Capitolo I
- Io ho
paura...
- Non ti
preoccupare, farai benissimo.
- No,
cioè… non è che abbia paura ma… cielo, quel
posto è così lontano. Capisco di avere per le
mani un’occasione imperdibile, ma… ah, Cristo,
chi me l’avrà fatto fare… e poi ho già
vissuto un’esperienza del genere, ed è stata un
disastro.
- Quella
era una cosa diversa, e non era una tua scelta.
- Nessuno
mi aveva obbligato.
- Non
avevi scelta.
- E’
una stronzata.
- E’ la
verità.
Guardai Anna. Era la mia migliore
amica. La migliore, quella che mi diceva tutto quello
che pensava, che mi piacesse o no. E ora era lì,
davanti a me, coi suoi occhi color del muschio
autunnale, e i fluenti capelli color ala del corvo.
Era piccola, formosa, simpatica, la conoscevo da più
di quindici anni. La trovavo bellissima. Una volta l’avevo
persino baciata sulla bocca. Ma tutto era finito lì,
una ragazzata, se di ragazzata si può parlare a 23
anni.
Era febbraio. Avevo trascorso un
natale infame, un capodanno squallido e prima di
questi una vacanza estiva entusiasmante dal punto di
vista geografico, catastrofica per tutto il resto. La
mia vita era finita (almeno secondo il mio metro di
misura), una storia d’amore conclusasi molto
malamente alle spalle e due lavori persi in un anno.
Un bel record.
Così avevo cercato un posto
altrove. Il fallimento della mia storia amorosa aveva
avuto luogo in Germania, dove lo scriteriato che per
quattro anni non avevo capito, aveva trovato un lavoro
e, apparentemente, anche un’altra fidanzata.
Ma volevo provare anch’io,
insomma, non volevo più restare in quella città dov’ero
nata, vissuta e che tanto mi aveva dato e tolto.
Insomma per farla breve: tramite i
canali più bizzarri, cerco lavoro, in Inghilterra,
negli Stati Uniti, in Canada, Australia e Nuova
Zelanda. E bang! Eccola lì, l’occasione che
cercavo. Una azienda di media grandezza, di
import-export di prodotti italiani, ha bisogno di una
“consulente linguistica”, che supporti anche l’ufficio
commerciale. A Sidney. Io scrivo. E mi rispondono. E
telefono. E mi sento dire: “ Venga, a nostre spese,
naturalmente, e da quest’incontro vedremo di capire
se lei è la persona fatta per noi.”. “Me lo
auguro”. Ci fu una pausa dall’altro capo del filo.
Nel frattempo, tiravo furiosamente da quella sigaretta
amara, come sempre quando ero al telefono, e la
signorina, con un forte accento, difficile da
comprendere, continua: “Sa… a dire il vero la sua
è l’unica candidatura che abbiamo ricevuto. Non ci
speravamo più.”. Non so perché ma sento in un
lampo che mi elettrizza il cuoio capelluto, che posso
farcela, che la probabilità di agguantare quel posto
non è poi tanto remota. “Ci vediamo tra quattro
giorni”.
- Allora? Come va la valigia?
- Come
vuoi che vada… sono nel marasma globale.
Oltretutto per starci nemmeno una settimana devo
portarmi una valigia modello “Indie”… ci
metti dentro due maglioni e si riempie.
- Ma
nooooo!! Cosa stai combinando?
- Perché?
- E’ la
fine dell’estate laggiù! Farà ancora caldo…
un maglioncino per il transito da qua e per là…
roba estiva!
- Ma io
non ho roba estiva per un colloquio di lavoro.
- Ci
potresti pure andare col grembiule da cucina.
Tanto non te l’hanno detto? Non l’hanno
trovata un’altra suonata disposta ad andare
laggiù.
- Sei
molto incoraggiante.
- Dai.
Disfa la valigia e rifalla. Poi vienimi a trovare,
che ne dici?
- Tu non
ti schiodi mai da casa tua, eh?
- Eh, ma
cosa vuoi… Lele torna tardi, io ho sempre un
miliardo di cose da fare, e non è mai finita,
pensa che esco dall’ufficio alle…
Eccola lì, che propinava ancora
una volta il suo programma di vita quotidiana. Era
vero, aveva delle giornate molto intense. Era però
altrettanto vero, sacripante, che da casa sua non si
schiodava mai. Mi toccava di sciropparmi non so quanti
chilometri in macchina per andarla a trovare. D’altra
parte la sua compagnia era insostituibile e una volta
ogni mesetto bisognava incontrarsi.
Quella sera, dopo essere andata al
cinema da sola, me ne passeggiavo in centro, un passo
lento dopo l’altro, come l’andamento di una
pendola. L’aria era fredda, ma non abbastanza da
costringermi a chiudere il piumino. Erano anni che non
faceva più tanto freddo, in quella mia città, che in
compenso rimaneva brutta, sporca e spietata. Il fumo
della sigaretta si mescolava alla condensa del fiato,
le persone che mi passavano accanto erano come gocce
di pioggia, rapide e indifferenti, il film mi era
piaciuto. Era una storia d’amore. Ecco. Non riesco a
pensare ad una storia d’amore senza commuovermi per
quell’aborto di mia storia finita male. Bah. Farò
finta di avere un occhio che mi lacrima per il freddo.
Tirai su col naso, mi sbaffai il mascara e mi avviai
verso il parcheggio.
- Pronto!!
- Ciao…!
- Ueh!
Come stai?
- Non
male… e voi?
- Ma
scusa… che ora sono lì?
- Nemmeno
tanto tardi… è l’una di notte.
- Non sei
fuori di sabato sera?
- No…
sai ho preferito restare a casa a farmi la
manicure francese…
- Non
essere scema… allora com’è?
- Incantevole,
Anna…. è un posto bellissimo.
Mi dilungai a descriverle quella
città, immensa e nuova, il lavoro interessante, il
clima simpatico e disteso dell’ufficio, il fatto di
non essermi ancora abituata a leggere aprile sul
calendario e dover cominciare a mettermi un cappottino
più pesante per la sera. Erano passati due mesi. La
mia vita sociale, effettivamente non era molto
intensa. I vicini erano cordiali, ma “formula
familiare”, i colleghi d’ufficio giovani ma non
molto predisposti alle interazioni personali. Così
passavo ancora il weekend a mangiare pizza e patatine
e a guardare vecchi film presi a noleggio. Non era un
gran che. Ma ero libera di dare alla mia vita il ritmo
che ritenevo ad essa più consono e questo, in un
ambito di numerosi e importanti cambiamenti come
quello, era più che sufficiente.
Finché un giorno accadde quello
che non mi sarei mai aspettata e che avrebbe cambiato
radicalmente la mia vita. A 37 anni.
- Izzy, domenica un nostro
amico organizza un barbecue. Ci vieni?
Oliver era un bel tipo. Scapolo,
simpatico, atletico. Insomma era perfetto. Mi aveva
invitato altre volte fuori, sempre in compagnia di
altre persone e io l’avevo molto apprezzato. Credevo
di potermi aspettare qualcosa di più, ma non era
successo. Erano settimane che passavo il weekend da
sola, potevo anche permettermi una botta di vita.
Così accettai.
- Volentieri,
grazie Oliver. Devo portare qualcosa?
- Portare
qualcosa? No.
- In
Italia si usa così. Uno ti invita e tu porti un
omaggio o qualcosa che può servire per completare
il pasto, un dolce, una bottiglia di vino…
- Ah. Da
noi no.
- Ah beh…
- Però
ripensandoci… hai ancora qualche bottiglia di
vino italiano?
- Puoi
scommetterci! Mi sono arrivate le due casse che
avevo ordinato prima di partire.
- Potresti
portarne tre o quattro? Il padrone di casa ama
bere e in genere invita molta gente…
- Ok. Ho
giusto il rosso che va bene per la carne alla
brace.
- Allora
a casa mia, sabato verso l’ora di pranzo.
- Ma non
avevi detto domenica?
- Sì, ma
la casa di Russ è Nana Glen, circa 30 km all’interno
della costa, vicino a Coffs Harbour. Sono sette
ore da qui. Dobbiamo viaggiare sabato pomeriggio.
Non nascondo una certa
perplessità. Sette ore? Ma varrà la pena di spararsi
sette ore di macchina per andare a casa di uno che
neanche conosco, e portargli oltretutto 3 delle mie 24
pregiatissime bottiglie di vino trentino? Oliver deve
leggermelo in faccia, perché mi dice:
- Non ti
preoccupare. Vedrai che ti divertirai. Russ è un
tipo forte. Ah! Ti andrebbe di preparare un
dolcetto? Quella ciambella di cioccolato con la
crema di vaniglia era fantastica…
- Messaggio
ricevuto. Non è che dopo dovrò anche lavare i
piatti?
- Eh?
- Lascia
stare…
Pensavo che avrei trovato altra
gente da Oliver, invece saliamo sulla sua vecchia
Volvo e cominciamo il nostro viaggio. Mi sembra ben
predisposto, in vena di chiacchierare, oggi lo vedo
anche più carino del solito. Chissà se sarà quello
giusto. Santo cielo, come corro. Magari è gay. Bah…
- Non
pensi di parlarmi un po’ di queste persone che
andiamo a trovare? Abitano lassù a Coffs Harbour
o è una casa di villeggiatura?
Oliver mi guarda, sorride. Poi
ridacchia. Ha l’aria di uno che vuole nascondermi
qualcosa.
- Non è
una casa, Izzy. E’ un ranch. Ed è una “casa”
nel senso che il proprietario, pur passandoci
molto meno del tempo che vorrebbe, non la usa solo
per la villeggiatura….
- Vuoi
spiegarti meglio?
- Uhm…
no. Credo che mi godrò la tua sorpresa quando
arriveremo!
- Ma
arriveremo domani!
- No,
baby, arriviamo stasera. E Russ ci ospita.
- Ah beh.
Con un ranch. Meno male che ho tre bottiglie di
vino e una ciambella dolce per sdebitarmi. Cos’è
un milionario?
- Una
specie.
Sbarro gli occhi.
- Mi
prendi in giro.
- No.
- E’
sposato?
- Sì.
- Ah.
Ecco dov’era la fregatura.
- Ma non
va molto bene.
- Stai
scherzando.
- Per
niente.
- Come
fai a conoscerlo così bene?
- Giochiamo
a cricket insieme, qualche volta.
- Giochiamo
a crick-….”Giochiamo a cricket insieme,
qualche volta”?? Ma ti senti Oliver? Anch’io
sono andata alle udienze del Papa due volte nella
mia vita ma certamente non posso dire di
conoscerlo bene!
- Siamo
anche amici di infanzia, e conosco la sua
famiglia. Una grande famiglia.
Mi accendo una sigaretta. Mi viene
un dubbio. No, non può essere. No… No. Oliver
protesta.
- Non
puoi proprio aspettare??
- Tu
fermati a una stazione di servizio, così fumo
senza darti fastidio!
- Sei
insopportabile a volte…
Sono le otto. Lasciamo la strada
principale per inoltrarci lungo una sterrata in una
proprietà. La si intravede da lontano perché è
tutta illuminata. Sembra composta da due ali, c’è
anche una specie di tendone sul lato destro. E’
decisamente grandissima. Bella. Bianca. Sul lato
opposto si intuiscono i recinti dei cavalli. Quando
arriviamo sul piazzale coperto da un prato stentato di
fronte all’ingresso, Oliver viene ad aprirmi la
portiera e poi comincia a scaricare le mie bottiglie e
il dolce e le sue bottiglie. In quel mentre ci
raggiunge dal terreno antistante i recinti un uomo a
cavallo, il padrone di casa presumo. Ma guarda che
personaggio tipico, mi dico. Cappello di cuoio, long
john, stivali… Numi.
Oliver comincia a guardarmi e a
godersi il mio stupore sfogandosi in una risatina
chioccia.
- Izzy,
questo è….
- ….
Russell.
E di cognome fa Crowe. Quello scemo
di Oliver conosce un attore e me lo presenta come se
fosse il suo compagno di freccette!
- Ehi!
Come va?
- …
b-benissimo…
- Viaggio
lungo dalla città, eh?
Oliver s’intromette: - Già! La
mia amica qui può considerarsi a ragione anche un’amica
tua… fuma come una ciminiera.
Russ scende da cavallo, si toglie
il cappello. Ha i capelli un po’ lunghi,
appiccicati dal sudore, la barbetta di qualche
giorno anch’essa madida. Puzza di cavallo. Eppure
non vorrei essere altrove per nulla al mondo. Emana
un fascino animale e lo sa. Si passa una mano tra i
capelli, noto quando me la porge (che stile!) per
stringere la mia che ha i calli di chi tiene le
redini senza i guanti. Dopodiché, estrae le
sigarette dalla tasca della camicia e me ne offre
una:
- Allora, vogliamo farci una
bella cicca insieme, tu e io, mentre Oliver
finisce il facchinaggio?
- Grazie…
Oliver!! La crema. Va conservata in un luogo
freddo.
Oliver mi guarda e ridacchia. -
Tipo un frigorifero?
- Avete
portato una crema?
- Sì…
ho fatto un dolcetto e la crema per accompagnarlo.
Lui sorride più buono, meno
strafottente.
- Non
avresti dovuto, ma grazie, sei stata gentilissima.
Vieni, ti porto in cucina dove ti farò vedere
dove metteremo la crema del tuo dolce.
- Ha
portato anche il vino, amico! Dell’ottimo
italiano!
Russ prende in mano una delle mie
bottiglie e legge il nome non senza difficoltà di
pronuncia.
- Oliver
mi ha parlato di te. Come ti trovi Quaggiù?* Ti
manca l’Italia?
- Non
proprio… sto ancora scoprendo l’Australia.
- Non
prenderla sul serio, - fa Oliver - passa la
maggior parte delle domeniche a casa con pizza e
DVD noleggiati…
- Vorrei
vedere te in Italia… - lo rimprovera Russ.
N.d.A.: Un modo un po’ personale di tradurre il
vocabolo “Downunder” utilizzato dalle persone di
lingua inglese per indicare l’Australia)
Dopo aver percorso il lunghissimo
corridoio, che portava alla gigantesca cucina, dopo aver
riposto la crema nel gigantesco frigo e appoggiato la
ciambella sul gigantesco tavolo, Russ ci offre da bere
nel suo gigantesco salotto. Di lì a poco, una vocetta
stridula e sgradevole ci saluta dalla zona notte.
- Che
piacere!! Siete arrivati finalmente! Allora possiamo
cenare?
Eh già. In tutto quel bailamme di
emozioni mi ero dimenticata che non avevamo mangiato e i
padroni di casa erano stati così cortesi da aspettarci.
Mi esibisco in una carbonara
(pecorino e guanciale a parte) in quanto Danielle, la
moglie di Russell, non aveva preparato molto e Oliver
aveva insistito perché io cucinassi “una di quelle
tue pastasciutte veloci”. Riscuoto un successo senza
precedenti e finiamo la serata decidendo di sacrificare
una delle mie bottiglie fuori sul portico seduti a
fumare e a chiacchierare.
Oliver decide di raccontare la mia
vita in diretta (come se non fossi in grado di farlo da
sola) mentre io tento una debole conversazione con tutti
e due. Lei, col trascorrere del tempo, finisce per
risultare decisamente antipatica, lui invece è un
crescendo. Più beve e più dice sciocchezze, delle
quali ride in modo esagerato. Lei si sta scocciando,
Oliver la provoca e contina a stuzzicare Russ che sta
lentamente cedendo il passo ad una blanda, sonnolenta
sbornia.
Io mi sento un po’ in imbarazzo,
però ringrazio il favore delle tenebre e mi accendo un’altra
sigaretta. Fortuna che avevo portato mezza stecca.
- Beh,
signori, io vi lascio. Buonanotte Izzy, dormi bene.
Lei si è definitivamente imbronciata
e se n’è andata a letto. E se suo marito non mi
avesse fatto vedere dove dovevo dormire? Begli onori di
casa che fa la padrona.
Oliver si stiracchia.
- Beh… me
ne vado a letto anch’io… domani voglio essere in
forma!
- E mi devi
anche aiutare, sciagurato! Non penserai di restare
qua a scrocco come al solito! - Mi passa un braccio
delicato dietro alla schiena - Andiamo Izzy, meglio
riposare. Quel tuo vino buonissimo mi ha dato il
colpo di grazia!
“Ma se era un Marzemino. Innocente.
Nemmeno vecchio. Mah. Se bevono birra son soddisfatti. E’
proprio vero che non hanno tradizione”. E con questo
pensiero mi chiudo nella deliziosa stanza degli ospiti
di fronte a quella di Oliver.
Apro gli occhi nella notte inquinata
di luce lunare. Già, non si usano né scuri, né
persiane o tapparelle. Ci sono le tende. Le tende. Tanto
vale lasciarle aperte, tanto non proteggono dalla luce
del mattino. Ma ora non è mattino, sono le tre e mezza.
E come al solito io non riesco a dormire. Mi alzo, dopo
essermi girata nel letto per un po’, apro la porta e
faccio capolino nel corridoio. Silenzio. Buio. Sulla
sinistra si intravede la luce lunare che invade il
salotto. E’ rimasta una brace tiepida nel camino e la
temperatura è fresca per le finestre lasciate aperte
per cambiare aria. Afferro il mio pacchetto di sigarette
abbandonato sul tavolo da pranzo e mi siedo sul divano.
C’è un plaid sopra e lo uso come un poncho. Mi
accendo una sigaretta e tiro una boccata. Che casa
splendida. Che posto splendido. Mi è sempre piaciuto
trascorrere giornate così, in posti che mai e poi mai
avrei potuto permettermi. Guardo il profilo del
paesaggio esaltato dal pallore della luce lunare, quella
luna piena immensa e bianca che si staglia nel cielo
limpido e nero. All’improvviso sento scricchiolare una
porta. Qualcuno dev’essersi svegliato e, come me, non
riuscendo a dormire, viene a farsi un giro. E’ lui. E’
in t-shirt bianca e un pantalone di tuta grigio. E’
leggermente appesantito, ma ha un bel fisico.
- Ehi…
che ci fai qui? Qualche problema?
- Niente di
insolito per me. Soffro di disturbi del sonno. In
poche parole dormo poco e male.
- Motivo?
- E chi lo
sa.
Mi prende una sigaretta dal pacchetto
e se la accende, venendosi a sedere accanto a me sul
divano, ma gomiti sulle ginocchia, come se dovesse
rialzarsi immediatamente. Mi viene un dubbio.
- Scusami,
ti ho svegliato? Sono stata rumorosa?
Lui è un po’ soprapensiero. Ci
impiega un po’ a rispondermi.
- No…
certo che no. Faccio fatica a dormire anch’io in
questi ultimi tempi. E non avendo mai molto tempo da
passare a casa, mi scoccia molto di avere dei
problemi.
- Hai un
portacenere?
- Sì
certo.
Si alza di scatto per andare in
cucina. Torna strascinando i piedi, con un portacenere e
due bottigliette di birra.
- Tieni.
Questa generalmente mi concilia il sonno.
Accetto per educazione, ma se avesse
portato una bottiglietta di vino avrei di gran lunga
preferito.
- Come ti
è venuto in mente di venire in Australia a
lavorare?
- Dovevo
andare in un posto lontano a dimenticare il passato.
Lui sorride. Sornione.
- Beh,
amica…. sei agli antipodi. Hai raggiunto il tuo
obiettivo.
- Non
ancora. Il passato è ancora lì.
- Dove?
- Nella
memoria.
- Già…
Pizza e DVD alla domenica non aiutano.
- E’ per
questo che dormo nella stanza di fianco alla tua.
Sorride ancora. Quest’uomo ha un
fascino irresistibile.
- Si è
arrabbiata?
Cambia espressione.
- Ti piace
la carne di cavallo?
- Ma che
fai, li cavalchi, poi li macelli?
- No, la
carne la compro dal mio fornitore. Allora ti piace?
- Sì ma è
meglio che non ne mangi.
- Perché?
- Pressione
alta.
- E il
fumo? E il bere?
- Preferisco
farmi male a modo mio.
- Un’autodistruttiva.
Lo guardo severamente. Lui percepisce
il mio disagio e cambia espressione.
- Scusami.
- Mi piace
molto la carne di cavallo.
Lui si rilassa contro lo schienale
del divano.
- Nonostante
la perdita di sonno, questa cosa mi piace.
- Quale
cosa?
- Fumare
alle quattro di mattina, guardando la luna dal
divano.
- Sì… è
piacevole.
- Stai bene
Quaggiù?
- Sì, mi
piace. Mi piace il lavoro, mi piacciono le persone
che ho conosciuto, anche se le frequento poco. Mi
piace la mia casa, che in fondo, non darti tante
arie, è molto simile alla tua, ci passeranno un
paio di centinaia di metri quadri di meno, quindi
non posso proprio lamentarmi…
Lui ride. Una bocca non molto bella,
piccola, con le labbra sottili, si schiude come la
corolla di un fiore su di una bella fila di denti
dritti, gli occhi si chiudono, gli si formano tante
interessanti rughette intorno. Beh, è decisamente
attraente, senza essere bellissimo. E’ molto “umano”.
Non una di quelle “stelle di carta”, così belle da
non sembrare vere. Quando torna normale, ha vuotato la
sua bottiglia di birra ed indica la mia.
- Ne vuoi
un’altra?
- Grazie,
no. Fumerò un’altra cicca, poi andrò a dormire.
Nel silenzio rotto dal leggero sibilo
delle boccate, lui sospira.
- Sì, era
arrabbiata.
- Oliver
può essere molto invadente a volte. Però mi è
simpatico.
- Credo che
stasera avrebbe trovato invadente anche una mummia.
Lei non aveva voglia di fare questo bbq. Ma io
voglio vedere i miei amici e la mia famiglia.
- Quando è
stata l’ultima volta che hai visto la tua famiglia
e i tuoi amici?
- Tre
settimane fa.
- Beh…
- Vado
fuori quasi tutte le sere e quasi tutte le sere lei
mi dice che non vuole uscire con me.
- Per andar
dove?
- Al pub. O
in un qualsiasi altro posto a giocare a freccette e
a farsi una birra e una chiacchierata.
- Forse
vuole stare da sola con te.
- Mm.
- Forse
preferirebbe uscire sola con te.
- Mm.
- Ho
esaurito i forse.
- E io le
strade da percorrere per farmi perdonare tutte le
volte che faccio una cazzata.
- Conosco l’iter.
- Cos’hai
fatto quando è successo?
- Sono
tornata a casa.
- E’
stata dura?
- Dopo
quattro anni di equivoci e una trasferta oltralpe
quando lui sapeva benissimo che non gliene fregava
un cazzo di me tanto da piantarmi le corna sotto il
naso? Sì è stata dura.
Lui ammutolisce. Non si aspettava una
risposta diretta, aspra, arrabbiata come quella. Mi
accarezza la testa.
- Mi
dispiace.
Spengo la cicca nel portacenere.
- Anche a
me. Per me e per tutte le anime perse che sono state
e saranno costrette a vivere un’esperienza così.
Io vado a letto Russell. Provo a leggere il libro
per vedere se riesco a dormire.
- Che ti
sei portata?
- “Che
paese l’America!”
- Ah……
aspetta. McCourt?
- Sì.
- Ok. Ah
senti…. non è che invece ti andrebbe di fare due
passi?
- No. E
dovresti provare a dormire anche tu.
Neanche stavolta si aspettava una
risposta così secca. Però mi pento.
- Posso
portarmi il plaid? Fuori farà fresco.
Questo gli restituisce il sorriso.
- Naturalmente.
Passeggiamo nella notte fresca e
luminosa, io avvolta nel plaid, lui aggrappato al mio
pacchetto di sigarette. Rimaniamo in silenzio per un bel
po’, poi, forse gravato dal peso e dal rumore dei
nostri pensieri, lui lo spezza.
- Credo che
tu sia una donna coraggiosa.
- No, sono
un’incosciente.
- Hai un
lavoro, hai scelto di fare una vita indipendente.
Hai… l’età giusta per farlo ti pare?
- Stai
insinuando che sono vecchia?
Lui si scoraggia.
- Ma no,
volevo dire che…
Io mi metto a ridere.
- Stavo
scherzando… Sono un’incosciente perché cerco
disperatamente di costruirmi un’altra storia
patendo ancora gli strascichi di quella prima.
- Oliver?
- Bah.
Secondo me non l’ha nemmeno capito. D’altra
parte cosa avrebbe dovuto capire? Non riuscirei ad
innamorarmi di Oliver nemmeno se fosse l’ultimo
uomo sulla terra.
- E’ un
bravo ragazzo.
- Questo lo
so.
Lui diventa tenero. Posso solamente
intuirlo, visto che nonostante sia piena, la luce della
luna non può regalarmi particolari dettagli del suo
viso.
- Troverai
la persona giusta per te. Ne sono certo.
- Già…
per adesso le tacche sul muro sono 730.
- 730?
- Eh già.
Sono 730 giorni esatti che sono single. Due anni.
Due anni che non riesco a perdonare, no anzi, siamo
tolleranti con noi stessi. 730 giorni che non riesco
a rimanere indifferente a quella storia e infatti,
sono 730 giorni che non riesco ad innamorarmi. Un
friccicore, un tepore, un sussurro del cuore. Nulla
di più. Comincio a dirmi che forse sto realmente
diventando troppo vecchia per innamorarmi di nuovo.
Lui fissa il terreno intorno ai suoi
piedi. Non sa cosa rispondermi. Forse vorrebbe, ma visto
e intuito il mio caratterino non vuole incorrere in
errori. Poi riprende “vigore”.
- Vuoi dire
che ne sei ancora innamorata?
- No,
quello no. Ma non sono ancora riuscita a liberarmene
completamente, capisci che fregatura? Non sei più
innamorata eppure nel tuo cuore non riesce a crearsi
lo spazio, la situazione ideale perché vi alberghi
l’amore. Che stronzata.
- L’amore
non è una stronzata.
- Oh sì,
invece. E’ come un bel fiore, che manda un buon
profumo inebriante per poi sfiorire nel giro di
pochi giorni.
Comincio a tremare lievemente. Il
fresco della notte si fa più pungente e io sotto il
plaid sono praticamente in canottiera e pantaloni del
pigiama. Lui se ne accorge e io mi accendo l’ennesima
sigaretta.
- Hai
freddo? Vuoi che rientriamo?
- Ho freddo
sì. Ma non voglio rientrare.
Lui si avvicina. Odora di fumo, di
profumo da uomo del quale si è asperso il giorno prima
e di birra. Mi abbraccia e mi strofina come fossi la
lampada di Aladino.
- Va
meglio? - mi chiede.
Più che le sue mani dai modi ruvidi,
è la sua voce a scaldarmi. Così profonda e mielosa.
Straordinaria. Io non ho il coraggio di guardarlo, il
suo volto è vicinissimo alla mia fronte. Annuisco. Lui
mi strofina un altro poco, questa volta con maggior
dolcezza e io mi volto a guardare verso la casa buia.
Quando volgo nuovamente il viso, il suo è ancora lì,
impanato di barba e odoroso di birra, vicino quasi da
toccarci. Si avvicina ancora e mi bacia piano,
dolcemente sulla bocca. Lentamente, mi bacia ancora, mi
succhia, schiude la sua bocca sulla mia, la sua lingua
sa di tabacco e birra. Rimango tra le sue braccia, di
marmo, senza respirare. Lui mi guarda,
- Sei
pentita della scelta che hai fatto?
- No…
Lo bacio io questa volta. Lui si
lascia baciare. Poi mi guarda di nuovo.
- Di che
scelta? - gli chiedo.
- Di aver
lasciato tutto ed esser venuta qui.
- Sì.
Perché mi ha fatto diventare un’illusa.
- In che
senso?
- Ho
creduto di riuscire a dimenticare, invece non è
così. Cerco ancora l’amore, quello vero,
travolgente, anche se so che probabilmente non lo
troverò mai.
- Siamo
tutti degli illusi in questo senso.
- Già. Che
scemi.
- Che
scemi.
Mi dà ancora un bacio lieve sulle
labbra.
- Stai
meglio adesso? Ti va di rientrare?
- Sì.
Ci riavviamo verso casa.
- E tu? Sei
pentito?
- Sì.
- Perché?
- Perché
mi sono fatto trascinare da un sogno.
- E’
tardi. Dovremmo provare a dormire.
Rientriamo a casa, lui mi prende la
mano.
- Riuscirai
a dormire?
- Devo.
Sono le cinque passate. A che ora vi alzerete
domattina? Beh anzi… stamattina?
- Verso le
otto dovrebbe bastare. Ma se devi riposare di più
non farti dei problemi, ok?
- Buonanotte
Russell. Grazie della chiacchierata.
Una volta nella mia stanza, mi rinfilo sotto le
coperte e rimango a fissare il soffitto su cui la luce
lunare comincerà a lasciare il posto alla lieve luce
del sole. |