CENERENTOLO
Ossia: ACCADON STRANI EVENTI ALLA ASL NUMERO VENTI
Eccomi qui, anche stamattina, e così sarà fino al
giorno benedetto della pensione, dietro questo vetro pieno di ditate come
quei parlatori carcerari che si vedono in certi giallacci americani dell’anteguerra,
a timbrare pratiche e a prendere appuntamenti col radiologo, il
ginecologo, l’oculista… Ufff! Questo "posto d’oro a meno di
cinquecento metri da casa" è la mia maledizione e la mia droga, di
cui, dopo ventidue anni, non posso più fare a meno, si sa, per vivere
bisogna mangiare, e oltre a mangiare, pagare l’affitto, le bollette, le
rate della Seicento… E’ subito dopo la mia laurea in Lettere Antiche
che ho accantonato i miei sogni. Tutti quanti. Diventare
archeologo,docente universitario, girare il mondo, Egitto, Mesopotamia,
Grecia… Invece ho partecipato al dannato concorso, l’ho pure vinto… Ed
eccomi ancora qui, signore prego, l’impegnativa prego, l’oculista è
tutto prenotato per un mese almeno… Eccomi qui a sentirli brontolare
tutti quanti come se dipendesse da me se l’oculista è impegnato tutto
il mese e, in quanto al ginecologo, non vedi due volte di seguito lo
stesso… Accidenti!
Pausa caffè. La macchinetta lo fa buono, non c’è
che dire. Ne bevo troppi e divento nervosa, a casa e in ufficio. Vivo
sola. Prenderei un cane, se avessi la possibilità di piazzarlo da qualche
parte quando vado in ferie: purtroppo, mia madre è allergica al pelo
degli animali e mio fratello fa il magistrato a Potenza. Il marito?
Occasioni ne ho avute, dicono tutte così quelle che, come me, a
quarantacinque anni o giù di lì sono rimaste sole come gambi di sedano.
I colleghi? Non tocchiamo questo tasto. Ci sono quelle sposate, come la
Polizzi e la Longoni, che non hanno altro argomento di conversazione che
sia diverso dal moccio del pupo o da quanto è antipatico il professore di
matematica del figlio liceale che, naturalmente, ce l’ha a morte col
povero ragazzo (se ne stesse un po’ di più a casa a studiare, invece di
rompere i timpani e qualcos’altro a tutto il quartiere andando avanti e
indietro senza meta con quel dannato motorino, nemmeno fosse Max Biaggi
sul circuito di Sachsenring!) e non fa che angariarlo, peggio di Nerone
coi Cristiani. Poverette, le compatisco almeno quanto loro compatiscono
me, con quei figli mocciosi e somari e i mariti che si ritrovano,
spaparanzati sul divano a godersi la partita di Coppa, con la pancia che
deborda e la sigaretta fetente a penzoloni in bocca. Quando, nelle
giornate d’inverno, buie, fredde e piovose, la solitudine mi pesa
particolarmente, allora penso alla Polizzi e alla Longoni e mi dico da me
"meglio sole che male accompagnate". Per consolarmi.
E le nubili? Oltre a me, allo sportello, c’è l’Allegretti.
E’ arrivata da poco, ma non è di primissimo pelo, neanche lei, avrà un
paio d’anni in meno di me anche se non lo ammetterebbe neppure se si
ritrovasse con un mitra puntato alla schiena, perché ha una fifa barbina
d’invecchiare. Non molto alta ma vistosa, quinta abbondante di
reggiseno, finta bionda con chioma cotonata e occhio languido finto
azzurro (mi sono accorta da come sbatacchia continuamente le ciglia, finte
è ovvio, che porta le lenti a contatto. Colorate), minigonne di pelle,
finta neanche a dirlo, incollate al deretano, vero, quello, e pure bello
grosso. Alla caccia all’uomo, lei non ha rinunciato. Appena arrivata
qui, dopo il trasferimento da un altro ufficio, ha puntato il dottor
Barbareschi, l’ufficiale sanitario. Il quale, a onta del virile cognome
e dei virili mustacchi che si porta appresso, è notoriamente un
finocchio. Cosa di cui la poveretta, essendo nuova, non poteva essere al
corrente. Ha provveduto quella pettegola della Robini, l’infermiera, che
col Barbareschi ci bazzica dall’alba dei secoli e di lui conosce vita,
morte e miracoli a renderla edotta circa le preferenze sessuali dell’
agognato oggetto di desiderio…Poveretta, lei non demorde, vuole
redimerlo a tutti i costi e non fa che sbattergli sotto gli occhi quelle
tette esorbitanti a stento contenute dentro il golfino d’angora che lui
nemmeno le vede. L’anno scorso sì è preso perfino le ferie per andare
a Roma e partecipare al Gay Pride, figurarsi…
E c’è anche chi non trova pace, dacché l’Angelo
Azzurro ha messo piede dietro lo sportello-accettazione del
Poliambulatorio della ALS numero venti: il ragionier Leopardi, l’archivista.
Leopardi Giacomo, come il Sommo Poeta, per uno scherzo atroce del destino
e di due genitori così poco lungimiranti da non riuscir neppure ad
immaginare le prese per il sedere di cui il poveretto, dall’asilo al
diploma e oltre sarebbe stato vittima a causa di quel nome e di quel
cognome tanto ingombranti. O, forse, avendo previsto la gobba e le lenti
da miope spesse come il fondo d’una bottiglia di Dreher e erano augurati
che potesse diventare anche lui un poeta e finire sulle antologie
scolastiche. Niente di tutto questo. Leopardi Giacomo, che in dieci anni
non riesce ancora a dare del tu ai colleghi, se ne sta sempre rintanato
nel suo archivio polveroso in compagnia di fascicoli e faldoni alla
stregua di un topo assediato da un branco di gatti famelici dentro una
forma di pecorino e non esce neanche per la pausa caffè. Che diavolo
faccia per ammazzare il tempo quando rientra dal lavoro nessuno è mai
riuscito neppure ad immaginarlo. Sappiamo che vive con la madre, di cui
è, grazie a Dio, l’unico virgulto. Punto e basta. Di altre donne,
naturalmente, manco l’ombra dell’ombra, e ci credo: con il suo metro e
sessantacinque scarso, le sue spalle sbilenche, i suoi quattro capelli
color topo che gli lasciano mezzo nudo un piccolo cranio a uovo, la bocca
spropositata che si apre su una chiostra di ponti mezzi sghimbesci
ancorati mediante ganci metallici tutt’altro che nascosti ai pochi denti
superstiti e, dulcis in fundo, un naso in confronto al quale Pippo Franco
sembra l’Augusto di Prima Porta, il poveretto è decisamente contro
qualsivoglia tentazione…
La primavera che ha svegliato finalmente il Leopardi
dal torpore del letargo è, naturalmente, l’Allegretti con i suoi
capelli finto platino, gli occhioni finto ingenuo e finto blu, i
maglioncini strizzati sulle tette e via discorrendo. Durante la pausa
caffè, o quando si va al bar pizzeria per buttare giù in tutta fretta un
tramezzino all’ora di pranzo, l’infelice non le scolla gli occhiali di
dosso. Lei, sopporta, finché non troverà un altro sistema per far
ingelosire il Barbareschi che, non fosse così brutto, sicuramente le
preferirebbe il Leopardi se non altro perché è un maschio.
A forza di dai e dai, finalmente l’Allegretti è
riuscita nel tentativo di far ingelosire qualcuno. Non certo il
Barbareschi, visto che di lei non gliene può importare di meno, bensì il
Leopardi che, poveretto, sta dilapidando i suoi risparmi in rose,
cioccolatini e cd di musica soft che lei, cafona, accetta senza rimorsi e,
naturalmente, senza concedergli neppure un barlume di speranza, anzi,
nemmeno un sorriso e un grazie. Secondo alcune voci, il povero infelice,
che incede con l’eleganza di una gallina zoppa, si sarebbe perfino
iscritto alla scuola di ballo latino americano che l’Allegretti
frequenta…Povero mondo.
Ma adesso basta. Ieri, presenti la Polizzi, la Longoni,
Leopardi, e naturalmente la sottoscritta, il borsone dell’Allegretti è
caduto dalla scrivania, rovesciando il suo contenuto (un’agenda, la bic,
il cellulare, oddio non si sarà rotto, un tampax e la fotografia a colori
di uno splendido giovanotto) sul pavimento. La Polizzi, la Longoni e,
naturalmente, il Leopardi, galante come un moschettiere, si fiondano sul
luogo più veloci dell’ambulanza della Misericordia per rimediare al
disastro o, nel caso delle due poverette, che più che donne sembrano
zombi, per trovare argomenti freschi su cui spettegolare. La fotografia
finisce nelle mani della Polizzi, che se la squadra ben bene, prima di
riconsegnarla alla legittima proprietaria.
-Carino. E’ il tuo ragazzo?
-Sì.-risponde monosillabica e orgogliosa l’oca
pettoruta, anche perché, in quel preciso istante, davanti allo sportello
dell’accettazione vede passare il dottor Barbareschi, con il camice, lo
stetoscopio nel taschino, i mustacchi brizzolati e l’aria giuliva.
Altro che carino. Un po’ tamarro, penso tra me e me,
ma gran figaccione: occhi verde azzurro, barba di un paio di giorni,
lunghi capelli biondi e spalle da armadio che sembrano esplodere dentro un
giubbotto di pelle nera. Deve averlo pescato in qualcuna di quelle
discoteche che frequenta e dimostra una diecina d’anni buoni in meno di
lei. Sospiro di disappunto, forse d’invidia. Barbareschi s’è chiuso
nell’ambulatorio, la Longoni e la Polizzi continuano a cicalare come se
non avessero mai visto un paio di brache (fossero pure quelle degli
squallidi figuri con cui dividono da secoli casa e letto), Leopardi è
bianco come uno straccio. Io trattengo a stento una risata. Le mie
colleghe, tutte prese dal moccio del figlio piccolo e dalla più che
probabile bocciatura di quello grande non hanno tempo per andare al
cinema; forse Leopardi ci va, ma in quelli a luci rosse, per sfogarsi da
solo in qualche modo, col cappotto sulle ginocchia e le mani sul gioiello
di famiglia. Io ci vado quasi tutte le settimane e "Il
Gladiatore" (gran bel film) l’avevo visto solo un paio di giorni
prima.
Oltre all’incidente incorso alla borsa dell’Allegretti,
con relativa fuoriuscita di materiale pericoloso, oggi ne è capitata un’altra
più seria.Molto più seria. Mentre tutti eravamo occupati all’espletamento
delle nostre squallide mansioni di passacarte, nell’ambulatorio di
Radiologia squilla l’allarme. Una fuga radioattiva? Mi segno, anche se
è dal giorno del funerale di mio padre, dieci anni fa, che non metto
piede in chiesa: ma ne ho lette e sentite talmente tante su Chernobil…O
forse è colpa della mia formazione umanistica, che mi ha resa
profondamente diffidente nei riguardi della tecnologia? Bah. Vengo a
sapere che il tecnico di radiologia non era nell’ambulatorio al momento
del fattaccio. In compenso, c’era il Leopardi Giacomo, l’ha visto la
donna delle pulizie che entrava lì dentro non so con quale scusa. Non gli
sarà frullata in testa l’intenzione di ammazzarsi per amore, a quello
scemo, coinvolgendo, nei suoi disegni criminali, l’oggetto tettuto che
sta in cima ai suoi pensieri ma anche i colleghi e forse perfino tutta
quanta la città? Amore. E gelosia folle per uno splendido giovanottone
nel quale l’imbecille non è stato in grado di riconoscere il divo del
giorno, buon per lui, e purtroppo per l’Allegretti, lontano migliaia di
chilometri dalla nostra portata…Ho preso un bello spavento. E penso che,
dopo aver abrogato in tutta fretta la legge Basaglia (quella sulla
chiusura degli ospedali psichiatrici N.d.A.), l’individuo
andrebbe internato in manicomio in quanto caso lampante di follia
pericolosa. Lo stesso che pensavo, in terza liceo, a proposito del suo
illustre omonimo con il suo pessimismo cosmico e la sua mania di
persecuzione del genere "ce l’hanno tutti con me perché sono
brutto, piccolo e storto".
Passano tre o quattro giorni senza che succeda niente,
e il fattaccio del laboratorio di radiologia è bello e dimenticato. Il
Leopardi, secondo il solito, se ne sta rinchiuso nel suo archivio a
rimuginare e l’Allegretti continua a sbattere le ciglia e le tette sotto
gli occhi, più ciechi di quelli di Ray Charles, del dottor Barbareschi, l’unico
uomo (si fa per dire) completamente impermeabile al suo fascino. La
Longoni e la Polizzi discettano, tanto per cambiare, di moccio e
professori antipatici: un giorno come un altro. Finché il fusto biondo
non sbuca senza preavviso dal fondo del corridoio; nessuno l’aveva
notato entrare, e altrettanti si preoccupano della strana circostanza,
anche perché il sifone nel gabinetto dell’archivio, un bugigattolo in
fondo al regno del Leopardi, a suo esclusivo uso e consumo, era guasto
già da un bel pezzo e finalmente qualcuno s’è preoccupato di mandare a
chiamare l’idraulico. L’appalto di tali riparazioni ce l’ha il
Manenti, che spesso assume come garzoni degli extracomunitari. Rispetto
agli italiani, dice, costano meno e lavorano di più. Il gran bel pezzo di
ragazzo potrebbe essere l’albanese di cui si vocifera, l’ultimo della
serie. Sta di fatto che tutti alziamo e strabuzziamo gli occhi: l’Allegretti,
la Polizzi e la Longoni, perfino (è così strano?) quel frocio del
Barbareschi. E anch’ io, naturalmente, con i miei occhialetti tondi e la
mia zazzera da veterofemminista, io che godo di più ad addentare una
fetta di pane casereccio spalmato con nutella che a scopare, io che da
tutti i (pochi) fidanzati che ho avuto mi son sempre sentita dare della
frigida e, per giunta, mi ritrovo in pre menopausa, quindi bella e che
andata. Resto lì a guardarlo scomparire nell’archivio e penso: un uomo
del genere dovrebbe essere a Hollywood, non qui a tentare di rimettere a
posto la canna del cesso di Leopardi. E’ proprio vero che non c’è
giustizia nella vita.
Leopardi s’è messo in malattia da tre giorni. Il suo
sarà sicuramente uno dei tanti malanni di stagione ma, anche se non ne
parliamo, a noi dello sportello utenti basta guardarci reciprocamente
dentro gli occhi per leggervi la parola apocalittica: RADIOATTIVITA’.Leopardi
è diventato RADIOATTIVO. Tra poco saremo tutti quanti RADIOATTIVI.
Essendo tutte donne e non volendo approfittare degli attributi di
Barbareschi, non sapremmo neppure che cosa toccare per allontanare da noi
la JELLA. A meno d’entrare nell’archivio e approfittare a tradimento
di quelli dell’idraulico albanese. Mamma, quanto è bello. Per dirla in
burocratese, sembra la fotocopia autenticata di Russell Crowe, il divo del
momento, quello di cui tutti i giornali parlano per la sua bravura, il suo
fascino selvaggio e la sua fama mai smentita di gagliardo sciupafemmine.
Sia lode a tutti i numi per il guasto del sifone. Un guasto più serio del
previsto, dato che da ormai tre giorni il clone albanese del Gladiatore
sta tentando, si suppone senza successo, di rimetterlo a posto. Come
idraulico sarà anche un fallimento, ma è davvero una gioia per gli
occhi, mi dico tra me e me vedendolo balenare con la sua testa dorata e la
chiave inglese in mano attraverso le ante della porta. Unico appunto:
veste tremendamente male. Anzi, oggi, in t shirt bianca e jeans è perfino
passabile, sembra un ragazzo dei tanti, solo servito più generosamente da
Madre Natura. Il primo giorno, non si presenta in camicia a righe e
pantaloni a quadri identici a quelli indossati d’abitudine dal Leopardi?
Il mio pensiero corre subito ai sacchi della Caritas e al fatto che non ci
sia davvero nessuna giustizia nella vita…La roba smessa che fino a pochi
giorni fa infagottava come uno spaventapasseri il nostro derelitto
collega, sembrava doversi strappare da un momento all’altro, incollata
com’era sopra i suoi muscoli, per lasciare quel marcantonio biondo di un
metro e ottanta come mamma l’aveva fatto, una trentina d’anni prima, a
Valona o a Durazzo…Meglio che torni alle mie scartoffie e ai mugugni
degli utenti e che continui a sfogare le mie libidini represse sul pane
spalmato di nutella, accidenti al Gladiatore, agli scafisti e alla canna
del cesso di Leopardi RADIOATTIVO.
Gli effetti della RADIOATTIVITA’ cominciano a farsi
sentire su qualche cervello. Ieri la Polizzi è entrata nell’archivio
per recuperare la solita pratica e ne è uscita dopo oltre mezz’ora, con
la faccia congestionata e tutti i capelli in disordine.
Stamattina capita la stessa cosa, ma con la Longoni
invece della Polizzi. Supponedo non si siano attardate a parlare con l’idraulico
di moccio e di bocciature, arguisco che, con quell’aria da martiri che
si portano appresso, abbiano voluto sperimentare qualche piacere proibito,
in un luogo proibito e con un uomo talmente bello e sensuale che le forze
dell’ordine dovrebbero arrestarlo per oltraggio alla decenza ogni volta
che mette il naso fuori casa. Alla faccia dei mariti con la pancia e dei
figli mocciosi e somari.
Dalla mia scrivania è sparita la pratica per il
riconoscimento dell’invalidità di tale De Luigi Antonio e devo entrarci
io, nell’antro del drago. Non che abbia paura, anzi: violare il sepolcro
maledetto di un secondo Faraone Bambino, Tut-An- Khamon era il mio sogno
proibito, quando, prima di essere fagocitata in questo squallido
ingranaggio fatto di timbri, utenti incazzati e cartacce, ambivo a
diventare archeologa. Inoltre sapevo che avrei trovato qualcosa di molto
diverso da una mummia chiusa in un sarcofago, lì dentro. Magari alla fine
sarebbe stato perfino meglio del pane e nutella, chissà.
Io armeggio tra gli scaffali e intanto lo sento
canticchiare, qualcosa di Springsteen, mi sembra, in un ottimo inglese e
pure con una bella voce. Accidenti a lui, mi domando e dico, perché non
ha fatto il cantante invece dell’idraulico? Come tale è proprio un
fallimento, visto che sono ormai sei giorni che armeggia col sifone senza
riuscire a combinare niente, penso prima di ritrovarmelo davanti,
inquadrato dall’apertura della porta, con lo sfondo delle mattonelle
bianche e del cesso scassato, la chiave inglese in mano, i lunghi riccioli
appiccicati al collo dal sudore e un sorriso da sciogliere di botto tutti
i ghiacciai delle Alpi. Lo guardo. Mi guarda. Ha le stesse sopracciglia
folte e dritte, gli stessi occhi azzurri sornioni e leggermente strabici
dell’originale. Perfino, suppongo, lo stesso corpo da tentazione che
quell’altro metteva in mostra sotto le tuniche sbrindellate del
Gladiatore (gran bel film):qualche scienziato pazzo, penso, deve aver
clonato la superstar hollywoodiana neanche fosse la pecora Dolly. Lo
guardo. Mi guarda. Ha gli occhi teneri e maliziosi, una bocca da baci
incorniciata dai peli biondi della barba. Vattene a lavorare,torna ad
armeggiare col sifone del cesso, maledetto demonio, prima che io mi metta
ad armeggiare con il tuo…Ah! Ho la gola secca e mille pensieri che mi
turbinano nel cervello. Hai quarantacinque anni e sei sempre stata una
ragazza giudiziosa, Laura. Quello ne avrà sì e no trenta…Stai
diventando peggio dell’Allegretti, non ti vergogni? E poi guardalo com’è
vestito, con gli stracci della Caritas, chissà chi è, non conosci
neanche le sue generalità, sicuramente è senza permesso di soggiorno,
alla fine sarà pure sporco. Vai a casa, fatti una doccia poi guardati la
videocassetta che hai noleggiato al Blockbuster sbocconcellando una bella
fetta di pane casereccio spalmato di nutella, che è meglio.
Continua a contemplarmi adorante, neanche fossi la
Bellucci nuda sul calendario, invece di una quarantacinquenne occhialuta
in pre menopausa e con qualche chilo di troppo imputabile al consumo
massiccio di nutella spalmata sul pane. Lo guardo di rimando, accidenti è
bellissimo. Socchiude gli occhi, che ciglia lunghe che ha. Si passa piano
la punta della lingua rosea sul labbro superiore, e sento che il cervello
mi va in tilt con tutto il resto. Ragiona, Laura, finchè sei ancora in
tempo…A casa ti aspettano un bel film,la tua nutella e, dopo, otto ore
filate di sonno…Purtroppo il film che ho noleggiato è "L.A.
Confidential", la nutella l’avrei spalmata su qualcosa di molto
diverso dal pane e soffro pure d’insonnia, con tutti i caffè che
tracanno e le sigarette che fumo.
-No, non qui. Andiamo a casa mia.
Parla poco, ma il suo italiano è ottimo. E beve
parecchio, s’è tracannato mezza bottiglia di whisky finita a casa mia
chissà come (sono astemia). Pensare che ero convinta che gli albanesi, da
buoni musulmani, non bevessero di quella roba là. Mi tocca scoparmelo
alticcio, penso, anzi sbronzo da non stare in piedi, ma sembra reggere
bene l’alcol. Si spoglia, e intanto non smette di fissarmi con i suoi
occhi di fuoco. Via la t shirt. Resto senza fiato: braccia poderose,
spalle da armadio, la schiena un groviglio di muscoli e il petto…Il più
fantastico cuscino su cui una donna possa desiderare di poggiare la testa.
E’ chiaro di carnagione, non troppo villoso. E ha un neo sotto l’ascella
sinistra, proprio come ho notato che ce l’ha Russell Crowe. In parole
povere, sono identici. Nel mio cervello turbinano i pensieri, le emozioni
e le sensazioni più incredibili. Lo abbraccio, gli mordicchio il labbro
inferiore, lo bacio, comincio io, lui risponde, sembriamo due pazzi
invasati. La bottiglia che tiene in mano finisce in mille pezzi sul
pavimento, non capisco più niente, gli succhio il lobo dell’orecchio,
quella gola fantastica che si ritrova, impazzisco solo a vederlo
deglutire, lo mordo, lo lecco, vorrei strappargli di dosso i calzoni della
Caritas, ma mi limito, per ovvie ragioni a calargli la cerniera e ad
aiutarlo a toglierli…Lui non è da meno, mi spoglia, mi accarezza, mi
bacia, con un trasporto e una passione sempre crescenti, sembra che stia
davvero con la Bellucci del calendario invece che con una
quarantacinquenne frustrata da un lavoro ignobile, che ha la cellulite sul
sedere, si tinge i capelli perché ne ha un mucchio bianchi e ha fissato l’appuntamento
con l’oculista per farsi gli occhiali da presbite.
Facciamo tanto di quel casino da rischiare di veder
crollare i muri. La vicina del piano di sotto bussa sul soffitto con la
scopa, ma io ormai sono aldilà di ogni pudore. Sul tappeto. In piedi
contro il muro. Nel letto, finalmente. E pensare che i miei fidanzati
(pochi) mi avevano sempre dato della frigida.
Sdraiata sul letto, mi fumo la mia sigaretta e lo
guardo, gli occhi socchiusi ombreggiati dalle lunghe ciglia bionde, la
zazzera d’oro sparpagliata sul cuscino e solo un lembo di lenzuolo a
coprirgli ciò che è indecente mostrare in giro ma che gli ho visto in
tutti i suoi dettagli e onorato come meritava. Pensare che non so neppure
come si chiama.
-Tutte le volte che vuoi, caro…
-E’ la prima e l’ultima, mi risponde lui. Ha una
bellissima voce cupa e profonda e parla l’italiano molto bene. Ci
rimango male, mi ha visto le rughe e la cellulite, penso, mi ha visto le
tette che non possono certo competere con quelle dell’Allegretti e non
vuole più saperne di me…
-Non prendertela, mi sussurra all’orecchio e ne
approfitta per mordermi il lobo. Piano, prima, poi abbastanza forte da
farmi quasi male. Sto per impazzire.
-Ti scade il permesso di soggiorno?
Ride. Gli trapelano, tra i peli biondi della barba, le
fossette sul mento e sulle guance. Non mi prendessero per pazza, potrei
vantarmi d’essermi scopata il Gladiatore, come quella squinzietta con la
faccia da topo, quella di "Harry ti presento Sally" che per
corrergli appresso ha mollato marito e figlio e poi se n’è pure
pentita. Ma questo qui, benché tale e quale a lui come una goccia d’acqua,
è solo un ragazzotto albanese senza permesso di soggiorno, e non so
neppure come si chiama. In ogni caso, sia resa sempre lode allo scafista
che l’ha portato qui in Italia.
Schiaccio la cicca della sigaretta nel posacenere, mi
chino su di lui e gli bacio il petto, proprio in mezzo allo sterno. Ha una
pelle morbida e calda. Accidenti, mi piacerebbe proprio sapere come si
chiama. Russell? Non mi risulta che sia un nome albanese.
Solleva il busto, puntellandosi sui gomiti, e la mia
testa scivola più giù, sui muscoli sodi e tosti dello stomaco. Ne
approfitto ber baciare, leccare, mordicchiare ancora.
-La favola è quasi finita.-mi sussurra triste con il
suo vocione grave-A mezzanotte di domani…
Come Cenerentola, penso. Ma a mezzanotte di domani
cosa? Avrebbe perso strada facendo qualcuno dei suoi scarponi quarantasei
abbondante? Il furgoncino del Manenti si sarebbe trasformato in una zucca?
-Io sono Giacomo Leopardi.
-E io Alessandro Manzoni.
Rido. E’ tutto quanto talmente assurdo, impossibile.
Ma quando mi rivela cose di cui solo il Leopardi era effettivamente a
conoscenza, nella fattispecie il mio codice fiscale e le mie generalità
complete, il cuore mi balza in gola e ripenso alla parola maledetta:
RADIOATTIVITA’. Le radiazioni avevano trasformato l’impiegato più
derelitto dell’ufficio nella copia conforme dell’uomo più desiderato
dalle donne di tutto il pianeta. Per sua disgrazia, si trattava di una
metamorfosi solo transitoria e il poveretto era lì lì per riappropriarsi
della sua reale identità.
-Io sono Giacomo Leopardi.
… E avrò la mia vendetta, in questa vita, o nell’altra.
Come Massimo Decimo Meridio quando si toglie l’elmo davanti all’imperatore
Commodo. Lui, intuisco, era intenzionato a togliersi tutti i vestiti
davanti all’Allegretti. Cinque minuti prima della fatidica mezzanotte
del giorno dopo.
Da quando il Leopardi è tornato, tira un’aria
strana, allo sportello del Poliambulatorio della ASL n.20. Non perché sia
cambiato granché, il cesso in fondo all’archivio è sempre guasto,
anzi, forse è più guasto di prima, ma il Leopardi (dovrebbe forse
prendersela…con se stesso?) non si lamenta. Lui è uno che soffre in
silenzio tra scartoffie e faldoni, senza lamentarsi mai, col suo nasone
che gli piscia in bocca e i ponti ancorati a vista sulle arcate dentarie
sguarnite. La Polizzi e la Longoni, che non sanno niente, continuano a
guardarlo con la consueta aria di compatimento e appena possono discettano
sugli ultimi sviluppi del moccio del figlio piccolo e del traballante
curricolo scolastico di quello liceale: come se nulla fosse successo. L’Allegretti
si è messa in ferie, contrariamente al suo solito (le prende sempre d’estate,
per mostrarsi all’universo mondo in topless sulla spiaggia di Riccione),
in attesa che venga accettata la domanda di trasferimento appena
presentata. Motivi familiari. Io, che conosco la verità, trattengo a
stento uno sghignazzo, e, penso, anche il Leopardi Giacomo. Ha avuto la
sua vendetta, in questa vita e non nell’altra. L’Allegretti ha
abboccato all’amo, se l’è portato nella sua mansardina… Cenetta a
lume di candela, a base di champagne e pietanzine afrodisiache, luci
soffuse, musichetta sdolcinata. Lui le pianta negli occhi quel suo sguardo
beffardo e sornione, le sorride con tutti e trentadue i denti candidi e
inizia a levarsi di dosso, con deliberata lentezza, la maglietta bianca e
le brache della Caritas. Immagino come dev’essersi sentita, ci sono
passata anch’io. Inizia a spogliarla. Manca poco alla mezzanotte ormai.
Reso completamente folle dalla visione senza censura delle tette dell’Allegretti,
l’oggetto a lungo agognato del suo desiderio, gliele afferra e,
nonostante siano grandi come due badili, le sue mani stentano a
contenerle. Lei inizia a gemere e a dimenarsi. Mezzanotte. L’Allegretti
non vede l’ora di ritrovarsi infilzata dalla daga del Gladiatore, ma lui
vuole cucinarsela a fuoco lento. I peli della barba le solleticano il
capezzolo, lei geme come se la stessero ammazzando. Gli abbranca le
spalle, gli accarezza i capelli morbidi, la pelle di seta tesa sui dorsali
da culturista. E lui continua a giocare al gatto con il topo. Mezzanotte e
cinque. Iniziano le allucinazioni, dapprima tattili, poi anche visive. I
capelli biondi, morbidi e fini, diventano ruvidi, grossi, radi e
disgustosamente unti sotto le sue dita, il bel collo e le spalle possenti
magri e scheletriti come quelli del Mahatma Gandhi. E, quel che è peggio,
incollata come una ventosa sulla tetta sinistra, non c’è più quella
piccola bocca perfetta, quasi femminea, fantastico ricettacolo di
trentadue denti candidi e squadrati e di una lingua capace di delizie
inenarrabili, bensì la ben nota boccaccia con i suoi ponti di resina e
acciaio e la lingua patinosa. Non occorre molta immaginazione per intuire
lo stato d’animo della poveretta in quel momento: lo stesso del tizio,
al quale era stato servito serpente in umido gabellandolo per capitone,
quando è venuto a conoscenza dell’atroce verità.
L’Allegretti è stata trasferita. Io lo sarò tra
poco. Non riuscivo più neppure io a guardare in faccia il Leopardi, dopo
quello che era successo, ma per un paio di cosette gli devo la mia
sempiterna riconoscenza: andrò a lavorare presso l’Assessorato alla
Cultura del mio Comune, ricoprirò una mansione per me molto più
gratificante di quella finora esercitata. E la notte folle in compagnia
del clone del Gladiatore credo che non la dimenticherò tanto facilmente.
Lalla Usai
29 luglio 2001 |