto avessi potuto capire dalle criptiche spiegazioni di Oliver, capii che Russell gli aveva già parlato.

 

- Oliver, ci siamo soltanto dati un bacio.

- Non mi frega di quello che fai, Izzy, sei una donna adulta e mi auguro consapevole. Soltanto mettiti in testa una cosa. Quell’uomo è sposato, che sia felice o no, non sta a te giudicarlo. E soprattutto è una figura pubblica. Ma non come il sindaco di Coffs Harbour, è una star internazionale, Izzy, se Russell si mette le dita nel naso a tavola in casa sua tutta la stampa mondiale lo viene a sapere!! E’ una persona esposta, Izzy, e non è bene che faccia passi falsi.

- Già. Tipo prendere a cazzotti un giornalista, una fan a maleparole o scatenare una rissa in qualche ristorante? Cristo, Oliver, dobbiamo proprio cazzeggiare su queste piccolezze? Erano le quattro del mattino, eravamo nella sua proprietà, ci siamo scambiati un bacio, tutto qui!!

- Io ti ho avvisato. Se non hai pensieri per te, cerca di far mantenere un profilo alto a lui.

- Nel senso che se venisse a letto con me, il suo profilo si abbasserebbe?

 

Non stavamo alzando la voce, ma si capiva che la discussione era diventata concitata, dal tono sottovoce ma nervoso, e dalle espressioni del viso. Russell irruppe in cucina.

 

- Eccoci qua! Direi che possiamo cominciare! Ehi Oliver, brutto bastardo, vieni a darmi una mano!! Lasciamo alle donne il lavoro della marinatura della carne!

 

Oliver ed io ci scambiammo un’occhiata complice, poi lui e Russell uscirono a preparare tavoli, sedie e carbonella. Danielle ed io restammo in cucina a scartocciare la carne.

 

- Questo posto è splendido, Danielle.

- Già. Peccato sia un mortorio. Lontano da tutto. A Coffs Harbour ci saranno si e no una gelateria, un droghiere e fortunatamente la stazione dei pompieri. Sette ore da Sidney si sentono, credimi.

- Beh posso immaginarlo. Ma desiderando un po’ di tranquillità questo mi sembra il posto ideale.

- Che ne dici, mettiamo tutto su questi piatti ovali?

 

Capii che, soltanto con una asettica frase cordiale, selezionata per fare dell’innocente conversazione, avevo toccato un tasto dolente. Lei voleva la vita di società. Lui voleva una vita tranquilla. Bel problema.

 

- Ehi Oliver! Aiutami con questa carbonella… ehi… ehi! Lascia stare la birra, amico!

 

Oliver si staccò a fatica dalla bottiglietta di Budweiser e seguì Russell alla brace. I lunghi tavoli di legno erano coperti da tovaglie di carta e un numero inimmaginabile di bicchieri e piatti erano allineati lungo di essi. Feci capolino dalla casa sullo spazio antistante.

 

- Avete bisogno di una mano? - Mi coprii la fronte con una mano, la temperatura era fresca ma il sole era brillante.

- Izzy! Vieni qui, per favore, il tuo amico Oliver non collabora!

- Oliver, ti sembra bello? Il padrone di casa ha bisogno del tuo aiuto!

 

Sorrisi e mi avvicinai mentre Oliver faceva finta di spostare i piatti sui tavoli in una vana ottimizzazione dello spazio.

 

Le mani esperte di Russell mescolavano la carbonella, cercando di ridurre il fuoco vivo a braci più adatte alla cottura della carne.

 

- Avete finito con la carne?

- Più o meno. Credo che Danielle riesca benissimo a lavorare anche senza di me.

 

Lui mi guardò, un lungo sguardo senza parole. Poi lo volse nuovamente alle braci.

 

- Non sta attraversando una fase di socializzazione particolarmente entusiasmante.

- No, non sembra.

- Non credevo che sarebbe finita così.

- Così come?

- Danielle e io stiamo per divorziare. Abbiamo deciso di provare ancora un po’ a stare insieme, ma non mi pare che la cosa funzioni molto. Lei non mi sembra molto convinta. Mi sono fatto quest’idea… che lei abbia un altro.

- Oddio…

- Beh, Izzy, sono cose che succedono.

- Già, lo so bene.

 

Lui mi guardò di nuovo.

 

- Scusa, non ci avevo pensato.

- E a che? Bisogna imparare un po’ tutti a convivere con le delusioni.

 

Si allontanò per andare a stapparsi una birra che stava in una cassetta (insieme ad altre 3 cassette) accanto al bbq. Poi tornò alla sua postazione continuando ad evitare il mio sguardo.

 

- Io mi chiedo come fai.

- A far che?

- Io… intuisco… posso solo intuire, quanto male ti abbia fatto questa storia anche se è passato del tempo. Eppure mi sembri… controllata, fredda. Quasi distaccata. Come fai?

 

Sorrisi mestamente.

 

- Il tempo della disperazione, delle grida e delle lacrime è finito. Da tempo. Sto ancora coccolando il mio dolore. In silenzio. Non c’è ragione di urlarlo al mondo, ti pare?

- Sì, capisco. Eppure ho l’impressione che tu abbia la situazione perfettamente sotto controllo.

- Non è così. Te l’ho detto ieri notte, non sono più innamorata ma neppure riesco più a creare una situazione per cui nel mio cuore possa albergare l’amore. E’ come se fossi diventata un pezzo di pietra. E questo mi fa soffrire.

- Allora non sei un pezzo di pietra. Generalmente le pietre non soffrono.

- Ti si sta bruciando il polsino della camicia.

- Oh cazzo!

 

Russell si allontanò e cercò di soffocare la fiammella che si era accesa sotto il polso schiacciando il braccio sul prato.

 

- Russell!! Sei pronto? Dave e Garth stanno arrivando!

 

Danielle gli si avvicinò grintosamente, divorando il prato a grandi passi. Poi bisbigliò ma con tono di voce sufficientemente alto da farsi sentire.

 

- E cerca di non sbronzarti già dalla mattina…

- Una birra non credo che faccia la differenza.

- Già… la prima di una lunga serie.

 

Il viso di Russell s’indurì, guardò Danielle con uno sguardo carico di rabbia, quasi crudele.

 

- Pianatala Danielle. Ne possiamo parlare stasera, ok?

 

Lei si voltò e tornò sui suoi passi senza aggiungere una parola.

 

Dopo un’ora circa il prato che abbracciava la casa era completamente invaso di persone. Parenti, amici, un corollario di facce sorridenti, di brindisi fatti di colli di bottiglie di birra che tintinnavano uno contro l’altro, di bicchieri di vino rosso, di risate e un rumoroso mormorio di sottofondo.

Io me ne stavo in un angolo a bere e a fumare tutta la mia tristezza che non era inusuale balzasse fuori in occasioni come quelle. Oliver mi raggiunse mentre si sbranava una costoletta.

 

- Ehi, bellezza! Che ci fai qui tutta sola?

- Mi godo il divertimento degli altri.

- Mamma mia. Il festival del buon umore. Che è successo?

- Niente, Oliver, niente. Sono solo… un po’ mesta. Passerà.

- Me lo auguro. Ma hai sentito queste costolette?

- Ma hai sentito questo vino?

- A dire il vero non proprio. Ho bevuto più birra che altro. Sto per decollare.

 

Dopo una manciata di mezze ore, una bella voce profonda mi richiamò alla realtà.

 

- Izzy! Vieni, è il tuo dolce, pensaci tu, vuoi?

 

Mi allontanai dalla tranquillità che mi ero ritagliata per quasi tre ore per immergermi nella vita sociale.

 

Russell mi presentò meglio ai suoi amici.

 

- Ehi, amici! Questa è Izzy, un’amica di Oliver. Viene dall’Italia! E ha preparato un dolce che ha una faccia bellissima!

- Già… - feci io - speriamo che sia altrettanto buono. Avrei bisogno di un coltello e di un mestolino.

- Vado io.

 

Russell si allontanò e tornò dalla cucina con gli attrezzi che avevo richiesto, quindi cominciai a tagliare la ciambella a fette abbastanza sottili da porterla gustare ma da essere sufficienti per il maggior numero possibile di persone (per tutti non sarebbe sicuramente bastata) e aggiunsi su ogni piatto che Russell mi porgeva mezzo mestolino di crema. I tributi positivi non tardarono ad arrivare.

 

- Ehi Izzy! E’ buonissima!

- Davvero!

- Straodinaria!

- Ma usi cioccolato o polvere di cacao per la ciambella?

- La prossima volta fanne due!

- No, una grossa il triplo!

- E quadrupla razione di crema!

- Posso passare il dito nella ciotola?

- Come prepari questa crema?

 

L’ultima domanda mi scosse. Lui era lì, che con la sua gladiatorea bellezza raccoglieva briciole di cioccolato inzuppate delle ultime stille di crema che aveva nel piatto.

 

- Faccio una crema pasticcera e poi ci aggiungo panna montata.

- Crema pasticcera?

- Uova, farina, latte aromatizzato con una stecca di vaniglia.

- E panna montata.

- E panna montata.

- Panna montata.

 

Fece una pausa mentre inseguiva una briciolina che non voleva saperne di farsi mangiare da lui.

 

- Izzy, ti piacciono i bambini?

 

Arrossii violentemente. Non tanto perché qualcuno mi avesse rivolto quella domanda, quanto perché me l’aveva rivolta lui.

 

- Sì.

- Izzy…

- Cosa vuoi? - il mio sguardo aveva più una connotazione disperata che quella di una risposta.

- Domattina devo venire a Sidney per incontrare il mio agente. Ti va se ci vediamo per pranzo?

- Non posso, ho una riunione alle 10,30 e il mio capo vorrà sicuramente che lo accompagni al ristorante.

- A cena, allora?

- Non so a che ora finisco, probabilmente tardi però.

- Izzy…

- Che c’è?

- Dimmi di sì. Per favore.

 

Lo guardai. Aveva una sfacciataggine che meritava un riconoscimento. Rivolgeva un invito ad un’altra donna in mezzo a tutta quella gente, parlando sì piano, ma sfidando l’udito acuto sempre in agguato di qualche involontario ascoltatore e soprattutto quello di sua moglie. Me lo fissai per sempre nella memoria, la barba lunga, quel detestabile berretto del suo gruppo, la camiciola “plaid” di flanella aperta sulla t-shirt, ex-bianca, sulla quale campeggiava uno schizzo di olio della carne grigliata, i jeans sporchi. E sempre, delicato, appena percettibile, il suo profumo. Non aveva lo sguardo di un uomo che stava implorando, ma che decide di mostrarsi indifeso al suo “nemico”, conscio di quello che il nemico può togliergli così come di quello che lui ha da donargli. Era sensuale, quasi erotico. Deposi le armi. Che altro potevo fare.

 

- Lavoro in Crown Street al 142. Giusto, magari lo sai da te, visto che ci lavora anche Oliver. Non prima delle otto.

- Le otto?! Ma cosa vi fanno fare laggiù, avete i ceppi e uno schiavista come capufficio?!

- Dopo la riunione e il pranzo dovrò recuperare il casino che si sarà accumulato sulla mia scrivania.

- Ci sarò.

 

La bella giornata sul prato a divorare bistecche di cavallo e a bere birra si snodò per un’altra oretta, poi gli ospiti cominciarono ad avviarsi verso le loro case. Russell approfittò ancora di un momento di generale distrazione per passarmi un foglietto in mano.

 

- Izzy, questo è il mio cellulare. Chiamami qualche volta, ok? E comunque ci vediamo domani.

- Va bene. Grazie per la bella giornata, mi sono divertita, hai una casa bellissima.

- No, non ti sei divertita…

- No, davvero, sono stata bene. Il bello delle case grandi è proprio quello, che hai tanto spazio dove poterti ritagliare uno… spazio per farti gli affari tuoi.

- La mia casa diventa bellissima quando c’è una bella donna dentro. Ieri notte era bella Izzy, la mia casa ieri notte era bellissima.

 

Oliver ci raggiunse.

 

- Izzy, andiamo?

- Certo.

- Grazie per essere venuti, Izzy grazie del vino e del dolce.

 

In macchina mi appisolai. Alla stazione di servizio aprii un occhio e scesi per farmi un caffè, nel disperato tentativo di staccare la lingua gonfia incollata al palato per il vino, la carne e le sigarette fumate. Oliver mi raggiunse mentre il benzinaio faceva il pieno.

 

- Ordinane due.

- Già fatto.

- Quando dormi e ti svegli hai sempre una faccia orrenda…

- Grazie Oliver, sei sempre un tesoro.

- Sei più adombrata del solito…

- E’ soltanto sonno. Vuoi il cambio?

- Molto incoraggiante… no, me la cavo alla grande.

- Come vuoi.

- Tu non insisti mai, vero?

- Ho imparato negli anni a non rompere le scatole alle persone.

- A te però piace se la gente con te insiste.

- Questo è un altro discorso.

- Può darsi.

- Oliver, cosa stai cercando di dirmi?

- Niente.

- Vuoi il cambio alla guida? Vuoi che guidi al posto tuo fino a casa?

- No.

- Perfetto. Andiamo allora, sono già le dieci.

 

Durante la riunione dovetti combattere strenuamente perché non mi si chiudessero gli occhi. La mia stenografia era pressoché illeggibile e io temevo per la rilettura. A pranzo avvicinare un bicchiere di vino mi diede la nausea quindi preferii pasteggiare con l’acqua. Charles, il mio capo inclinò il suo capo verso il mio e sottovoce mi chiese:

 

- Tutto bene? Ti vedo un po’ spenta.

- Sono andata ad un bbq ieri e sono tornata tardi. Sai come vanno queste cose, si mangia tanto, si beve tanto, si fuma tanto.

- Ti sei divertita?

- Sì. Pensa che sono andata a sbattere fino a Coffs Harbour a casa di uno… bello però.

- Coraggio, abbiamo quasi finito.

- Già… a tavola però.

 

Il pomeriggio fu però talmente pieno e faticoso che scorse via in un lampo. Alle otto meno cinque mi rinchiusi nel bagno per ricostruirmi la faccia e darmi una spazzolata ai capelli. Un quarto d’ora dopo, di fronte alle porte a vetri della *** trovai Russell, incurante del fatto di essere esposto così al “nemico pubbico” che mi aspettava.

 

- Ma ci vai elegantissima in ufficio! - mi baciò sulla guancia.

- Solo quando ci sono le riunioni.

- Stanca?

- Un po’.

- Hai voglia di mangiare pesce?

- Volentieri. Poco.

- Un sushi bar?

- Se possibile no. Non mi piace il pesce crudo.

- Ok, allora ho in mente un altro posto. Andiamo, ho la macchina qui vicino.

 

Salii sulla jeep. Ancora mi faceva effetto dopo tanto tempo, salire dal lato dell’auto dove, nel mondo cristiano, si trova il volante.

 

- C’è un po’ di casino in giro…

- E’ strano, a quest’ora dovrebbe già essere smaltito.

- Hai fame?

- Non proprio. No, non direi.

- Allora niente aperitivo.

- Direi che è meglio.

 

A tavola, in un ristorante deliziosamente tranquillo e apparecchiato con gusto squisito, leggevamo il menù in silenzio.

 

- Credo che prenderò la spigola al cartoccio.

- Bevi un prosecco?

- Non più di un bicchiere.

- Ok.

 

Russell chiamò il cameriere, diede la comanda poi incrociò le dita sul tavolo e corrugò la fronte, elargendomi quel suo solito sguardo un po’ spaccone.

 

- Che c’è?

- Niente, sono soltanto molto stanca.

- Izzy, siamo sicuri che, tutto questo - e allargò leggermente le mani ad indicare il nostro essere fuori insieme - ti vada bene? Voglio dire… so di aver insistito ma se effettivamente uscire con me deve procurarti dei problemi o metterti in imbarazzo…

- Ho detto che sono stanca, è tutto.

 

Ecco, ancora una volta avevo chiuso in modo troppo secco la conversazione. Me ne accorsi e tentai di rimediare a quell’odiosa ma efficace forma di difesa.

 

- Scusami…

- No, no… scusarsi, e di che. Di essere chiari e diretti? Per carità, reputo che sia un gran dono.

- Quando sono stanca tendo a sragionare e poi…

- Cosa?

- Io… oddio, spiegare questa cosa è sempre così stramaledettamente complicato.

 

Lui aspettava pazientemente all’altro capo del tavolo. Allungò le mani attraverso il tavolo e prese le mie. Inizialmente mi innervosii ma poi quel tocco ebbe su di me un effetto calmante.

 

- Io mi difendo. Se c’è qualcosa che mi preoccupa o mi spaventa mi difendo. Ho scoperto che una buona dosa di scontrosità funziona a meraviglia.

 

Lui mi strinse le mani.

 

- Con tutti tranne che con me!

- Non cantar vittoria troppo presto… in fondo non sei poi stato trattato tanto male.

- Vuoi dire che puoi essere anche più rude di così?!

 

Mi strappò un sorriso.

 

- Non ti nascondo di covare una certa preoccupazione.

- Per cosa?

- Russell… per il pubblico, per i tuoi fans e se non ricordo male anche di fronte a Dio sei un uomo spostato. Ricordi?

- Questa è una cosa della quale devo preoccuparmi io, non tu.

- Beh, non sto tranquilla, ecco.

 

Infatti. Al fulmicotone lasciai la sua presa appena intravidi una ragazza che si avvicinava al nostro tavolo con un foglietto e una penna. Cinguettando come una cinciallegra si scusò poi si rivolse a Russell.

 

- Sig. Crowe!! Potrei avere un autografo per favore?

- Per la verità no, sono a tavola e sono impegnato.

 

Gli tirai un lieve calcio sotto il tavolo e gli feci gli occhiacci. Mentre la pennuta cercava di recuperare la delusione di quella risposta, Russell capì le mie intenzioni, mi sorrise poi si rivolse nuovamente alla ragazza.

 

- E’ anche vero che si possono fare delle eccezioni… come ti chiami?

 

La pennuta si illuminò tutta e riacquistò la sua garrulità.

 

- Sandra! Sono una sua grande ammiratrice, sa? E oggi è il mio compleanno e vorrei chiederle un bacio! Posso?

 

Russell, si fece scuro in volto e io, delicatamente, gli toccai di nuovo lo stinco. Dovevo averlo preso di taglio perché questa volta si lamentò. Cominciai a ridacchiare.

 

- Certo! Volentieri.

 

Si alzò e abbracciò e baciò la trepidante cinciallegra che, con un regalo di compleanno (se poi era vero) che non avrebbe mai dimenticato, se ne tornò al suo tavolo.

 

- Scusa per lo stinco. Reputo però che se dobbiamo fare le cose per bene, tanto vale non farsi notare più di tanto. Se qualcuno ti chiede un autografo forse è meglio assecondarlo, ti pare?

 

Sorrise.

 

- Mi sembra una buona strategia.

 

Finalmente arrivò il cameriere. Mangiammo piano, parlammo a mezza voce di argomenti futili, sorridendone e trovandoci d’accordo su alcuni, meno su altri. La serata scorse in modo piacevole. Sembrava impossibile. Eppure quell’uomo era lì, seduto al mio tavolo e smentiva tutte voci che si facevano sul suo brutto carattere e il suo essere scontroso e maleducato. Era erudito, sereno e simpatico, gli piaceva parlare di tutto tranne che del suo lavoro, e a contorno di quella voce impareggiabile, muoveva, in realtà molto più di quanto lo facessi io, quelle sue mani piccole e non bellissime, che spesso portava al mento a massaggiare ossessivamente la barba e ogni tanto passava tra i capelli a dominare un “boccolo” che gli scendeva sulla fronte. Gli occhi erano di un blu intenso in quella luce soffusa, ma il loro taglio, accentuato dagli zigomi un po’ alti, lasciava intuire il sedicesimo Maori di Russell e conferiva loro una luce e una capacità comunicativa guizzanti e penetranti. Aveva degli occhi incredibilmente intensi, con essi parlava, rideva, rimproverava, a mio parere avrebbe potuto uccidere se davvero avesse voluto. Attraversando la strada prima di entrare al ristorante mi aveva messo un braccio intorno alle spalle ed io avevo girato il mio intorno alla sua vita. Sopra di essa avevo sentito dei massicci muscoli trapezi e per ironica contrapposizione ad essi la mia mano aveva percepito una pancetta lievemente rilassata. Era vestito in modo carino senza essere ultra elegante, aveva una camiciola azzurra (naturalmente! Avevo potuto conoscere negli anni la sua predilezione per le camicie di quel colore) e un vestito grigio, niente cravatta, niente maglietta intima, i polsini aperti, come i primi due bottoni della camicia, dal suo petto faceva capolino una collana di dubbio gusto etnico (una specie di ciondolo legato ad una cordina marrone), un bel paio di scarpe nere allacciate. E il suo profumo. E doveva essere sicuramente profumo, perché da quando l’avevo conosciuto non si era mai rasato. Una specie di finto trascurato, secondo me, lui sapeva di emanare un grande fascino e sceglieva, salvo che per occasioni “comandate” tipo le cerimonie, abiti di buon taglio portati in modo “disinvolto” per eventi come quella cena e il casual straccione per tutte le altre occasioni, che potevano anche includere qualche intervista oltre a stare nel ranch e andare a far la spesa.

E beh, tutto questo era di fronte a me, seduto al mio tavolo e si chiamava Russell Crowe. Mica male. Così tanto poco… “male” che non l’avevo neppure ascoltato, l’osservarlo in un contesto così “normale” mi aveva fatto perdere il senso della realtà. Riemersi quando evidentemente, non risposi ad una sua domanda.

 

- Allora, Izzy, che ne pensi?

- Oh beh… sono perfettamente d’accordo con te.

 

Sorrise.

 

- Tu non mi stavi ascoltando.

 

Arrossii leggermente.

 

- Effettivamente no.

- A che pensavi?

 

Arrossii di più.

 

- Ah b-… beh, io… Credo che… sì, ci sia una spiegazione.

- A cosa?

- A quello… quello a cui stavo pensando.

- Izzy… - sorrise prendendomi le mani.

- Andiamo?

- Va bene. Aspetta solo un secondo.

 

Si alzò presumibilmente per andare a pagare il conto, io andai in toilette. Secondo me la qualità dei ristoranti si misura anche dalla toilette e quello era di qualità superiore, il bagno era nuovo di zecca, profumatissimo, con “facilities” interessanti e pratiche: di grande soddisfazione. Quando tornai al tavolo trovai Russell che mi cercava.

 

- Al guardaroba c’è il tuo soprabito.

- Grazie.

 

Mi aiutò ad indossarlo, poi uscimmo e ci avviammo verso la macchina.

 

- Quando sei in ufficio porti sempre tacchi così alti?

- E’ come il vestiario elegante Russ, se c’è una riunione sì, porto i tacchi molto alti.

 

Si fermò e si mise di fianco a me. Effettivamente riuscivamo praticamente a guardarci negli occhi.

 

- Sì, ma non esagerare… mi preoccupa accompagnarmi ad una donna più alta di me.

- Io non sono più alta di te, fingo solo di esserlo.

- Non ti manca molto per riuscirci.

- Coi tacchi divento 1,77. Ma non potrei mai metterne di più di dieci centimetri.

- Stangona… ti va di bere qualcosa ancora?

- Mi piacerebbe Russell, ma sono davvero stanca morta.

- Peccato. Andiamo, ti riaccompagno a casa.

 

Gli spiegai la strada e in una ventina di minuti parcheggiò di fronte a casa mia. Scesi dall’auto con le chiavi in mano. Lui balzò rapidamente giù dalla jeep e fece per accompagnarmi sull’uscio. Mi prese le mani tra le sue.

 

- Sono stato molto bene stasera, grazie per aver accettato il mio invito.

- Sono stata benissimo anch’io Russell, grazie a te per avermi invitato.

 

Abbassai lo sguardo. Era una forma di cortesia quella che stavo per dimostrargli o un cercare di tentarlo ad abbandonare la rettitudine della vita matrimoniale? Quell’uomo mi piaceva da morire, m’era piaciuto dal primo momento che l’avevo visto e il desiderio di lui era sorto prepotente quasi subito. Decisi che avrei limitato il tutto ad una mera forma di educazione, quando venni preceduta.

 

- Izzy, mi offriresti un bicchierino di scotch?

 

E con quegli occhi e quella voce come negarglielo?! Misi la chiave nella serratura.

 

- Vieni.

 

Sentii la chiusura dell’antifurto dell’auto e mentre entravo in salotto al buio percepivo il suo respiro leggermente greve, frutto forse di quella famosa pancetta e di tutte le sigarette che si fumava. Accesi la luce, mi tolsi il soprabito che buttai sulla poltrona e mi avviai verso il bar.

 

- Accomodati pure, - dissi, indicandogli il divano - ti avviso: l’unico scotch che ho è molto molto torbato. A me piace berlo così.

- Fantastico.

 

Ne versai un goccio in due bicchieri e gli porsi il suo, mentre mi sedevo al suo fianco. Lui si “svaccò” subito: fece scivolare il sedere verso il bordo della seduta del divano e appoggiò il collo e la testa al bordo dello schienale. Bevve, schioccò leggermente la lingua, emise un lungo sospiro e chiuse gli occhi. All’improvviso mi sentii in imbarazzo. Era come se il desiderio che avevo di quell’uomo fosse evidente, come se si potesse vederlo dall’esterno. Divenni ancora più rigida. Lui bevve un altro sorso di whiskey, poi mi guardò.

 

- Tu non ti rilassi nemmeno a casa tua?!

- Effettivamente… credevo che mi sarei sentita così solo al ristorante.

 

Lui posò il bicchiere e si avvicinò, allungando il braccio sullo schienale del divano e piazzandomi con decisione una mano sulla nuca.

 

- Eri molto più tranquilla al ranch… quella notte. Forse, ricreando quella situazione…

- Russell, io…

- Vieni qui…

 

“Vieni qui”. Già sentirmi dire “vieni qui” con un qualsiasi tono blandamente lascivo mi faceva impazzire, qui c’era lui con quella sua voce appiccicosa e baritonale, opaca di fumo che avrebbe polverizzato la schiena di chiunque. “Vieni qui”, e la sua presa sulla nuca, corroborata dall’altro braccio che si chiudeva intorno alla mia vita, si accompagnò ad un bacio che solo per un puro formalismo fu iniziato a labbra chiuse. Sentivo che teneva a bada il suo impeto a stento, ero sorpresa nel constatare che una bocca all’apparenza così piccola, potesse competere con la mia che era tanto grande. Muoveva la mascella e la lingua come se avesse dovuto divorarmi e col braccio intorno alla vita mi avvicinava sempre di più a sé, l’aria fuoriusciva dal naso spinta fuori, un po’ come… il toro nell’arena. Dopo un primo momento di perplessità e di imbarazzo, sciolsi le mie “riserve” e allungai le braccia intorno alle sue spalle larghe e toniche. Russ si fece ancora più inquieto e fisico, poi si staccò da me, si accosciò, mi prese in braccio e mi chiese: - Dove?

 

Gli indicai la strada per la camera da letto. Mi ci adagiò piano, allargò i lembi della giacca che indossavo e, abbassando con un dito il collo a lupetto del maglioncino mi baciò sul collo. Gli sfilai la giacca mentre sentivo che la lasciava scivolare sul pavimento, per poi circondarmi la vita col braccio massiccio. Mi spogliò in un battere d’occhio e aprì le coperte sotto le quali mi infilai rapidamente. Si sfilò i calzoni, e si sdraiò accanto a me. Finalmente ci “rilassammo”, confortati dall’intimità di quel luogo. All’improvviso cominciò a sussurrarmi qualcosa.

 

- Oh, Izzy… ti ho voluto tanto, davvero tanto. Fa’ l’amore con me…

Gli passai una mano tra i capelli e la feci scivolare lungo la schiena fino ad arrivare alle sue natiche sode.

 

- Sono qui Russel… sono qui…

 

Fu dentro di me in un baleno, mascolino e impetuoso ed assecondare l’incedere dei suoi lombi mi procurò un piacere intenso. Teneva il viso nascosto nel mio collo, che abbandonava soltanto per baciarmi la bocca, e mi sussurrava tenerezze impareggiabili.

 

- Muoviti piano, tesoro, muoviti piano…

 

Ubbidii alle sue richieste e continuammo quella performance per una ventina di minuti buoni, finché sentii il suo membro diventare più duro e la sua schiena inarcarsi per poi abbandonarsi al piacere più acuto. Gemette leggermente quando venne e in una miracolosa, perfetta taratura dei nostri corpi, venni anch’io insieme a lui, aggrappandomi al suo torace e alle spalle larghe. Rimase su di me, ansimante, mentre mi dava piccoli baci sul collo, sul viso e sulla spalla.

 

- Tu… tu mi hai fatto perdere la testa, sai?

- Non sei stato da meno, Russell…

 

Restammo abbracciati ancora un poco, finché lui dovette allontanarsi. Si alzò e mi chiese dove fosse il bagno. Glielo indicai, lui si assentò poi tornò a letto. Mi prese sotto il suo braccio e rimanemmo così, a fissare la penombra notturna che entrava dai vetri della finestra.

 

- A che ora ti alzi la mattina per andare in ufficio?

- Alle sei e mezza.

- Posso restare?

- Credi sia una buona idea?

- Ti prego. Fammi restare.

- Mi piacerebbe tanto se tu rimanessi.

 

Mi baciò la tempia e dopo dieci minuti ci colse, esausti e soddisfatti, il sonno dei giusti.

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